Anime & Manga > Le situazioni di lui e lei/Karekano
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Autore: _sonder    13/10/2015    3 recensioni
Nello spazio di un silenzio, Tsubasa scopre la voce di ciò che ha perso.
| Partecipa al contest La gara dei prompt, indetto da Mokochan sul forum di EFP. |
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Tsubasa Shibahime
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al contest 'La gara dei prompt' indetto da Mokochan sul forum di EFP.
POV di Tsubasa: missing moment dei due momenti cruciali nella vita di Shibahime: l'apparizione di Ikeda Hiromi e l'assenza di Kazuma.

 
l'abbraccio del suo
 
profumo






Tsubasa sbuffa e si accanisce su una lattina vuota: la guarda rotolare lungo il tragitto e prosegue con i pensieri che rimbalzano da un'idea all'altra. Struscia il viso su una spalla e osserva il gatto nero acciambellato sotto la panchina alla fermata del bus. Si studiano entrambi: lei con malcelata curiosità; il felino senza timore.

Il sole è ancora alto: sbianca i tetti e la strada privata, gettando una luce bianca sugli edifici, che ritrae l'immagine di un'estate prossima, delle vacanze che sgombreranno la città. La pausa estiva dallo studio è un mese che rende il volto urbano più simile a una sorgente strozzata: i pochi che vi resistono dibattono la coda come pesci e patiscono le alte temperature.

I muriccioli delle residenze sono percorsi da qualche foglia pigra, trascinata dalla brezza sul vicino asfalto; gli alberi seguono il loro volo e le fronde si piegano come per riprendere ciò che hanno perso. In quel miraggio, Tsubasa riconosce le sagome dei bambini dell'asilo, dei genitori che corrono dietro un palloncino scappato di mano ai propri figli; gesti che per lei rappresentano esperienze invidiate da lontano. Negli occhi ha ancora traccia di una gelosia antica, di un senso d'inferiorità che la costringe a chiedersi come mai abbia patito una doppia assenza in famiglia.

Le finestre aperte delle ville diffondono il tintinnio di qualche bicchiere, il mormorio di chiacchiere non troppo vivaci, sgonfiatesi per la sonnolenza che segue il pranzo.
Tsubasa si affanna a piccoli passi e senza entusiasmo sulla via deserta, sollevando ogni tanto la cartella per alleggerire il peso sulla spalla. Asciuga la fronte con un fazzoletto e ravvia i capelli ondulati. L'olezzo muschiato del sudore la costringe a una serie di smorfie, una più pronunciata dell'altra. Vuole soltanto cambiarsi e indossare un abito più fresco, ma non ha fretta di arrivare al cancello del giardino e di introdursi in casa sua.
Scorge di già la struttura massiccia dell'abitazione che divide con suo padre: le pietre, il legno ben curato e le alte finestre si delineano nella loro schiacciante imponenza.
Avvicinandosi, la traccia di brio dei caseggiati si estingue e Tsubasa realizza che a caderle addosso è un silenzio familiare. Non appena schiude l'uscio, sente di calzare il vuoto delle sedie, il bianco anonimo dell'ampio soggiorno, il grigiore delle scale in penombra, come abiti su misura per lei. L'open space è travolto dalla luce, che ne accresce la profondità, sino a renderlo desolante per lei sola.
Si costringe a guardare il pavimento e socchiude le palpebre: al petto è tornato il solito peso, abitudinario come i pochi programmi in TV che le fanno compagnia. 
Toglie le scarpe e si piega per raggiungere le pantofole, ma non le trova al solito posto, disposte con cura l'una accanto all'altra. Chiama il nome di suo padre e aggrotta la fronte: gli occhi accigliati si guardano attorno con sospetto e il naso si dilata, inspirando un profumo estraneo, non troppo dolce e deciso. Batte un piede scalzo sul parquet e sfila un ombrello, impugnandolo a mo' di arma: non si aspetta di trovare Jason, ladro di calzini e feticista di ciabatte... ma meglio non rischiare; dopotutto, è un venerdì tredici.
La ronda delle stanze si rivela infruttuosa: l'unico mostro è quello sotto il letto del papà, una collinetta — o meglio, la sua frana — di completi stinti.

Tsubasa compie il tragitto verso l'ingresso e apre la grande scarpiera: un paio di pantofole da donna sono lì. Il viso diventa paonazzo quando legge le misure: era improbabile che suo padre avesse commesso un errore... e il modello tanto modesto poteva appartenere a una sola persona...
Agguanta il tutto con una molletta sul naso, infila i sandali per uscire in strada e raggiunge l'ultimo cestino della spazzatura, quello all'estremità del quartiere. Resta a godersi lo spettacolo degli spaghetti di soia e dei fondi del caffè che disegnano nuove fantasie sulle ciabatte; poi, tira un occhio e rivolge il sedere al cestino.

— Tiè, tiè, maledetta arrampicatrice sociale!

Quando appoggia le spalle contro l'uscio, Tsubasa ascolta il silenzio inghiottirla, prosciugarla di quella poca vita rubata all'esterno. La pace forzata delle belle cose che la circondano, è il torpore in un bozzolo, dove non cresce e sogna e desidera eventi che non si avverano.

Punta un angolo dove sono state adagiate alla svelta le sue pantofole; buttate lì, come il suo odore vinto da quello di una sconosciuta che gioca a farle da madre. Le manca l'aria e stringe l'orlo della gonna, senza la forza di asciugare le lacrime che bruciano sulle guance. Prende un pennarello e scrive il suo nome su più etichette e le preme sugli armadi, sulle mensole: l'altra, che non divide con lei né sangue né confidenza, deve uscire di casa.

In cucina, Tsubasa crolla di fronte al lavabo. Fissa due bicchieri capovolti, lavati da altre mani e lasciati lì ad asciugare. La presenza della nuova donna di suo padre è asfissiante e ha già vinto territorio nel cuore di lui e fra i loro oggetti. Tsubasa tocca il vetro, incerta e offesa, come per accertarsi che non sia contaminato. Gli occhi corrono alla luce del giardino, che può permetterle di non vedere, che può accecarla di nulla. Lascia andare la presa e si accuccia accanto alla portafinestra. Il cielo le mostra una ferita aperta, di sangue vivo che punge e si affaccia sul paesaggio.


Apre pigramente gli occhi e manda una ciocca dietro le orecchie. Il mento sparisce dietro la spalla alzata e, per un istante, le iridi di Tsubasa si addolciscono. Toshiharu ha il naso sul pavimento e una gamba sollevata. Hiromi lo sorregge con una pazienza clinica e gli pulisce le spalle come la faccia, entrambe sporche di confettura. Sono trascorsi mesi da quando Tsubasa riteneva giusto separare suo padre dall'intrusa e negargli il diritto di scegliere una persona diversa da se stessa. Credeva di restare al centro del mondo di suo padre, di essergli necessaria e indispensabile; aveva il cuore gonfio di questa certezza e le mani vuote, prive di esperienza.
Tsubasa guarda la coppia con un lampo d'invidia che le sbianca il viso. Sono trascorsi mesi anche dalla partenza di Kazuma e la tranquillità che lui aveva docilmente cantato per lei, colmandola di promesse, l'ha piombata nell'ennesimo abbandono.

— Stupido, stupido, stupido!

Si leva da terra e i passi rumorosi lasciano vibrare il pavimento. Avvicina il padre e Hiromi e calpesta una pozza cremosa ai mirtilli. 

— Dice di tenere a me e viaggia in capo al mondo senza farsi sentire! Quando tornerà mi farò trovare in compagnia di un idol più famoso di lui!
A braccia conserte e un velo di rossore sulle guance, Tsubasa scuote il viso e salta in braccio al padre. Le unghie tirano la maglia.

— Gli uomini sono dei cretini, dei tonti! Dimenticano le cose importanti, ma stavolta non basteranno le scuse!
Ansima per il troppo parlare, mentre Hiromi ha già un piano da lottatrice di sumo su come raddrizzare il figlio. Toshiharu si limita a girare il capo, con la solita emicrania e la bandierina bianca alzata a qualunque capriccio della sua principessa.


Tsubasa trova rifugio nella camera di Kazuma. Si raccoglie sul suo letto e stringe il cuscino. La stoffa non emana più l'odore forte e selvaggio a cui è abituata: è fuggito anch'esso verso concerti e note. Non frena le domande e i complessi che la scuotono: si chiede secondo quale giustizia terrena o divina, secondo quale destino, lei sia sempre e soltanto la seconda scelta. Si vergogna del proprio egoismo, ma non riesce a rinunciare all'idea di essere amata da lui. Carezza il cuscino e si blocca a pensare al viso di Kazuma, alla pelle sotto i suoi polpastrelli; respinge il tessuto e rimane paralizzata. Lei desidera un amore che non cresca, che non cambi. Il torpore del bozzolo le ha avvelenato il cuore, le ha impedito di crescere. Nulla è più giusto della volontà di fuggire il dolore... e nulla è più illusorio di questa fuga. 

Tsubasa credeva di restare accanto a Kazuma senza avere la necessità di trasformarsi in una donna, senza affrontare la responsabilità di vedere lui come uomo. E ora che il corpo arde al solo pensiero di sfiorargli le guance, ora che gli occhi esitano a sostare sui suoi effetti personali, Tsubasa scopre di non avere più voce per aggredirlo. È intrappolata in un corpo da bambina, in un bocciolo gracile che non ha abbastanza luce per maturare e distendere i propri petali. Ha il terrore di bruciare alla furia raggiante di questi sentimenti, perché Kazuma batte contro la barriera che li separa e la sua voce giunge e sa come svegliarla. 

Tsubasa arrossisce e annusa una felpa, per trovare quel poco di lui che le resta in casa. Il profumo la abbraccia d'impeto e Tsubasa ricorda come, baciandole i capelli, Kazuma le ha sussurrato di amarla: scottava e aveva le guance più rosee del solito, ma negli occhi portava una tristezza che non era da lui.
Eppure, se n'è andato: ha scelto di seguire la musica e sogni più importanti di lei. Lo crede fermamente e tortura le lenzuola per affermare le ragioni e i capricci. Kazuma, il suo Kazuma, l'ha lasciata come ogni altro uomo. Ha scelto un'altra, qualcuna contro cui non può competere: una donna che ammalia, che tocca corde senza parlare.
Tsubasa porta la felpa alle labbra: nella propria ingenuità, si era appigliata alla certezza che Kazuma, avendo vissuto la stessa solitudine, non si sarebbe allontanato. Credeva, un giorno, di incidere la propria essenza nel cuore di lui, tanto a fondo da ricordargli sempre a chi appartenesse e dove tornare. Invece, era stato lui a legarla, con quell'innocenza corrotta da un amore che adesso la spaventava e confondeva... simile agli ultimi passi che li separavano e che lei non riusciva a compiere.

— Dovevi proprio scrivere canzoni in una lingua che non capisco? Scemo.

Tsubasa poggia i biglietti del concerto sulle labbra e vi lascia un bacio. È come toccare le mani di lui, ossute e di sicuro sudate per il nervosismo. Sorride con malizia a immaginarlo più agitato di lei al pensiero di rivedersi, di annullare ogni distanza. Stavolta, Tsubasa intende aprire la porta che li aveva divisi: per se stessa, per lui... per la musica che canta di lei, di loro. Ha solo uno sguardo da offrire a Kazuma: uno sguardo pronto a carezzarlo, a intimidirsi prima di perdersi nei suoi occhi e ritrovare spazio nel suo petto.



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