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Autore: Nimel17    21/10/2015    4 recensioni
Cora Spring vorrebbe liberarsi dal controllo ossessivo della madre e curare il giardino del ricco signor Acheron potrebbe essere giusto quello che le serve per acquistare autonomia.
Storia partecipante al contest "ADA - Associazione Divinità Anonime, III edizione" di Delirious Rose
Genere: Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Somewhere in time
 
 
 
 
She was like April Sky
sunrise in her eyes
child of light
shining star
Fire in her heart

Bright as day
melting snow
breaking through the chill
October & April



 
 
 
“Cora! Tesoro, dove sei?”
La ragazza si chinò ancora di più sul quaderno dove tenevano gli ordini, nell’inutile speranza di ignorare quelle parole. Considerò per un attimo la possibilità di non rispondere, nascondersi e fingere di essere uscita, ma l’accantonò subito: sua madre era capace di cercarla prima sotto il letto che fuori in giardino.
“Sono nello studio.”
“Cosa ci fai lì? È tardi!”
“Sono solo le otto.”
La voce le uscì più secca di quanto avesse inteso, ma come sempre le critiche scivolarono sulla genitrice senza neanche sfiorarla.
“Dopo devi uscire?”
“No, madre.”
“Sono contenta. Non mi piace l’idea che quel ragazzo provi ancora a ronzare attorno al mio fiorellino come un’ape.”
Cora si morse la lingua e continuò ad aggiornare l’elenco degli ordini, calcando la penna con appena più forza sul foglio.
“Febo non ha mai avuto mire su di me.”
“Certo che ne aveva, tesoro. È un uomo.”
Lei smise di scrivere e alzò gli occhi per guardare la madre: Demi Spring era una donna di mezza età, dai capelli scuri e con occhi chiari sempre ansiosi, per la figlia o per i suoi fiori. Il viso rotondo aveva poche rughe, ma era rovinato dagli angoli della bocca perennemente abbassati: Cora poteva contare sulle dita le volte in cui l’aveva vista sorridere davvero.
Quando lo faceva, infatti, era sempre con una punta di malinconia.
Suo padre le aveva abbandonate quando lei era troppo piccola per ricordarlo, ma non era un segreto che all’epoca lui fosse un uomo sposato e la madre una sua socia in affari. La trama era così comune, data la storia di famiglia, che in città non aveva neanche fatto scandalo.
Cora assomigliava di più alla madre, con gli stessi capelli castani e una carnagione pallida che il sole non riusciva mai a colorare, ma gli occhi verdi li aveva presi dal padre, unica informazione che aveva su di lui.
A venticinque anni, lei aveva ancora un volto infantile: forse per quello veniva trattata da tutti come se ne avesse cinque. Si toccò pensosa una ciocca, chiedendosi se non dovesse tagliarsi la chioma: le arrivava fino a lambirle i fianchi stretti e aveva ondulazioni così sottili da ricordare le treccine delle elementari.
“Io devo uscire, cara. Ti ho lasciato dello sformato di spinaci nel forno.”
Odiava lo sformato di spinaci.
“Grazie mamma. Vai pure.”
“Se vuoi posso chiamare Menta a farti compagnia…”
“Starò benissimo.”
Odiava Menta, con quel suo sorriso falso e zuccheroso.
“Non mi piace che tu stia qui da sola.”
Cora strinse la matita così forte da credere che le sarebbe entrata a forza nella pelle.
“Non preoccuparti. Tu va’ al tuo circolo.”
Finalmente, la madre uscì e la ragazza si rilassò contro la sedia, massaggiandosi le tempie. Desiderò per l’ennesima volta trovare un appartamento sfitto, ma quando dava il suo nome, misteriosamente gli agenti tiravano fuori altri clienti.
Tutti avevano più o meno paura di mettersi tra Demi e sua figlia.
Ritornò a registrare gli ordini. La maggior parte delle sue coetanee sarebbe uscita a divertirsi, ma Cora era sempre stata abbastanza timida, portata a isolarsi con gli estranei, amante delle serate con un libro e una tazza di the, astemia… non esattamente l’anima delle feste e le andava bene così. Anche a lei piacevano i fiori, per quello aiutava la madre, nonostante sognasse di avere un giorno la sua serra personale, con un negozio proprio e indipendenza, fuori dal controllo ossessivo della genitrice.
Aiden Acheron.
Si accorse di stare fissando quel nome sull’elenco dei contatti da qualche secondo, senza nemmeno rendersene conto. Le era familiare, anche se non riusciva a ricordare in che contesto l’aveva sentito.
Lesse la sua scheda, sperando di risolvere la questione: il signor Acheron richiedeva una persona competente che curasse il giardino della villa in cui si era appena trasferito, estremamente trascurato, come traspariva dalla foto allegata al fascicolo. Era abbastanza buia, ma le erbacce e le piante rampicanti sembravano dominare.
A giudicare dalla linea profonda sul nome, tale da bucare il foglio, la madre non sembrava nutrire grande simpatia per quello sconosciuto. Cora sorrise, leggendo il recapito telefonico: non era molto tardi, magari…
Dopo pochi squilli, rispose una voce maschile estremamente irritata.
“Pronto?”
“Buonasera, cerco il signor Acheron.”
“Sono io. Chi è lei e come ha avuto il mio numero? Non lo do a destra e a manca.”
“Mi chiamo Cora, Cora Spring, del negozio di fiori. Se per lei va bene, potrei venire domani a dare un’occhiata al suo giardino…”
“Lei è la figlia di Demi?”
Oh, no. Non un altro.
“S-si. Ma…”
“ Allora, mi dispiace, ma perderebbe il suo tempo. Ho già litigato abbastanza con sua madre.”
“Signor Acheron…”
“Buona serata.”
Cora fissò ammutolita il telefono, non riuscendo a credere alla maleducazione di quell’uomo. Non l’aveva nemmeno ascoltata! Aveva dato per scontato che la mela fosse caduta ai piedi dell’albero e aveva interrotto la comunicazione… si era risparmiata un cliente difficile e scontroso, tanto meglio.
No, non andava bene; c’era attrito tra lui e Demi e questo voleva dire che, probabilmente, sarebbe stato uno dei pochi disposto ad aiutarla. La scheda diceva che il compenso sarebbe stato elevato, magari abbastanza da darle quel minimo di autonomia per andare a vivere per conto suo, forse in un’altra città…
Era la sua unica opportunità: la mattina seguente, si sarebbe presentata a casa di quel maleducato e non se ne sarebbe andata finché non le avesse offerto il lavoro.
 
 
Se non avesse parlato con Aiden Acheron la sera prima, Cora non avrebbe avuto difficoltà a credere che l’abitazione fosse abbandonata, vista la tonalità scura della facciata e l’aspetto antico, cupo; disabitata, o uscita dal set de La famiglia Addams.
Il cancello arrugginito era socchiuso, così la ragazza lo aprì, rabbrividendo per il cigolio sinistro. Improvvisamente, il giardino le sembrò un’impresa molto più disperata di quanto avesse pensato: non solo le erbacce erano molto numerose, ma erano anche alte e alcune le arrivavano quasi al ginocchio. Vide di sfuggita cespugli spinosi, ortiche, radici lunghe e ragnatele giganti messe in evidenza dalla brina mattutina, gli alberi talmente contorti da sembrare volti urlanti.
Era ancora in tempo per tornare indietro. Nessuno sapeva che era lì, poteva tranquillamente girare i tacchi e andarsene… tuttavia, i piedi la spinsero in avanti, fino ad arrivare a una porta di solido legno di quercia. Mancavano solo i gargoyles ai lati e sui tetti, per completare l’immagine della casa di Dracula.
Prima di perdere il coraggio, suonò il campanello e si costrinse a non tamburellare le dita nell’attesa: doveva essere professionale, non la normale ragazza che si faceva prendere dall’ansia prima di un colloquio di lavoro.
“Chi è?”
La voce soffocata dall’altra parte della porta era la stessa del telefono. Maledizione, non sapeva perché, ma aveva dato per scontato che ci fosse almeno un domestico in quella specie di maniero.
“Sono Cora Spring. Le avevo detto che sarei passata.”
“Sono molto occupato.”
“Ci metterò poco tempo. Ne perderà di più, se non mi ascolta.”
“Come ha fatto a entrare?”
“Il cancello era aperto. Non sono una ladra.”
“Uno può solo sperare. E va bene, venga avanti.”
Lei obbedì, oltrepassando l’uscio con passo cauto.
“Cosa si aspetta, un maniaco armato di motosega? Si sbrighi, sta portando con lei tutto il freddo.”
“No, piuttosto un’armatura medievale armata di bipenne.”
L’interno della casa era poco luminoso, quella era la sua unica giustificazione per non aver notato subito il signor Acheron che richiudeva la porta. Era molto alto e magro, la carnagione così pallida che non solo quel tipo non doveva passare molto tempo all’aperto, ma addirittura non vedeva probabilmente la luce del sole da anni. Il viso spigoloso era solcato da una cicatrice sul lato sinistro che gli mancava di poco l’occhio e Cora rimase segretamente affascinata da quelle iridi grigie, tanto da sembrare bianche per un effetto della luce.
Se non fosse stato così in linea con la dimora di cui era proprietario, la ragazza si sarebbe spaventata da morire.
Gli tese la mano, esibendo il suo sorriso migliore.
“Piacere. Sono Cora Spring.”
L’altro emise un verso derisorio e si allontanò lungo il corridoio.
“Piacere discutibile. E lo so chi è lei, me l’avrà detto almeno due volte.”
Lei si trattenne a stento dal rinfacciargli la sua maleducazione, ma si morse la lingua e si disse che non poteva permettersi di farlo arrabbiare; entrarono in uno studio scarsamente illuminato, ma pieno di libri, prime edizioni a giudicare dalle rilegature e Cora trattenne a stento l’impulso di toccarli.
Lui le fece cenno di sedere sulla sedia di fronte e la fissò con uno sguardo inespressivo che le fece venire voglia di passarsi la mano tra i capelli per verificare se erano a posto: per quel giorno, li aveva raccolti in uno chignon severo e aveva messo il suo unico tailleur, regalo della zia Minnie. Sperò che non fosse evidente quanto a disagio si sentisse a indossare qualcosa di così formale.
“La ringrazio.”
“Perché vuole a tutti i costi questo incarico? A Demi non mancano certo i soldi.”
Cora avrebbe voluto chiedergli come conosceva sua madre, ma non ne ebbe il coraggio.
“Mia… mia madre non deve sapere nulla di tutto questo.”
Solo il sopracciglio alzato indicò la sua sorpresa a quell’affermazione.
“No?”
“Preferisco che sia una cosa solo mia.”
“Ah, capisco. L’uccellino vuole lasciare il nido ma c’è un drago sotto l’albero.”
Lei si morse il labbro.
“Qualcosa del genere. Le voglio bene, naturalmente, ma può essere davvero…”
“Soffocante.”
“Cosa?”
“Ossessiva. Maniaca. Su, dopo vent’anni con lei avrà bisogno di sfogarsi, continui.”
“Non sono venuta qui per parlare di mia madre.”
Tuttavia, si rese conto di stare sorridendo apertamente, anzi, si stava sforzando di non ridere; e, cosa ancora più sorprendente, anche il signor Acheron esibiva un sorriso sincero.
“No, è vero. Mi dica, allora, cosa pensa di fare col mio giardino?”
Cora ebbe la sensazione che volesse metterla alla prova, per qualche motivo estraneo al lavoro in sé, ma guardandolo negli occhi le sembrò che volesse incoraggiarla a parlare.
“Ovviamente, per prima cosa, bisogna eliminare l’erba alta e i cespugli secchi.”
“Ovviamente.”
La stava prendendo in giro?
“Dovrò fare una valutazione degli alberi che si possono salvare…”
“Nessuno, glielo posso già dire io.”
“Vedremo. In ogni caso, proporrei tralicci, cespugli di rose come le “Black Jade”, le “Deep Secret”, o anche le “Taboo”, dai petali più rotondi. Se le piacciono le piante particolari, qualche aiuola di scabiosa del tipo “Asso di Picche” sarebbe innovativa, come pure i papaveri “Black Peony” o, per andare sul classico, dei fiordalisi.”
“Tradotto per i poveri ignoranti?”
“Sono quasi tutti fiori gotici, scuri, adatti a questa casa.”
Tirò fuori dalla borsa le foto e i dati delle piante in questione e glieli porse, facendo del suo meglio per non arrossire quando le loro mani si sfiorarono; le dita di lui erano gelide, probabilmente il riscaldamento non funzionava a dovere in quella magione.
“Signor Acheron…”
“Aiden. Ormai, visto che si è precipitata qui per sistemare il mio giardino, può anche chiamarmi per nome.”
“Oh… va bene. Mi chiami Cora, allora.”
Quando non ricevette risposta, rinunciò a parlare e lasciò che il silenzio calasse su di loro, accontentandosi di osservarlo mentre esaminava le immagini: era strano, ma le era familiare il modo in cui la fronte gli si corrugava durante la lettura.
“Non ci siamo mai visti, vero?”
La domanda le uscì di bocca inconsapevolmente, senza rendersene quasi conto. Aiden alzò la testa per guardarla e, per un momento, Cora avrebbe giurato che la stessa impressione fosse nascosta in quegli occhi chiarissimi.
“No. No, è da escludere.”
“Sì, probabilmente ha ragione.”
“Signorina Cora, sarò sincero. Il progetto mi attira, riscontra i miei gusti, ma… c’è un problema.”
“Ovvero?”
“Sua madre. Se vuole tenerle nascosto questo lavoro, desterà sospetti se va e viene ogni giorno, non le pare?”
“Posso fare in modo…”
“Potrebbe venire a vivere qui, per la durata dell’incarico. C’è un’ala riservata al personale, ancora in buone condizioni e… vediamo, ho un cane da guardia molto grosso, Cerbero, ma se gli dico che lei è un’ospite, non oserà avvicinarsi, non si preoccupi.”
La ragazza lo guardò, sorpresa: le era sembrato un uomo solitario, amante della privacy. Non la conosceva nemmeno, eppure la stava aiutando così tanto, nonostante l’apparente scontrosità.
“Mia madre penserà al sequestro di persona, se lo viene a sapere, ma per me va bene. Le dirò che sono in vacanza con un’amica, è tecnofobica e non sarà in grado di fare ricerche da sola.”
“Se verrà a gridare che ho rapito sua figlia, scatenerà al massimo un polverone.”
“Grazie. Di tutto. Mi piacciono i cani, non penso che ci saranno difficoltà.”
Gli porse la mano e, per confonderla ancora di più, lui gliela baciò invece di stringergliela. Quando sentì la sua bocca a contatto della pelle, per un istante le parve di essere in un altro tempo e in un altro luogo, ovattata in un passato lontanissimo.
“Solo un ultimo dettaglio, signorina Cora.”
“Cosa?”
“Pensava di piantare anche qualche albero?”
Lei ci rifletté per un paio di minuti, poi fece un mezzo sorriso.
“Se è d’accordo, mi piacerebbero dei melograni. I loro frutti sono molto buoni.”
“Concordo. È una buona idea. Perchè le sono venuti in mente?”
Cora si mise a ridere all’improvviso, aggiustandosi imbarazzata una ciocca sfuggita allo chignon.
“Perché mia madre non li sopporta.”
 
 
 
 
 
Demi Spring entrò in casa, certa di fare una sorpresa alla figlia. Le avrebbe detto di prendersi il pomeriggio libero e l’avrebbe portata a fare shopping in quei centri commerciali pieni di negozi biologici che andavano tanto di moda; ultimamente, la sua bambina le era sembrata così triste e di cattivo umore…
L’appartamento, tuttavia, era vuoto. Strano, che fosse uscita senza dirle niente, non c’erano segreti tra loro, si dicevano sempre tutto! Corse verso il telefono, pronta a chiamarla su quell’infernale aggeggio che lei chiamava cellulare, ma si fermò a pochi passi di distanza, gli occhi fissi sul post-it vicino alla cornetta: non poteva essere quel numero, non poteva conoscerlo, non poteva succedere tutto un’altra volta!
Appallottolò il foglietto tra le mani, furibonda: non avrebbe permesso che quel mostro le portasse via di nuovo la sua bambina, non dopo tutta la fatica che aveva fatto per far bere a entrambi le acque del fiume Lete e incominciare una nuova vita!
“Madre, io lo amo. Mi dispiace, ma non sono più la tua Kore. Sono Persefone, colei che distrugge la luce, questo è stato il nome datomi alla nascita da padre Zeus.”
No. Afrodite poteva blaterare quanto voleva sulla potenza dell’amore, ma lei era Demetra, dea delle messi ed era stata quasi capace di distruggere, un tempo, l’intero mondo con il suo dolore.
L’avrebbe fatto ancora, se necessario.
 
 
 
       
 He was like frozen sky 
In October night
Darkest cloud
Endless storm
Rain
ing from his heart

Coldest snow
deepest thrill
Tearing down his will
October & April



 
 
 
 
Note dell’autrice: Demetra è sempre apparsa come una forte oppositrice della coppia Ade/Persefone e, preferendo personalmente la versione più ossessiva della dea, protettiva e soffocante nei confronti della figlia, nella mia OS ad un certo punto ha fatto bere con l’inganno ai due poveri sposi le acque del Lete, fiume dell’oblio. Ha ripreso con sé la figlia, ma era destino che, dopo secoli, Ade e Persefone si ritrovassero. Presto arriverà un prequel che spieghi cos’è successo.
Per evitare ambiguità, Aiden e Demetra si conoscono solo per affari, lui non ricorda d’essere stato il Dio dei Morti, ma è un anatomopatologo. 
  
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