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Autore: pluie_de_lumieres    31/10/2015    1 recensioni
Che succede quando due persone completamente opposte si ritrovano a vivere insieme?
Genere: Angst, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest
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Nota: Non riesco a fare a meno di scrivere e sono tornata con una nuova storia.
Come ho già promesso a qualcuno, sarà molto leggera rispetto alle precedenti, anche se non mancheranno episodi tristi e colpi di scena. Ci sarà sicuramente tantissimo fluff. Che dire? Spero vi piaccia e che mi seguirete in tanti.


Aveva trascinato le due valigie per tutto il giorno, sotto la pioggia insistente di Londra, nessun viso amico ad aspettarlo, nessuno sguardo conosciuto a sostenerlo: aveva cercato il sostegno di qualcuno per tutto il giorno, ma la verità è che nessuno, nella vita reale, si fa carico dei problemi altrui. Gli sarebbe sempre piaciuto scrivere una grande storia d’amore in cui arriva l’uomo che salva il protagonista dalla depressione in cui, da qualche anno, nuotava. Ma gli veniva difficile immaginarlo, e quindi scriverlo, perché nessuno si fa carico dei problemi altrui, nella vita reale. E di depressione si può morire. Quindi magari non sarebbe arrivato proprio nessuno a salvare il protagonista, magari sarebbe morto da solo. Quindi aveva convenuto che non c’era niente da scrivere, se non della morte stessa.
Trascinò le valigie dentro la palazzina, fino all’ascensore.
“Non funziona” si sentì dire.
“Mi scusi, sa dirmi dov’è l’appartamento 607?” chiese con la voce che tremava.
Si voltò: non c’era già più nessuno. L’atrio era buio, fuori diluviava, qualche lampo illuminava a giorno l’ambiente circostante. I suoi vestiti erano completamente bagnati, aveva l’acqua negli stivali. Impermeabili, aveva detto la commessa quando li aveva comprati. L’ombrello distrutto dal vento.
Quello sarebbe stato pesante per chiunque, pensò. Sarebbe stato troppo per chiunque, cercò di dirsi, di autoconvincersi. Ma la verità era che quella cosa che si portava dietro, era più pesante delle due valigie messe insieme, quella cosa che la gente aveva paura di chiamare col suo vero nome, gli faceva apparire tutto più nero di quanto non fosse già. Una volta aveva visto un video in cui la depressione veniva spiegata attraverso una metafora: era come un cane nero che ti porti dietro durante il giorno, ovunque tu vada. E’ come se guardassi il mondo attraverso un paio di occhiali dalle lenti scure, che fanno diventare tutto buio.
 Guardò le scale e sentì le lacrime premere per uscire.
Prese la prima valigia e salendo all’indietro, cercò di trascinarla su per le scale. Scivolò un paio di volte e dovette andare a recuperarla. La portò al primo pianerottolo mentre le lacrime gli rigavano il viso e tornò indietro a prendere l’altra, portando anche quella alla prima tappa.
Ci mise un’ora per arrivare al quarto piano, dove si trovava l’appartamento 607. Lasciò le valigie incustodite vicino l’ascensore e bussò un paio di volte: nessuna risposta.
“C’è nessuno? Sono Bill” la voce era incrinata.
Nei corridoi regnava il silenzio: la luce vacillò un paio di volte, come se dovesse spegnersi. Non c’era nessuno. Era solo.
Andiamo, calmati, qualcuno arriverà, si disse, portandosi una mano sul petto.
Ingoiò un calmante con l’ultimo sorso di acqua rimasto della bottiglietta. Non mangiava niente dalla sera prima, e non aveva fame: lo stomaco era completamente chiuso, si sentiva come se stesse cercando di digerirsi da solo.
Aspettò mezz’ora, che diventò un’ora, che diventarono due. L’orologio da polso segnava le dieci di sera.
Si sedette a terra, le valigie ai lati del proprio corpo, quasi lo nascondevano.
Verso le undici distese quella che conteneva più vestiti che altro e ci si sedette sopra: gli faceva troppo male la schiena, a stare seduto sul pavimento.
Qualche minuto dopo la luce si spense e un lampo illuminò il corridoio, seguito da un boato. Si strinse nel parka bagnato, impaurito dal buio: era troppo stanco anche per piangere.
Erano le quattro del mattino quando sentì qualcuno salire le scale. Guardò l’ora sull’orologio da polso e si passò una mano sul viso.
“E tu chi cazzo sei?” chiese il ragazzo in cima alle scale: aveva in mano le chiavi e si stava dirigendo verso il 607.
“Ciao! Io sono Bill, il nuovo coinquilino, ti ho chiamato ieri mattina, ricordi?” disse Bill, tirandosi su come rinvigorito.
“Ah, già, il nuovo coinquilino…” borbottò l’altro: sembrava abbastanza alticcio.
“E tu sei…?” chiese, deglutendo a fatica.
“Tom” rispose, aprendo la porta e accendendo la luce.
“E’ davvero un piacere conoscerti” disse il biondo, trascinando dentro le due valigie.
“Quella è la tua camera, là c’è il bagno, io me ne vado a dormire, sono distrutto” mugugnò l’altro, toccandosi la barba folta: entrò in camera propria e richiuse la porta. L’abitacolo piombò nel silenzio più totale. Bill era al centro di quello che doveva essere il salotto, completamente da solo. Non era di certo l’accoglienza che si aspettava.
“Calmati” sussurrò, sentendo le lacrime premere per uscire.
Gli serviva una doccia, gli serviva una doccia bollente.
Portò le valigie in camera: le avrebbe disfatte il giorno dopo. Si tolse la giacca e i vestiti, disponendoli in ordine sul calorifero per farli asciugare. Indossò il proprio accappatoio e si diresse verso il bagno con il flacone del bagnoschiuma stretto nella mano: chiuse a chiave e si spogliò dell’indumento, appendendolo alla porta. Entrò nella doccia che sembrava essere pulita e aprì l’acqua calda: lavò via lo stress di quella giornata tremenda, scaldando le membra fredde. Non gli sembrava vero di poter fare una doccia, non gli sembrava vero di essere arrivato alla fine di quella giornata.
Tornò in camera con addosso l’accappatoio e mise al letto l’unico paio di lenzuola che aveva dietro. Indossò intimo e pigiama e si distese: non aveva neanche la coperta.
Crollò addormentato qualche minuto dopo, con un nodo che gli stringeva la gola e lo stomaco.
Quando sentì dei rumori da quella che doveva essere la cucina, aprì gli occhi: l’orologio segnava le otto del mattino, aveva dormito la bellezza di quattro ore, forse meno. Magnifico, pensò. Come poteva essere già sveglio, quel tipo?
Uscì dalla stanza con addosso una vestaglia rossa che di sobrio non aveva niente.
“Sei già in piedi?” domandò, assonnato.
L’altro, addosso, non aveva che i jeans: i suoi pettorali lisci e scolpiti gli fecero provare un vuoto all’altezza dello stomaco e si coprì di più, come se ce ne fosse bisogno; aveva addosso sia il pigiama che quell’indumento da star.
“Che cazzo ti sei messo addosso?” notò Tom, corrugando la fronte e avvicinando le sopracciglia folte.
“E’…la mia vestaglia” mormorò Bill, incrociando le braccia al petto, come per proteggersi.
“Oh, cazzo…” disse l’altro tra i denti, aprendo tutti i cassetti della cucina.
“Che succede? Che stai cercando?” chiese il biondo, vedendolo così in difficoltà.
“Qualcosa per questo fottuto mal di testa! Devo essere a lavoro tra dieci minuti, cristo santo!” sbraitò.
Bill tornò in camera propria a prendere le aspirine che aveva portato con sé: gliene poggiò una sul tavolo e gli riempì un bicchiere d’acqua.
L’altro lo guardò con fare interrogativo, come lo vedesse per la prima volta: mise la compressa in bocca e si scolò il contenuto del bicchiere per mandarla giù.
“Ti sei portato dietro tutta la farmacia?”
“Sono solo previdente” spiegò Bill, prendendo una delle sedie per sedersi.
L’altro se ne tornò in camera per finire di vestirsi e il biondo sospirò “Prego, non c’è di che!” esclamò, scocciato dall’atteggiamento altrui.
“Allora, dov’è che lavori?” urlò dalla cucina, per farsi sentire.
“In un magazzino, aiuto a scaricare la merce” rispose Tom, tornando da lui: si era legato i capelli in una specie di chignon scomposto. Da sciolti gli arrivavano poco più giù delle spalle ed erano di un castano scurissimo, quasi neri: sembravano essere morbidi e curati. I propri, a differenza, erano sfibrati dalle innumerevoli decolorazioni a cui li aveva sottoposti per portarli al biondo platino: erano corti, rasati ai lati e più lunghi al centro, in una specie di cresta morbida e larga, che però teneva sempre rigorosamente laccata a ingellata all’indietro.
“Tu, invece?” chiese con poco interesse il moro.
“Oggi mi metto alla ricerca di qualcosa” mormorò Bill, passandosi una mano sul collo.
“Vabbè, io vado” e sparì, chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo sordo.
Era rimasto nuovamente da solo. Non poteva certo dire che quel coinquilino fosse il massimo: non era proprio andata come se l’era immaginato, nessuna disponibilità, nessuna offerta carina di fargli fare il giro della casa o della città, nessun “Pranziamo insieme?”, non un “Buona giornata”. Per un altro sarebbe stata una cosa da niente, ci si poteva passare sopra, di certo, ma a Bill veniva da piangere e si maledisse per la propria sensibilità. Perché ogni cosa doveva sembrargli insormontabile? Perché era tutto così terribile ai propri occhi?
“Calmati, dannazione” disse ad alta voce, tenendo la mano curata sulla gola.
“Non è niente, calmati. Stai tranquillo” se lo diceva da solo, perché non c’era nessun altro a dirglielo. Ma quanto avrebbe voluto che qualcuno glielo avesse sussurrato, tenendolo tra le braccia.
Si preparò qualcosa per colazione e dopo aver preso le medicine per lo stomaco, mangiò. Non sapeva come funzionava, non aveva mai avuto un coinquilino, ma supponeva che avrebbe dovuto fare la spesa: il frigo era vuoto e lo era anche la dispensa, e Tom non aveva l’aria di uno che faceva spesso la spesa.
Lasciò la cucina più in ordine di come l’aveva trovata e andò a vestirsi: avrebbe dedicato la mattinata alle compere, gli serviva una coperta e magari si sarebbe fatto un giro per la casa per vedere quello che mancava, prodotti per pulire, tende, forse? Qualche vaso di fiori carino da mettere sul davanzale della finestra.
Si appropriò del bagno per truccarsi e dispose sullo specchio tutti i suoi cosmetici, prendendosi lo spazio che gli serviva: ora andava molto meglio, si sentiva a casa. Più o meno.
Pronto per uscire di casa, prese telefono e portafogli e lasciò l’appartamento: doveva passare in portineria per chiedere la copia delle chiavi, la sera prima non aveva trovato nessuno.
“Salve, sono al 607, il nuovo inquilino: mi servirebbero le chiavi” si era fatto le quattro rampe di scale di corsa e aveva il fiatone: teneva la borsa griffata appesa al braccio mentre era poggiato al bancone e lo teneva leggermente piegato. Gli occhiali da sole sulla testa a conferirgli un’aria elegante.
“Lei è..” fece il responsabile.
“Sono Bill Chambers” disse, passandogli il proprio documento.
“Mi dispiace, il vecchio inquilino aveva perso le chiavi e non ci hanno ancora consegnato la nuova copia” si scusò quello.
Bill recuperò il documento e storse la bocca: avrebbe dovuto chiamare Tom.
Come faceva a fare compere se poi non poteva portare le cose a casa? Era un bel guaio.
Uscì dal palazzo e attraversò il parcheggio a passo svelto: si sarebbe fatto un giro per vedere le vetrine e farsi un’idea.
“Sì, ciao Tom, sono io, Bill!”
“Bill chi?” chiese l’altro.
“Il nuovo coinquilino! Vuoi salvarti il mio numero, per favore? Volevo fare un po’ di spesa, mi servono delle cose, non è che posso passare a prendermi le chiavi? Se poi ti servono te le lascio sotto le zerbino, prima di uscire” disse, attraversando la strada.
“Ah, sei tu. Che diavolo devi comprare? Non iniziare a riempirmi casa di stronzate! Ci devo invitare gente e deve essere okay” si lamentò l’altro.
“Non so, tipo del cibo? Non c’è niente da mangiare! Non ti preoccupare, non ti riempio casa di stronzate” sbuffò il biondo.
“Okay, ora ti scrivo l’indirizzo del magazzino per messaggio, a tra poco” e chiuse la chiamata, inviando alla svelta il messaggio.
“Chi era?” chiese Gustav.
“Il nuovo coinquilino” fece Tom con una faccia che era tutta un programma.
“Ah! Guai in vista?”
“Stamattina è uscito dalla stanza con una vestaglia rossa, è un frocio del cazzo! Spero non mi rompa troppo i coglioni, io ci scopo dentro casa e non voglio che me l’addobbi come un presepe, le donne potrebbero spaventarsi!” commentò il moro, spostando uno scatolone.
“La pacchia è finita, amico, io ne conosco un paio e non ti lasciano respirare neanche un attimo, ce l’avrai attaccato al culo giorno e notte, come un cagnolino!” fece Gustav, sedendosi su una pedana.
“Piantala, mi deve stare lontano e basta” borbottò Tom.
Neanche mezz’ora dopo si vide spuntare Bill da un corridoio che collegava il magazzino col centro commerciale di sopra: indossava dei pantaloni palazzo neri a vita alta, in basso si intravedevano degli stivali con tacco largo, non propriamente mascolini. Nei pantaloni era infilata la camicia bianca dal cui colletto penzolava una sciarpina nera che riprendeva il colore di quelli. Gli occhiali Chanel sul naso e la borsa attaccata al braccio.
“Tom!” lo salutò con la mano, avvicinandosi.
Gustav sbottò a ridere “Cristo santo” si lasciò sfuggire, lanciando un’occhiata all’amico.
Tom era arrossito violentemente “Vuoi abbassare quella merda di voce?” apostrofò il biondo che veniva verso di lui, salutandolo con disinvoltura. Mica voleva che qualcuno pensasse che fossero amici!
“Sai dirla una frase senza infilarci dentro una parolaccia?” chiese Bill, poggiandosi le mani sui fianchi.
“Ma come cazzo ti sei vestito?” sbottò a ridere insieme a Gustav.
“Smettetela. Smettetela subito. Non ci trovo niente da ridere, non è colpa mia se voi non avete nessun gusto nel vestire e alcun interesse per la moda” commentò, allungando la mano per farsi dare la chiave.
“Vieni, l’ho lasciata nello stanzino in cui ci cambiamo” fece Tom, facendogli cenno di seguirlo.
Bill lo seguì in silenzio, dando uno sguardo al suo fondoschiena mentre gli camminava dietro.
“Fai palestra?” domandò, interessato.
“Quando trovo il tempo” rispose l’altro, prendendogli le chiavi dai propri jeans appesi ad una sedia “Eccole” gliele porse.
“Grazie, ci vediamo a pranzo?” domandò l’altro con un sorriso speranzoso.
“Non torno quasi mai per pranzo, forse per cena”
“Oh, d’accordo” si era intristito: non conosceva nessuno e avrebbe passato la maggior parte della giornata da solo; la cosa non lo allettava per niente. Si sarebbe tenuto occupato con le compere e la ricerca di un lavoro.
  
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