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Autore: HurricaneOfHope    18/10/2015    2 recensioni
Le stelle, come la pioggia, hanno un fascino particolare, e qui, ho cercato di legarle insieme.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Nonno ma perché piove?
Il vecchio alzò la testa verso il profondo buio notturno, fissando gli occhi in un punto imprecisato del cielo. Strano, pensava il nipote, che il grande naso a patata e le sopracciglia folte non gli impedissero la vista, proprio non capiva come i suoi occhi infossati riuscissero vedere e a evitare di farlo sbattere contro ogni angolo. Non saprebbe neanche il colore degli occhi di suo nonno, se non fosse per quella volta quando, d’inverno, attizzando la legna del focolare, un carbone ardente gli era finito in viso pericolosamente vicino all’occhio destro, bruciandogli il sopracciglio e ustionandogli la pelle. Il ragazzino aveva dovuto assisterlo insieme a sua nonna, e quando finalmente il vecchio aveva potuto riaprire l’occhio, lo stupore sul suo viso si confuse per un attimo con la perplessità, poiché per lui era stato come fissare il suo riflesso nell’acqua: la tonalità delle iridi di suo nonno era identica alla sua, un sottile cerchio candido attorno alla pupilla immerso in una pozza del blu più scuro. Dopo quell’episodio, si chiese più e più volte il motivo di quella somiglianza, e non mancò di domandare al padre perché non avesse anche lui gli occhi del nonno, domanda a cui il padre non seppe dare una risposta.
 
Il villaggio dove vivevano era situato in una vasta radura e occupava uno spazio presso il limitare del bosco. Raggiungere gli alberi più vicini era semplice, neanche cinque minuti di cammino, mentre per arrivare all’altro capo del suolo erboso ci si metteva molto più tempo. Ciò permetteva di abbracciare con lo sguardo tutta la sopraffacente vastità del cielo.
Vecchio e nipote erano seduti fuori dalla capanna al margine del villaggio, un po’ distaccata dalle altre. Appena fuori dal confine, delimitato dalla manciata di capanne e dai pochi recinti, la vegetazione si impadroniva del paesaggio rigogliosa. I sottili e larghi steli d’erba arrivavano a solleticare il collo, e in mezzo a questi spuntavano qua e là gambi dritti e bruni, che si attorcigliavano verso l’estremità, dove spuntavano fiori rotondi velati di polline.
La pioggia scendeva abbondante e leggera sulle foglie, che si piegavano per lasciarla gocciolare più in basso, fino a terra. Il ticchettio delle gocce era l’unico suono udibile nella placida serata.
- Nonno, ma perché piove? - ripeté il bambino al silenzio del vecchio, il quale abbassò lo sguardo sul nipote e, dopo un sospiro, cominciò a raccontare.
 
Al principio, molto prima dell’umanità, la Terra era secca: un’infinita distesa arida di roccia, sabbia e suolo spoglio. Le montagne si ergevano alte, ma non vi era neve sulle loro vette; nessun ruscello si congiungeva ad alcun fiume, nessun corso d’acqua si precipitava nel mare salato e non una nuvola offriva riparo dai pesanti raggi del Sole.
Il cielo era solcato da una sola creatura. Un enorme e lunghissimo drago color smeraldo dalla forma serpentina andava errando per i cieli, senza alcuna meta. Non aveva ali a sorreggerlo. Due lunghi baffi si dipartivano dagli angoli delle sue fauci, e quattro corte zampe artigliate gli sarebbero servite se mai avesse voluto toccare terra. Una criniera gli partiva dal capo e percorreva la sua intera lunghezza, i peli erano di un verde intenso, in contrasto con le scaglie della pelle, di una tonalità più pallida.
Sul suo dorso, in mezzo al morbido pelo della criniera, nasceva un singolo seme che, una volta germogliato, avrebbe fatto crescere il più maestoso e il più rigoglioso albero di tutti i tempi. Succedeva sempre che dopo essere cresciuto, il seme cadeva giù fino a terra a rintanarsi nel terreno, pronto a germogliare. La nuova e debole pianticella si faceva strada attraverso le crepe del terreno fino a spuntare alla luce del Sole, ma una volta fuori appassiva e si accasciava a terra, senza vita. Nulla riusciva a crescere su quel terreno bruciato.
Perseverante e speranzosa, la grande creatura continuò a far nascere e cadere i semi per un tempo lunghissimo. Poi, stanco e afflitto, cominciò a volare sempre più piano, e a far crescere i semi più lentamente. Vista l’inutilità del suo lavoro, senza più uno scopo e senza più la speranza di poter dar inizio alla vita, il drago iniziava a morire.
Durante la notte il silenzio più assoluto regnava ovunque. Il cielo non era altro che una scura cupola, rischiarata solamente da una falce di Luna, nessun’altra fonte di luce era presente ad illuminare la Terra. E quello che succedeva oltre il nero tessuto celeste non aveva nulla a che fare con le vicende terrene del verde drago e dei suoi semi.
 
La storia del Mondo terreste era cominciata all’alba dei tempi, eppure quella dell’Universo dei cieli andava avanti da molto più tempo.
Esso era abitato da due sole creature: una piccola, candida fenice e un’altra più grande, del colore del carbone. La storia dell’Universo aveva visto le due maestose bestie scontrarsi e lottare, senza mai arrivare alla prevalsa di una sull’altra. La fenice bianca portava luce e consapevolezza ovunque andasse, mentre quella nera portava tenebre e smarrimento.
I due uccelli si libravano, senza mai posarsi, su di una piatta distesa d’acqua senza confini, che si increspava solamente al passaggio delle fenici. Grazie alla presenza dell’acqua lo spazio sovrastante l’infinito oceano era pieno di nuvole, di ogni forma e dimensione, che si innalzavano fino a dove l’occhio poteva arrivare. Non esisteva altro.
Le fenici trascorrevano molto tempo volando in mezzo alla cortina di nuvole, evitando così di scontrarsi. Quando però capitava che si trovassero entrambe sotto lo strato di nubi, era il caos. Durante i loro scontri, la potenza delle loro ali era tale da innalzare onde enormi e di far vorticare le nuvole fino a creare immensi e ululanti uragani.
Le lotte duravano anni, poi all’improvviso, come secondo un tacito accordo, cessavano lo scontro in parità, tornando entrambe a immergersi nelle nuvole, seguite dalla propria aura.
Arrivò però un giorno in cui le cose andarono diversamente.
La calma regnava assoluta sul grande specchio d’acqua, e le nubi si muovevano pigre. La fenice bianca volava sfiorando il pelo dell’acqua con la punta delle zampe, quando vide comparire la sua rivale. Uno sguardo bastò a dare inizio alla lotta.
Veloci, urtarono l’una contro l’altra, per poi separarsi e mettersi a volare secondo ampie circonferenze, studiandosi. Di nuovo, si lanciarono una verso l’altra e si separarono, e nessuna delle due sembrava riportare danni o dava segni di affaticamento. Le ali possenti, ad ogni battito, formavano correnti d’aria che finivano per disperdere le nuvole più vicine o innalzare grandi ondate d’acqua.
Andarono avanti a beccarsi e a creare vortici a lungo. Era quasi impossibile distinguere l’una dall’altra con quel misto di luce e ombre, leggerezza e pesantezza che le avvolgeva.
Molto tempo era ormai trascorso dall’inizio della battaglia. Le due creature, arrivate a questo punto, erano ormai stremate dai colpi del rispettivo rivale, e non sarebbe mancato molto al loro silenzioso ritiro tra la nebbia, ma qualcosa di diverso da tutte le altre volte accadde.
La fenice cinerea di colpo riprese forza, ed emise un verso acuto dalle profondità della sua gola. Immediatamente, tutte le delicate penne del suo corpo si rizzarono contemporaneamente, stravolgendo la sua sagoma, e dopo un secondo, disperato e intenso grido, le piume schizzarono via velocissime dal suo corpo. Un numero incalcolabile di penne sfrecciarono sibilando nell’aria e attraverso l’acqua per poi andare a conficcarsi su ciò che separava l’Universo celeste dal Mondo di sotto.
Molte di quelle forme scure colpirono duramente la fenica bianca, quasi fossero lapilli di una tremenda eruzione. Quest’ultima era rimasta ad osservare impotente ciò che l’altra stava compiendo; mai dall’inizio del tempo era accaduta una cosa simile. Senza forze per il lungo scontro, il candido uccello si lasciò colpire dalle piume nere, e cadde, sprofondando nell’acqua cristallina.
La fenice più grossa, con quell’ultimo gesto, aveva esaurito anch’essa la propria energia, e precipitò nell’acqua limpida, senza più una penna sul corpo.
 
Nel frattempo, il drago smeraldino stava vagando per il cielo notturno. La sua pelle era solcata da profonde rughe e grinze, e il verde della sua criniera stava appassendo verso un giallastro sbiadito. Nonostante ciò, i semi continuavano a nascere, cadere a terra e morire, continuando quel inutile e perpetuo ciclo.
D’un tratto, dei boati laceranti ruppero il silenzio. Uno dopo l’altro e contemporaneamente, migliaia e migliaia di rombi si sovrapponevano, echeggiando a lungo sulle vaste pianure desertiche. Il tutto accadde in pochi secondi, poi, la quiete tornò ad avvolgere ogni cosa.
Il drago, disorientato, volse lo sguardo in ogni direzione in cerca della causa di quei rumori assordanti. E trovò la risposta nel cielo. Il più grande spettacolo che avesse mai visto si presentava davanti ai suoi occhi in tutta la sua magnificenza. Nella volta celeste erano comparsi centinaia, migliaia di piccoli punti luminosi, alcuni più fiochi di altri, che tempestavano il cielo fin dove gli occhi del drago potevano arrivare. Formavano ammassi e gruppi di ogni genere; alcune erano solitarie, mentre altre davano forma a svariate forme.
Egli non ebbe neanche il tempo di meravigliarsi dell’accaduto, che un altro evento a dir poco strabiliante ruppe la tragica quiete di quel mondo. Dall’alto stava iniziando a cadere qualcosa, anzi, una miriade di piccolissime forme, che il drago non identificò finché una di esse non gli cadde sul muso: una goccia d’acqua.
Un’enorme quantità d’acqua si stava riversando a terra, divisa in milioni di piccole gocce. Per la prima volta nella storia del Mondo terrestre, la pioggia cadeva rinfrancando quel suolo arido e devastato dai raggi solari.
Il drago era sopraffatto dalla meraviglia di quelle luci nel cielo e dall’acqua cadente, che stava iniziando a riempire bacini e formare fiumi. La pelle del drago, idratata, si distese, mentre la sua criniera intrisa d’acqua riprese gradualmente il verde originale, e verdi tornavano anche i pensieri del drago, ora che aveva ritrovato la speranza.
Il seme si staccò dal suo dorso e raggiunse il terreno, come aveva sempre fatto. All’improvviso, però, una pallida pianticella si fece strada attraverso la terra, crescendo velocemente e a dismisura. Il tronco che si era formato si induriva, raggrinziva, e allargava sempre di più; un’infinità di rami continuava a nascere, e da quelli già cresciuti, altri più piccoli si dividevano ancora e ancora. Nel frattempo dai germogli spuntavano le foglie piene di vita, pronte a generare le condizioni per far sì che la vita non fosse limitata a loro sole. Le radici, che si vedevano spuntare un poco dal terreno, si facevano strada tra la terra in tutte le direzioni per chilometri.
In poco tempo, il primo, maestoso albero era nato: si ergeva alto come la metà di una montagna, mentre la pioggia continuava a cadere, e una volta creatisi i mari e gli oceani, il tocco delle gocce divenne leggero come una piuma.
Da quel punto in poi, la vita cominciò a trionfare. A partire dal primo albero, la terra iniziò a ricoprirsi di verde. Cresceva di tutto, ogni genere pianta e arbusto, ogni frutto o bacca esistenti. E il grande drago osservava il tutto con immenso orgoglio: aveva raggiunto il suo obiettivo, non poteva essere più completo.
 
Più in alto, le due creature alate ripresero i sensi, una accanto all’altra, all’asciutto. A terra non c’era traccia delle penne cadute, in compenso un folto piumaggio nero era ricresciuto a coprire il corpo della fenice più grande.
Impressionate dagli effetti del loro ultimo scontro, guardarono entrambe attraverso i fori che si erano formati, e videro quanto il loro operavo avesse giovato al Mondo di sotto. Vedendo poi che la luce da loro emessa si traspariva attraverso i buchi decisero silenziosamente che la fenice nera, durante la notte, sarebbe rimasta tra le nubi, mentre quella bianca avrebbe volato basso, così da illuminare la notte terrestre; durante le ore luminose della giornata invece si sarebbero scambiate di posto, siccome il Sole già provvedeva ad illuminare la Terra.
E così, pace fu fatta tra le due fenici, mentre la pioggia era assicurata dalle nuvole celesti che avrebbero fatto cadere acqua sulla volta del cielo, la quale si sarebbe riversata attraverso le Stelle giù sul Mondo terreno.
 
Finito il racconto la pioggia era cessata, e le spesse nubi avevano liberato il cielo.
Dopo la storia, il piccolo alzò lo sguardo verso il cielo, e si stupì di come guardare il firmamento gli ricordasse gli occhi di suo nonno, e i suoi.


Ndr
Ehi! Sono consapevole di alcune incongruenze nel modo in cui ho spiegalo il formarsi della pioggia, ma dopo averlo scritto non ho voluto correggerle perché avrei dovuto cambiare alcune parti di cui sono particolarmente contento, quindi spero possiate apprezzare anche con questi piccoli errori. Se siete arrivati fin qui vi ringrazio per aver letto!
  
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