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Autore: Hermione Weasley    20/10/2015    2 recensioni
“Non siete il primo che è venuto a vedere la strega,” alluse, il sospetto vivissimo.
“Io non credo alle streghe,” non poté fare a meno di sottolineare, vagamente risentito dall'essere stato accomunato ai superstiziosi babbei del villaggio.
“Però siete venuto a vederla comunque,” la ragazza non voleva proprio mollare il colpo. Si sentì messo alle strette, innaturalmente indispettito.
“Ero curioso.”
“Quindi ci credete.”
“No, che non ci credo. Questo posto è piccolo e gli estranei sono sempre fonte di curiosità, non vi pare abbastanza?”
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XVIII secolo. La vita di Clint Barton, figlio adottivo dell'eccentrico lord Phillip Coulson, cambia radicalmente quando una presunta strega viene ad abitare nel bosco vicino alla villa della famiglia. Clint dovrà fare i conti con la superstizione, gli obblighi, le responsabilità e forze in gioco molto più grandi di lui.
[1700 AU] [Clint/Natasha] [apparizioni di tutti gli Avengers + alcuni personaggi di Agents of Shield] [COMPLETA]
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 9

~

 

 

“Cinque!” Sospirò Clint estasiato quando il gendarme si sistemò meglio sulla sedia, reclinando ulteriormente la schiena per far apparire quello che era a tutti gli effetti un quinto mento. “E' un miracolo che sia riuscito a diventare così grosso,” riprese a parlare, le sbarre della cella gelide contro il viso dolorante.

Si stava annoiando a morte e Natasha, rinchiusa nel buco subito accanto al suo, nascosta alla vista, non sembrava aver intenzione di dargli la benché minima relazione.

“Di solito solo i nobili diventano così,” continuò imperterrito. “Con tutta la carne e le stupide salsine che ingurgitano ogni giorno.” Parve illuminarsi, come colto da un'improvvisa rivelazione: “Per non parlare di vini e liquori!”

Subito dopo l'arresto erano stati condotti in un casottino dall'aria decrepita; qui erano stati fatti accomodare nelle migliori stanze del centro di detenzione. Nessuno aveva comunicato loro un bel niente. I gendarmi andavano e venivano senza una parola, grugnendo insulti o sputando direttamente sul pavimento. Dovevano essere passate a malapena un paio d'ore e Clint aveva la netta sensazione che la maggior parte dei silenti visitatori che avevano ricevuto erano lì per Natasha. Per darle un'occhiata e poi ritirarsi coi propri, oscuri pensieri.

“Non credo si possa dire che abbia la gotta, ti pare?” La interpellò di nuovo, anche se ormai era più che sicuro che l'avrebbe ignorato ad oltranza. Si divertiva a stuzzicarla, però, ed era l'unico passatempo che gli veniva in mente. “E' più come se la gotta avesse lui, capisci?”

Il gendarme – c'era solo lui a far loro la guardia in quel momento – cominciò a russare sonoramente. Era seduto (ma piuttosto schiacciato) tra la parete di pietra e un piccolo tavolo traballante su cui era appoggiato un registro lercio e polveroso. Accanto al libro una bottiglia di lurido vetro, ricoperta di ditate su tutta la superficie e una candela che era l'unica fonte di luce dell'intero bugigattolo. Il sole era tramontato da un pezzo e la luna, dopo aver attraversato le strette finestrelle in prossimità del soffitto a travi scoperte, illuminava quietamente il pavimento delle celle.

“La vedi quella gotta? S'è presa un uomo.” Le parole rimbombarono nel niente.

Sbuffò sonoramente e valutò per l'ennesima volta se sedersi o meno: di solito non era un tipo schizzinoso, ma il pavimento di quell'angusto spazio gli dava il voltastomaco – non voleva neanche sapere che diavolo fosse successo là in mezzo.

“Continuo a ripensarci.” Aveva cambiato tono e si era rifatto più serio. “Perché non abbiamo combattuto? Ti sei arresa subito.”

Inizialmente c'era solo il silenzio a rispondergli, ma poi sentì Natasha sospirare. Se l'obbiettivo della serata era logorarle i nervi, ritenne di esserci riuscito abbastanza bene.

“La tua faccia.”

“La mia faccia? Cos'ha che non va la mia faccia?”

“A parte il fatto che assomiglia a un tamburo? Tutto a posto.”

Nonostante il momento delicato e tutt'altro che opportuno – poiché la battuta era del tutto a sue spese – Clint sbuffò una risata incredula.

“Li hai visti gli avvisi affissi all'ingresso?” Fu di nuovo Natasha a parlare.

Come avrebbe potuto mancarli? C'erano fogliacci sparsi per tutto il pavimento, sudici e marchiati da una miriade di impronte.

“Ce n'era uno con la tua faccia,” aveva abbassato la voce. “Ma sei gonfio come il tizio là dietro, al momento.”

“Questo è un colpo basso. Non assomiglio per niente a quello lì,” era indignato, ma si sforzò comunque di mantenere il volume al minimo, toccandosi distrattamente il volto gonfio per le botte ricevute. Ci mancava solo di rivelarsi come un ricercato con una succulenta taglia sulla testa per concludere a gloria la giornata. Ed era già di per sé piuttosto impressionante dato che aveva dormito per almeno metà di quella: eppure, aveva ugualmente trovato il modo per fotterlo.

“Il sole ti ha anche scurito la pelle,” aggiunse Natasha, del tutto non richiesta.

“Oh, ecco perché mi hanno dato di zingaro,” ragionò tra sé, ricordando il commento di uno dei sei gendarmi che si erano presentati alla locanda per arrestarli.

L'aspetto positivo era che sembravano essere lì per la rissa e nient'altro. Dovevano essere nei paraggi quando il caos era esploso nel piccolo locale, ed erano accorsi per sedare immediatamente gli animi. Ovviamente avevano fermato le persone sbagliate, ma questo non lo sorprendeva affatto. Era una cosa che tendeva ad accadere spesso.

Dall'esterno, il rumore di zoccoli sul selciato si ripercosse nell'aria, facendosi sempre più insistente: un gruppo di uomini a cavallo si era fermato all'esterno dell'edificio.

“Soldati,” bisbigliò Natasha, il tono neutrale di chi doveva aver previsto anche quel contrattempo.

Ci fu un gran movimento e, subito dopo, delle voci nel corridoio adiacente alla stanza in cui erano tanto comodamente alloggiati.

“Dove sono tutti?” La domanda era imperiosa e velata di una tacita minaccia.

“I-In giro?” La risposta, invece, incerta e traballante.

Si immaginò un ragazzino brufoloso a far guardia all'edificio e non gli parve poi così improbabile. Le istituzioni dei piccoli paesini avevano il vizio di fare un po' come volevano. Interpretavano le leggi a loro piacimento, così come i preti più avidi riuscivano a far dire alla Bibbia che Dio aveva comandato tutti i contadini di regalare metà dei loro prodotti al vicario se non volevano finire all'inferno. Furbastri pieni di astuzia e privi del benché minimo scrupolo.

“In giro.” Ripeté la voce severa, disgustata. “Va' a chiamarli subito se non volete che vi denunci tutti.”

“Sissignore.”

Clint si mise a giocherellare con uno dei bottoni del gilet, chiedendosi perché non avessero tentato la fuga se le misure di sicurezza di quel letamaio consistevano in un adolescente butterato e un ciccione narcolettico.

“Stanno arrivando,” mormorò Natasha. “Apriranno la mia cella,” gli disse in fretta, “quando lo fanno, spegni la candela.”

Fece una smorfia e balzò in piedi, affatto sicuro d'aver capito (sì, alla fine la pigrizia aveva vinto sul pavimento lercio). Prima di tutto perché avrebbero dovuto aprire la sua cella? E come si aspettava che riuscisse a spengere la candela, rinchiuso com'era in quel ritaglio di pietra? Se la prima domanda lo metteva non poco a disagio, la seconda gli aveva suscitato una sorta di bizzarro orgoglio. Natasha non gli aveva chiesto se era in grado di farlo, l'aveva dato per scontato.

Avrebbe voluto ribattere, ma l'acustica del corridoio portò loro nuove voci trafelate. Il ragazzino doveva aver tirato giù dal letto gli altri gendarmi. Passi in avvicinamento si arrestarono poco prima di raggiungerli.

“Q-Questo posto è sempre così tranquillo,” blaterava qualcuno con inflessione desolata.

“State zitto, che è meglio,” intimò un altro. “C'è un ricercato qua in giro, lo sapete?”

“Certo.” Aveva risposto un po' troppo rapidamente. “Lo sanno tutti cos'ha fatto... come h-ha...” Un pessimo tentativo di costringere l'interlocutore a dare informazioni che avrebbe già dovuto avere, ma che per disdetta – o completa non professionalità – gli mancavano.

Ci fu un breve silenzio e poi (quello che Clint supponeva essere) il soldato tirò su col naso e sputò a terra. Veri uomini del re, pensò disgustato.

“Ha attentato alla vita del capitano Rogers,” decretò infine.

“O-Oddio,” biascicò l'altro, dimenticandosi di simulare consapevolezza di fronte alla rivelazione. “E' m-morto?”

“No, fortunatamente no.” Cint si ritrovò a sgranare gli occhi mentre un peso insopportabile gli abbandonava il petto. “Ma qualcuno l'ha rapito dall'ospedale in cui era ricoverato.”

“C-Chi farebbe mai una cosa del genere?”

“Senza dubbio un complice dell'attentatore.” Senza dubbio? “Deve avere amici piuttosto potenti. Lui e l'intera famiglia sono spariti nel niente... per ora.”

Il cuore aveva preso a battergli all'impazzata nel petto. Lord Phillip era sparito? E con lui il resto degli abitanti di villa Coulson? Tutti i suoi più orribili sospetti si concretizzarono in un istante: qualcuno aveva ritenuto lord Phillip colpevole di aver orchestrato l'assassinio del capitano, accuse gravi al punto da costringerlo a fuggire insieme a lady Melinda e i suoi protetti.

“Mi è stato detto che avete dei prigionieri,” la voce perentoria aveva ripreso la parola, impedendo al gendarme di commentare in alcun modo.

“Sì, una donna e uno zingaro,” rispose quello, sforzandosi di suonare sicuro di sé e padrone della situazione. Clint, che stava continuando a tormentare il bottone del gilet dal nervosismo, non aveva bisogno di guardarlo in faccia per immaginarsi la sua patetica espressione.

Seguirono altri passi che condussero i due uomini al loro cospetto. Clint si era riavvicinato alle sbarre per sbirciare oltre e guardarli in faccia; intravide altri due soldati dietro la casacca blu del gendarme. Ci fu un attimo di totale silenzio. I tre soldati presero atto – con supremo disgusto, a giudicare dalle loro espressioni – della presenza del carceriere addormentato (e apparentemente tutt'altro che intenzionato a svegliarsi per una bazzecola del genere); un secondo dopo l'ufficiale si fece avanti sguainando la spada. Lanciò un'occhiata penetrante all'interno della cella di Natasha, proseguendo poi verso la sua.

“Sta' indietro,” gli ordinò, facendo tintinnare la punta della lama contro le sbarre col chiaro intento di intimidirlo. “Ho detto,” ripeté, contrariato dalla lentezza mentale di Clint che non aveva obbedito immediatamente, “sta' indietro, prigioniero.”

Prigioniero. L'appellativo gli fece tornare in mente quei giorni oscuri trascorsi in gattabuia di tanti anni prima, in un buco persino più brutto di quello, senza aria, né luce, solo il tanfo del suo compagno di cella che non aveva detto nulla per tutto il tempo. Quando erano arrivati per portarlo al patibolo, mentre lo trascinavano via di peso, con una fugace occhiata nell'angolo più buio della stanza, Clint aveva capito di aver condiviso l'alloggio con un cadavere.

Il soldato accennò a punzecchiarlo direttamente nello stomaco e solo allora si decise ad indietreggiare. Abbandonò le braccia lungo il corpo, rigirandosi tra indice e pollice della mano sinistra il bottone che era riuscito a staccare dal gilet.

L'ufficiale lo fissò attentamente in viso, fece una smorfia e si allontanò senza una parola di più. Neanche lui l'aveva riconosciuto. Il cazzotto che aveva preso alla locanda doveva aver avuto l'effetto di deformargli la faccia, il che – per una volta tanto – era un bene.

“Lasciatemi le chiavi di questa,” l'uomo era tornato a rivolgersi al gendarme che l'aveva accompagnato, e adesso indicava con un dito la cella di Natasha. “Potrebbe avere informazioni utili.”

Provò un moto di nausea improvviso che si accorse essere provocato dalla rabbia. Capì che la sicurezza con cui la donna aveva profetizzato quel momento dipendeva dall'abitudine. Quante volte era stata rinchiusa in prigione? Quante le era capitato di essere visitata da chi avrebbe dovuto far rispettare la legge? In quante altre tutto era stato calcolato in vista di una pronta evasione e quante, invece, non era stata in grado di difendersi?

“Ne siete sicuro?” Il gendarme ebbe il buonsenso di mostrarsi contrariato. “Dubito che sappia qualcosa di rilevante. E' solo una donna.”

“Lasciatemi le chiavi e lo scopriremo,” insisté l'altro, il tono persino più gelido e perentorio.

Clint sperò, suo malgrado, che il gendarme si opponesse, ma dopo qualche attimo di incertezza optò piuttosto per consegnare le chiavi al superiore. Non voleva guai, men che meno per assurde questioni morali.

“Tornate a fare quello che facevate prima,” suggerì l'ufficiale con sufficienza. “Dormire o starvene in giro.”

Anche al lume dell'unica candela accesa, Clint indovinò il rossore che andava diffondendosi sul volto del gendarme. Lanciò un'occhiata desolata in direzione della cella di Natasha e poi sparì nel corridoio, riconoscendo infine la schiacciante autorità dei soldati.

Ci fu uno sferragliare inconsistente e poi il cigolare della chiave nella serratura. L'ufficiale aveva rinfoderato la spada e consegnato la cintura che si era sfilato ad uno dei suoi uomini.

“Assicuratevi che non arrivi nessuno,” disse prima di aprire la porta e richiudersela alle spalle.

La voglia di vomitare continuava a riempirgli lo stomaco, ma Clint si costrinse a focalizzare. Natasha l'aveva anticipato e sapeva il fatto suo, lasciarsi gettare nel panico dalla preoccupazione non avrebbe avuto alcun senso. Aspettò, invece, che i due soldati dessero le spalle alla stanza, stazionandosi a guardia del corridoio d'accesso. Dopodiché si riaffacciò alle sbarre, calcolando la distanza che lo separava dalla candela.

“Se ti comporti bene potrei farti uscire di qui.” La voce viscida dell'ufficiale rischiava di deconcentrarlo. Si sforzò di relegarla in un punto cieco e sordo della sua testa. Appoggiò il bottone sul palmo rivolto all'insù della mano destra, incastrandola tra le sbarre a mo' di rampa di lancio. Unì indice e pollice della sinistra a formare un piccolo cerchio. Il gesto gli era famigliare: suo fratello gli aveva insegnato a spaccare le bottiglie servendosi solo di una monetina di rame. Se scagliata con forza sufficiente, riusciva ad infrangere il vetro come fosse stato burro. Ci aveva messo un bel po' a cogliere il meccanismo, ad imitare Barney non solo nei movimenti, ma anche nei risultati. E persino in quel momento, rinchiuso in gattabuia mentre l'ufficiale schifoso tentava di convincere Natasha a collaborare, Clint desiderò che ci fosse suo fratello al suo posto. Perché sapeva sempre cosa fare, perché appariva sempre perfettamente padrone della situazione, perché le mani non gli avrebbero tremato in quel modo indecente.

Sta' calmo, si impose. Come se stessi tirando con l'arco.

Inspirò ed espirò ripetutamente, rallentando il respiro, il battito impazzito del proprio cuore. Prese la mira, cancellando qualsiasi rumore, qualsiasi oggetto o consapevolezza inutile, finché le sue percezioni non si ridussero al bottone nella sua mano e alla candela sul tavolo del gendarme addormentato. Passarono pochi secondi, vischiosi, lunghissimi. L'indice fece forza contro la resistenza del pollice e infine scattò libero, colpendo il bottone sul palmo rigido e disteso della mano, scagliandolo a velocità impressionante attraverso le sbarre e dritto verso la candela.

Il proiettile improvvisato colpì lo stelo di cera prima di scivolare silenziosamente giù dal tavolo. Trattenne il respiro mentre il moccolo oscillava sulla sua base d'ottone, sempre di più, sempre di più... finché non perse l'equilibrio e si adagiò su un fianco.

Non si spense, ma la fiamma si appiccò rapidamente alle pagine unte del registro dei prigionieri, rosicchiandone avidamente le pagine prima di avvampare furioso. Il gendarme si risvegliò di soprassalto e cominciò a gridare come un pazzo. Spinse bruscamente il tavolo di lato, mandandolo a sbattere contro la parete con forza sorprendente.

Non parve curarsi né di lui, né di Natasha, né tanto meno dell'ufficiale nella cella, o dei soldati di guardia al corridoio. Questi ultimi, allarmati dalla luce improvvisa e dalle grida dell'uomo erano rientrati con le spade sguainate. Si maledì: non era quello il diversivo che Natasha aveva chiesto.

“Che diavolo state lì impalati?!” La voce furibonda dell'ufficiale. “Correte a prendere dell'acq-” Le parole si smorzarono senza alcun preavviso, ma i due erano stati reattivi ed erano già sfrecciati via per eseguire gli ordini.

Intanto, nel tragitto che lo separava dal corridoio – unica via d'uscita – il gendarme sovrappeso, sprofondato nel panico più totale, passò di fronte alle sue sbarre. Clint riuscì a sfilargli il mazzo di chiavi che teneva su un lato della cintura senza che se ne accorgesse – fortunatamente erano solo tre e non gli ci volle molto per trovare quella giusta.

Uscì in tutta fretta, proprio mentre Natasha faceva altrettanto. Si scambiarono una rapida occhiata. Il fuoco si era propagato dal registro al tavolo, espandendosi rapidamente. Da fuori, invece, le voci si intensificavano: stavano arrivando rinforzi.

“Il soffitto,” sibilò Clint. Non dovette dire altro perché la donna cogliesse le sue intenzioni. Prese la rincorsa e utilizzò la sedia per spiccare un salto e aggrapparsi alle travi... che tuttavia si rivelarono più marce di quanto pensasse. Fantastico. Non sapeva per quanto avrebbero retto il loro peso, ma temeva non sarebbe stato a lungo.

Tirò su le gambe e si agganciò al legno anche con le caviglie, cominciando a spostarsi orizzontalmente, ignorando gli insetti che si nascondevano nelle intercapedini del soffitto. Davvero fantastico.

Soldati e gendarmi accorsero in massa, macchie blu e rosse, qualcuna armata di un secchio pieno d'acqua. La rovesciarono sul tavolo, senza riuscire a sedare le fiamme in un colpo solo.

“Dove sono i prigionieri?” Urlò uno dei militari, mentre un gendarme si faceva avanti per spegnere il fuoco facendo aria con una coperta... non un'idea grandiosa.

I compagni riuscirono a strappargliela di mano solo quando fu troppo tardi, e anche la sedia era stata inghiottita dalla vampa improvvisa. Il calore risaliva al soffitto e così il fumo che iniziò a pizzicargli gli occhi. Mentre si spostavano al di sopra della stanza e verso il corridoio, si chiese che razza di problema avesse col fuoco e se non avesse sempre avuto la celata ambizione di diventare un fottuto incendiario.

“Tenente?” Uno dei soldati stava richiamando l'ufficiale. “Tenen- MERDA!”

Qualsiasi sorpresa Natasha avesse preparato, sembrava che il soldato l'avesse scoperta. Altri gendarmi accorsero armati di brocche, bottiglie e secchi, brulicando nello stretto spazio tra le pareti. Clint fu costretto a fermarsi, perché la porta era troppo bassa e impediva di proseguire appesi alle travi. Aspettò che il corridoio si sgombrasse prima di lasciarsi cadere a terra e spiccare una rapida corsa. Si volse per assicurarsi che Natasha lo stesse seguendo, ma poi una porticina aperta su una stanza laterale deserta attirò la sua attenzione. Tra un paio di tavoli, cinque brandine sudice e armi sparse un po' ovunque, facevano bella mostra di sé le loro cose, sequestrate al loro arrivo e gettate alla rinfusa sul pavimento. Provò una fitta d'indignazione: c'era il suo arco là in mezzo!

“Barton!” Chiamò Natasha, vedendolo deviare di lato senza alcun preavviso.

“Va', ti raggiungo!” La rassicurò, afferrando le bisacce prima di rilanciarsi nel corridoio e seguirla fino all'esterno.

Puntarono dritto ai cavalli legati alla postazione d'ingresso. Le consegnò le sue cose mentre lei si occupava di slegare tutte le bestie tranne le due che avrebbero preso in prestito per fuggire.

“D-Dove credete di andare? EHI!” Clint si issò in sella, voltandosi appena in tempo per accorgersi del ragazzino che gli stava puntando contro una spada tremolante.

“Fossi in te cambierei professione, ragazzo,” gli suggerì. “Qualcosa di più onesto, che ne dici?”

Natasha lo fulminò con lo sguardo prima di spronare la propria cavalcatura fuori dallo spazio antistante la prigione e oltre la strada principale.

Clint la seguì senza esitazioni, dopo aver rivolto un ridicolo cenno di saluto al ragazzetto – che brufoloso lo era davvero.

Tutt'intorno solo gli echi delle grida degli uomini nella prigione e il buio della notte.

 

*

 

Cavalcavano ormai da svariate ore quando il temporale li sorprese in aperta campagna. Il cielo sembrava una distesa di pece scura e appiccicosa, occasionalmente illuminata a giorno da lampi e fulmini improvvisi. L'acqua arrivò con qualche istante di ritardo sul concerto di boati che li aveva accompagnati fuori dal bosco dove si erano addentrati in cerca di copertura; trovarono una via d'uscita, entrambi tacitamente decisi a non farsi beccare dalla tempesta in mezzo a tutti quegli alberi.

Smontarono in prossimità delle rovine di quella che doveva essere stata una chiesa, o forse un castello nobiliare. Della costruzione erano rimaste in piedi sporadiche pareti in diversi stati di crollo; del tetto, invece, solo pochi stralci. Il soffitto era quasi del tutto scoperchiato e aperto alle intemperie, mentre il pavimento sembrava essere stato riassorbito dalla vegetazione: l'erba lo ricopriva come un tappeto, nascondendo quel poco che ne rimaneva alla vista.

Dovettero cedere la zona riparata più ampia ai cavalli e rifugiarsi in un minuscolo fazzoletto di pietra in cui riuscivano a malapena a star seduti, l'uno accanto all'altra, già mezzi fin nelle ossa.

Natasha era ripiombata in un silenzio ostico e orgoglioso permeato di stanchezza, il cappuccio del mantello calato sugli occhi e i capelli bagnati.

Clint non aveva bisogno della luce del giorno per accorgersi di quanto fosse esausta. Tentò di ricordare un'occasione qualsiasi in cui l'aveva vista dormire e si accorse che non c'era stata una singola volta in cui era stato lui a svegliarsi per primo. C'era solo il buon senso ad impedirgli di sospettare che la donna non avesse mai realmente dormito in sua presenza. Doveva essersi concessa solo le poche ore necessarie a rimanere funzionale, sacrificando il resto sull'altare delle misure di sicurezza. Si sentì offeso dalla considerazione, come se Natasha non si fidasse abbastanza di lui da abbandonarsi ad un meritato sonno ristoratore, o da credere che potesse cavarsela anche senza la sua continua supervisione. Un pensiero si fece strada tra i tanti che gli si muovevano scompostamente nel cervello: forse lo stava tenendo d'occhio. Magari non era questione di fiducia, ma di controllo.

“Stai bene?” Si costrinse a chiederle, anche se non lo stava guardando.

La pioggia scendeva fitta e copiosa; l'erba ne assorbì quanto poté prima che il terreno cominciasse ad allagarsi.

“No,” fu la secca risposta di lei. “Tu?” Gli ritorse contro la domanda, ma Clint capì che non aveva voglia di parlare.

“No,” le fece eco. “Dovresti dormire. Non hai un bell'aspetto.”

“Grazie,” commentò sarcastica, senza divertimento nella voce.

Non aggiunse nient'altro, limitandosi a spiarla con la coda dell'occhio. Circondò con le braccia le ginocchia portate al petto e vi appoggiò il capo. La vide socchiudere gli occhi, ma non poteva giurare che non stesse facendo finta di riposare.

Insisté sull'idea per qualche attimo, prima che la testa pesante, le gambe indolenzite per la cavalcata e l'attutito, fastidioso pulsare della ferita al braccio – sicuramente riaperta durante lo scontro alla prigione – non ebbero la meglio. Decise che in fin dei conti non lo riguardava. Se voleva ammazzarsi d'insonnia, era la benvenuta.

Cercò una posizione comoda e scivolò in un sonno leggero e disturbato.

 

*

 

Non seppe cosa l'aveva svegliato di preciso, non ebbe neppure il tempo di pensare. Riaprì gli occhi su un'ombra enorme che gli oscurava quasi del tutto la visuale. La macchia informe teneva sopra la testa una gigantesca mazza chiodata che stava per abbattersi su di lui senza troppe cerimonie.

Porco cazzo, imprecò mentalmente, troppo rallentato dal sonno per formulare la maledizione ad alta voce.

Scartò di lato, rotolando sull'erba ancora bagnata. Era a malapena l'alba e di Natasha non c'era neanche l'ombra. In compenso un uomo cresciuto a dismisura, avvolto in quello che aveva l'aria di essere il saio più grande che Clint avesse mai visto, sembrava del tutto intenzionato a fargli la festa. Scattò in una corsa sconnessa fino al punto in cui avevano lasciato i cavalli e le bisacce. Riuscì ad estrarre l'arco e a sistemarsi sulla schiena la faretra prima che il monaco impazzito non lo caricasse di nuovo.

“Possiamo almeno provare a parlarne?!” Gli gridò contro, scoccando una freccia che lo colpì ad un polpaccio. Si era aspettato di vederlo almeno rallentare, ma non successe niente del genere, come se la ferita non gli avesse fatto altro che un po' di solletico.

Clint inorridì e saltò all'indietro un secondo prima che la mazza non disegnasse a mezz'aria l'ennesima parabola invisibile e si schiantasse al suolo, spezzando il pavimento di pietra nascosto tra l'erba.

Il monaco era massiccio, alto e imponente. Gli fece venire in mente il Mangiafuoco, la stessa barba lunga e folta, i baffi spessi ma trasandati. A differenza di Boris, però, era completamente calvo, con una croce tatuata sulla fronte spaziosa.

“Non dovresti essere da qualche parte a pregare?” Domandò, anche se già sapeva che farlo ragionare sarebbe stato impossibile. Che cazzo si aspettava da un monaco armato di mazza chiodata?

Puntò sull'agilità, ma per quanto apparisse pesante l'uomo era anche veloce: non importava quanto in fretta Clint scartasse e schivasse i suoi colpi, quello gli era costantemente addosso. Scagliò una, due, tre frecce. Le prime due lo colpirono al braccio e al piede, sortendo il medesimo risultato di quella che ancora gli sporgeva dal polpaccio: il nulla. La terza, invece, mancò il bersaglio perché nell'indietreggiare Clint era inciampato nel suolo sconnesso, deviando il colpo che riuscì a malapena a scalfirgli la guancia destra.

Non fece in tempo a rialzarsi che il monaco era di nuovo all'attacco, la mazza sollevata sopra la testa. Rotolò di lato e i chiodi lo mancarono per un soffio prima di incastrarsi nel terreno. L'alzò di nuovo, con ritmo impressionante; stavolta fu costretto a darsi la spinta sull'altro fianco per evitare che gli riducesse la faccia ad una poltiglia melmosa.

Perse tempo cercando di imbracciare l'arco, anche se non era sicuro di poter tirare ad una distanza tanto ravvicinata. Il monaco ne approfittò per piantargli un grosso piede sullo stomaco e immobilizzarlo – si sentì come il raro esemplare di farfalla spillato su una tela per mano di un sadico collezionista.

Il cuore gli batteva furiosamente in petto mentre la consapevolezza di essere spacciato scendeva su di lui come una pioggia fitta e gelida. La mazza si risollevava, minacciosa e fatale, con la promessa di una morte orribile.

“Molot!” Il richiamo di Natasha costrinse il monaco a voltarsi, ma non abbastanza rapidamente da impedire che la donna gli saltasse sulla schiena e si arrampicasse sulle sue spalle. Aveva un pezzo di corda per le mani e glielo strinse al collo, cavalcandolo come avrebbe fatto con un toro imbizzarrito.

Approfittando della distrazione del gigante – che adesso agitava la mazza sconnessamente, nel tentativo di sbarazzarsi di Natasha – Clint gli sferrò un calcio tra le gambe per obbligarlo a liberarlo dalla pressione del piede. Funzionò e poté ritirarsi e rimettersi in piedi, incoccando l'ennesima freccia alla velocità della luce.

Avrebbe voluto chiederle chi diavolo fosse, ma il monaco riuscì a togliersela di dosso. Natasha restò arpionata al cappuccio del saio mentre atterrava elegantemente a terra con una capriola, la corda nella mano libera. Pur di non lasciarsi strangolare dall'orlo della veste, l'uomo la stracciò a mani nude, come se la stoffa, invece che di lana grezza, fosse fatta con la sottile carta giapponese dei ventagli di lady Melinda.

Fece roteare la mazza e indietreggiò per fronteggiarli entrambi. Rivelava, adesso, il torso nudo grosso e muscoloso, ricoperto da una quantità infinita di tatuaggi.

“E' amico tuo? Posso ficcargli una di queste tra gli occhi?” Le chiese trafelato e arrabbiato, alludendo alle poche frecce che gli erano rimaste. Uccidere non era esattamente il suo passatempo preferito, ma aveva capito che avere la meglio su quella montagna nel corpo a corpo sarebbe stato quasi impossibile, anche nell'attuale situazione di due contro uno.

“Sei il benvenuto,” l'invitò lei, un attimo prima che Molot tornasse all'attacco.

Si scagliò sulla donna, continuando a brandire la mazza come un tamburello, agitandola con agilità inquietante, abbassandola e rialzandola quasi a ritmo di musica. Per qualche assurdo istante, Clint – che dovette ben presto accorgersi che in quell'azzuffarsi e spostarsi incessante non sarebbe stato facile trovare una traiettoria pulita sul monaco – pensò che si fosse messo a cantare. Ma no, non erano le note di una canzone quelle che gli uscivano imperterrite di bocca.

Stava pregando. In una lingua che Clint non conosceva e che intuì essere la stessa con cui Natasha aveva comunicato col Mangiafuoco.

Lo sguardo andò a cercare un segno ben preciso sul torace ampio e possente del monaco, finché non ebbe individuato quel che cercava: era oscurato dall'enorme tatuaggio di una corona di spine, ma il marchio a forma di clessidra era inconfondibile.

Natasha aveva estratto un coltello e gli si era avventata addosso, scivolandogli tra le gambe divaricate per ricomparirgli alle spalle. Gli conficcò la lama nel fianco scoperto.

“Abbassati!” Le urlò, un attimo prima che la mazza non ruotasse violentemente all'indietro. Ne approfittò per scoccare la freccia – la punta di ferrò andò ad infossarsi tra le scapole del gigante.

Solo un leggero grugnito interruppe la cantilena della preghiera e solo per un istante. Sembrava un San Sebastiano abnorme, scuro e furente contro la debole luce del giorno, gli steli neri delle frecce che si protendevano dalla sua carne come fiori sinistri, lo zelo religioso a tenerlo miracolosamente in piedi.

“Qualche suggerimento?” Insisté, adesso che Natasha indietreggiava rapidamente per affiancarlo.

“Dobbiamo atterrarlo,” esalò, rossa in viso, gli occhi cerchiati di nero e il fiato corto. Non si era riposata, Clint realizzò, e non ci sarebbe voluto troppo perché la stanchezza avesse il sopravvento. Non avrebbe potuto combattere ancora a lungo senza correre seri rischi.

Un'idea gli balenò davanti gli occhi. Le sfilò la corda mozza di mano e lasciò cadere a terra l'arco e la faretra ormai mezza vuota.

“Ci penso io,” le disse. “Tu distrailo.”

Natasha annuì e lanciò il coltello a mezz'aria, riafferrandolo per il manico. Lo impugnò meglio prima di scagliarlo addosso al monaco.

Mentre il gigante barbuto si impegnava a schivare la lama (e ci riuscì, intercettandolo con la mazza), Clint gli rotolò tra le gambe, annodandogli la corda attorno alla caviglia sinistra. Afferrò la freccia che gli aveva conficcato nel polpaccio pochi attimi prima e la estrasse con violenza, strappando la carne con un gesto netto; un fiotto di sangue caldo e vischioso andò a macchiare l'erba. Molot gettò un urlo, profondo e furente, e Clint ne approfittò per rimettersi in piedi alle sue spalle tirando a sé la corda.

Il dolore al polpaccio e il diversivo di Natasha, riuscirono a distrarlo a sufficienza per fargli dimenticare di tenersi ben piantato sui suoi enormi piedi. La corda gli fece perdere l'equilibrio e un secondo dopo, con un tonfo sordo, la montagna di muscoli e tatuaggi era a terra.

Clint fece appena in tempo a formulare l'ipotesi di stordirlo, lasciarlo privo di sensi e andarsene – convincerlo a lasciarli andare era impensabile – che Natasha gli si era avventata addosso, piantandogli un pugnale nel collo, spingendo finché non ebbe incontrato la resistenza del terreno.

Gli occhi del monaco si sgranarono bruscamente in un'espressione di cieco orrore. Un ultimo soffio – la conclusione dell'ennesima preghiera – gli sfuggì dalle labbra mentre la barba gli si tingeva del porpora cupo del suo stesso sangue.

Un sole rosso e nebbioso stava sorgendo quando Natasha ritrasse lentamente le mani sporche che le tremavano.

Fissò il cadavere a lungo, restandogli inginocchiata di fianco.

 



 

Note: comincio promettendo che dal prossimo capitolo si riveleranno tutte le carte in tavola (o almeno quella più importante) e smetterò di tormentare Clint e voi :P intanto il marchio a forma di clessidra ha fatto la sua comparsa per la terza volta su un personaggio che ho scippato dal fumetto dedicato alla Vedova Nera di Nathan Edmondson, il flippatissimo Molot. Che ci ha già lasciati... RIP Molot.
Oltre a questo nient'altro da dire a parte tenete duro che la verità è vicina! ù_ù Intanto ringrazio chi legge & commenta che mi fa sempre tanto piacere, e alla sociabeta Eli perché sclerare in compagnia è più divertente!
Alla prossima settimana!
(◡‿◡✿)
  
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