Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Hamartia    28/10/2015    1 recensioni
2575 a.C. Menfi, Egitto.
Era una notte fredda come tante altre, il firmamento splendeva sulle mura bianche della capitale e sul deserto circostante. La luna rendeva la sabbia così bianca da farlo sembrare un panorama lunare.
Al porto di Ineb-hedj gli unici suoni erano quelli dell'acqua del Nilo, che scorreva tranquilla tra le leggere imbarcazioni di papiro lì attraccate, il gracidare delle rane nascoste tra le piante della riva e una leggera brezza muoveva le canne, diffondendone il fruscio.
Genere: Avventura, Sovrannaturale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo II
~
 
Tebe, 2585 a.C. XV giorno del mese Apofi della stagione Akhet1: il Nilo era all'apice della sua piena ed aveva inizio la festa di Opet.
La folla si era radunata ai lati delle porte del tempio di Karnak: il sole splendeva alto e bruciante sulla sabbia che scottava sotto innumerevoli sandali, l'odore acre del sudore si mescolava nell'aria a quello delle mille fragranze e olii speziati, spalmati ovunque per purificare l'anima, le bronzee braccia scoperte si sfioravano l'un l'altra mentre una miriade di occhi fissavano le colossali porte del tempio e il fruscio delle leggere tuniche di lino di chi si spostava tra gli stretti spiragli della calca per trovare un punto di osservazione migliore era il solo rumore in quel pesante silezio impregnato di attesa. A momenti le porte si sarebbero spalancate e la festa sarebbe iniziata. Infatti così fu: con un leggero tonfo le porte vennero spalancate dai servitori di corte.
E poi eccolo: il Faraone, il cui capo era sormontato dal copricapo regale, il viso appuntito dalla barba posticcia, scettro alla mano e pettorale d'oro scintillante usciva con passo deciso dal tempio. L'oro di cui era ornato sembrava riflettere l'anima stessa del Sole, il figlio di Ra in tutto il suo splendore, e così quella figura, che non era altro che un uomo come tutti gli altri, sprigionava un tale potere che il clamore del popolo fu tale che sembrava quasi impossibile l'idea che gli Dei stessi non l'avessero udito. Il sovrano era seguito dai sacerdoti che purificavano il suolo e l'aria e l'amsofera si riempiva pian piano del forte odore di incenso proveniente dal dondolio dei lucidi flabelli dorati, i quali allontanavano le magie infauste da quel momento di festa. Ed infine vi erano i sacerdoti che portavano in spalla i simulacri delle barche su cui erano ben saldate le statute: Amon era il più grande, seguito dalla moglie Mut e dal figlio Khonsu. Per quanto fossero state lucidate non riflettevano la luce del Sole ma la assorbivano, dando loro un'aspetto tenebroso e ancor più nero del granito stesso in cui erano state scolpite.
La triade tebana svettava sulle spalle dei sacerdoti e sulle teste della folla, da dove le tre figure dallo sguardo severo sembravano osservare e giudicare tutto il regno, come se potessero alzarsi, prendere vita e dannare per l'eternità chiunque lì sul posto. Qualsiasi fossero le colpe delle tante persone sotto di loro, i tre restavano comunque immobili, impassibili e disinteressati dai comuni problemi umani e si lasciavano trasportare dai sacerdoti.
Lentamente arrivarono alla grande barca fluviale di Amon e il corteo di barche iniziava la sua traversata.
Intanto lungo la riva del Sacro Nilo si avviava la processione formata dall'esercito tra cui spiccava la figura muscolosa di Senmut, ormai divenuto un uomo adulto dal perfetto incarnato olivastro reso più scuro dall'abbronzatura delle tante ore passate ad allenarsi sotto al Sole, i lineamenti duri, zigomi sporgenti, mascelle larghe e pronunciate, occhi grandi e neri, ora fiero nel suo nuovo ruolo di responsabile dell'addestramento del gruppo militare del distretto di Menfi. Durante i duri allenamenti si era distinto in forza, ablità con le armi ed ingegno e il nuovo incarico gli fu dato nella grande sala del trono dal Faraone in persona che gli diede in dono una khopesh2 di bronzo ricoperta d'oro dal taglio affilatissimo e che ora teneva in mano con orgolio.
Dietro l'esercito i danzatori nubiani dalle braccia possenti e la pelle d'ebano suonavano i tamburi il cui tuono rimbombava fin nelle ossa, dando il ritmo all'intera processione che si chiudeva con le sacerdotesse che agitavano i sistri. Ad aprire quest'ultimo gruppo due sacerdotesse in miniatura, con i loro piccoli sistri, camminavano svelte per cercare di mantenere il ritmo giusto. Era la pima volta che potevano partecipare alla festa in prima persona. Gli scorsi anni avevano potuto guardare la processione da lontano, invidiando le forme seducenti delle sacerdotesse e prendendo parte solo ai banchetti dei giorni successivi. In questo momento si ritrovavano a guidare quel gruppo di donne mature e meravigliose come un giorno sarebbero diventate anche loro, e, nonostante sapessero di essere ancora piccole e acerbe, dalla felicità non riuscivano a non sorridere: tutto il popolo poteva ammirare la bellezza delle piccole dee. smaniando per un piccolo contatto, anche solo sfiorarne la tunica e plaudente cantava per rallegrare gli dei in terra e dell'aldilà.
 
 
Dopo qualche ora di cammino la piccola Udajiet notò distante dalla folla che seguiva la processione nei pressi della riva, un improvvisato altare di pietra solitario con una manciata di persone radunate attorno che pregavano e un uomo dalla testa completamente calva era intento a ripulirne la superficie dal sangue di qualche animale donato in sacrificio. L'uomo, sentendo l'avvicinarsi della processione, alzò lo sguardo incrociando da lontano quello di Udajet che gli sorrise ma l'uomo non non ricambiò il gentile saluto e con aria impassibile si chinò su una cesta accanto all'altare, tirandone fuori un piccolo naja haje. Persino a quella distanza la bambina poteva riconoscerne il colore di quei minacciosi occhi luccicanti: un verde così vivo ed intenso, come i suoi.
Mentre il corteo procedeva lentamente e sembrava non accorgersi di quell'uomo, Udajet si sentiva intimorita per ragioni che non riusciva a spiegarsi e non riusciva a staccargli gli occhi di dosso nonostante continuasse a camminare, mantenendo il ritmo. L'uomo teneva il serpente per la testa con una mano, in modo che quello non tentasse di spalancare la bocca e di morderlo, e con l'altra mano prese un coltello che per un attimo rifletté la luce del Sole negli occhi della piccola, accendola per qualche istante. Per quanto infastidita, lei non osava perdersi neanche uno  dei movimenti dell'uomo e del serpente. Quest'ultimo continuava a dibattersi, cercava in ogni modo di ribellarsi contro colui che lo teneva prigioniero senza tuttavia riuscire a svincolarsi dalla sua presa, simile ad una morsa.
Ad un tratto costui appoggiò la mano con cui teneva il serpente sulla liscia superficie di pietra dell'altare, la mano che impugnava il coltello sospesa a mezzaria sopra il cobra e puntò gli occhi in quelli della bambina, come per invitarla ad osservare con più attenzione perché questa sarebbe stata la parte più importante di tutto il procedimento. Un moto di paura riempì il cuore di Udajet: sapeva cosa sarebbe successo di lì a pochi istanti e tutto quello che avrebbe voluto fare era urlare. Urlare a quell'uomo di fermarsi, di non uccidere inutilmente il serpente per lei, non era giusto. Ma era un sacrificio, cosa normale per la sua religione, sarebbe stata pazza a fermare un atto di così poca rilevanza. Quell'uomo voleva solo farle questo dono ed era solo il primo di tanti altri come lui appostati lungo il suo cammino.
Il lucido coltello si abbassò all'improvviso staccando di netto la testa al piccolo cobra. L'uomo portò in alto, verso il cielo, le mani in cui teneva ancora la testa del rettile, con la bocca pronunciava preghiere per la piccola dea, che tuttavia non riusciva e non voleva udire. Il suo cuore si era spezzato nel momento in cui il coltello si era abbassato come se quella stessa lama le avesse trapassato il cuore.
La processione stava sorpassando l'uomo e Udajet smise di guardarlo, stringendo i denti per bloccare i gemiti di rabbia ma con lacrime silenziose a bagnarle le guance.
Lungo il resto del cammino molti altri altari, tempietti e mattatoi furono incrociati, molti animali furono sacrificati ma Udajet non dimenticò mai l'uccisione del serpente, l'isitinto animale che lo portava a lottare inutilmente, anche a pochi attimi prima della morte. Un giorno l'avrebbe compreso molto bene.
 
 
Le barche, giunte a destinazione, sparirono agli occhi della folla plaudente, concentrata sulle statue che venivano trasportate nel tempio di Luxor, per poi essere deposte del Naos, la parte più sacra del tempio, in cui solo i sacerdoti e il re potevano accedere, così che il popolo non avrebbe potuto posare lo sguardo su di loro fino alla prossima festa di Opet, l'anno successivo.
Nel Naos il Faraone doveva sottoporsi alla cerimonia della nascita divina e, una volta purificato, ascoltava gli oracoli. Eccezionalmente da quest'anno le piccole dee avrebbero potuto parteciparvi e così fu: il Faraone varcò la soglia del grande tempio di Luxor seguito dai sacerdoti trasportanti le statue e dietro di loro a chiudere la fila vi erano le bambine che, tenendosi per mano, si davano coraggio a vicenda. Sapevano cosa dovevano fare, l'avevano studiato per ore, non era nulla di così importante, ma gli errori venivano pagati con più ore di studio al giorno, così Kaaper aveva detto loro; passavano già troppo tempo sui papiri per essere due bambine e per questo non potevano permettersi alcun tipo di errore.
Attraversarono le colossali porte del tempio, che non potevano minimante essere paragonate alle umili porte di quello di Menfi in cui vivevano. Mentre camminavano lungo il corridoio  per arrivare al Naos gli unici rumori erano i passi eccheggianti sulle alte pareti ricche di disegni e geroglifici di quel meraviglioso luogo di culto ora completamente vuoto, le preghiere sussurrate dai sacerdoti e il forte martellare dei loro cuoricini. Temevano che anche quel suono potesse rimbalzare sui muri, facendo così sapere a tutti i presenti quanto erano agitate.
Dopo aver percorso l'intero edificio, si ritrovarono finalmente nella stanza finale: il Naos. Il penetrante odore d'incenso riempì subito le narici dei presenti; Udajet respirò profondamente, riempiendosene i polmoni, le era sempre piaciuto quel profumo grazie al quale sentiva il suo legame col divino farsi più forte. Nekhbet strinse gli occhi infastidita da quell'odore troppo forte che aveva sempre odiato e non si tappò il naso solo perché il Faraone era presente.
I sacerdoti deposero le tre statue in cerchio al centro della stanza dalla pianta quadrangolare, fiocamente illuminata dalle fiamme di qualche torcia sulle pareti. Il Faraone restò in ginocchio in mezzo alle statue, mentre i sacerdoti formavano un ulteriore cerchio esterno alle inquietanti figure di granito e cominciarono a cantare. Le bambine si unirono a loro nel canto e nelle preghiere guardando ogni loro mossa, calcolata in ogni dettaglio, mentre cospargevano il loro sovrano  di olii, gli facevano dondolare intorno i flabelli carichi d'incenso e di altre erbe che non conoscevano e che causavano loro capogiri, tanto che faticavano ulteriormente a ricordarsi le parole della canzone cerimoniale. In questa atmosfera quasi buia e appesantita da quei strani profumi e dalla cantilena, il tempo sembrava sospeso e dopo attimi che apparivano infiniti, la canzone finalmente finì, sfumando nell'eco del soffitto e le bambine poterono sedersi in disparte ad ascoltare gli oracoli che altro non erano che i sacerdoti capo, tra cui Kaaper, i quali, dopo aver aspirato il fumo del solito miscuglio di erbe bruciate, si inginocchiarono intorno alle statue e quindi al Faraone e parlavano di strane visioni passate e future. Udajet era molto attenta e, da sola nella sua testa, cercava di dare un'interpretazione alle parole che uscivano dalle sagge bocche di quei grandi uomini di culto. Nekhbet si annoiava, arrivò persino a sbadigliare un paio di volte guadagnandosi le occhiatacce dei sacerdoti rimasti in piedi intenti ad ascoltare. Ascoltare cosa poi? Il farfugliare confuso di uomini la cui vista era stata momentaneamente distorta e la lucidità della mente portata via da qualche erba di dubbia identità? Scemenze. Che perdita di tempo era per lei.
Senza che la sorella se ne accorgesse, la biondina si alzò e andò verso quegli idioti. Avevano tutti gli occhi chiusi, Faraone compreso, presi com'erano dalle "grandi" rivelazioni degli oracoli; i sacerdoti che erano rimasti in piedi e che non parlavano sembravano statute a loro volta, o corpi le cui anime avevano deciso di abbandonarli, spinte a cambiare spazio e luogo dalla noia. Chissà se qualcuno si sarebbe mai accorto di lei che passeggiava tranquillamente tra le statue e tra loro. Quando Udajet la vide, senza fiatare le fece segno di tornare a sedersi. Non poteva crederci, stavano per finire di nuovo nei guai per colpa sua e lei non avrebbe potuto fare nulla. Nekhbet non fece altro che sorriderle mostrando tutto il biancore dei suoi denti per comunicarle che non c'era problema, nessuno se ne sarebbe accorto, doveva stare tranquilla. Come non detto.
Un passo troppo lungo e la statua di Amon cominciò pericolosamente a traballare. Nekhbet guardava quella oscura e pesante figura a bocca aperta senza riuscire a muovere un solo muscolo. Nessuno dei presenti si era accorto della situazione, erano tutti in uno stato di trance. Udajet si alzò, corse verso la sorella e, prima che la statua cadesse di lato con un gran tonfo, causando un rimbombo assordante, la spinse via. I sacerdoti furono improvvisamente riportati alla realtà, aprirono gli occhi confusi e la videro lì, in piedi accanto alla statua, che li guardava. A quel punto con aria contrita tornò a sedersi in disparte al suo posto, vicino alla sorella, che era sgattaiolata via in fretta ed ora con la saliva si ripuliva un ginocchio sbucciato. Udajet sapeva che la colpa sarebbe ricaduta su di lei, ma al Faraone, che non si era accorto di nulla perhé ancora troppo confuso dai fumi di quelle strane erbe, fu raccontato che la statua era caduta da sola, che era un segno di cattivo auspicio e qualcosa di terribile sarebbe successo negli anni a venire.
I giorni successivi furono riempiti di festa, banchetti, danze, musica e giochi, per evitare il panico generale al popolo fu detto che gli oracoli prevedevano il meglio per il regno e le bambine si divertirono molto. Erano sollevate per il fatto che il Faraone non venne mai a conoscenza del guaio che avevano combinato durante la cerimonia ed erano preparate alle conseguenze: niente più giochi, la fine di tutte le libertà ed interminabili giorni, o meglio, anni di studio erano ciò che le aspettava una volta tornate a casa. Se avessero combinato altri guai non l'avrebbero più passata così liscia.
 
 
 
 
1: secondo mese della stagione dell'inodazione (settembre).

2: tipica spada-falcetto
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Hamartia