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Autore: Reading4    25/10/2015    1 recensioni
Questa storia è molto semplice, ma al contempo ho deciso di analizzare in profondità le caratterisctiche fisiche-psicologiche dei personaggi in essa descritti. In poche parole la storia narra di un personaggio nuovo che si inserisce nell'ambiente che noi tutti conosciamo: la Radura prima dell'arrivo di Thomas (anche se mi dispiace un po' lasciarlo fuori). Ho deciso di porre però una modifica sostanziale: al posto di una cinquantina di soli maschi, in questa Radura vivono insieme un numero equivalente di maschi E femmine. Ovviamente non voglio rovinare nulla, però la trama ruoterà soprattutto attorno ad una relazione abbastanza complicata, tra la nuova protagonista e il mio personaggio preferito di tutti e tre i libri, Minho! Spero vivamente vi piaccia il frutto della mia immaginazione.. buona lettura!
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Minho, Newt, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Una folla.
Un milione o forse più di persone che si ritrova nello stesso luogo, i battiti del cuore accelerati, le orecchie che fischiano, la mente che non riesce a concentrarsi su una sola immagine.
Una folla.
Persone da ogni parte del mondo, reduci di un viaggio lungo chilometri, pronti a tutto pur di vivere questo preciso istante.
Una folla di pazzi, di pazzi esaltati rumorosi ed alterati.
E io ne sono parte.

Improvvisamente le luci della stanza si spengono, i respiri diminuiscono, l'agitazione aumenta, scorre nel sangue, posso sentirla percorrere ogni centimentro del mio corpo, fino a rinchiudersi, dolorosamente stretta allo stomaco.
In quel preciso momento un boato parte dalle casse, accompagnato da una copiosa scia di fumo sprigionata da macchinari nascosti.
Un fascio di luce colpisce le persone, si muove fra la folla, come intenta a cercare qualcuno.
Poi si ferma, illuminando due ragazzi.
Le urla aumentano incontrollate.
E il concerto inizia.

La musica è forte, fortissima, mi riempie le orecchie e mi entra nel cervello, mi spinge ad urlare, ad alzarmi, a ballare senza controllo.
Le parole della canzone mi escono spontaneamente dalla bocca accompagnando quelle del cantante, tento di farmi sentire, di urlare più degli altri, di separarmi dalla folla pur continuando a farne parte.

Come sono arrivata li? Non faccio nemmeno in tempo a chiedermelo che mi ritrovo sotto il palco, proprio ai piedi dei musicisti, spintonata da corpi sconosciuti e sudaticci, fino quasi a cadere.

Ma che razza di concerto è? Conosco le parole eppure non ricordo il nome della canzone o della band, o di aver comprato i biglietti, e nemmeno di essere arrivata fino a quel punto.
Socchiudo gli occhi e l'attimo dopo mi ritrovo sul palco.
Cosa diavolo sta succedendo? Non riesco proprio a capire. Da un momento all'altro dalle tribune mi sono ritrovata sul palco, a pochi metri da un cantante che sembro adorare e che... mi sta allungando una mano?
Eccolo lì, mi guarda e mi sorride, aspettando che unisca la mia mano alla sua.
La folla urla, mi incita.
Decido di accontentarlo.
In quel momento il ragazzo -sono sicura di conoscerlo, eppure non ho idea di chi sia!- apre la bocca e, senza smettere di sorridere, inizia a cantare.
Solo che mi accorgo che quella non è più la  sua voce e quelle che stanno uscendo non sono parole nè tantomeno una canzone e la musica si è spenta e la folla non urla più: sento solo un incessante, fastidioso rumore.

DRIIN DRIIN DRIIN

Il palco inizia a tremare, sotto i miei piedi si crea una voragine senza fondo, un buco nero che risucchia tutto, facendomi cadere nel buio più profondo, accompagnata solo dalle mie urla.
E quel rumore ripetitivo.

DRIIN DRIIN DRIIN

Aprii gli occhi.
Mi ci volle un momento per riuscire a comprendere quello che stava succedendo. Un attimo prima mi ritrovavo, mano nella mano, accanto a un ragazzo su un palcoscenico, mentre ora l'unica cosa che riuscivo a vedere era un muro bianco.
Pochi secondi dopo la memoria tornò.
Ricordavo tutto.
Non mi trovavo ad uno stupido concerto, bensì in camera mia, nel mio letto, sotto le  coperte con i fiori stampati che mi aveva regalato mia nonna un paio di anni fa.
Accanto a me non c'era il cantante di una band, bensì un muro, tappezzato di foto che mi ritraevano insieme ai miei amici del liceo: prove sbiadite di una lontana felicità.

DRIIN DRIIN DRIIN

Ancora quel rumore.
Mi tirai su dal letto e con un movimento rapido spensi la sveglia.
Segnava le 9.30 del mattino.
Da quando la scuola era finita mamma impostava la sveglia sempre più presto, preoccupata che altrimenti non avrei compiuto tutti quei compiti che ogni mattina mi assegnava.
Andai in cucina.
Tipico. 
Sul tavolo era appoggiato un biglietto sul quale era scritto un messaggio apposta per me.

Buongiorno figlia!!
Oggi giorno di ASPIRAPOLVERE mi raccomando passala bene e dappertutto (salta la cucina)
Baci M.
Ps: pasta x babbo con sugo


Sorrisi.
Ogni mattina mi lasciava un biglietto simile a quello, tendando di essere affettuosa ma, allo stesso tempo, risoluta.
Ogni settimana le faccende si ripetevano: il lunedi spazzare il pavimento, il martedì stirare, il mercoledì pulire i mobili della sala, il giovedì spolverare camera mia, il venerdì passare l'aspirapolvere in tutta la casa.
Ormai era passato così tanto tempo che non avevo più bisogno di quei bigliettini: sapevo benissimo qual era il lavoro da svolgere.
Lei però me li lasciava comunque.
Da quando avevo finito il liceo avevo passato le prime settimane a non fare assolutamente nulla. Inizialmente era divertente, ma poi, con il passare dei giorni, quel non fare nulla stava diventando sempre più noioso, quasi soffocante.
Ma di uscire proprio non se ne parlava.

Avevo all'incirca quattro o cinque anni quando tutto era iniziato.
All'epoca ancora non riuscivo a comprendere fino in fondo che stesse succedendo, l'unica cosa che capivo era che i miei genitori avevano iniziato a trascorrere un tempo lunghissimo davanti alla televisione, senza permettermi di stare con loro.
Attraverso i muri riuscivo a sentire mia madre piangere, sia di giorno che per tutta la notte.
Avevo sette anni quando mi spiegarono tutto, dicendo che ormai ero diventata abbastanza grande per capire che ben presto il mondo non sarebbe più stato lo stesso.
Una serie di eruzioni solari aveva bruciato ogni traccia di civiltà conosciuta nella zona dell'equatore: dal Tropico del Canco a quello del Capricorno.
La distuzione era continuata per chilometri oltre i due tropici, distruggendo anche buona parte dell'Europa e degli Stati Uniti.
Questo, unito al fatto che un virus mortale si era sparso velocemente nelle maggiori capitali, aveva spazzato via buona parte della popolazione mondiale.
Mi spiegarono che per il momento non dovevamo preoccuparci, che eravamo al sicuro nella nostra piccola e isolata città situata nel nord del Canada, ma che forse un giorno saremmo dovuti scappare.
Com'è che si dice? Le cattive notizie non arrivano mai da sole.
Poco tempo dopo infatti un numero indefinito di bambini iniziò a scomparire.
Inizialmente pochi, poi un numero sempre più ampio.
Da questa disgrazia però, la mia città, da tempo ritenuta sicura e immune alle catastrofi, non riuscì a sfuggire, tanto che quello stesso anno erano scomparsi una decina di bambini e ragazzi di ogni età.
Mamma e papà erano stati chiari: di uscire non se ne parlava proprio.
Ed ecco quindi come sono arrivata alla mia situazione: un mese a fare nulla rinchiusa in casa, senza la possibilità di vedere i miei amici che, tra l'altro, erano mezzi scomparsi anche loro.

Certo rimanere in casa era sicuro, ma non mi proteggeva da qualcosa che ritenevo essere ancora peggio: la noia.
Il tedio, la disperazione esistenziale.
Non ho idea del perchè, ma quella routine forzata, quella prigionia protettiva, tutta l'ansia e l'apprensione mi deprimeva come niente al mondo.
Ogni mattina, dopo essermi svegliata, tentavo di tenere la mente occupata per il maggior tempo possibile dedicandomi alle faccende di casa, ma, un giorno dopo l'altro, arrivava inesorabilmente il momento in cui mi lasciavo andare all'insieme di inutili ricordi di un passato che non sembrava appartenermi, colmo di eventi che allora giudicavo naturali, ma che in questo momento mi rendevo conto rappresentavano la felicità stessa.
L'ansia prima di un test.
Le prese in giro dei compagni di classe.
Le risate in compagnia, di quelle che ti tolgono il fiato e che ti sembra di svenire.
Il piacere di ascoltare una canzone nuova, di affondare la scarpa nella neve alta dopo la prima nevicata dell'anno, di sentire la brezza leggera sul viso che preannunciava la primavera imminente, il profumo del pane appena sfornato, il sorriso del ragazzo che ti piace, le nuvole scure e cariche di elettricità che precedevano un temporale estivo e che magari ti coglieva di sorpresa e ti costringeva a correre ai ripari, ridendo insieme ai tuoi amici.



Sospirai sconfortata, il biglietto ancora stretto dalle mani.
-Quanto vorrei che questa vita finisse.


 
SPAZIO SCRITTRICE

Salve a tutti!
Inanzitutto, ringrazio chiunque sia riuscito ad arrivare fino in fondo a questo capitolo. Spero sia stato di vostro gradimento! So che per il momento non si è ancora parlato di Labirinto o Radura e che ci sono un paio di punti in sospeso, ma presto arriveremo ad iniziare seriamente la storia.
Detto questo, fatemi sapere che ne pensate! Sia del capitolo, sia della trama, sia della grammatica.. infatti, anche se non mi piace dirlo in giro, non sono una scrittrice professionista e quindi spesso e volentieri mi lascio sfuggire un po' di errori. A parte gli scherzi, ditemi tutto ciò che vi passa per la mente! Ringrazio ancora tutti e vi auguro un buon proseguimento di serata :)

Reading4
  
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