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Autore: Naki94    28/10/2015    1 recensioni
[Lovecraft]
Omaggio all'autore H. P. Lovecraft i cui scritti sono diventati i miei sogni ricorrenti. Questo è un nodoso intreccio di vari racconti e romanzi da me scelti e coraggiosamente uniti tra loro da un unico magico filo conduttore. Parlo e gioco con l'autore, dall'inizio fino alla fine, in uno scambio di idee e immagini oniriche continue.
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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In verità non so affatto da dove partire per raccontarvi cosa è accaduto in quei giorni di indagine sul sovrannaturale. E' chiaro che Nelson Bruni mi avesse chiamato in maniera così urgente per qualche valido motivo, Si trattava di un messaggio in segreteria. La voce di Nelson era torbida e lontana. Non lo vedevo da parecchi anni, da quell'escursione al cimitero di Macerata. Dopo quel singolare episodio nessuno dei due era stato in grado di ricordare quanto successo. Un contadino ci trovò privi di conoscenza e con strani lividi sul torace e sulla fronte. Questo dettaglio ci fu raccontato in seguito al nostro risveglio presso l'ospedale della città. Tentai, come era mia natura fin da quando ero bambino, di esplorare il mondo del sogno in cerca di qualche ricordo. Una notte misi in atto un bizzarro rituale che ero riuscito a decifrare da un antichissimo libro proveniente dalla Turchia. Il professore di storia dell'università di Ferrara mi aiutò con la traduzione. Il fatto che il rituale non andò a buon fine lo devo al fatto che l'ultima parte del libro non mi fu inviata tradotta completamente. Il professore a cui avevo commissionato l'arduo compito sparì nel nulla nei pressi di un cimitero all'interno di un vetusto castello in pericolo di crollo. Le ricerche andarono avanti per giorni, ma il corpo non fu mai trovato. Temevo che quel libro avrebbe portato alla tomba anche me. Insomma, dopo il rituale descritto in parte sul libro mi addormentai sul tappeto indiano che rivestiva il pavimento del soggiorno. L'ultima cosa che avvertii fu l'odore forte e penetrante dello stoppino della candela che si smorzava. Forse un colpo di vento proveniente dalla finestra aperta aveva spento il lume. Sognai di nuovo di trovarmi a piedi nudi sull'alta terrazza che dominava quella incantevole città. Riluceva, dorata e splendida nel tramonto, con i suoi templi, i colonnati e i ponti ad arco di marmo venato, mentre fontane d'argento zampillavano con un effetto prismatico su ampi piazzali e giardini profumati. Le statue d'avorio incorniciavano le strade colorate di boccioli. Un lunga serie di tetti d'argento si espandeva verso Nord e antichi merli incoronavano le mura, mentre strette viuzze e stradine erbose coperte di ciottoli si contorcevano in tutta quella bella composizione di edifici e opere architettoniche. Di questo sogno raccontai alcuni dettagli anche a Nelson per corrispondenza qualche mese dopo l'accaduto. Ma non ricevetti mai alcuna risposta. Gli raccontai di quando appoggiato al parapetto adorno di fregi guardavo estasiato quella città carica di bellezza e il tramonto dei due Soli col desiderio di scendere quella scalinata che dall'alta terrazza portava in città. Il desiderio era tanto forte quanto il timore di quello che avrei potuto trovare in quel mondo di strade e viuzze immerse nel tramonto e cariche di sortilegi di ogni tipo. Ricordo che la caduta dei due Soli fu particolarmente breve. Sparirono dietro gli sconosciuti monti oltre il gelido deserto in cui nessun uomo osa avventurarsi. Fu subito notte. E un rumore d'ali iniziò a graffiare l'aria sopra di me nel vuoto assoluto del cielo. I settanta gradini che mi separavano dalla città splendente divennero neri e presero a sbriciolarsi sommersi dal buio di tenebra. Rimasi solo in quel volteggiare di immense ali. Mi sentii afferrare da quegli essere oscuri ed estremamente magri. Sentivo i grossi artigli delle zampe posteriori premere contro la pelle. I piedi nudi si levarono dal pavimento di marmo finché, sollevato verso grande altezze da una di quelle innominabili creature, non mi ritrovai nel vuoto nulla dell'universo buio e freddo. Da quell'altezza potevo vedere uno sola cosa che prima sulla terrazza non avevo minimamente notato: i settanta gradini non conducevano verso la bramata città dorata, ma all'interno di una caverna in fiamme le cui lame di luce erano appena percettibili in quel buio. Lì si nascondevano i barbuti sacerdoti di Nasht e Kaman-Thah. Mi risveglia sul mio tappeto indiano al centro del soggiorno. Capii così che non mi era permesso ricordare ciò che era accaduto né tanto meno esplorare quel mondo di sogno e dunque scendere tutti i settanta scalini. Ci misi un po' a trovare il paese nel quale era previsto il mio incontro con Nelson. Si trattava di una piccola cittadina rurale a cui si ha accesso tramite un contorta stradina che serpeggiava nei tratti di campagna e di boscaglia. Non fu semplice ma quando arrivai fui estasiato nel notare in tutto quell'assemblaggio di colori ed edifici una calma innaturale. Imparai successivamente che il clima in quella zona non mutava mai. Un cielo parzialmente coperto dalle nuvole lasciava fuggire qualche caldo raggio di sole. Nei momenti in cui il sole era completamente assente o coperto calava un rigido e straziante freddo che penetrava nelle ossa. Passeggiando in cerca dell'abitazione di questo vecchio amico notai la presenza di uno oggetto in possesso ad ogni persona che casualmente incontravo nel mio percorso. Ognuno portava con sé un ombrello e camminava tenendolo aperto pure col sole! Solo in seguito mi accorsi che, osservando attentamente attraverso l'aria, si potevano chiaramente notare leggerissime gocce di pioggia che tagliavano lo sfondo. Arrivai a destinazione completamente fradicio senza accorgermene e Nelson, estremamente invecchiato dall'ultimo mio ricordo, si fece scappare un bonario sorriso. Una casa molto larga e spaziosa se solo non fosse stata ricoperta ogni dove di libri e scaffali. Sembrava essersi dato da fare negli ultimi anni. Aveva sempre avuto l'abitudine di mantenersi al buio perciò quando entrai non fui sorpreso di trovare le tapparelle completamente abbassate e solo qualche lampadina accesa qua e là oltre che una serie di candele. Chiuse subito la porta alle mie spalle non appena varcai la soglia. La luce lo infastidiva parecchio. In quel buio potevo vedergli luccicare gli occhi grigi come quelli di un felino. Mi fece sedere su la sua poltrona, mentre lui preferì sistemarsi su un treppiede di legno e vera pelle che acquistò da uno sciamano Masai nel territorio Sudest dell'Africa. Aveva viaggiato molto in Africa. Conobbi Nelson in aeroporto di ritorno da uno dei suoi magnifici viaggi. Non ricordo esattamente da quale paese io stessi tornando, ma notai subito quel giovane ragazzo che giocherellava tenendo tra le dita uno stranissimo oggetto all'apparenza d'ebano. Dato il mio carattere esploratore e curioso non passò molto prima che gli domandassi l'origine. Mi raccontò di aver scalato gran parte del Kilimangiaro per trovarlo. Lassù, ad una certa altezza, era stata posta una parte della tribù indigena che aveva il villaggio ai piedi del monte. Erano guerrieri scelti, Masai preparati ad ogni evenienza. Il loro compito era quello di sorvegliare la soglia di una cavità oscura affinché nessuno potesse metterci piede. Alcuni di loro erano morti solo a starle accanto. Si diceva che quella grotta respirasse e che il fiato gelido che ne usciva era velenoso. Altri dicevano che non erano solo i Masai a sorvegliarla, ma che gli dèi Antichi avessero posto piccoli insetti di nome Pinzy che, se destati durante il loro vigile sonno, producevano un suono così orribile e acuto da portare chiunque alla follia. Il ragazzo che conobbi in aeroporto non mi raccontò mai del tutto la storia né come arrivò ad ottenere quell'artiglio nero che teneva tra le mani. Mi disse però il suo nome e divenni suo amico e compagno indagatore dell'incubo e del sovrannaturale.

 
   
 
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