VI. MARCO
L’indomani
Giù si svegliò all’ora di pranzo, con lo stomaco strizzato
e la testa un po’ pesante. Impiegò un quarto d’ora per
tirarsi in piedi e si recò in cucina con l’espressione avvilita di
un cane preso a randellate.
Di
sua madre non c’era traccia e soltanto Marco girellava intorno al tavolo
apparecchiando lentamente.
“Ciao,”
salutò atono.
“Ao,” borbottò Giù guardando il
perimetro di una piastrella accanto al suo piede sinistro.
La
notte prima, dopo l’estemporanea presentazione, Stef
si era trattenuto per spiegare ai suoi genitori che era il ragazzo della sua
vicina di banco e che aveva appena suonato con il suo gruppo amatoriale, non
era un criminale e non adescava compagne di scuola con dosi massicce di
superalcolici. Tutto questo mentre Giù, nel bagno, si dedicava a
un’ultima sessione di espulsione dell’alcol in eccesso. Quando era
tornata in salotto, un po’ più lucida, Stef
stringeva tra le mani una tazza di tè caldo, Serafina
mangiucchiava biscottini alle mandorle e Marco osservava il ragazzo con aria
ancora estremamente sospettosa.
“Come
stai?” le aveva chiesto sua madre, inghiottendo un biscotto intero.
“Meglio,”
aveva ronzato lei intorpidita.
“Grazie
per avercela riportata,” aveva borbottato Marco senza troppa enfasi.
“Si
figuri,” aveva risposto Stef leggiadro.
Sembrava non badare al fatto che i due adulti di fronte a lui fossero in
pigiama e avessero un’aria piuttosto sconvolta e sorseggiava il suo
tè serafico. “Volevo essere sicuro che non vi arrabbiaste con lei.
Le ho servito troppo punch.”
Falso.
Giù ricordava perfettamente fiumi di birra e del rhum e cola ingurgitati
ben prima che lui iniziasse a riempirle il bicchiere.
A
quel punto Serafina si era lanciata in un
interrogatorio senza vie di scampo. Dove viveva, cosa facevano i suoi genitori,
andava bene a scuola – Stef, candido, aveva allora
confessato di aver ripetuto la terza liceo e di non cavarsela troppo bene con
le materie scientifiche – beveva spesso – no, assolutamente,
soltanto un bicchierino il sabato. A quel punto Marco era intervenuto chiedendo
a sproposito se cambiasse spesso ragazza e Stef aveva
risposto di no senza sembrare minimamente allarmato da tutti quei quesiti a
tappeto.
Poi
aveva posato la tazza vuota e si era defilato abbagliandola con un ultimo
occhiolino. Dalla sua espressione sembrava ridersela sotto i baffi e Giù
si era domandata se non fosse completamente matto.
I
suoi l’avevano spedita immediatamente a dormire senza fare commenti ed
ora eccola qui, pesta e intontita.
“Ti
sei divertita, ieri sera?”
Suo
padre non sembrava ironico né velenoso, soltanto un po’ nervoso.
Giù
annuì in silenzio. Effettivamente fino al momento del vomito si era
divertita moltissimo, aveva chiacchierato molto – anche se non ricordava
più bene a proposito di cosa – e riso come una iena.
Marco
annuì di rimando, poggiandosi al bordo del tavolo.
“Jo,
senti,” iniziò incerto, “so anche io che a diciotto anni
capita di ubriacarsi. Non è grave se non succede sempre. È solo
che siamo qui da nemmeno due settimane e tu ti prendi questa sbronza colossale.
Io…io non volevo che tu fossi infelice, Jo. Vorrei non aver accettato il
trasferimento.”
Lei
sollevò lo sguardo e lo guardò fisso. Sembrava sconsolato e
persino un po’ più vecchio e Giù pensò
irrazionalmente che un giorno sarebbe invecchiato davvero, come tutti quanti, e
lei non avrebbe potuto farci niente anche se gli doveva tutto e lui alla sua
età stava per diventare padre, aveva dovuto farsi un culo triplo per
mantenere una famiglia e fare l’università, darle tutto quello di
cui aveva bisogno e permettere alla mamma di coltivare a sua volta dei progetti
personali.
Suo
padre meritava quel nuovo lavoro. E la città non era poi così
male.
“Non
mi sono accorta che bevevo così tanto. Mi stavo divertendo,”
mormorò colpevolmente.
Marco
la guardò fisso.
“Davvero?”
Giù
annuì con convinzione.
“I
miei nuovi amici sono molto simpatici,” continuò sorridendo.
Marco
sospirò sollevato, poi accennò il suo sorrisetto predatore.
“Stefano
è molto gentile,” commentò vago.
“Oh,
sì,” rispose Giù con enfasi, abboccando come una trota da
allevamento. “E’ gentile e molto in gamba.”
“E
piuttosto carino,” continuò il padre avviandosi ai fornelli.
Già
trovò che la definizione non rendesse onore alla bellezza di Stef e lo seguì esaltata, dimentica delle settimane
di silenzio, dello schiaffo e di tutto il resto.
“L’hai
notato? Hai visto che begli occhi, pa’?”
continuò, nell’impellenza di rendere giustizia alla grazia
dell’amato.
“Molto
belli. Anche il sorriso,” confermò lui come se niente fosse.
Spense il gas sotto la pentola, afferrò una presina e si voltò
sornione. “E’ il ragazzo di Eva, giusto? Anche lei mi piace
molto,” aggiunse candido.
Giù
arrossì immediatamente, comprendendo infine le intenzioni paterne.
Ovviamente era stata stupida a credere che suo padre non si sarebbe accorto
della sua cotta titanica semplicemente guardandola in faccia in presenza di Stef, nonostante il torpore e l’ubriachezza.
Raggelata, glissò fissando la pentola.
“Certo.
Sono molto carini insieme,” rispose meccanicamente.
“Meglio
così,” fece Marco svagato.
Lei
sospirò tra sé, sollevò la testa e fece per rispondere una
banalità qualunque, ma l’espressione saputa di suo padre la fece
invece scoppiare a ridere suo malgrado.
“Oh,
ti odio! Come hai fatto?” brontolò risentita.
“Quando
ti ha fatto l’occhiolino sei diventata color porpora. Conosco il mio
pollo,” rise Marco poggiandole la mano sulla spalla. “Inoltre ti
piace complicarti la vita, sei uguale a tua madre.”
Giù
s’imbronciò, oltraggiata per il paragone, ma la porta si
aprì in quel momento e Serafina fece il suo
ingresso con alcune buste in mano. Il suo sguardo corse tra il marito e la
figlia, dovette registrare la loro ritrovata intesa e sorrise contenta.
“L’ubriacona
si è svegliata, vedo,” commentò ironica.
“Non
sono un’alcolizzata!” protestò Giù piccata, prima di
chinare la testa. “Mi dispiace.”
“Almeno
ho conosciuto anche io un tuo amico, visto che non c’ero l’altro
pomeriggio. Papà mi ha detto che le ragazze sono molto graziose,”
rispose sua madre bonaria. “E sabato prossimo non puoi uscire,”
aggiunse con noncuranza.
Giù
si strinse nelle spalle, perché lo prevedeva. Sicuramente papà
avrebbe finito per portarle a mangiare la pizza: i suoi genitori erano del
tutto incapaci di punirla.
Si
sedettero a mangiare e Giù si sorprese nello scoprire quanto aveva avuto
nostalgia di quei pranzi ciarlieri con i suoi genitori. L’argomento
principale della conversazione fu ovviamente il “bell’autista
biondo” che l’aveva scortata a casa, come lo definì Serafina. Giù finalmente narrò della
folgorazione sull’autobus e del rammarico per il fatto che fosse proprio
il fidanzato di Eva, sua madre s’intenerì assicurandole che ne
avrebbe trovato presto un altro e Marco sentenziò che comunque non
avrebbe accettato un genero con le lentiggini.
“Guastano
la perfetta bellezza canonica. Solo il meglio per te, Jo,” affermò
ridacchiando.
Stavano
spiluccando gli avanzi di crostata quando il suo telefonino prese a suonare e
Giù balzò su da tavola correndo in camera, e travolse en passant
la sedia, lussandosi probabilmente l’anca: era Eva.
“Ciao!”
salutò di slancio, rispondendo nonostante il dolore atroce.
“Ciao,
vomitina,” replicò l’amica,
scoppiando a ridere. “Stef mi ha detto della
giacca.”
La
giacca. Gesù, la giacca. Giù avvampò di vergogna in
differita, schiarendosi la voce.
“Mi
dispiace. Quanto è disgustato?”
“Disgustato?
Credo stia ancora sghignazzando. Finché non gli tocchi il proiettile di
fuoco puoi anche ricoprirlo di cacca.”
“Il
proiettile di fuoco?” ripeté Giù perplessa-
“Ma
sì, la macchina. È l’unica cosa che lo offende, hai fatto
bene a non criticarla. ”
Giù
non se la ricordava nemmeno, la macchina. A malapena sapeva di esserci salita,
ma soltanto perché se si trovava in casa propria era accaduto per forza.
“Ce
ne sarebbe stato motivo?” chiese incerta.
Eva
rise.
“Si
vede che non ti ricordi. Vedrai che trabiccolo,” rispose misteriosa.
“Comunque era molto divertito. Certifico invece che Mat
ti odia.”
Giusto,
Mattia, l’odioso batterista. Giù ricordò la sua antipatia e
la sua assurda pretesa di non farsi rubare il bicchiere e si chiese obiettiva
come mai non l’avesse presa a schiaffoni.
“E’
una cosa reciproca,” biascicò vergognosa.
Eva
sospirò.
“Ti
pareva. Fra’ sarà contento.”
Il
cervello di Giù scricchiolò sinistramente mentre ricordava
l’avversità dimostrata dall’amico nel trovarsi davanti il
ragazzo, il modo in cui aveva pronunciato il suo cognome, Galleani…in
quel momento ritornò indietro con la memoria a giorni prima, al mattino
in cui Fra’ le aveva chiesto
del tipo dell’Angelus commentando poi sarà
mica quel grandissimo coglione di Mattia Galleani?
Tutto
tornava.
“Come
mai?” chiese curiosa.
Ed
Eva si lanciò in uno dei suoi racconti frenetici e confusionari,
riferendole una storia di ragazze contese, corna e gelosie. Giù se la
godette come una tazza fumante di cioccolata calda con panna. Quando la
narrazione fu giunta a termine sapeva che il pomo della discordia consisteva in
tale Marta Anselmi, quarta A, che aveva rimbalzato dall’uno altro dei
pretendenti per mesi tre scaricando entrambi quando si erano presi a cazzotti, e
ridacchiò deliziata.
“Però
si tollerano,” commentò pacifica.
“Per
forza. Fra’ è il mio migliore amico e Stef
e Mattia si conoscono dall’asilo,” fece Eva soave. “Qualcuno
dovrebbe darmi un nobel per la pace,” aggiunse con un sospiro.
“Ti
candiderò immediatamente,” rise Giù.
Quando
la telefonata fu conclusa ed Eva ebbe riso di lei un altro po’ Giù
stabilì che avrebbe almeno tentato di studiare prima che la sonnolenza
la cogliesse nuovamente. Funzionò per quaranta minuti, poi la sua testa
precipitò sul tavolo con un tonfo attutito e decise che quel giorno
concentrarsi era facile quanto una scalata dell’Everest in ciabatte,
quindi lasciò perdere. Scrisse invece un paio di lunghe ed esaustive
mail agli amici a Trento finché Serafina non
si presentò in camera sua con un sorriso e un frullato.
“Disturbo?”
Giù
scosse la testa, girando la sedia.
“Papà
mi ha detto che non sei disperata. È vero?”
La
ragazza sorrise confermando quell’ipotesi e Serafina
s’illuminò di contentezza. Quindi si sedette sul suo letto e le
allungò il bicchiere.
“Stavo
ripensando a questo Stefano,” affermò poi, assorta. “Vedrai,
ti passerà presto. Sai, mi ha fatto effetto. Ci credi che mi ricorda
papà?”
Giù
si raggelò, allibita. Ci mancava soltanto il complesso di Elettra da
aggiungere alla lunga lista delle sue psicosi. L’idea che le piacesse
qualcuno che ricordava suo padre le dispiacque oltremodo, poi considerò
che papà aveva i capelli neri e gli occhi scuri e che Stef era biondo e celeste e sua madre una sciroccata. Tutto
regolare.
“Dovresti
portare gli occhiali,” commentò condiscendente.
Serafina ridacchiò, somministrandole un lieve scappellotto.
“Scema,”
esclamò divertita.
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gengy: Oooh, grazie. Recensione
sintetica e che m’inorgoglisce alquanto…speriamo che duri, la tua
adorazione! ^__^ Ti ringrazio, alla prossima.
Levsky: Salve! Sì, il batterista antipatico si
chiama Mattia, e qui abbiamo scoperto qual cosina in più su di lui. Quanto
alla reazione in famiglia, come vedi, anche se i genitori di Giù non
hanno nulla a che vedere con i miei ho deciso di affibbiare loro il medesimo
spirito anarcoide quanto a orari e ubriachezza…niente botte, dunque. ^__^
Spero continuerai ad apprezzare e grazie, sentitamente.
liz_85: ergh-aaak…tu non
mi puoi fare i complimenti! Se TU mi fai i complimenti allora poi sì che
mi monto la testa, perdincibacco! Che dire, tata…avrai
notato e noterai che di riferimenti più o meno vaghi alla nostra
adolescenza ce ne sono, sparsi qua e là, e non pochi. Infatti certe
volte mentre scrivo sghignazzo da sola perché mi vengono in mente cose
(tipo certe lettere mattutine…^__^). Orbene, sono contenta che l’immaginazione
resti “aperta”, e sì, il fil rouge
è quello lì. Fattene una ragione, caramellina,
tortellina e granella di sole.
kry333: Mi colmi di gioia quando dici che Stef fa ridere. Era uno dei miei primari obiettivi. Ora,
dunque, posso morire contenta e appagata. Marco, poverino, fa quello che
può. Noterai che ha un certo self control,
comunque. Grazie molto, a presto.
VavvyMalfoy91: Un po’ me l’aspettavo ma mi ha
stupita lo stesso che tu abbia tirato in ballo Naruto, però è
vero che cromaticamente – l’arancione, gli occhi azzurri, i capelli
biondi – gli somiglia, ma per il resto non ha niente a che vedere. Per
dirne una, Stef è un bel ragazzo… ^__^
grazie mille, alla prossima. (Ma non mi dare del genio che poi chiedo dei
soldi. Hihi.)