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Autore: caly    03/11/2015    6 recensioni
La vita vera di Emily iniziò nel giorno in cui sarebbe dovuta morire.
[...]
Sorrise.
Aveva perso ogni timore. Ogni ansia che aveva in vita. Fino a quel momento aveva avuto più paura della vita che della morte e questo la faceva sorridere.
L'idea di levarsi la vita era nata tanto tempo prima quando aveva capito che paradossalmente, vivere, la uccideva lentamente.
Ed era felice di poter mettere fine a quella tortura, felice di poter scegliere lei il giorno, il momento.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Alison DiLaurentis, Emily Fields
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Piccola nota: in corsivo i ricordi. Ci vediamo a fondo paginaaa

"Ali... Ali, alzati....porca merda" sentiva la voce insistente di Caleb chiamarla. Ma era tutto cosi ovattato, tutto così lontano. La testa le girava da far male. Sentiva il sapore amaro del vomito in bocca e le mattonelle fredde del bagno contro il viso.
"Non si alzerà.... Non capisco perché deve sempre finire così"
"Spencer stai zitta" 
Due braccia forti la sollevarono dal pavimento contro la sua volontà"N-noo, vogliiio restare qui..."
"Ali ti porto a casa"
"Dofe sei stato tutto questo temfo?" Biascicò
"I-io ero a ballare..."
"Te la fei scopata di nuovo, vero?" Ma Caleb non rispose. Sentiva dei sussurri intorno a lei. Voci familiari. La musica non c'era più.
"Non la metto in macchina così"
"Non mi interessa se vuoi o non vuoi, Spencer. Io non posso riportarla a casa in braccio" Silenzio. "Okay" Pochi passi e si ritrovò di nuovo stesa, l'odore di Spencer forte sul sedile. Sentì la macchina partire e trattenne l'alcool che premeva per uscire. "Dove devo andare?" Chiese Spencer glaciale. "Gira a sinistra..." Dopo qualche minuto riconobbe la strada e i palazzi distrutti.  Vedeva a malapena ma lo sguardo duro e preoccupato di Spencer dallo specchietto. "Destra" La macchina si fermò e Caleb scese. "Grazie Spencer" 
Si ritrovò nuovamente in quelle braccia forti e le venne da piangere. Strinse forte le dita sulla maglia sudata dell'amico e le lacrime incominciarono a scendere da sole. "É tutto apposto... Shh stai calma" sussurrava tra i suoi capelli, salendo un gradino alla volta. "Ca-Caleb" singhiozzò e l'amico la strinse ancora un po'.
"Sono qui Ali"
"Mi faccio schifo..." 
" Ali..."
Si divincolò, voleva che la lasciasse andare, voleva accasciarsi a terra e piangere, sfogarsi, voleva bere ancora, per non capire, per zittire  i suoi pensieri. Emily era l'unica cosa buona della sua vita in quel momento e lei l'aveva rovinata, spaventata. Lei la faceva stare meglio. Da tempo era il suo primo pensiero quando si svegliava e l'ultimo prima di addormentarsi. E non sapeva come avrebbe fatto senza quell'abitudine, senza quella sicurezza, senza l'unica cosa bella delle sue giornate. Non riusciva a capire perché per sentirsi bene doveva stare così male. Aveva iniziato a bere, fumare  e drogarsi quando aveva perso tutto. Era un modo più facile di vivere, di sentire. Non aveva più una casa, non aveva più una famiglia, non aveva più Shana. Era finita per caso in quella strada e sempre per caso aveva preso quell'appartamento, se così si può chiamare. Un lavoro l'aveva trovato poco dopo e con quei pochi soldi era più facile comprare bottiglie scadenti che da mangiare. All'inizio Caleb le era stato vicino, veniva a trovarla più spesso e aveva sempre qualcosa per lei. Le giornate scivolavano nella confusione più totale e le mattinate in aula sempre più inutili. Passava le ore, tra banchi ed armadietti, a pensare al pomeriggio, alla sera. A quello stare male per stare bene.  Alcune volte, poi, si svegliava dopo ore. E allora era tutta una promessa. Non lo farò più. Io non sono così. Me ne andrò. Non arriverò più a questo. A ridurmi così. Bugie su bugie. Non sapeva neanche se si sarebbe diplomata. Forse non voleva. L'unica cosa che voleva era un appiglio, qualcosa a cui affidarsi, qualcosa per non cadere più, per fermarsi e iniziare a risalire.  
 
 
Si sentiva dannatamente euforica, come non si sentiva da tempo. I pensieri scorrevano velocissimi. Si sentiva viva. Come se bruciasse, non piano con piccole scintille ma un fuoco grande, luccicante. Stava bruciando, cazzo. Caleb la guardava e rideva. Lui non stava bruciando o almeno non come lei. Perché non stava bruciando? Non le interessava in realtà. Caleb frenò bruscamente. Prima di quanto avrebbe dovuto. Gli toccò camminare per qualche metro. Ma a chi importava? Avrebbe potuto correre per chilometri, cazzo. Arrivarono troppo presto davanti a quel portone. Si guardarono complici di quella rabbia, di quello che dovevano fare. Alison trovò il campanello anche al buio. Infondo era stata casa sua fin da quando era nata. Chi avrebbe potuto muoversi meglio di lei anche durante la notte? Nessuno. Forse suo padre. Si aprì sul suo viso un sorriso inquietante a quel pensiero. Bussò forte, lungo. Le arrivò il rumore ovattato del campanello e rise. Caleb non riusciva a stare fermo. Vide accendersi le luci all'interno della casa. Ed un borbottio avvicinarsi. Qualcuno scendeva dalle scale. Passi pesanti. Staccò il dito ed il rumore cessò. "Keeeeeeenneeeeth" chiamò urlando. "Kenneth" ripeté a bassa voce Caleb. Si guardarono. Alison vide l'ombra di suo padre muoversi veloce. Rumore di chiavi. La porta si aprì appena.  "Chi é?!" La voce dura ma spaventata di suo padre. "Chi è? É così che si saluta tua fiiiiglia?" La porta si spalancò e, cazzo, quello stronzo stava lì a guardarla con disprezzo. "Buonasera. Io sono Caleb. La sua casa é una bella casa, per essere una casa intendo, non so se capisce. La casa é bella. Forse anche profumata. Ali é profumata? Tu che dici?"  Alison non ascoltava più nessuno dei suoi deliri da un po'. 
"Cosa sei venuta a fare?" Alison rise. 
"Ma a salutarti papino." Disse guardandosi intorno.
La osservavano tutti, erano ovunque. Ne era certa. Vedeva persone affacciate alla finestra. O dietro le persiane. C'erano, ne era sicura. Si voltò quindi platealmente, aprendo le braccia. Pronta per quel gran discorso. "il mio papino! L'uomo che mi ha dato la vita" alzò ancora la voce.
"Alison!" La chiamò il padre.
"Il grande, anzi" ci pensò " il grandioso Kenneth Di Laurentis, signori. Un esempio, un tesoro per questa cittadina del cazzo"
Forse qualche luce si era accesa davvero.
"Alison!" La chiamò nuovamente, poggiandole una mano sulla spalla. Lei se ne liberò con facilità.
"É destinato ad una terrrrribile punizione, mi avete sentito bene. Una punizione! Divina? Chi può dirlo. Cazzo, chi può dire che non sia lui il padre di questo mondo, il padre del creato! Non è così per voi?! Lui é il signore. Vi aprite al suo passaggio. Rispetto? Quanto ne vuole..."
"ALISON!"
"...e paura, paura di perderlo!" Fece pochi passi verso la fine della veranda. Sua madre la osservava dalla finestra, Jason dietro.
"Come può vivere un uomo come lui con quest'abominio?! Con me?! Lo domando a voi, rispettabili spettatori e giudic-" un paio di mani l'afferrarono. Si ritrovò distesa all'interno della sua vecchia abitazione. Riconobbe il soffitto, le doleva la nuca.  "Che cazzo pensavi di fare?" La voce di suo padre, attraverso i denti.  Alison si alzò a sedere. Suo padre le ringhiava in faccia, chino su di lei. Aliso tirò su con il naso. Le bruciava da morire. Lo schifo glielo leggeva in faccia. E così lo fece, sputò. Dritto su quel nasone. Sputò e rise, sguaiato. Lo schiaffo le arrivò veloce, così come arrivò così suo padre sparì dalla sua vista. Si alzò e lo vide accasciato a terra. Caleb se ne stava lì, eretto in tutta la sua altezza. Il pugno ancora a mezz'aria. Sua madre urlò e vide il sangue scorrere tra i lamenti. "i-il naso, mi ha rotto il naso!"  "Uuuuuuh uh" ululò Caleb, liberatorio. Cazzo, che scarica. Prese per mano Alison e l'aiutò a muoversi. Lei fissava sua madre. Quegli occhi. Caleb la tirò fuori da quella casa, rompendo ogni cosa gli capitasse a tiro. E poi via in macchina. Alison pianse.  
 

 
 
Aprì piano gli occhi, era al buio, ma dalla persiana filtrava appena la luce. Dall'altro lato della stanza se ne stava seduta una figura. La schiena appoggiata al muro e le gambe lunghe sul pavimento. Una sigaretta gli illuminava il volto ad ogni tiro. Lui sapeva che era sveglia. Ma Alison non voleva parlare. Aveva visto la borsa. Non voleva salutarlo. Vederlo andare via. Dire addio a l'unica ancora di salvezza. Era passata una settimana dalla festa. Camera sua era una discarica. Caleb si alzò piano. Si chinò e  posò un lungo bacio tra i capelli biondi. Restò così per pochi secondi, le asciugò le lacrime silenziose e poi uscì senza dire tutte quelle parole inutili. Alison gli fu grata per questo. Sapeva che se ne sarebbe dovuto andare. 
 
  Non vedeva Alison da tre settimane oramai. Eppure sentiva ancora le sue labbra delicate, il sapore della sua pelle. Erano girate parecchie voci. Tra i corridoi succede così. Qualcuno forse le aveva viste alla festa. Così aveva accettato di prendere un caffè con Ben Coogan . Le aveva messo le mani addosso il giorno stesso. In macchina. Lente e viscide sulle sue gambe.  E Emily vedeva ancora Alison ballare e strusciarsi. Scacciava quel pensiero con insistenza ma ogni tocco di lui era un ricordo vivido e vivo di lei.  E persino quando si ritrovarono nel bagno del terzo piano e lui le ansimava all'orecchio, affannato. Schiacciandola contro la parete ammuffita e fredda. Lei pensava ad Alison. Quelle labbra pallide. E quei maledettissimi occhi che si insinuavano fra i suoi pensieri, fissandola, torturandola. Ma lei e Ben camminavano mano per mano nei corridoi. I pettegolezzi erano cessati. Ed a Emily andava bene così.
 
 
 
 Si chiedeva dove fosse finita la sua perfezione. Non ricordava un giorno in cui quella sua aria di superiorità non l'avvolgesse. Eppure in quel momento si sentiva spersa e osservata. Forse perché non stava camminando al centro del corridoio come era solita fare, forse per le sue occhiaie, forse per la felpa usurata che indossava con il cappuccio tirato sulla testa. Barcollava leggermente e non sapeva neanche perché fosse lì. O forse lo sapeva fin troppo bene. La cercò con lo sguardo, più volte. Mentre l'ansia cresceva. Voleva vederla, voleva scusarsi. Abbracciarla, stringerla a se. Scosse la testa. Doveva assolutamente togliere quell'immagine dalla sua mente. I loro corpi muoversi l'uno sull'altro.  Si strinse nella felpa.  Qualcuno la urtò, fece per girarsi ma poi pensò che non ne valeva la pena. Di nuovo. E questa volta non fu un errore. Qualcuno l'aveva spintonata. "Bellezza che fai mi ignori?" Risate. Possibile che stesse succedendo a lei? Ancora uno spintone. Alison si girò. Dei ragazzi della squadra di nuoto la fissavano. Nel corridoio molti si erano fermati a guardare.  "Allora é vero?" Chiese il più alto. Alison aggrottò le sopracciglia. Non sapeva a cosa si riferisse. Lui la spintonò ancora. "Su rispondi "  Alison sbiancò. "É vero che ti sei scopata Fields a casa Hastings" Tutti risero. Alison non capiva bene cosa stesse succedendo. "Se ti mancano tanto i ragazzi io qui ho qualcosa per te" disse, portandosi una mano al cavallo dei jeans. Altre risate. "Lascia stare Josh non sei il suo tipo" si intromise un altro. Oramai il corridoio si era riempito.  "Che cazzo ti prende, non parli?!" La schernì Josh. "Hey che cazzo stai facendo?" Una voce familiare. Spencer si parò davanti a lei. "Hastings togliti,stiamo solo cercando di capire se si è scopata la ragazza di Ben" Alison parve risvegliarsi. "La sua ragazza?! Alla festa se la voleva solo fottere!" Stava urlando. Josh rise. "Dove sei stata tutto questo tempo?"  Alison indietreggiò un po', Spencer teneva lo sguardo basso. "Lo sanno tutti che se l'è fatta nei bagni" Per Alison fu come ricevere un pugno in pieno stomaco. Le mancò l'aria. Tutto era improvvisamente lontano. Le risate e le voci ovattate. Fece correre lo sguardo su quelle facce scure e infine li trovò. Quegli occhi. La guardavano, appena lucidi. Al suo fianco Ben ghignava, la teneva per mano e ghignava.  Alison scansò Spencer, si infilò fra la folla e sparì.   
 
 
 
Fece cadere le chiavi sul mobiletto accanto all'ingresso, il rumore risuonò secco nella casa.  "Ma... Sono a casa!" Urlò. Nessuna risposta. Sospirò e andò verso le scale. Quando una voce la fece saltare.
"Tua madre non é in casa" roca dal buio della cucina. Si prese un attimo per ricominciare a respirare. "Seth... Che ci fai qui?" Il compagno di sua madre le sorrise, poco amichevole.
Seth era un uomo alto, massiccio, con troppa barba. Portava camice strette, per far vedere i muscoli, un tempo forti ed esistenti. Lo sguardo triste e gli incisivi appena staccati. Le labbra sottili circondavano sempre un sorriso, Emily si chiedeva se fosse un tic.  In quel momento indossava una canotta bucata bianco sporco e un pantaloncino da ginnastica grigio. Puzzava di birra, dovevano aver bevuto. Avanzò verso di lei.
"Questa é casa mia..." rispose lui.
"Non dire cazzate"
"Quella stupida troia di tua madre mi ha fatto una copia delle chiavi" Emily strinse i pugni lungo i fianchi. Lui sorrise, nevroticamente.
"Te ne devi andare."
"E chi mi caccerà? Tu?" Seth rise di gusto.
"Le chiederò di scegliere" 
"Puoi anche fare i bagagli, non sei tu a scopartela ogni notte" Emily gli sferrò uno schiaffo, dritto sulla guancia. L'impatto le fece male alla mano.
Lui tornò a fissarla, girando la testa. Scattò. La birra si frantumò sul pavimento. Emily si ritrovò in meno di un secondo contro la parte. Le mani al collo di lui che stringeva con cattiveria. Si dimenò con tutta la forza in suo possesso. Ma lui era forte, molto più forte di lei. Allentò la presa, spostando una mano sul suo fianco. Emily respirò. E guardò in basso. La strinse a se con violenza.
Poi la baciò. Sapeva di birra e di sigaro. La barba la graffiava e la lingua di lui spingeva contro i suoi denti. Riuscì ad assestargli un calcio, ricambiato quasi subito con un pugno. Sentì un dolore lancinante allo zigomo e le lacrime aumentarono. Urlò e la mano che la manteneva ferma si spostò dalla gola alla bocca, sostituita dal peso di lui che si schiacciò contro di Emily. Era affannato e puzzava. L'altra mano era ancora lì, stretta sul suo fianco. "Stai zitta, sarà il nost-nostro segreto" le sussurrò. Le lacrime scorrevano incontrollate sulle sue guance. Si dimenò ancora e riuscì ad assestargli un calcio in mezzo alle gambe. Seth si accasciò, le mani portate sul dolore. Si lamentava e si contorceva. Emily uscì da quella casa, di corsa. Ma l'odore di lui era ovunque. Lo sentiva sulla sua pelle, sui suoi vestiti. Fece ancora qualche passo, il dolore allo zigomo più forte che mai.  Perse i sensi. Si risvegliò qualche ora dopo, uno sconosciuto la scuoteva piano, chiamandola. La prima cosa che sentì fu il dolore allo zigomo. Le lacrime scesero veloci. Si liberò velocemente di lui e tornò in casa. Decidendo in quel momento che se ne sarebbe andata. Sua madre non incolpò mai Seth. Non per quello. I vestiti erano provocanti. Lui era ubriaco. Tu lo hai provocato. Quando me l'ha raccontato piangeva. Diceva che é colpa tua. Che l'hai costretto. Lo avresti cacciato di casa. Sei una puttana. Se n'è andato subito, non voleva più stare qui. Non con te. Vattene.

 
 
  Era passato quasi un mese dalla festa. Emily sembrava essere felice. Alison non ricordava di aver mai bevuto così tanto come in quel periodo. Avrebbe voluto ammazzarlo di botte. Lui non sapeva niente di lei. Lui non era all'altezza. Non avrebbe mai capito. Non l'avrebbe mai capita. Alison invece la conosceva. Come nessuno. Non capiva. Avevano un legame al di là della semplice amicizia. E un'intensa mai vista prima. Ma questo non bastava. Perché?
Alison continuava a chiedersi solo perché.




**Angolo dell'autrice**
Coff-coff ehm... c'è nessuno?
Scusate il ritardissimo, spero vi sia piaciuto :D
  
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