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Autore: evelyn80    15/10/2015    1 recensioni
Dopo aver espresso il desiderio di poter salvare Boromir dalla sua triste fine, Marian si ritrova catapultata nella Terra di Mezzo grazie ad un gioiello magico che la sua famiglia si tramanda di generazione in generazione. Si unirà così alla Compagnia dell'Anello per poter portare a termine la sua missione. Scoprirà presto, però, che salvare Boromir non è l'unica prova che la attende.
Ispirata in parte al libro ed in parte al film, la mia prima fan fiction sul Signore Degli Anelli.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boromir, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La mia Terra di Mezzo'
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Vita da Orco

 

Freccia d’Argento cavalcò più veloce del vento, desiderosa di tornare quanto prima a Minas Tirith. Dal canto mio, invece, non avevo nessunissima voglia di giungervi troppo in fretta. Non riuscivo ad immaginare come avrebbero potuto reagire i miei amici e, soprattutto, Boromir. Non mi sentivo ancora in grado di reggere i loro sguardi e di rispondere alle loro domande.
Pregai più volte la giumenta di rallentare, ma quella non volle sentire ragioni. Scalò le Montagne dell’Ombra di gran carriera, buttandosi a capofitto in discesa verso l’Ithilien e raggiungendo il fondovalle, all’altezza del Crocevia del Re Caduto, dopo appena mezza giornata di cavalcata. Da lì in poi la strada era in pianura e Freccia si mise letteralmente a volare, attraversando le rovine di Osgiliath come un turbine e percorrendo i Campi del Pelennor a velocità talmente elevata, che i soldati di guardia alle barricate esterne si accorsero della sua presenza solo per via della scia di polvere che lasciava dietro di sé.
Quando quelli intimarono l’alt lei si limitò a superarli con un salto, atterrando agilmente dall’altra parte e scomparendo, in un lampo, tra le stradine contorte della capitale del regno di Gondor.
A quel punto fu costretta a rallentare, perché le vie erano affollate di gente che si dava da fare per rimettere in ordine e riparare i danni causati dalla guerra.  In molti furono costretti a scansarsi in fretta al suo passaggio, gridando parolacce in gondoriano cui lei rispondeva con nitriti seccati. Mentre avanzava, tenevo strette le falde del mantello elfico intorno al mio corpo, perché nessuno si accorgesse che l’essere in groppa a quel cavallo non era umano.
Giunta alla settima ed ultima cerchia di mura, le guardie di picchetto al cancello le intimarono di nuovo l’alt. I cavalli non erano mai stati ammessi all’interno della Cittadella e le mura erano troppo alte per essere superate con un balzo. Volente o nolente, Freccia d’Argento fu costretta a fermarsi. Lo fece così bruscamente che, ormai priva della grazia tipicamente elfica, fui sbalzata malamente dalla sua groppa andando a finire con il sedere per terra.
Non mi feci troppo male – avevo perso in leggiadria ma avevo guadagnato in resistenza e robustezza – però, nel cadere, il cappuccio del mantello elfico scivolò all’indietro, rivelando la mia faccia non troppo piacevole agli occhi delle guardie.
Come avevo previsto i soldati si misero subito a gridare, mettendo mano alle loro spade e puntandole tutte all’altezza della mia gola. Quello che pareva essere il capitano delle Guardie della Cittadella mi chiese chi fossi e cosa ci facessi a Minas Tirith.
"Rispondi subito, o giuro che ti aprirò la gola in due!" sibilò, sprezzante, pungendomi la pelle del collo con la punta della sua arma.
"Sono Dama Marian… Torno dalla mia missione…" balbettai convulsamente. Benché mi fossi aspettata una reazione del genere, non era comunque piacevole vedere tutte quelle lame puntate verso di me.
Nell’udire la mia risposta le guardie scoppiarono in una risata amara, per poi tornare serie di colpo.
"Non prenderci in giro, non abbiamo tempo da perdere! Di’ le tue ultime preghiere, immonda creatura!" ringhiò con rabbia il capitano, spostando il braccio all’indietro per sferrare il colpo mortale. Chiusi gli occhi ed aspettai che accadesse l’inevitabile quando, all’improvviso, udii gridare una vocina trafelata.
"Fermi! Fermi! Aspettate! Fermatevi!"
Le guardie si voltarono in direzione della voce. Pipino, con l’elmo sulle ventitré e la casacca a rovescio, correva a tutta velocità verso il cancello cercando, allo stesso tempo, di raddrizzare l’indumento.
"Fermi! Lasciatela stare! Vi ha detto la verità! Oh Marian, come stai? Che cosa ti è successo?" gridò ancora il Mezzuomo, travolgendomi in un abbraccio che, nell’impeto della sua corsa, mi mandò lunga distesa. "Oh, scusa! Ti ho fatto male?" mi chiese, concitato, rialzandosi in piedi ed aiutandomi a rimettermi seduta. 
Scossi la testa in segno di diniego. L’Hobbit mi fissò ancora molto attentamente per un istante, poi tornò a gettarmi le braccia al collo, affondando il naso nei miei radi capelli.
"Ma cosa state dicendo, Messer Perian?!” gli chiese il capitano delle Guardie, al colmo dello stupore. “Non vedete che questo è solo un immondo Orchetto?!" 
"No, Tirdir, l’Hobbit non si sbaglia” interloquì una voce grave. Alzai lo sguardo, fino a che non incontrai quello limpido e penetrante di Gandalf. “Quella che avete davanti agli occhi è davvero Dama Tingilindë!” riprese. “Devo ricredermi, Peregrino Tuc. Dopotutto non sei un idiota, visto che sei stato in grado di riconoscere subito la tua compagna di avventure” aggiunse, in tono a metà tra il meravigliato ed il divertito. “Vieni mia cara, alzati. Gli altri ti stanno aspettando."
Mentre parlava lo Stregone aveva scansato le guardie, allontanato Pipino con una pacca sulla spalla ed aiutato me a rialzarmi in piedi. Senza degnare i soldati di un’altra occhiata fece cenno all’Hobbit di precederci, poi mi porse il braccio e mi accompagnò all’interno della Cittadella. Freccia ci seguì e, non appena la coda della giumenta fu passata dal cancello, l’Istari richiuse il grosso portone di legno con un movimento del suo bastone, facendolo sbattere.
"Come stai mia cara?" mi chiese, non appena l’eco del tonfo di legno contro legno si fu spento.
"Male! Guarda come sono ridotta. Sono diventata un mostro!" esclamai, serrando i pugni ed alzandoli al cielo.
"Oh, non dire così. I veri mostri non sono quelli brutti fuori, ma quelli brutti dentro” rispose lo Stregone, con filosofia. “Tu sei sempre la stessa, anche se hai cambiato aspetto un’altra volta."
"Ma perché proprio un Orco? Non potevo tornare semplicemente normale?" domandai, indispettita.
“In realtà, tu non sei totalmente un Orco, bensì un Mezzo-Orco. Essi sono stati creati aggiungendo sangue umano ad alcune razze di Orchi già esistenti. Gli Orchi, come saprai, sono stati creati corrompendo nel corpo e nella mente gli Elfi che sono stati schiavi di Melkor” mi spiegò. “Quindi, questa è l’ultima fase da cui devi passare. Sei stata Donna, sei stata Elfa, ora sei Orchessa."
"Tu lo sapevi che sarebbe andata a finire così?"
"Lo sospettavo" rispose sinceramente.
"Non puoi fare nulla per farmi tornare normale?" chiesi, speranzosa.
"Temo di no, mia cara. Anche se sono convinto che non sia ancora finita qui."
"Bella fregatura…” borbottai, scuotendo la testa. “Boromir non mi accetterà mai…" aggiunsi infine con un sospiro, guardando l’anello d’argento che portavo al dito.
"Ricorda quello che ti ho detto nella mia tenda. Avete preso un impegno e dovrete mantenerlo, qualsiasi cosa accada!" mi ricordò Gandalf, in tono serio.
"Io non pensavo certo che sarei diventata un Orco! Oh povera me!" esclamai ancora, prendendomi la testa tra le mani.
Mentre parlavamo avevamo raggiunto l’ingresso del Palazzo dei Re. La guardia di picchetto ci annunciò, non senza prima avermi lanciato un’occhiata stupita, e subito fummo introdotti nella Sala del Trono. Gimli stava passeggiando nervosamente avanti ed indietro per la stanza, fumando come un turco, in preda all’ansia. Aragorn e Legolas, invece, stavano in piedi in un angolo, a braccia conserte, entrambi con gli occhi rivolti al pavimento. Boromir era seduto sul trono nero appartenuto un tempo a suo padre, con lo sguardo carico di apprensione. Non appena ci vide entrare, si alzò in piedi venendoci incontro.
"Marian! Finalmente!” esclamò di slancio, ma si interruppe non appena mi vide in faccia. "Oh, per tutti i Valar!" gridò ed, inconsapevolmente, arretrò di qualche passo. La sua esclamazione fece voltare anche gli altri tre. Gimli bestemmiò in nanesco e Legolas si lasciò sfuggire una frase in elfico che, alle mie orecchie, suonò come un’imprecazione. Aragorn fu l’unico a mantenere un contegno da vero Re: mi si fece incontro, mi abbracciò e mi dette il benvenuto.
"Bentornata Marian, figlia mia!"
Quelle parole mi fecero venire le lacrime agli occhi e, per un attimo, dimenticai la faccia inorridita di Boromir. Il Sovrintendente, che ormai si era ripreso dallo choc iniziale, si fece di nuovo avanti.
"Marian… Oh mio Eru, cosa ti è successo?" chiese in un sussurro, alzando le mani nel tentativo di sfiorarmi il viso. Mi ritrassi involontariamente e Gandalf lo fermò, rimproverandolo.
"Ti sembra una domanda da farsi? Ha compiuto la sua missione, ecco che cosa le è successo!"
"Sì… Certo… Io non volevo mancare di rispetto. E’ solo che…" tentò di giustificarsi il Gondoriano.
"Non preoccuparti, Boromir, non fa nulla. So di non avere un bell’aspetto" mormorai rimettendomi il cappuccio, calandolo fino sugli occhi.
"Peregrino, accompagnala nella sua stanza e chiama delle ancelle perché la aiutino a prepararsi. Stasera festeggeremo il ritorno della Portatrice della Stella!" riprese l’Istari, in tono autoritario.
"Oh no, Gandalf! Non sono proprio in vena di festeggiare!" tentai di protestare, ma lo Stregone mi zittì con un gesto della mano e Pipino obbedì al suo ordine, accompagnandomi in una stanza che scoprii essere quella del Sovrintendente.
"Devi esserti sbagliato. Questa stanza è già occupata…" costatai guardandomi intorno, piena di imbarazzo.
"Sì, è la stanza di Boromir! Siete fidanzati, no? E’ logico che dividiate la stessa stanza" mi rispose il Mezzuomo con semplicità.
"Non credo che Boromir voglia dividere la sua stanza con me…" sospirai, abbassando il capo.
L’Hobbit alzò su di me uno sguardo che, nonostante tutto, non aveva mai smesso di essere adorante.
"Sì, invece!” mi rispose, con veemenza. “Non preoccuparti! Pensa solo a rilassarti ed a farti un bel bagno! Ci vediamo più tardi!" e, con quelle parole, mi piantò in asso.
Scoprii ben presto che, per quanti bagni avessi potuto fare, non sarei mai riuscita a togliermi di dosso l’odore fetido tipico degli Orchi. Le ancelle si rifiutarono di aiutarmi ma la cosa non mi dispiacque affatto. Non avevo certo bisogno di avere intorno belle fanciulle che storcessero il naso alla mia vista. Una volta pronta, ed indossati di nuovo i miei abiti maschili ed il mantello elfico, mi misi a sedere davanti alla finestra, riflettendo sulla mia misera condizione. Purtroppo, non riuscivo a vedere nessuna via d’uscita. La “Stella di Fëanor” era ormai inservibile; Gandalf aveva detto di non potermi aiutare e Galadriel non si sarebbe di certo scomodata da Lothlòrien per venire a dare una mano ad un Orchessa. Ero destinata a rimanere così per sempre. Avrei dovuto fare buon viso a cattiva sorte, e sapevo già che non sarebbe stato affatto facile.
Immersa com’ero nei miei pensieri, non mi ero accorta che era già arrivata l’ora di cena. Due colpi leggeri bussati alla porta mi fecero trasalire. Chi poteva mai essere? Rimasi in silenzio, desiderosa di rimanere da sola ancora un po’.
"Marian, lo so che sei lì dentro! Puoi aprirmi, per favore?"
Incredibilmente, la voce di Pipino mi rincuorò. Aprii la porta e l’Hobbit non fece in tempo ad entrare che già prese a martellarmi con i suoi fiumi di parole.
"Ma come! Non sei ancora pronta? Guarda che ti stiamo aspettando tutti! L’ora di cena è già passata da un po’ ed io sto morendo di fame! Mi ha detto Boromir che, nell’armadio, ci sono dei vestiti di sua madre. Ora ti mando qualche ancella per aiutarti a vestirti!"
Pipino stava per riprendere la porta senza neanche interrompersi quando lo richiamai.
"Aspetta Peregrino! Niente fretta, ti direbbe Barbalbero!"
"L’hai conosciuto anche tu?" mi chiese, incredulo.
"Diciamo di sì…” risposi, senza riuscire a trattenere un mezzo sorriso. L’avevo conosciuto, certo, ma solo sulla carta stampata. “Allora” ripresi, “innanzi tutto, non sono proprio all’altezza di indossare gli abiti di Finduilas. E poi, non credo che troverai delle ancelle disposte ad aiutarmi, sono già scappate tutte oggi pomeriggio.”
"Sciocchezze! Ci penso io! Tu non muoverti da qui!"
"E dove vuoi che vada…" risposi mestamente alla sua schiena che già si allontanava.
Ritornò cinque minuti dopo, accompagnato da dama Éowyn.
"Oh Ennòna! Come stai, amica mia?” mi chiese con sincero interesse, abbracciandomi calorosamente, senza mostrare alcun segno di disagio. “Messer Peregrino mi ha chiesto di aiutarti ad indossare i tuoi abiti."
"Éowyn, non dovevi disturbarti. Preferisco rimanere in abiti più comodi…" cominciai, ma lei mi interruppe.
"Ti capisco, avrei voluto tanto farlo anch’io” ammise, “ma questa serata è in tuo onore, non puoi deludere gli ospiti!"
"Ospiti?! Ma quanta gente c’è?" chiesi, sgomenta, rivolta a Pipino, mentre già la Scudiera di Rohan rovistava nell’armadio in cerca di un vestito adatto.
"Tutta la corte" mi rispose gravemente il Mezzuomo. 
"Oh mamma!” esclamai, scuotendo la testa. “Prevedo una serata da dimenticare…"
Éowyn scelse un abito color verde acqua dalle maniche lunghe, e benché continuassi a ripeterle che farmi indossare quel vestito non avrebbe di certo migliorato il mio aspetto, lei insisté perché lo infilassi e non ci fu verso di farle cambiare idea. Tentai, allora, di coprire il tutto con il mantello elfico, ma Pipino me lo strappò di mano buttandolo sotto il letto, per poi spingermi letteralmente fuori della stanza.
Non appena giunsi nel Salone delle Feste, scoprii che gli invitati non erano stati avvisati del fatto che Dama Tingilindë non era più una Donna né tantomeno un’Elfa, bensì un’orribile Orchessa. Molti uomini borbottarono ad alta voce ed alcune delle dame di compagnia finsero addirittura di svenire. Udii pure parecchi commenti non proprio carini nei miei confronti. All’inizio tentai di ignorarli, cercando di concentrarmi unicamente sui miei amici che sedevano a tavola al mio fianco. Frodo e Sam erano stati curati a dovere ed ora si erano riuniti al resto della Compagnia. Furono molto felici di rivedermi ed entrambi si congratularono con me per l’importanza della mia missione. Ovviamente ricambiai: se loro non avessero buttato l’Anello nel Monte Fato, io avrei potuto fare ben poco. Anche Merry era stato dimesso dalle Case di Guarigione, ed ora i quattro Mezzuomini facevano di nuovo comunella da un lato della tavola alta, alla mia destra. Mi concentrai sui loro discorsi tipicamente da Hobbit, cercando di sopportare, con stoicismo, le critiche che continuavo a captare a destra e a sinistra. Per mia sfortuna, anche gli Orchi avevano lo stesso udito sviluppatissimo degli Elfi.
Ad un tratto, alla mia sinistra udii l’ennesimo commento infelice della serata. Si trattava di un segretario di corte che si meravigliava del fatto che un Orco potesse mangiare carne cotta. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Mi alzai di scatto, con tanto impeto da rovesciare la sedia, che finì al suolo con un tonfo sordo. Trattenni a stento le lacrime mentre gli sguardi di chi mi circondava si alzavano su di me. L’unico che non lo fece fu Legolas. Anch’egli aveva udito le parole mormorate dal segretario, ed ora lo stava fissando con occhi fiammeggianti. Boromir mi imitò, alzandosi in piedi a sua volta, tendendo le braccia verso di me. Mi ritrassi d’istinto, allontanandomi veloce dalla tavola, diretta verso la porta.
"Marian! Dove vai!" mi gridò dietro il Sovrintendente, imperioso, ma non mi fermai e nemmeno mi voltai a guardarlo. Presi l’uscio di volata, sbattendomelo alle spalle, diretta verso la sua camera.
Una volta dentro la stanza mi buttai a faccia in giù sul letto, scoppiando in un pianto dirotto. Perché mi stava succedendo tutto questo? Non avevo nessun diritto di essere felice? Non avevo già sofferto abbastanza? Questi interrogativi mi si affollavano nel cervello senza che potessi trovargli riposta.
Piansi talmente tanto da inzuppare la coperta, ed ero talmente angosciata che mi accorsi a malapena che stavano bussando alla porta.
"Marian, aprimi per favore."
La voce, calma ma autoritaria, di Gandalf, mi spinse ad obbedire subito. Lo Stregone entrò nella stanza, mettendosi seduto sullo scranno vicino allo scrittoio senza che lo invitassi a farlo.
"Capisco che per te è difficile, devi ancora abituarti alla tua nuova condizione” disse, solenne, “ma devi ricordarti che tu sei la Portatrice della Stella. Non devi abbatterti per così poco. Devi essere forte e non avere paura di niente e di nessuno” riprese, puntandomi contro l’indice, fissandomi con tanta intensità da costringermi ad abbassare il capo. Subito dopo il suo tono si addolcì: “Vedrai che presto tutti impareranno ad amarti ed a rispettarti per quello che sei!" e, senza aggiungere altro, si rialzò dalla sedia ed uscì, lasciandomi di nuovo sola.
Dopo pochi minuti, i Mezzuomini vennero a bussare a loro volta, proponendomi di andare a fare una passeggiata nei giardini del Palazzo. Convinta che la loro compagnia mi avrebbe fatto bene, accettai la loro proposta. Non mi sbagliai. Con i loro "discorsi da Hobbit" mi fecero ritrovare un po’ di buonumore a dispetto del mio sconforto, arrivando addirittura a strapparmi qualche risata. Era incredibile come quei quattro riuscissero sempre a trovare il lato positivo delle cose, anche nelle disgrazie. 
Quando tornai in camera avevo lo spirito molto più sollevato. Il lieve sorriso che mi aleggiava sulle labbra, però, si spense non appena incrociai lo sguardo di Boromir. Il Sovrintendente era seduto sul letto, con le braccia incrociate e le sopracciglia aggrottate. Mi sentii ripiombare nel baratro da cui mi ero appena affacciata a fatica.
"Perché sei scappata via così da tavola?" mi chiese, cupo, fissandomi negli occhi.
"Ero stanca di ascoltare commenti che mi riguardavano…" gli risposi con un sospiro, abbassando lo sguardo.
"Non mi hai fatto fare una bella figura. Ricorda che noi due siamo fidanzati!" riprese nello stesso tono imperioso, alzando la mano sinistra per far scintillare l’anello d’argento che aveva al dito. 
"Lo so…” sospirai ancora, fissando a mia volta il mio anello. “Ma, se vuoi, possiamo sciogliere la nostra promessa…"
"Non dirlo neanche per scherzo. Non mancherò alla parola data!" mi interruppe, alzando la voce. Calò per un attimo il silenzio. Quando riprese a parlare il suo tono si era raddolcito. "Vieni, ti aiuto a slacciare tutti questi legacci…" mormorò, alzandosi e mettendosi alle mie spalle, prendendo a sciogliere i nodi che fermavano il vestito sulla schiena. 
Quando lo sfece scivolare a terra le sue mani mi sfiorarono le braccia, facendomi rabbrividire involontariamente. Mi allontanai da lui con uno scarto, stringendomi nella sottoveste.
"Boromir, non sei obbligato a dormire con me se non vuoi" sussurrai, guardandolo con la coda dell’occhio.
"Ma io voglio dormire con te. Siamo fidanzati, non dimenticarlo!" mi rispose, sdraiandosi sul letto ed invitandomi a fare altrettanto con un gesto della mano.
"E come posso scordarlo, se non fai che ripetermelo ogni minuto?" pensai tra me e me, avvilita. Mi accoccolai sul bordo sinistro del materasso, raggomitolandomi come un gatto e dandogli la schiena.
"Mi metto qui, da un lato, almeno non ti darò fastidio…” mormorai, cercando di trattenere il tremito nella voce. “Buonanotte, Boromir…"
Dopo un attimo di esitazione, anche lui rispose.
"Buonanotte".

 
* * *

 

Quando Marian si era rannicchiata sul bordo del letto, Boromir aveva alzato un braccio con l’intenzione di attirarla a sé. Voleva guardarla più da vicino, osservarla meglio, fissarla negli occhi e dirle che per lui non era e non sarebbe mai cambiato niente. Ma quando lei gli augurò la buonanotte, evidentemente convinta di essere divenuta solo un peso da dover sopportare, il Gondoriano lo lasciò ricadere sulla coperta e si stese supino, incerto su come comportarsi. Anche lui aveva sentito alcuni dei commenti e suo zio Imrahil aveva già cominciato ad accennargli che il popolo non avrebbe mai accettato una "Sovrintendente Consorte Orchessa". Ma allora cosa avrebbe dovuto fare? Sospirò e si rigirò nel letto, voltandole la schiena.

 
* * *

 

La mattina dopo, al risveglio, scoprii di essere sola. Boromir mi aveva lasciato un biglietto in cui mi avvertiva che sarebbe stato impegnato tutto il giorno con Aragorn e Faramir, ed in cui mi chiedeva di fare come se fossi stata a casa mia. Già persuasa che non sarebbe stato affatto facile, uscii e mi diressi verso le cucine per fare colazione. Non appena mi videro arrivare, le cuoche cominciarono ad urlarmi di tutto, minacciandomi con mestoli e matterelli. Riuscii ad afferrare solo una fetta di pane, al volo, evitando per un soffio di essere colpita in testa da uno degli attrezzi da cucina.
Lasciai il palazzo avvolta nel mantello elfico, sbocconcellando lentamente. Poi, mi misi a sedere sul muro di pietra che circondava la Rupe, lo sperone roccioso che fendeva in due la città come la prua di una nave. Da lassù potevo osservare tutto ciò che avveniva nel resto della città, sotto di me, senza essere vista. Ed, infatti, fui la prima ad avvistare due carovane che marciavano fianco a fianco, a ranghi serrati, dirette verso le porte di Minas Tirith. Stavo aguzzando la vista, cercando di capire chi fossero i nuovi venuti, quando i quattro Hobbit – che avevano appena finito la loro seconda colazione – mi raggiunsero.
"Buongiorno Marian” esordì subito Pipino, “tieni, ti ho riportato la spada! L’ho trattata bene!" disse, convinto, restituendomi Hoskiart con il suo fodero. "Cosa stavi guardando, di bello?" aggiunse poi, accomodandosi al mio fianco ed accendendosi la pipa.
"Buongiorno amici miei. Stavo cercando di capire chi sta arrivando" risposi, indicando i due gruppi in lontananza mentre indossavo di nuovo la spada a tracolla.
"Devono essere gli Elfi di Bosco Atro ed i Nani di Erebor!” esclamò nuovamente il giovane Tuc, aspirando una lunga boccata. “Ieri pomeriggio ho sentito Legolas e Gimli parlarne con Aragorn. Vengono per aiutare a ricostruire la città!"
Al termine della loro pipata, i Mezzuomini mi invitarono a scendere con loro dabbasso, per assistere all’arrivo dei nuovi venuti. Accettai di malavoglia, più per timore di rimanere di nuovo sola ed abbandonarmi a tristi pensieri che non per la voglia effettiva di incontrare altri Elfi e Nani. Era già abbastanza seccante dover sopportare le ingiurie dei miei simili, figuriamoci quelle di altre razze.
Mentre scendevamo di livello in livello, gli abitanti di Minas Tirith si inchinavano di fronte agli Hobbit. Pipino e Merry facevano la loro discreta figura con indosso, rispettivamente, la divisa della Guardia della Cittadella e quella dei soldati di Rohan; mentre Frodo e Sam venivano da tutti riconosciuti come i “Distruttori dell’Anello”. Al mio apparire, invece, gli uomini bestemmiavano e le donne balbettavano terrorizzate, con i bambini che si andavano a nascondere dietro alle loro gonne.
"Amici, non credo che sia stata una buona idea, per me, venire quaggiù" commentai, guardandomi furtiva alle spalle e tentando, allo stesso tempo, di diventare invisibile dietro alle falde del mantello.
"Perché?" chiese Pipino, con aria ingenua.
"Perché la gente la crede un nemico, ecco perché, idiota!" gli rispose Merry, seccato. "Nessuno sembra ricordarsi che è solo merito di Marian se la Terra di Mordor è di nuovo abitabile!"
"Non temete, Dama Tingilindë, io ed il signor Frodo vi difenderemo a spada tratta, se qualcuno oserà farvi del male, non è vero, padrone caro?” disse Sam, tutto infervorato. “Ed anche il signor Meriadoc ed il signor Peregrino!" aggiunse, mentre gli altri tre annuivano all’unisono, rafforzando le sue parole.
"Vi ringrazio, amici miei, mi siete di grande conforto…" mormorai, sinceramente grata.
Una volta giunti alle porte della città, scoprii che la mia nuova immagine portava anche certi vantaggi. Non appena mi vide arrivare, la massa di gente che si era già radunata ai margini della strada per accogliere i nuovi venuti si fece da parte, consentendoci così di arrivare comodamente in prima fila.
I primi ad entrare furono gli Elfi: alti come statue ed eterei come divinità, vestiti di grigio, con lunghi capelli neri come la notte o dorati come il sole. Al loro seguito si accodarono i Nani, forti e robusti come la roccia, tutti con lunghe barbe, fulve o castane, intrecciate in splendide trecce. Nelle loro file uno di essi si voltò verso di me, lanciandomi un’occhiata divertita e carica di simpatia, strizzandomi l’occhio. Non appena mi ebbe superato capii che si trattava di una femmina, poiché non indossava pantaloni ma una lunga gonna di panno spesso. Sorrisi pensando che forse, dopotutto, c’era qualcuno messo peggio di me: quantomeno io non avevo la barba...
Era il due aprile, e così cominciò la mia nuova vita da Orco.


Spazio autrice: Buongiorno a tutti! Siamo ormai quasi arrivati alle ultime battute, anche se ci sarà ancora tempo per qualche piccola sorpresa! Questo capitolo non è che mi convinca appieno. Mi raccomando, fatemi sapere le vostre opinioni.
Devo inoltre un paio di piccole spiegazioni:
1)Il capitano delle Guardie della Cittadella è un personaggio di mia invenzione. Ho deciso di non mettere Beregond perché, essendo stato ferito a morte davanti al Morannon, probabilmente si trovava ancora nelle Case di Guarigione, così ho inserito questo suo “vice”, il cui nome, Tirdir, significa letteralmente “guardiano”.
2) Éowyn continua a chiamare Marian con il nome “Ennòna” perché quello è il primo nome con cui l’ha conosciuta. Non ricordo se avevo già fatto questa precisazione, se sì, mi sono ripetuta :-)
Ed ora non posso fare altro che ringraziare ancora tutti voi che avete dedicato un po’ del vostro tempo a leggere questa storia.
Bacioni!
Evelyn
  
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