Storie originali > Avventura
Segui la storia  |       
Autore: Kira Nikolaevic    01/11/2015    2 recensioni
Ok... salve. questa è la prima storia originale che pubblico, e, nonostante sia ambientata -come si capisce dal titolo- su un galeone pirata, non vuole essere una storia tipo romanzo storico... anche se le mie ricerche le ho fatte! ;P
DAL TESTO:
"Dopo qualche ora, intorno alle sette della mattina, sentì una voce chiamarla dal ponte “Ehi! Ragazzina! Nimue!” si trattava di Steven, il braccio destro del capitano della nave, il suo luogotenente.
Si girò verso l’uomo. “Si? Che c’è Steven?” disse con quel suo leggero accento francese.
“Il capitano ti vuole nella sua cabina. Ha detto che vuole parlarti.” disse l’uomo. La benda su un occhio e il dente d’oro a luccicare mentre parlava.
“Va bene. Arrivo.”
Si rimise in piedi e percorse a ritroso il bompresso camminando veloce, mantenendo un equilibrio impeccabile, per poi saltare giù, atterrando con grazia e leggerezza sul ponte e correre veloce come il vento verso la cabina del capitano, che si trovava a poppa. Steven rimase lì ad osservarla quasi come incantato dai movimenti della ragazza. Accidenti! Più cresce, più diventa bella... pensò tra sé e sé grattandosi la barba ormai grigia."
bene... spero vi abbia incuriosito... quindi, buona lettura! Kira
Genere: Avventura, Fluff, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
QUATTRO
-
Di nuovo a casa.
 
 
Erano cinque giorni che il capitano della Regina e Nimue non si vedevano più. Steven aveva riportato l’accaduto alla ciurma appena raggiunto il galeone. Era riuscito a tranquillizzare gli animi di coloro i quali si erano affezionati alla ragazza, che si erano subito allarmati per lei e per il loro capitano, ma ora anche lui stava iniziando a preoccuparsi per il suo capitano e per la ragazzina, che vedeva più come una figlia, che come un membro della ciurma.
“Steven, andate a riposarvi, sono già passati cinque giorni e non avete ancora dormito, restando a scrutare la spiaggia della baia. Andate e lasciate fare a noi”.  Era Jack, il timoniere della nave, e, alle sue spalle, il resto della ciurma. Nessun membro dell’equipaggio mancava all’appello, compresi Diego, il cuoco ed il vecchio Frank, il velaio, aiutato a tenersi in piedi dalla vedetta, che era come un figlio per lui.
“Dal nido di corvo, posso vedere meglio e senza difficoltà. Se dovessi vedere qualche movimento sulla spiaggia, vi verrò ad avvisare personalmente, Steven” disse Jhonny, la vedetta. Era un giovane di ventidue anni, i capelli castani mossi e corti. Molto affezionato ai compagni d’equipaggio più grandi di lui.
Steven sorrise riconoscente ai suoi compagni, cosa molto rara per lui, burbero  com’era.
“Mi raccomando, giovanotto.” disse rivolto a Jhonny, che annuì, leggermente intimorito dal tono usato dall’uomo.
 
Anche volendo, Steven non avrebbe potuto addormentarsi, tale era la preoccupazione per Simon e Nimue. Era già una decina di minuti che l’uomo si girava e rigirava nella branda, tormentato dalla preoccupazione circa la sorte dei due. Erano così giovani, entrambi.
Tempo addietro aveva conosciuto il padre di Simon, Alexander Avery. In quel periodo era ancora al servizio di Sua maestà, prestando servizio nella marina reale inglese.
 
Trentatre anni prima.
Estate 1662,  nave Carlo II.
 
Era ancora giovane, allora. Era diventato un navigatore in giovanissima età e a soli vent’anni si era ritrovato a prestar servizio a Sua maestà Re Carlo II d’Inghilterra, sull’omonima nave, sotto il comando di Alexander Avery, anche lui molto giovane per quell’incarico. Ricordava che l’uomo aveva appena trent’anni.
Un giorno, quel fatidico giorno, la nave era stata presa sotto attacco da una nave di pirati francesi. Avevano difeso la nave con le unghie e con i denti, ma il comandante era stato ferito da un colpo di moschetto.
Steven, avendo assistito alla scena, si era scagliato sul francese che aveva sparato e lo aveva trapassato con la sua sciabola.
Era venuto a sapere, poi, che si trattava del capitano francese, sceso in battaglia accanto ai suoi uomini. Una volta che lo aveva visto toccare terra a peso morto, Steven si era avvicinato al suo comandante, cercando di prestargli un minimo di primo soccorso. Ma c’era poco da fare, purtroppo.
“No...non vi preoccupate per me. A...ndate a cercare qualche ferito ch...che si possa ancora salvare... Per me... non c’è niente da fare, ormai...”aveva detto il comandante tra un rantolo e l’altro.
“No, signore. Vedrete che il medico saprà rimettervi in sesto. Non potete mollare proprio adesso. So che a Londra avete una moglie che vi aspetta. Non volete rivederla?” aveva risposto quel giovane Steven, caparbio come sempre.
Il comandante aveva riso. O almeno, ci aveva provato. Le fitte di dolore erano troppo forti per poter ridere. “Siete una testa dura... signor...?”
“Steven Stock, signore.”
“Steven... e... e ditemi... quanti...quanti anni a...avete?”
“Ventidue, signore.”
“Ventidue...” aveva replicato con un sorriso tirato sul viso. “Siete più giovane di me, allora. E... ditemi, Steven... voi avete figli?”
“No signore. Anche se non mi dispiacerebbe affatto l’idea” aveva risposto lui sorridendo quasi timidamente ed imbarazzato.
 
Una volta che il ponte di coperta era stato lavato dal sangue e liberato dai detriti della nave pirata, l’equipaggio aveva sepolto in mare i corpi dei marinai e del comandante morti.
E, mentre vedeva scivolare giù nelle profondità del mare della Manica il corpo del capitano, Steven non riusciva a non smettere di pensare a quello che il giovane uomo gli aveva detto prima di spirare. “Sapete... prima che partissi per questa... stupida faccenda di Dunkerque*... mia...mia moglie mi ha confidato di avere il sospetto di una gravidanza...avrò un figlio... ed io... ed io non lo potrò mai conoscere...vederlo  crescere... -aveva gli occhi lucidi mentre diceva quelle cose, Steven si ricordava perfettamente anche la voce incrinata dal dolore, non solo fisico- Sto lasciando Lily... si ritroverà...sola a dover crescere e...ed educare mio figlio... -a quella frase aveva visto una lacrima percorrere il viso del suo comandante-“. Si era ripromesso che, una volta tornato a Londra, sarebbe andato dalla signora Avery e, in un certo modo -che doveva ancora inventarsi- sarebbe stato al fianco del bambino, in maniera tale da non fargli pesare troppo l’assenza del genitore. Certo, non sarebbe stata la stessa cosa, ma era, per lo meno, qualcosa.
 
Era ancora perso nei ricordi quando, tutto trafelato, con i capelli scompigliati dal vento, arrivò Jhonny. “Signore. Li ho avvistati.” A quelle parole Steven si alzò di scatto dalla branda e si precipitò in coperta. Arrivato al parapetto, strappò il cannocchiale dalle mani di Jack e iniziò a scrutare e analizzare nei minimi dettagli il profilo della baia.
Notando che l’uomo non riusciva ad individuarli, il timoniere glieli indicò con un dito.
Steven ringraziò con un cenno del capo il giovane uomo al suo fianco. Vide Simon reggere tra le braccia una figura inerme. Nimue.
“Preparate una scialuppa. Vado subito a recuperarli.” ordinò restituendo l’oggetto al timoniere.
“Chiamate Philip. Che venga con me.”
“Lascio il comando a voi, Jack” disse mentre calava la scialuppa in mare.
La ciurma seguì dalla nave ogni movimento loro.
Quando la scialuppa tornò alla Regina, aiutarono subito a far salire a bordo il loro capitano e videro che la ragazza era svenuta e mortalmente pallida. La fronte imperlata di sudore. Gli occhi che si muovevano come impazziti sotto le palpebre chiuse.
Simon non perse un minuto e la portò immediatamente sottocoperta, nella cabina di lei, seguito a ruota da Philip.
 
“Passatemi i ferri, per cortesia, capitano” disse Philip concentrato ad esaminare la ferita quasi infettata al braccio della ragazza. Prima di medicarla a dovere e poter intervenire per evitare una cancrena, però, bisognava estrarre il proiettile.
Quando ebbe in mano i suoi arnesi li infilò tra i carboni ardenti del braciere portato in cabina per scaldare l‘aria, per poterli disinfettare. Una volta che questi divennero quasi incandescenti li estrasse dal fuoco ed iniziò ad operare il braccio di Nimue. Dopodiché, si adoperò per poter saturare la ferita.
Nonostante lo stato di incoscienza in cui riversava la ragazza, dalle labbra di questa iniziarono ad uscire leggeri e deboli gemiti di dolore.
“Per ora sembra che l’infezione sia stata fermata. Se non le sale la febbre, e, soprattutto se si sveglia entro sera, potremo dichiararla fuori pericolo” disse Philip mentre si lavava le mani in una bacinella d’acqua. “Comunque, sarebbe meglio che stia a riposo per qualche giorno, capitano”.
“Bene. Vi ringrazio infinitamente, Philip...” disse Simon accomodandosi su uno sgabello di legno al capezzale di Nimue.
“Dovreste farvi medicare anche voi, capitano” disse Steven, che era appena entrato.
 
“Come sta?” chiese a Simon non appena il dottore uscì dalla cabina.
“Sembra che sia scampata all’infezione. Se non le viene la febbre, e se si sveglia entro questa sera, dovrebbe essere fuori pericolo” rispose pensieroso e preoccupato il giovane.
Stettero qualche minuto in silenzio, entrambi a fissare il vuoto. Il silenzio era rotto solo da alcuni profondi sospiri emessi dalla ragazza.
“Cos’è successo, Simon?” chiese a freddo Steven.
Prima di rispondere, Simon fissò i suoi occhi in quelli dell’uomo, poi, tornò a fissare il volto pallido di Nimue. Prese un grosso respiro prima di parlare. “In carrozza, suo padre mi ha detto che sarei dovuto sparire dalla circolazione, ovviamente, mi ha ospitato in casa sua. So che voleva darla in moglie a qualcuno, come se volesse concludere un affare... me lo ha detto lui tra le righe... e una volta che lei si è ripresa, ha reso partecipe pure lei dei suoi piani, ma da quello che ho capito, Nim si è categoricamente rifiutata -sorrise- sai com’è fatta. Poi, siamo scappati. È stata un’idea sua. Sono molto orgoglioso della donna che è diventata. -un altro sorriso- Ha pensato a tutto, anche mentre ci stavano cacciando, come animali, ha saputo mantenere la mente lucida per poter ragionare nel migliore dei modi. Arrivati al porto, ci hanno sorpresi. Eravamo in trappola, ma ha avuto l’idea di prendere una barca di suo padre per fuggire e mentre la slegavamo dal molo cui era attraccata, hanno iniziato a spararci contro... continuavano a ripetere di mirare più a me e di non prendere lei.  Avevano mirato pericolosamente a me e... lei si è messa in mezzo. Alla fine, quella che più ci ha rimesso è stata proprio lei...” finì, accarezzandole delicatamente il viso e scostandole una ciocca di capelli dalla fronte.
Si sentiva meglio. Si era sfogato con qualcuno. Ma i sensi di colpa non accennavano a placarsi o a dargli pace. L’aveva strappata dalla sua vita. Dalla sua gente. Dalla sua famiglia. E le sue parole –“È la mia vita”- non lo aiutavano di certo. Credeva che lei lo avesse fatto per lui. Credeva che lo avesse fatto per tener fede al patto che avevano fatto tanti anni prima. Ma lei non sapeva, che ormai, quella del patto era più una scusa per tenerla al suo fianco. Pian piano, Simon aveva capito che senza quella ragazzina iperattiva, testarda ed indipendente, si sentiva vuoto. Aveva capito di vederla molto più di una sorella.
Stava ancora pensando a tutte quelle cose, quando la mano di Nimue strinse la sua, facendolo spaventare.
“Nim!” disse sorridendole affettuosamente. Strinse un po’ di più la mano della ragazza e ne baciò il dorso.
Nimue, a quel gesto e a quel contatto arrossì come non mai. Sorrise felice di essere di nuovo sulla Regina, di essere tornata a casa. “Come stai, capitano?” chiese dopo essersi schiarita la voce.
“Sciocca ragazzina. Pensa alla tua salute...”
A quelle parole lei sorrise.
“Mi piacerebbe andare sopra coperta... mi potresti aiutare, Simon?”
Simon la portò sul ponte. Il sole stava tramontando, ma comunque, la ciurma era ancora a lavoro. Quindi, quando la videro passare, aiutata a reggersi in piedi dal capitano, la salutarono tutti, chi più chi meno, calorosamente. Lei sorrideva felicemente a tutti. Arrivati vicino al timone, lei si staccò dall’appoggio che le dava Simon e, barcollando leggermente, si avvicinò al parapetto, ci si appoggiò e “Finalmente a casa!” disse con gli occhi che le brillavano di gioia.
 
 
 
 
 
 
 
 
*Dunkerque: Nel 1662, re Carlo II, cedette Dunkerque alla Francia per 400 mila sterline
 
 
 
 
 
ANGOLINO AUTRICE: Ehilàààà!!! Ma quanto tempo…*si nasconde dietro al computer* vi prego non uccidetemi! Lo so. Sono mesi che non aggiorno. Ma, ho avuto un bruttissimo di periodo di blocco. Mancanza d’ispirazione...cosa bruttissima! T.T e questo capitolo, francamente è stato come un parto... più o meno... giuro che il prossimo vedrò di pubblicarlo, massimo il prossimo mese. O non lo so... dipende da quando ce l’ho pronto.
Ringrazio di cuore chiunque ha avuto il coraggio e la pazienza (farò un monumento a tutti voi) per continuare a leggere questo obbrobrio... e chiunque l’abbia messa tra le ricordate/seguite/preferite. E chi l’ha recensita... scusate, non mi ricordo chi ha recensito e mi sta morendo il computer... ma solo per voi sto riuscendo a tenerlo miracolosamente in vita supplicandolo di non abbandonarmi.
 
Alla prossima! Un bacioneone a tutti! Kira *scatush!* *sparisce prima che le lancino dei coltelli*    
Purtroppo è morto mentre provavo ad aprire EFP, quindi, ora è in carica...
Quindi, le persone da ringraziare sono le seguenti:
per le recensioni: ChocoCat, Milkendy, MissKiddo e speranza_illusione.
Per chi ha messo la storia tra le ricordate: speranza_illusione
Per chi tra le seguite: 0.0martolla0.0, Atena Poseidon, Giu_ls, luxkaly1, Milkendy (di nuovo :D), MissKiddo (di nuovo pure lei...), sil_1971, speranza_illusione (di nuovo, pure lui xP) e SukiChoko88.
Per chi tra le preferite: Milkendy
Un bacione!!
P.S.: ora sparisco davvero! *scatush
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Avventura / Vai alla pagina dell'autore: Kira Nikolaevic