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Autore: suni    22/02/2009    5 recensioni
Giuseppina, per gli amici Giù, Pi per gli affezionati. Diciotto anni di goffaggine, sfortuna e individualismo. Quando suo malgrado cambia città e arriva nella nuova scuola non si aspetta altro che una nuova scarica di sfighe, e invece la ruota sembra girare. Perché Eva è una vicina di banco strepitosa, Francesco l’amico ideale, Greg, Lalla, Patty e Jack la compagnia perfetta. Ma Giù è Giù e la vocina nella sua testa le ricorda che non può essere su.
E difatti c’è un un ma. Un ma alto e biondo, con tanto di occhi azzurri, adorabili fossette e giacca arancione.
Tra serate alcoliche adolescenziali, improbabili sessioni cinematografiche, confidenze tra i banchi e risate miste alle lacrime, Giù scoprirà che anche affrontare i cambiamenti non è un’impresa impossibile. E che ad essere se stessi, alla fine, c’è soltanto da guadagnare. Anche quando si è, appunto, insostenibilmente Giù e tassativamente…sfortunati?
Genere: Generale, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VI. MARCO

 

 

L’indomani Giù si svegliò all’ora di pranzo, con lo stomaco strizzato e la testa un po’ pesante. Impiegò un quarto d’ora per tirarsi in piedi e si recò in cucina con l’espressione avvilita di un cane preso a randellate.

Di sua madre non c’era traccia e soltanto Marco girellava intorno al tavolo apparecchiando lentamente.

“Ciao,” salutò atono.

Ao,” borbottò Giù guardando il perimetro di una piastrella accanto al suo piede sinistro.

La notte prima, dopo l’estemporanea presentazione, Stef si era trattenuto per spiegare ai suoi genitori che era il ragazzo della sua vicina di banco e che aveva appena suonato con il suo gruppo amatoriale, non era un criminale e non adescava compagne di scuola con dosi massicce di superalcolici. Tutto questo mentre Giù, nel bagno, si dedicava a un’ultima sessione di espulsione dell’alcol in eccesso. Quando era tornata in salotto, un po’ più lucida, Stef stringeva tra le mani una tazza di tè caldo, Serafina mangiucchiava biscottini alle mandorle e Marco osservava il ragazzo con aria ancora estremamente sospettosa.

“Come stai?” le aveva chiesto sua madre, inghiottendo un biscotto intero.

“Meglio,” aveva ronzato lei intorpidita.

“Grazie per avercela riportata,” aveva borbottato Marco senza troppa enfasi.

“Si figuri,” aveva risposto Stef leggiadro. Sembrava non badare al fatto che i due adulti di fronte a lui fossero in pigiama e avessero un’aria piuttosto sconvolta e sorseggiava il suo tè serafico. “Volevo essere sicuro che non vi arrabbiaste con lei. Le ho servito troppo punch.”

Falso. Giù ricordava perfettamente fiumi di birra e del rhum e cola ingurgitati ben prima che lui iniziasse a riempirle il bicchiere.

A quel punto Serafina si era lanciata in un interrogatorio senza vie di scampo. Dove viveva, cosa facevano i suoi genitori, andava bene a scuola – Stef, candido, aveva allora confessato di aver ripetuto la terza liceo e di non cavarsela troppo bene con le materie scientifiche – beveva spesso – no, assolutamente, soltanto un bicchierino il sabato. A quel punto Marco era intervenuto chiedendo a sproposito se cambiasse spesso ragazza e Stef aveva risposto di no senza sembrare minimamente allarmato da tutti quei quesiti a tappeto.

Poi aveva posato la tazza vuota e si era defilato abbagliandola con un ultimo occhiolino. Dalla sua espressione sembrava ridersela sotto i baffi e Giù si era domandata se non fosse completamente matto.

I suoi l’avevano spedita immediatamente a dormire senza fare commenti ed ora eccola qui, pesta e intontita.

“Ti sei divertita, ieri sera?”

Suo padre non sembrava ironico né velenoso, soltanto un po’ nervoso.

Giù annuì in silenzio. Effettivamente fino al momento del vomito si era divertita moltissimo, aveva chiacchierato molto – anche se non ricordava più bene a proposito di cosa – e riso come una iena.

Marco annuì di rimando, poggiandosi al bordo del tavolo.

“Jo, senti,” iniziò incerto, “so anche io che a diciotto anni capita di ubriacarsi. Non è grave se non succede sempre. È solo che siamo qui da nemmeno due settimane e tu ti prendi questa sbronza colossale. Io…io non volevo che tu fossi infelice, Jo. Vorrei non aver accettato il trasferimento.”

Lei sollevò lo sguardo e lo guardò fisso. Sembrava sconsolato e persino un po’ più vecchio e Giù pensò irrazionalmente che un giorno sarebbe invecchiato davvero, come tutti quanti, e lei non avrebbe potuto farci niente anche se gli doveva tutto e lui alla sua età stava per diventare padre, aveva dovuto farsi un culo triplo per mantenere una famiglia e fare l’università, darle tutto quello di cui aveva bisogno e permettere alla mamma di coltivare a sua volta dei progetti personali.

Suo padre meritava quel nuovo lavoro. E la città non era poi così male.

“Non mi sono accorta che bevevo così tanto. Mi stavo divertendo,” mormorò colpevolmente.

Marco la guardò fisso.

“Davvero?”

Giù annuì con convinzione.

“I miei nuovi amici sono molto simpatici,” continuò sorridendo.

Marco sospirò sollevato, poi accennò il suo sorrisetto predatore.

“Stefano è molto gentile,” commentò vago.

“Oh, sì,” rispose Giù con enfasi, abboccando come una trota da allevamento. “E’ gentile e molto in gamba.”

“E piuttosto carino,” continuò il padre avviandosi ai fornelli.

Già trovò che la definizione non rendesse onore alla bellezza di Stef e lo seguì esaltata, dimentica delle settimane di silenzio, dello schiaffo e di tutto il resto.

“L’hai notato? Hai visto che begli occhi, pa’?” continuò, nell’impellenza di rendere giustizia alla grazia dell’amato.

“Molto belli. Anche il sorriso,” confermò lui come se niente fosse. Spense il gas sotto la pentola, afferrò una presina e si voltò sornione. “E’ il ragazzo di Eva, giusto? Anche lei mi piace molto,” aggiunse candido.

Giù arrossì immediatamente, comprendendo infine le intenzioni paterne. Ovviamente era stata stupida a credere che suo padre non si sarebbe accorto della sua cotta titanica semplicemente guardandola in faccia in presenza di Stef, nonostante il torpore e l’ubriachezza. Raggelata, glissò fissando la pentola.

“Certo. Sono molto carini insieme,” rispose meccanicamente.

“Meglio così,” fece Marco svagato.

Lei sospirò tra sé, sollevò la testa e fece per rispondere una banalità qualunque, ma l’espressione saputa di suo padre la fece invece scoppiare a ridere suo malgrado.

“Oh, ti odio! Come hai fatto?” brontolò risentita.

“Quando ti ha fatto l’occhiolino sei diventata color porpora. Conosco il mio pollo,” rise Marco poggiandole la mano sulla spalla. “Inoltre ti piace complicarti la vita, sei uguale a tua madre.”

Giù s’imbronciò, oltraggiata per il paragone, ma la porta si aprì in quel momento e Serafina fece il suo ingresso con alcune buste in mano. Il suo sguardo corse tra il marito e la figlia, dovette registrare la loro ritrovata intesa e sorrise contenta.

“L’ubriacona si è svegliata, vedo,” commentò ironica.

“Non sono un’alcolizzata!” protestò Giù piccata, prima di chinare la testa. “Mi dispiace.”

“Almeno ho conosciuto anche io un tuo amico, visto che non c’ero l’altro pomeriggio. Papà mi ha detto che le ragazze sono molto graziose,” rispose sua madre bonaria. “E sabato prossimo non puoi uscire,” aggiunse con noncuranza.

Giù si strinse nelle spalle, perché lo prevedeva. Sicuramente papà avrebbe finito per portarle a mangiare la pizza: i suoi genitori erano del tutto incapaci di punirla.

Si sedettero a mangiare e Giù si sorprese nello scoprire quanto aveva avuto nostalgia di quei pranzi ciarlieri con i suoi genitori. L’argomento principale della conversazione fu ovviamente il “bell’autista biondo” che l’aveva scortata a casa, come lo definì Serafina. Giù finalmente narrò della folgorazione sull’autobus e del rammarico per il fatto che fosse proprio il fidanzato di Eva, sua madre s’intenerì assicurandole che ne avrebbe trovato presto un altro e Marco sentenziò che comunque non avrebbe accettato un genero con le lentiggini.

“Guastano la perfetta bellezza canonica. Solo il meglio per te, Jo,” affermò ridacchiando.

Stavano spiluccando gli avanzi di crostata quando il suo telefonino prese a suonare e Giù balzò su da tavola correndo in camera, e travolse en passant la sedia, lussandosi probabilmente l’anca: era Eva.

“Ciao!” salutò di slancio, rispondendo nonostante il dolore atroce.

“Ciao, vomitina,” replicò l’amica, scoppiando a ridere. “Stef mi ha detto della giacca.”

La giacca. Gesù, la giacca. Giù avvampò di vergogna in differita, schiarendosi la voce.

“Mi dispiace. Quanto è disgustato?”

“Disgustato? Credo stia ancora sghignazzando. Finché non gli tocchi il proiettile di fuoco puoi anche ricoprirlo di cacca.”

“Il proiettile di fuoco?” ripeté Giù perplessa-

“Ma sì, la macchina. È l’unica cosa che lo offende, hai fatto bene a non criticarla. ”

Giù non se la ricordava nemmeno, la macchina. A malapena sapeva di esserci salita, ma soltanto perché se si trovava in casa propria era accaduto per forza.

“Ce ne sarebbe stato motivo?” chiese incerta.

Eva rise.

“Si vede che non ti ricordi. Vedrai che trabiccolo,” rispose misteriosa. “Comunque era molto divertito. Certifico invece che Mat ti odia.”

Giusto, Mattia, l’odioso batterista. Giù ricordò la sua antipatia e la sua assurda pretesa di non farsi rubare il bicchiere e si chiese obiettiva come mai non l’avesse presa a schiaffoni.

“E’ una cosa reciproca,” biascicò vergognosa.

Eva sospirò.

“Ti pareva. Fra’ sarà contento.”

Il cervello di Giù scricchiolò sinistramente mentre ricordava l’avversità dimostrata dall’amico nel trovarsi davanti il ragazzo, il modo in cui aveva pronunciato il suo cognome, Galleani…in quel momento ritornò indietro con la memoria a giorni prima, al mattino in cui Fra’  le aveva chiesto del tipo dell’Angelus commentando poi sarà mica quel grandissimo coglione di Mattia Galleani?

Tutto tornava.

“Come mai?” chiese curiosa.

Ed Eva si lanciò in uno dei suoi racconti frenetici e confusionari, riferendole una storia di ragazze contese, corna e gelosie. Giù se la godette come una tazza fumante di cioccolata calda con panna. Quando la narrazione fu giunta a termine sapeva che il pomo della discordia consisteva in tale Marta Anselmi, quarta A, che aveva rimbalzato dall’uno altro dei pretendenti per mesi tre scaricando entrambi quando si erano presi a cazzotti, e ridacchiò deliziata.

“Però si tollerano,” commentò pacifica.

“Per forza. Fra’ è il mio migliore amico e Stef e Mattia si conoscono dall’asilo,” fece Eva soave. “Qualcuno dovrebbe darmi un nobel per la pace,” aggiunse con un sospiro.

“Ti candiderò immediatamente,” rise Giù.

Quando la telefonata fu conclusa ed Eva ebbe riso di lei un altro po’ Giù stabilì che avrebbe almeno tentato di studiare prima che la sonnolenza la cogliesse nuovamente. Funzionò per quaranta minuti, poi la sua testa precipitò sul tavolo con un tonfo attutito e decise che quel giorno concentrarsi era facile quanto una scalata dell’Everest in ciabatte, quindi lasciò perdere. Scrisse invece un paio di lunghe ed esaustive mail agli amici a Trento finché Serafina non si presentò in camera sua con un sorriso e un frullato.

“Disturbo?”

Giù scosse la testa, girando la sedia.

“Papà mi ha detto che non sei disperata. È vero?”

La ragazza sorrise confermando quell’ipotesi e Serafina s’illuminò di contentezza. Quindi si sedette sul suo letto e le allungò il bicchiere.

“Stavo ripensando a questo Stefano,” affermò poi, assorta. “Vedrai, ti passerà presto. Sai, mi ha fatto effetto. Ci credi che mi ricorda papà?”

Giù si raggelò, allibita. Ci mancava soltanto il complesso di Elettra da aggiungere alla lunga lista delle sue psicosi. L’idea che le piacesse qualcuno che ricordava suo padre le dispiacque oltremodo, poi considerò che papà aveva i capelli neri e gli occhi scuri e che Stef era biondo e celeste e sua madre una sciroccata. Tutto regolare.

“Dovresti portare gli occhiali,” commentò condiscendente.

Serafina ridacchiò, somministrandole un lieve scappellotto.

“Scema,” esclamò divertita.

 

 

 

 

 

 

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gengy: Oooh, grazie. Recensione sintetica e che m’inorgoglisce alquanto…speriamo che duri, la tua adorazione! ^__^ Ti ringrazio, alla prossima.

Levsky: Salve! Sì, il batterista antipatico si chiama Mattia, e qui abbiamo scoperto qual cosina in più su di lui. Quanto alla reazione in famiglia, come vedi, anche se i genitori di Giù non hanno nulla a che vedere con i miei ho deciso di affibbiare loro il medesimo spirito anarcoide quanto a orari e ubriachezza…niente botte, dunque. ^__^ Spero continuerai ad apprezzare e grazie, sentitamente.

liz_85: ergh-aaak…tu non mi puoi fare i complimenti! Se TU mi fai i complimenti allora poi sì che mi monto la testa, perdincibacco! Che dire, tata…avrai notato e noterai che di riferimenti più o meno vaghi alla nostra adolescenza ce ne sono, sparsi qua e là, e non pochi. Infatti certe volte mentre scrivo sghignazzo da sola perché mi vengono in mente cose (tipo certe lettere mattutine…^__^). Orbene, sono contenta che l’immaginazione resti “aperta”, e sì, il fil rouge è quello lì. Fattene una ragione, caramellina, tortellina e granella di sole.

kry333: Mi colmi di gioia quando dici che Stef fa ridere. Era uno dei miei primari obiettivi. Ora, dunque, posso morire contenta e appagata. Marco, poverino, fa quello che può. Noterai che ha un certo self control, comunque. Grazie molto, a presto.

VavvyMalfoy91: Un po’ me l’aspettavo ma mi ha stupita lo stesso che tu abbia tirato in ballo Naruto, però è vero che cromaticamente – l’arancione, gli occhi azzurri, i capelli biondi – gli somiglia, ma per il resto non ha niente a che vedere. Per dirne una, Stef è un bel ragazzo… ^__^ grazie mille, alla prossima. (Ma non mi dare del genio che poi chiedo dei soldi. Hihi.)

 

 

   
 
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