Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |      
Autore: crazy_k    02/11/2015    0 recensioni
Vi è un confine oltre il quale ogni sogno si tramuta in incubo.
Vi è una terra che contende spazio al cielo, dove il tempo si annulla.
Vi è di sicuro un altro luogo, un altro tempo, un altro spazio dove sogni e incubi sono realtà.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
UNCONSCIOUS
 
 
 
 
Avanzi lungo uno stretto corridoio di cui non vedi la fine. Pare la corsia di qualche nuovo ospedale, con bianchi muri asettici e l'odore di disinfettante che aggredisce il naso e rende gli occhi lacrimosi.
 
Sei sola.
 
La luce dei neon ti abbaglia, fredda. Sguscia lungo le pareti, non bianca quanto verdastra. Ti ricorda quella luminosità plumbea che scende sulle montagne dopo i grandi temporali invernali, o l'atmosfera malsana che respiri negli acquitrini.
Il rumore metallico e lo sfrigolio delle lampade ti rizzano i peli del corpo. L'aria è satura di elettricità.
 
Ti senti incredibilmente a disagio.
 
Hai freddo, tanto.
Non sei sicura di esserci in questo posto, di esserci col corpo intendo. E se fosse solo la tua mente ad essere proiettata nel corridoio? Può essere che la tua coscienza stia semplicemente andando in giro senza di te.
 
Provi a muoverti e tutto inizia a correre.
Attenta. Non sei tu che ti stai spostando, è il corridoio a venirti incontro e lo fa a velocità sconcertante. Ti costringe ad addentrarti sempre più a fondo nei suoi meandri, sempre più lontana da dov'eri prima anche se tu non ti sei mai spostata.
Tutto è uguale. Tutto. Metri, chilometri di pareti che lentamente ti accorgi sembrano restringersi sempre di più attorno a te. Un'infinità ripetuta di bianco, ed inizi a respirare. Veloce. Sempre più veloce. Ora vedi la condensa del fiato. Le pareti sono troppo vicine. Stanno per toccarsi. Finirai schiacciata!


 
Fluttui, come una foglia morta portata dal vento tra quelle immense lapidi che sono i palazzi delle città.
 
La terza dimensione è sparita. Tutto è nero.
Ti senti strana, ti accorgi di aver recuperato il tuo corpo. Provi a muovere le dita delle mani, e quelle dei piedi. Cautamente sollevi un braccio all'altezza del volto e ti accorgi di essere nient'altro che un disegno bianco di bambino. La tua figura è un tratto incerto di matita su un foglio nero. E siccome il tuo corpo non ti piace, non ti è mai piaciuto, e mai potrà piacerti - soprattutto se a disegnarlo è stato un bambino - fai quello che fanno tutti i bambini quando vogliono cancellare ma si ritrovano sprovvisti dello strumento per farlo; ti sputi addosso e strofini.
Piano piano le tue gambe diventano delle chiazze umide e grigiastre sulla carta, il tuo addome viene grattato via dal foglio, il tuo volto diventa una maschera sfocata senza connotati.
Non ti senti in colpa a lavar via ogni centimetro di disegno per tornare a essere una coscienza, libera.
 
Il foglio si muove: si rivolta su sé stesso, si arrotola, si allunga. E' un tunnel.
Avanzi lungo il tunnel solo per inerzia.
Sulle pareti curve si intervallano ogni pochi metri un numero spropositato di porte. Ci sono porte alte e porte basse; porte lunghe e strette e porte grosse e larghe; porte in legno e porte in vetro smerigliato; porte chiuse e porte aperte. Tante, tantissime porte. Ognuna diversa dalla precedente ed uguale a quella che viene dopo... Ma questo non può essere, o sì?
Dalle porte socchiuse fuoriescono lame di luce dorata che penetrano feriscono l'oscurità del tunnel. Da quelle in legno provengono strani cigolii, come se il legno stesso si lamentasse di qualcosa. Dalle porte in vetro filtra una luminosità azzurrognola e triste, ti ricorda l'atmosfera che c'era la domenica mattina a messa. Dalle porte larghe proviene il suono malinconico di una fisarmonica, da quelle strette la cacofonia di voci che caratterizza le feste e il rumore dei tappi di champagne che saltano. Dalle porte alte emana un profumo intenso di gelso, da quelle basse proviene il suono stridente di mille campanelli. Passando accanto alle porte chiuse, un silenzio di morte ti avvolge per poche frazioni di secondo.
Nessuna di queste è la tua porta.
La tua porta è quella là, sulla sinistra. Non è propriamente una porta ma un'apertura nella parete e per passarvi devi curvare un po' la schiena.
 
La stanza in cui ti trovi è buia e vuota.
Sei confusa. Una spiacevole sensazione di imbarazzo ti pizzica le guance. Eri certa che lì dentro ci fosse qualcosa per te. Ed invece, il nulla.
Ti volti con l'idea di tornare sui tuoi passi, puoi sempre cercare un'altra breccia nel tunnel. Allunghi il braccio per guidarti nell'oscurità ma al posto di uno spazio vuoto incontri la solida resistenza di un muro.
 
La melodia dolceamara di un piano si diffonde nell'aria. In un angolo della stanza appare lo strumento, brillante di luce propria, bellissimo e allo stesso tempo in qualche modo spaventoso.
Ti chiama, lo senti. Ti sta pregando di avvicinarti. Vuole portarti da lui. E' vivo, un'entità che ti trascina nel suo abbraccio, cantando dolci promesse. E ad ogni promessa, stona una nota della melodia.
Ti avvicini lo stesso, incurante dell'implicito avvertimento nella musica. Trascinata sempre più vicina, l'ambiente si illumina fiocamente di una luce livida, violacea. Ora riesci a distinguere il pavimento della sala; è un'immensa scacchiera lucida. Le pareti sono ricoperte da una pesante tappezzeria in velluto rosso, sembra molto calda e morbida, vorresti toccarla ma qualcosa ti dissuade dal farlo.
Il pianoforte è grande. Molto grande. Troppo grande per essere un pianoforte normale. Ti sovrasta quando sei abbastanza vicina da poterlo toccare e all'improvviso, ti rendi conto che non c'è mai stato un pianoforte, e che non c'è mai stata nessuna musica.
 
Davanti a te c'è un enorme specchio.
Dentro lo specchio una folla silenziosa si muove; strascica i piedi per terra, cammina, corre. Paiono essere tutti molto indaffarati, tutti molto concentrati, preoccupati, tutti molto impazienti di arrivare dove stanno andando anche se non sei sicura che dove stiano andando lo sappiano. Sono tanti, tantissimi profili.
Indossano tutti gli stessi vestiti: le stesse giacche scure dal taglio classico, i pantaloni stretti in vita dalla cintura, le cravatte ben annodate sulle camicie bianche.
Hanno tutti la stessa faccia, la tua.
La tua faccia ripetuta all'infinito: ancora, ancora, ancora, ancora... Ancora.
Ovunque ti giri, nello specchio ci sei tu.
Tu, dentro lo specchio; dentro la folla. Tu che SEI la folla.
E ti sembra di impazzire, di soffocare, di venir schiacciata da una moltitudine di...
Vuoi urlare ma non hai voce!
Vuoi strappare il tuo volto da quello delle persone intorno a te ma non puoi muoverti!
Impotente, soccombi.
 
C'è un corpo senza testa tra la folla, davanti a te. L'unico.
Lo fissi e quello alza il braccio, ti indica una direzione.
Ti volti, la folla scompare.
 
Due ragazze si baciano con veemenza. E' passionale, violento, rabbioso quasi. C'è enfasi, troppa enfasi, è sbagliato. Guardi meglio, tu lo sai chi è quella ragazza che ti sta sopra. Lo sai.
Lei si volta, ti ha sentito. Sorride.
"Ti amo"
La bocca è insanguinata, sgorga sangue scuro, denso e grumoso, blu dalle labbra. Ha gli occhi spiritati, spalancati, scioccati. Ti sta divorando.
 
Non ci sei più.
 
Riappari e un carillon suona una triste melodia. Sono sempre le stesse cinque note ripetute all'infinito.
Un cane ti è seduto di fronte, ti fissa.
Piccoli brividi di freddo ti percorrono la schiena. Ti sembra di avere un esercito di cimici che infilano le loro zampette appuntite nella tua carne.
Puzza. C'è puzza di carne bruciata.
Il cane continua a fissarti. Lo guardi. Conosci quegli occhi. Non appartengono a lui. Non sono gli occhi di un animale quelli, sono troppo umani... Troppo umani. Lo sai di chi sono quegli occhi ma non riesci a ricordare. Quella forma particolare, quel colore...
 
Hai il respiro affannato come dopo una lunga corsa. Ti si affaccia alla mente il ricordo delle lezioni di educazione fisica delle scuole superiori, quando il professore di turno ti obbligava a fare quel dannato Test di Cooper.
Sono anni che hai lasciato quel professore e quella pista sulla quale sputavi i polmoni, eppure la stessa inquietudine di allora ti avvolge al solo pensiero.
 
Scoppi a piangere. Hai il tormento addosso, senti tutto il corpo tendersi e prudere, pizzicare, andare a fuoco!
Urli perché finalmente puoi farlo e non ti sembra la tua voce il suono che ti graffia la gola e spaventa il cane.
La bestia dagli occhi umani si avventa su di te, feroce. Ti spinge a terra, sovrastandoti con la sua mole e bloccandoti il respiro nella gabbia toracica. Senti le ossa scricchiolare e continui a urlare senza accorgerti che non puoi più produrre suono.
Non hai paura, senti solo un’energia primordiale spingere per uscire dallo stomaco, un ruggito animale che ti vibra dentro.
Ora siete in due a latrare, a mordere, straziare le carni e divorare gli organi, a graffiare, gonfiare e tendere i muscoli, a conficcare unghie ed artigli nelle tenerezze dei corpi, in quegli occhi che non puoi sopportare di vedere.
Rigurgiti il tuo stesso sangue. Anneghi nel tuo liquame.
 
Percorri a gran velocità lo stesso corridoio in cui ti trovavi all'inizio, stesa su una barella, immobilizzata da grosse cinghie di cuoio, circondata da altissimi medici in camice bianco che parlano una strana lingua e sembrano planare su di te come tanti avvoltoi pallidi di morte.
Ti sembra di impazzire di dolore. Senti le interiora liquide colarti tra le gambe. Sei bagnata, troppo bagnata, l'improvviso timore di esserti urinata addosso ti assale. Ti vergogni come una ladra. Abbassi lo sguardo. Non riesci a vedere al di là del ventre gonfio e tumefatto.
 
Il cordone ombelicale assomiglia a una gomma da masticare di colore bluastro, la consistenza è la stessa. Fa capolino dalla tua apertura dopo il parto, sostituto di un figlio che non c’è mai stato.
Lo afferri e tiri. Anche se fa male, tiri. Godi della sensazione che l'intero corpo, dalla punta della testa fino a quella del piede, sia attraversato da un fil di ferro rovente.
Tiri, e mentre lo fai immagini te stessa come una grossa matassa di lana da sbrogliare. Senti il bisogno di riordinare la matassa. Vuoi venirne a capo. Tiri il bando della matassa e il cordone si allunga, continua ad allungarsi e non finisce. Non finisce mai.
Ti accorgi che oramai è abbastanza lungo da poterne fare un cappio.
 
Penzoli senza vita da una trave.
L'incubo è finito.
 
 
 
 
THE END
   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: crazy_k