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Autore: Naki94    02/11/2015    0 recensioni
[Lovecraft]
Omaggio all'autore H. P. Lovecraft i cui scritti sono diventati i miei sogni ricorrenti. Questo è un nodoso intreccio di vari racconti e romanzi da me scelti e coraggiosamente uniti tra loro da un unico magico filo conduttore. Parlo e gioco con l'autore, dall'inizio fino alla fine, in uno scambio di idee e immagini oniriche continue.
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Ciò che accadde in seguito è difficile da definire. Fu qualcosa di gigantesco e abominevole che respirò attraverso quelle gallerie. Fissavo il buio all'interno del pozzo. Il latrato di alcuni cani vibrò dalla superficie dell'aperta campagna fino allo scantinato. Risuonò nelle pareti assieme al gemere dei ratti nel muro. Il buio mi avvolgeva. Quello, posso assicurare, fu ciò che meno mi sconvolse. Era quel respiro lento e regolare, ma sopratutto la voce di Nelson al walkie-talkie che mi paralizzava. Andò proprio in questo modo: io reggevo la fune a cui si era legato Nelson prima di scendere in quell'abisso. L'altra mano teneva ben saldo il walkie-talkie dal quale la voce del mio amico vibrava torbida e oscura e talvolta ad intermittenza. Nel cupo silenzio di quell'antico e deserto sotterraneo, andavo elaborando nella mente le più macabre fantasie, e ai miei occhi quei dipinti non finiti, che mi circondavo coperti dai cenci, parevano assumere una sorta di vita sensibile, un'orrenda personalità. Ombre informi erano in agguato negli angoli più bui della vecchia casa, e sfilavano, in una sorta di danza rituale, lungo le pareti sgretolate dall'umidità e i mattoni crepati dal freddo invernale. Ombre – mi dissi – stranamente cupe per essere prodotte da una falce di luna così sottile. Guardavo continuamente l'orologio alla luce della lampada elettrica che avevo posizionato sopra un trave caduto. E ascoltavo con ansia febbrile qualsiasi suono provenisse dal ricevitore del walkie-talkie ma, per almeno dieci minuti, non riuscii a sentire nulla. Poi dall'apparecchio venne un debole suono acuto. Con tutte le mie ansie, non ero comunque preparato alle parole che salirono da quella serie di cunicoli minacciosi. Un tono di voce allarmato e tremante che non avevo mai sentito prima da Nelson Bruni. Mi chiamava attraverso l'apparecchio con un sussurro soffocato più raccapricciante di un urlo lanciato a squarciagola nella notte. «Chiudi! Scappa! Non...per l'amore di Dio! Chiudi il pozzo e scappa!». Non riuscii a rispondere.

Poi arrivarono altre parole concitate «E' spaventoso...mostruoso...incredibile!». Sentendo il tono di voce allarmato e sotto sforzo questa volta la voce prese forma. Così, terrorizzato, continuavo a fare domande su ciò che stava accadendo. Cercavo perlopiù di spronarlo a risalire in fretta. Ma Nelson sembrava essere stato rapito dalla follia poiché continuava a ripetere «è qualcosa di innominabile...impossibile definirlo...ho paura..mi ha visto...ti ho detto di andartene! Presto! E' sveglio!». Seguirono dei suoni gracchianti e storpi. Poi di nuovo il silenzio. Ricominciare a chiamare il suo nome nell'infinito buio del nulla assoluto. Quindi udii di nuovo la voce di Nelson, stravolta dall'orrore «Scappa! Scappa! Scappa!». Altri rumori uscirono dal ricevitore e, dopo una breve pausa, vi fu l'ultimo e straziante grido implorante di Nelson a cui risposi «vengo giù! Ti raggiungo!» avvertii alcuni sibili poi una serie di parole prive di senso, incomprensibili. Dopo fu il silenzio. Non so quanti milioni di anni rimasi lì, in piedi e sconvolto a fissare quel buio nel senza forma. Sussurravo, mormoravo, chiamavo Nelson attraverso il walkie-talkie. Poi giunse su di me l'orrore supremo, una cosa incredibile e inconcepibile. Sentii altri rumori attraverso l'apparecchio così tentai nuovamente «Nelson? Sei lì?» in risposta udii ciò che mi ha ottenebrato il cervello. Una voce profonda, tenebrosa, gelatinosa, lontana, ultraterrena, certamente inumana quella che attraversò l'aria dall'apparecchio fino alle mie orecchie. L'ho sentita distintamente provenire dalle più lontane profondità di quel botro maledetto. Per l'amor del Cielo! L'ho sentita! Ho udito la voce di quell'essere mentre un aria pesante e putrida fuoriusciva da quel pozzo portandosi con sé un lontano sapore di sangue. E questo è quello che disse: «idiota! Nelson è morto!».

Di istinto allora cercai di capire, dalla corda che tenevo salda in mano, se vi era attaccato un peso. Niente. La corda risalì da quel pozzo come se non vi era mai stato legato nessuno. Così mollai tutto per afferrare la lampada elettrica. Mi infilai nel cunicolo stretto di quel quel pozzo in discesa. Ciò che trovai alla fine di quelle gallerie è qualcosa di incredibilmente prezioso. Erano tunnel che serpeggiavano infiniti nel sottosuolo di tutto il paese. Intorno alla grande galleria principale si dividevano centinaia di altri cunicoli. Le radici degli alberi affioravano come braccia dalla terra umida e pungente. Il freddo era indescrivibile. Cercai di seguire quei pochi gettiti d'aria che di tanto in tanto avvertivo giungere da un tunnel piuttosto che un altro. Sicuramente alcune di quelli conducevano all'aperto. Ma di Nelson niente. Nemmeno i suoi oggetti sul percorso. Considerando i metri di fune che avevo riavvolto non sembrava che avesse fatto parecchia strada. Tuttavia non riuscivo a individuare di lui nemmeno la più misera traccia. Un'ombra contorta e sfuggevole camminava alle mie spalle, riuscivo a percepirla chiaramente. Tentai di non pensarci e di non voltarmi. La torcia elettrica illuminava fievolmente il contorcersi oblungo della galleria di terra e pietra. Un graffio! Avevo udito echeggiare tra tutte quelle stanze il suono acuto di artigli sul muro. Una creatura strisciante mi era vicina. Capii in definitiva di non essere solo! Allora decisi di abbandonare quella missione di salvataggio. A quel punto fui consapevole che non avrei mai più rivisto il mio amico Nelson Bruni. La priorità dunque divenne quella di uscire il più presto possibile da quel luogo infernale e di mettermi in salvo. Simili posti sulla terra non dovrebbero esistere! E' indescrivibile quello che avvertii in seguito. Lo stridere di artigli proveniva da più cunicoli, alcuni suoni parevano ancora lontani, altri invece credevo di avergli proprio accanto! Che ci fossero più di uno di quegli essere immondi? Non oso pensarci, solo l'idea mi fece impazzire a tal punto che, in preda a un fortissimo attacco d'ansia e terrore, cominciai a correre verso un'unica direzione. Altro intorno a me aveva preso a muoversi più velocemente. Lo percepivo. E di tanto in tanto, durante la corsa, la lampada elettrica illuminava di scorcio e molto brevemente alcune pupille argentate incassate nel buio. Sono certo di averle viste!

A dire la verità non saprei affatto ricordare come in tutto quel panico riuscii a rimanere lucido tentando razionalmente di seguire quegli sbuffi d'aria che provenivano da taluni corridoi. Correndo mi ritrovai davanti ai miei occhi una luce diurna. Era passato tutto quel tempo? La luce proveniva da un ingresso roccioso nel quale mi infilai a fatica. Era una fessura di pochi centimetri. Mi sentii subito più al sicuro oltre quella lastra di pietra che mi separava dalle immonde creature. L'incubo alle mie spalle si agitava mentre, guardandomi intorno, cercavo di mettere a fuoco il luogo in cui ero sopraggiunto. Era tutto avvolto da una foschia ghiacciata. Stalattiti e stalagmiti mi davano l'idea d'essere all'interno di una grotta. C'era da sperare che questa fosse disabitata e di non essere incappato in un incubo ancora peggiore di quello lasciato alle spalle. Ero in un tremendo stato di delirio e alterazione, dunque non mi stupii affatto della notevole percezione che anche quel lungo non mi fosse del tutto nuovo e inesplorato. Avevo la folle sensazione d'esserci già stato in quella grotta. Ne diede conferma il fatto che sapevo muovermi tra quei nuovi cunicoli con semplicità e orientamento. Ma era una cosa impossibile! Finché non mi trovai davanti una cosa spaventosa e immensa. Fui davanti a un muro, ricavato nella nuda roccia, che pareva un pilone mostruoso sagomato di proposito. Di fronte a quel muro umido e gocciolante, rimasi in silenzio, impaurito. La protuberanza sulla chiave di volta dell'arco immaginario, era veramente la scultura di una mano gigantesca? Seguii con lo sguardo l'immensità di quel portale fino a terra. Un oggetto candido si era fermato su una pozza d'acqua stagnante lì accanto. Era un tessuto inzuppato d'acqua. Lo raccolsi strizzandolo come si fa con uno straccio. Spiegazzato e fradicio mi accorsi di tenere tra le mani un fazzoletto. Sul bordo c'era una scritta cucita a mano, per essere più precisi un nome: Radolfo Carti. Per Dio! C'era il mio nome su quel fazzoletto! 

   
 
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