N/A Ciao
tartapopolo!
“Vicino
futuro apocalittico”: ennesimo challenge con la mia amica Cartoonkeeper, al
quale con mia immensa gioia si è unita questa volta anche la cara Quisquilia
Radioattiva. Il racconto, in sette capitoli, è al solito finito, anche se
alcune parti sono ancora da sistemare. Cercherò di correggerne e pubblicarne un
capitolo ogni settimana, se il lavoro è d’accordo ^^’
È un’altra fanfiction adulta, realistica quanto
basta, con tante cose brutte per le nostre tartarughine belle. Contiene
menzioni a danni fisici e morte. Hai meno di tredici, quattordici anni? Allora
forse è meglio se ripassi dopo…
Ancora, come
nella migliore tradizione LaraPink, ogni capitolo ha nella testolina
dell’autrice la propria colonna sonora. Vivamente consigliato l’ascolto per
un’esperienza angst multisensoriale! XD
E se l’ angst
delle fanfiction non vi basta, andate a guardarvi, per chi non l’avesse fatto,
lo stupendo finale di stagione della serie 2k12 o a leggervi il numero 50 dei
comics IDW. Io non mi ci sono ancora ripresa.
Ma torniamo
a noi. Grazie di essere qui e buona lettura!
“And we will
wait,
till the rising of the river,
when the summer monsoon rain,
comes to wash the old remains”
Crooked Fingers, Luisa's Bones
No, non
l’avevano seguito. Il mutante sbirciò nuovamente dietro l’angolo, mentre
riprendeva fiato, stanco ed ansimante. Una pattuglia di bot passava dall’altro
lato della strada, procedendo a passo marziale, con le armi in mano, le divise nere
a coprire i corpi sintetici; ma non erano quelli che pedinavano lui.
Una raffica
di vento alzò la polvere delle macerie; Leonardo riprese ad avanzare, radente
al muro. Il cuore batteva forte dentro al suo piastrone e la respirazione era
ancora accelerata. Era riuscito a scappare anche questa volta, ma era stata
dura. I soldati meccanici di Shredder che lo avevano avvistato erano tanti. Non
si era certo fermati a contarli, mentre con le sue katana aveva tranciato
ferro, plastica e tessuto, ma adesso avrebbe giurato di averne fatti fuori
almeno una ventina. Ad ogni respiro, mischiato a quello del suo stesso sudore e
della sporcizia della strada, sentiva ancora l’odore dell’olio e degli altri
liquidi dei circuiti androidi, che gli impregnava acre i fori di respirazione.
Si appiattì
contro il muro, quando sentì il rumore stridente del cingolato in
avvicinamento, ma non smise di andare avanti. Contro manifesti strappati e
scritte spray, attento a non calpestare le lattine ed i vetri rotti, strinse a sé
il prezioso pacchetto che aveva legato con una cinta intorno al guscio; non si
poteva fermare, non aveva più tempo.
Suo fratello
non aveva più tempo.
L’idea che potrebbe
già essere troppo tardi lo strinse alla gola come un artiglio e strisciò gelida
sulle sue membra indolenzite con un brivido. Scacciò il pensiero, in un angolo
della sua mente, incapace di credere che, forse, stesse facendo tutto questo
per niente, e che avrebbe potuto essersi perso, in uno dei momenti della lotta
con la pattuglia che lo aveva avvistato, l’ultimo respiro su questa terra del
suo fratello più giovane.
C’erano
volute ore per reperire queste forniture, e quando aveva lasciato i suoi fratelli,
Mikey era già svenuto.
No. Mikey
era finalmente svenuto.
…
(il giorno
prima)
“Mhmm… mhmm… Mhh…ahh! Aahh!”
Michelangelo
aveva cercato di divincolarsi dall’abbraccio di ferro di suo fratello, che lo
teneva fermo, tappandogli la bocca; la giovane tartaruga scalciava, si
contorceva, lottava ferocemente tra gli spasimi.
“Fallo stare
zitto!”
Raffaello si
era limitato ad annuire, pallido, con gli occhi dilatati dall’angoscia, ed
aveva stretto con forza la sua mano sulla bocca di Michelangelo, fin quasi a soffocarlo.
L’arancione si era dimenato selvaggiamente, in sofferenza, con i grandi occhi
azzurri che si serravano forte, rilasciando calde lacrime che sfuggivano alla
maschera a striare il viso sporco, e cercando invano, nella furia del tormento,
di strappare la mano che lo soffocava lontano da lui, graffiando il braccio con
le dita contratte fino a striare la pelle verde di linee rosa: ma Raffaello ci aveva
fatto caso appena, sfruttando la sua forza per frenare i movimenti convulsi,
avvolgere il corpo del fratello sofferente tra le sue braccia, mantenendo una
presa decisa sulla bocca che urlava.
L’ordine di
Leonardo era suonato quasi crudele. Ma il blu, appoggiato contro la parete
sotto la finestra, a cercare di capire se al di fuori qualcuno li avesse rintracciati,
in quel momento era semplicemente terrorizzato. Tratteneva il fiato, tutto il
corpo teso, in ascolto. Se la pattuglia fuori li avesse sentiti, sarebbero
morti. Non potevano combatterli, i nemici erano troppi, e lui e Raph erano stanchi
e lievemente feriti. E non potevano scappare: Mikey non poteva più essere
mosso.
…
(tempo
presente)
Leonardo si
scrutò intorno ancora una volta, poi entrò nel vicolo scavalcando le macerie.
Si arrampicò veloce sul muro mezzo franato e si lasciò cadere dall’altra parte.
Si chinò, carponi, e strisciò nell’intercapedine tra due lastre di cemento crollate
l’una sull’altra. Raggiunta la bassa finestrella che dava nel seminterrato,
coperta da una serie di tavole di legno inchiodate tra di loro in modo
impreciso e sbilenco, spostò una delle assi che era già allentata e si
intrufolò nella fessura. Una volta all’interno, in piedi sulle casse di legno
dello scantinato, il mutante rimise a posto la tavola, balzò giù dalle casse e
si spostò verso la stanza adiacente. Guardando a terra, imprecò a bassa voce:
una striscia di sangue, ormai secco dal giorno prima, era visibile anche nella
penombra sul pavimento polveroso. Si chiese se avesse potuto essercene
dell’altro, fuori. Non ci aveva fatto caso; eppure ormai la luce dell’alba avrebbe
mostrato eventuali segni. Quando avevano trascinato il fratello fin qui,
evidentemente sanguinava ancora copiosamente. Si maledisse per questa sua svista,
ma decise che il rischio di uscire nuovamente fuori a controllare fosse troppo
alto: si udiva adesso fuori dal vicolo un carro armato che avanzava, coprendo col
rumore dei suoi cingolati i suoni lontani di ordini urlati al megafono.
“Sono tornato”
disse piano il giovane mutante mascherato in blu, per avvisare della sua
presenza, girando l’angolo ed entrando nella stanza.
Raffaello
era già in piedi, sai alle mani, davanti al corpo riverso del fratello minore.
“Hai trovato
qualcosa?” chiese, riponendo le armi, al fratello appena giunto che adesso si
stava inginocchiando accanto a Michelangelo. Per tutta risposta, Leonardo si
sfilò il pacchetto legato a tracolla con dello spago e glielo porse.
“Come sta?” domandò
a sua volta il maggiore, posando una mano sulla fronte del fratello privo di
sensi.
“Come l’hai
lasciato. Nessun cambiamento. Non si è svegliato” mormorò Raffaello, e la voce
uscì più incerta e spaventata di quanto avesse voluto; le mani, livide e
sporche di sangue secco, faticarono un po’ a sciogliere il nodo del pacchetto,
poi aprirono l’involucro, formato da diversi sacchetti di plastica soprapposti,
e tirarono fuori tre bottiglie d’acqua, alcune confezioni di bende e
medicinali. Svitarono velocemente una bottiglia e la tesero al blu.
Leonardo sfiorò
la spalla di Michelangelo, quindi lo scosse piano e lo chiamò dolcemente.
“Mikey?
Mikey, mi senti?”
L’arancione
si limitò a mugugnare, ma non aprì gli occhi. Leonardo alzò lo sguardo verso il
viso di Raffaello, stanco e tirato sotto la sporcizia e la polvere, e vi lesse
riflessa la sua stessa paura. Michelangelo aveva perso molto sangue.
Leonardo continuò
a chiamare per un paio di volte, poi prese la bottiglia d’acqua che Raffaello
gli porgeva e l’avvicinò alla bocca della tartaruga incosciente.
“Mikey, devi
bere” ordinò dolcemente mettendogli una mano sotto la testa e sollevandolo un
po’. L’acqua si riversò in parte sul viso lentigginoso e pallidissimo del
ferito, e solo un piccolo sorso entrò in bocca; Leonardo sospirò di sollievo
quando il fratellino deglutì, più per istinto che per altro, e ripeté un paio
di volte l’operazione. Poggiò delicatamente giù la testa del mutante più giovane e
restituì la bottiglia di plastica a Raffaello; il rosso la tappò e la poggiò ai
sui piedi.
Leonardo alzò
lo sguardo verso di lui, severo.
“Tu non
bevi?”
“Uhm? Io…
non ho sete.”
Il leader in
blu si limitò a fissarlo, innervosito. Raffaello grugnì una maledizione tra i
denti, afferrò la bottiglia, la riaprì e ne bevve un lungo sorso.
Leonardo
riportò l’attenzione al fratellino svenuto. Gli passò delicatamente una mano
sulla fronte, imperlata di minuscole goccioline di sudore; Michelangelo si
mosse al contatto, mormorando qualcosa. Il blu avvertì chiaramente che il
fratello era caldo, troppo caldo.
“Ha la
febbre?” chiese a Raffaello, in piedi accanto a lui. Questi aveva tenuto tra le
braccia il fratello nelle ultime ore, vegliandolo mentre Leonardo era fuori in
cerca di forniture.
“Credo di
sì.”
Leonardo sospirò,
e strinse un attimo gli occhi; poi, prese tra le mani il braccio ferito del
giovane mutante in arancio, ed iniziò a scartare la rudimentale fasciatura che
aveva fatto ormai quasi un giorno prima. Il tessuto, ricavato da un indumento
umano, era rigido di sangue coagulato. Raffaello cominciò ad aprire la
confezione di bende che Leonardo aveva portato, per poi fermarsi a metà
operazione per contemplare sconfortato le proprie mani: erano luride. Tutto
l’ambiente era sporco. Non erano proprio le condizioni igieniche ideali per una
medicazione. Afferrò il flaconcino di disinfettante, sperando con tutto sé
stesso che potesse essere d’aiuto più di quanto sembrasse.
Leonardo
finì di aprire la bendatura. Rimosso l’ultimo strato di tessuto, appiccicato
alla ferita, avvertì un leggero odore sgradevole. La vista della lacerazione
gli fece accapponare la pelle, e il suo cuore prese nuovamente a correre forte sotto
il piastrone.
Il profondo
squarcio che saliva dal polso al gomito aveva smesso di sanguinare, ma era
gonfio e scuro; una parte delle ossa del gomito era visibilmente staccata dal
resto dell’articolazione, tranciata di netto dal fendente. La carne e l’osso
erano esposti, vivi, ricoperti di scuro sangue secco; le pelle in quei punti si
era come ritirata su sé stessa. La mano, troncati i nervi, pendeva inutile; le
punte delle dita erano già segnate di nero.
Leonardo
sentì salire le lacrime agli occhi, quasi sopraffatto dalla realizzazione di
ciò che stava vedendo. Non serviva essere esperti come Donnie, per capire che
la ferita era troppo grave per guarire senza lunghe e complesse operazioni
chirurgiche.
Ed iniziava
a manifestare i segni di un’infezione.
Nel silenzio
della stanza, il cuoio delle ginocchiere schioccò contro il pavimento quando Raffaello
si buttò anche lui in ginocchio, imprecando ancora; la tartaruga mascherata in
rosso avvicinò una mano tremante all’arto maciullato del fratello minore, ma
non lo toccò. Cercò di nuovo gli occhi blu di Leonardo, e questi ancora una
volta si alzarono ad incontrarlo, poi scesero ai medicamenti poggiati lì
accanto: entrambi i fratelli avevano capito che disinfettante da banco ed un
antibiotico in compresse sarebbero serviti a poco. E che quando Michelangelo avrebbe
ripreso conoscenza, per il dolore ci sarebbe voluto bel altro che il
paracetamolo.
Raffaello provò
un senso di costrizione al petto, al pensiero. Se avesse ripreso conoscenza.
…
Il giorno,
caldissimo e greve, era trascorso lentamente. Raffaello aveva cercato invano di
dormire, ed aveva camminato come un automa avanti ed indietro per la stanza,
per ore ed ore. Aveva sussultato, ad ogni rumore proveniente da fuori, ad ogni
sparo nelle vicinanze, girandosi a guardare Leonardo, che gli restituiva ogni
volta uno sguardo allarmato nel quale si rifletteva, speculare, la stessa
costante paura. Un intero esercito era in cerca di loro, e solo il destino
avrebbe deciso se il nascondiglio provvisorio li avrebbe potuti salvare.
Le ore non
passavano mai. Il suo stomaco aveva brontolato forte. La fame, dopo più di due
giorni che non toccavano cibo, iniziava a farsi sentire con insistenza. Ed ad
ogni fastidiosa contrazione dello stomaco Raffaello non aveva potuto fare a
meno di pensare che anche Michelangelo, nelle sue condizioni, era per di più
digiuno.
Il fratello
minore, durante la giornata, si era svegliato due volte. La prima, mentre Leonardo
gli stava cacciando a forza le compresse giù in gola. Michelangelo aveva
tossito, e Raffaello aveva pregato il cielo e l’inferno che nessuno lo avesse
sentito da fuori. I droni di ricerca, quei maledetti robottini volanti,
riuscivano a percepire il minimo suono da lunghe distanze. Era stato Leonardo,
questa volta, che tenendo la testa e le spalle del fratello tra le sue braccia,
gli aveva tappato la bocca; Michelangelo l’aveva guardato spaventato e confuso,
stravolto dal dolore, per poi perdere nuovamente i sensi e crollare tra le
braccia del fratello come un fantoccio di pezza.
La seconda
volta, era stato un po’ più lucido. Aveva chiesto dove fossero e Leonardo gli
aveva spiegato pazientemente la situazione, carezzandogli il viso sudato.
Michelangelo si era guardato un po’ intorno, gli occhi azzurri velati dal
tormento e dalla febbre, aveva perfino regalato un mezzo sorriso a Raffaello,
quando questi gli si era seduto accanto, prendendogli la mano sana. Poi aveva
chiesto di Donatello, e di Splinter. Raffaello si era sentito stringere il
cuore: la febbre si era fatta pericolosamente alta, portando Michelangelo a delirare.
Dopo un paio
d’ore di sofferenza, nonostante gli antidolorifici, di respiri tra i denti e acute
fitte di dolore leggibili sui giovani lineamenti contratti, tra la tormentata
impotenza dei fratelli al suo fianco, l'arancione era finalmente tornato a dormire.
Raffaello aveva potuto rilasciare i pugni, stretti fino a piantare le unghie
nei palmi, disegnando due mezzelune rosse.
Al tramonto,
aveva aiutato Leonardo a rifare la fasciatura.
La ferita
era ancora più gonfia. Un liquido bianco e giallastro trasudava adesso in
alcuni punti. L’odore era sgradevole, di zolfo e carne marcia.
Le due
tartarughe mutanti rimasero in silenzio, osservando la ferita. Leonardo poteva
sentire chiaramente il proprio respiro, nell’aria immobile dello scantinato.
Ancora, il respiro, irregolare e morbido, di Michelangelo svenuto. Quello,
veloce e duro, di Raffaello davanti a lui. E la voce, stranamente flebile, di
quest’ultimo.
“Leo?”
Appena un bisbiglio.
Leonardo
strinse gli occhi. Inalò l’aria, lentamente, dal naso, e la espulse altrettanto
lentamente dalla bocca. Si riscosse ed iniziò a riavvolgere l’arto nelle bende
pulite.
“Stanotte
dovrò uscire ancora. Serve qualcosa di più forte… Forse, forse troverò qualcosa
in ospedale… Forse iniezioni…”
“In
ospedale?” Raffaello s’infervori, ma sempre sottovoce. “Ma sei pazzo? L’unico
rimasto è presidio e-“
Leonardo
scosse la testa.
“In uno
abbandonato, come il Bellevue… Con un po’
di fortuna posso andare e tornare in due, tre ore al massimo.”
“E poi? Credi che sia rimasto qualcosa? Cosa vorresti
trovare?”
“Non lo so!” sbottò, alzando un po’ la voce. I due
fratelli si girarono istintivamente a guardare verso la finestrella che dava
sulle macerie del vicolo, ed attesero qualche secondo.
“Non lo so, Raph – ripeté, più piano, passandosi
una mano sulla testa. – Non ho idea di cosa serva, non so cosa cercare… Io non
lo so…”
Il silenzio che tornò quando si spensero le parole sommesse
era pesante e doloroso. Raffaello strinse i pugni e ci abbassò contro il viso, chiudendo
gli occhi. Leo, Leo non sapeva cosa fare. E se non lo sapeva lui, chi l’avrebbe
saputo? Senza Donnie con loro, non avevano idea di come curare il fratello. Non
potevano chiedere aiuto, non c’era più nessuno che potesse assisterli. Cosa
potevano fare? Rapire qualche medico e costringerlo a curare Mikey? Ma di
questi tempi, dove l’avrebbero trovato? Il senso d’impotenza lo rendeva
furioso: Mikey era gravemente ferito, peggiorava di ora in ora, e loro da due
giorni non stavano facendo altro che restare lì, ad aspettare.
“Raph…”
Il mutante mascherato in rosso rialzò la testa.
“Credo… Dovremmo… Il suo braccio…”cominciò il blu.
Raffaello strinse gli occhi a due fessure, due
gelidi spicchi di giada.
“Cosa stai dicendo?”
“Noi non sappiamo curarlo, Raph, e credo che comunque
nessuno potrebbe più fare niente, a questo punto, per il suo braccio.”
Con un movimento rapido Raffaello si alzò in piedi.
“Stai suggerendo di tagliargli il braccio?” chiese
tra i denti, inorridito.
Leonardo distolse lo sguardo. Sempre inginocchiato
davanti a Michelangelo, gli sfiorò per l’ennesima volta il volto con le dita.
Rimase in silenzio; Raffaello sapeva già la risposta. Il rosso imprecò e si
mise a camminare furiosamente per la stanza.
“No, Leo. Noi non possiamo. Non il suo braccio. Oh,
cristo…”
Leonardo passò il retro della mano sulla guancia
pallida del mutante ferito; Michelangelo mugugnò, strinse gli occhi, ma non si
svegliò.
“Raph, uscirò per procurarmi qualcosa. Se non
migliora, non avremo scelta.”
Raffaello si fermò, si coprì gli occhi con una mano
e rilasciò un paio di respiri rumorosi come gemiti. L’aria polverosa nella
stanza sembrava ad un tratto vischiosa come melassa. Nella penombra, le forme
massicce delle casse accatastate incombevano come demoni neri pronti a
staccarsi dalle tenebre delle pareti per avventarsi su di loro.
“Come… come faremo…”
La risposta del leader fu un sussurro stanco e mesto.
Abbassò la sua testa su quella di Michelangelo, fronte contro fronte.
“Lo farò io.”
…
Era tornato all’alba. Aveva portato altra acqua, e
cibo. Bende, decine di flaconcini di medicine, iniezioni e strumenti medici
vari.
Almeno quel poco che riconosceva. Si era introdotto nel vecchio ospedale,
rischiando la vita, ma la maggior parte dei flaconi di medicinali, che
sarebbero potuti servire, a lui non dicevano niente. Aveva avuto conferma, con sgomento, che senza
conoscenze mediche, ciò che poteva somministrare al fratello era solo blando e
limitato.
Inoltre l’avevano avvistato ed aveva dovuto fare un
giro lunghissimo per depistare i soldati e restare nascosto a lungo prima di poter tornare al rifugio provvisorio.
Era mancato tutta la notte, il giorno successivo e
di nuovo la notte.
In questo tempo, era stato tormentato dall’ansia
crudele data dalla consapevolezza che i suoi fratelli erano rintanati in quello
scantinato, con questo caldo infernale, e senza viveri. E che ogni ora era
importante, per Mikey.
Gli avevano nuovamente sparato addosso. Le lievi
ferite ricevute nei giorni passati appesantivano il corpo sfiancato, tirando e
dolendo, ed inevitabilmente le sue mosse erano state meno fluide del solito, i
suoi movimenti meno veloci. Ancora una volta, solo un colpo di fortuna gli
aveva permesso di sottrarsi ai numerosi inseguitori. Ma per sfuggire alle
raffiche, si era contuso un piede, saltando da un’altezza che andava ben oltre
le sue possibilità. Adesso, quando era rientrato nella stanza dove giaceva
Michelangelo, Leonardo era scosso, esausto, e zoppicava vistosamente.
Per prima cosa, corse a dare da bere a
Michelangelo. L’arancione aveva adesso la febbre molto alta, e nel sonno mugugnava
parole incomprensibili, ansimava con la bocca aperta, si muoveva, agitato. Raffaello,
seduto per terra, gli teneva la testa in grembo.
Il rosso alzò lo sguardo esausto, quasi allucinato.
“Dove sei stato?”
“Mi hanno visto. Non potevo tornare.”
“Cos’hai alla gamba?” domandò ancora Raffaello dopo
aver bevuto bramosamente da una bottiglia d’acqua, quindi aprì una lattina con
la punta del suo sai.
“Niente. – Il blu prese a scartare ancora la
fasciatura del fratello. – Credo solo una slogatura alla caviglia. Ha ripreso
conoscenza?”
“No.”
Raffaello trangugiò il contenuto della lattina di
conserve, senza neanche capire di cosa si trattasse; forse piselli.
Leonardo gettò con stizza di lato le bende sporche
che aveva appallottolato; esposta, la ferita mostrava il suo peggioramento.
L’infezione era avanzata. Pus trasudava dal profondo squarcio.
“Mio dio…”
Si premette un attimo la fronte con i palmi delle
mani.
Forse era tardi, era troppo tardi.
Non c’era altro tempo da perdere.
Si alzò in piedi, ed iniziò ad impartire ordini.
“Raph, prendi il flacone di alcol, e disinfettati
le mani. Poi apri quel telo e stendilo per terra.”
Si tolse di dosso le cinghie con le custodie delle
katana, che poggiò ai suoi piedi, si sfasciò le mani e i polsi e sfilò i pad di
protezione ai gomiti, quindi, aperta la confezione di salviette disinfettanti,
iniziò a sfregarsi braccia e piastrone. Spostò il fratello, sollevandolo
delicatamente da sotto le ascelle, fino a portare la parte sinistra del suo
corpo sul telo. Si accosciò nuovamente per terra, aprì la confezione del laccio
emostatico, lo avvolse e strinse al braccio ferito del fratellino esamine, un
palmo sotto la spalla. Michelangelo gemette più forte, inarcando il collo e le
spalle. Leonardo gli passò un’abbondate dose di tintura di iodio su tutto il
braccio, dall’ascella in giù.
Quindi scartò una siringa, la riempì con la fiala
di ketamina che aveva preso in ospedale. Era l’unico narcotico che aveva saputo
individuare, e tra l’altro non conosceva l’esatta quantità che andava somministrata.
Cercò una vena nel braccio sano, disinfettò il punto ed iniziò a iniettare
piano il liquido chiaro: non poté fare niente contro il tremore che prese ad
agitare la sua stessa mano che spingeva il pistone della siringa. Se la
quantità fosse stata troppo poco, c’era il rischio che Michelangelo, seppur al
momento svenuto, potesse svegliarsi al momento dell’amputazione; se ne avesse
iniettato troppo… Donatello una volta gli aveva spiegato molto chiaramente i
rischi di questa droga: danni irreversibili al sistema nervoso e al cervello,
collasso cardiocircolatorio.
Lasciò cadere la siringa sul pavimento, prese infine
un panno, e lo inzuppò d’alcol. Sfilò lentamente una katana dalla guaina poggiata
per terra, e la strofinò con vigore. Non bastava, sapeva che non bastava; ma
non poteva fare nient’altro.
I battiti del suo cuore risuonavano adesso forti nei
suoi padiglioni auricolari. Le mani tremavano ancora. Per un lunghissimo,
tremendo attimo, temette di non trovare la forza per fare ciò che andava fatto.
“Raph…”mormorò in un fiato.
Gli occhi verdi, davanti a lui, lo guardavano in
attesa, dilatati. Le pupille di smeraldo erano opache di stanchezza. Raffaello
gli diede un piccolo cenno del capo, incitandolo ad andare avanti. Leonardo
notò che il fratello mascherato in rosso era pallidissimo; si chiese se lo
fosse anche lui.
“Lui… Potrebbe non farcela. Non abbiamo sangue, e
ne ha già perso tanto. Qui dentro è tutto sporco e lui ha già un’infezione…”
“Fallo, maledizione, Leo. Adesso.”
Le parole di Raffaello erano dure e taglienti, ma i
suoi occhi erano persi e disperati. Giovani e spaventati. Anche se aveva ormai
ventun’anni, era un ninja, era un guerriero, aveva già visto il mondo andare in
frantumi, la gente perdere libertà e dignità.
Aveva già visto morire il loro padre ed aveva perso
un fratello, fatto prigioniero dalle milizie di Shredder; troppe notti, Raffaello si
era svegliato col viso bagnato di lacrime, negli ultimi mesi, inveendo contro
qualsiasi crudele divinità che lo stesse ascoltando, pregando che il gentile e
geniale fratello in viola fosse morto subito, dopo la cattura, e non avesse
invece scontato a lungo sulla propria pelle la folle ira del loro nemico. Tra la cattura e la macabra esposizione del
trofeo fuori dal quartier generale di Shredder erano passate settimane. Incubi
rossi e crudeli, di sangue e catene, di occhi rosso nocciola che urlano, rubavano
ancora il suo sonno; sotto le sue palpebre, appena le chiudeva, la vista di
quel vuoto guscio mutante, nero di sangue rappreso, inchiodato al muro, si
riproponeva più e più volte, orribile e vivida.
Adesso, era
convinto che se avesse perso anche quest’altro fratello, non avrebbe potuto
continuare a camminare lui stesso su questa terra. Perdere anche Mikey era
un’idea talmente terrificante che il suo cervello si rifiutò di prenderla in
considerazione, temendo che avrebbe potuto impazzire. Mikey sarebbe rimasto con
loro, stop. Leo avrebbe tagliato via quel braccio e Mikey sarebbe stato bene.
Si strinse
il lato della bocca fino ad assaggiare il gusto salato e ferroso del sangue, ed
a sentir palpitare la carne delicata al ritmo dei suoi battiti. No. In ogni caso,
nella migliore delle ipotesi, Mikey sarebbe stato mutilato a vita. Invalido,
rotto. Ma non lo erano tutti, in fondo, ormai? Cosa restava loro, che avevano
perso tutto?
Gli occhi di
Leonardo ricambiarono lo sguardo del fratello, spaventati e lucidi, con le
iridi dilatate dall’adrenalina e dalla scarsa luce dello scantinato. Una mosca
ronzava nella luminescenza dorata che entrava dalla finestrella, tra i puntini
luminosi dei granelli di polvere sospesi nei raggi.
Raffaello
diede ancora un lievissimo cenno del capo. Leonardo rispose, lentamente, poi
strinse gli occhi, deglutì, e li riaprì, adesso profondi laghi blu di
determinazione.
La lama,
scendendo, balenò una gelida luce.