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Autore: Niglia    03/11/2015    2 recensioni
[Henry VIII/Anne Boleyn]
Non l’ha mai amata davvero, Anne lo sa. Ma, se vuole sopravvivere, deve continuare a farglielo credere.
Scritta per il 'Drabble Weekend Event' indetto dal gruppo FB "We are out for prompt".
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Tudor/Inghilterra
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WE ARE OUT FOR PROMPT – 30 OTTOBRE / 01 NOVEMBRE 2015

Titolo: Her Misfortune
Categoria: Storico
Personaggi: Henry VIII/Anne Boleyn
Prompt ©Harlequin Valentine: Non l’ha mai amata davvero, Anne lo sa. Ma, se vuole sopravvivere, deve continuare a farglielo credere.
Generi: Introspettivo, Malinconico, Triste
Avvertimenti: Missing Moments.
Note: Vorrei solo sottolineare l'amore che nutro per questa donna, tutto qui; e spero che la mia breve analisi di questo tanto chiacchierato personaggio possa risultare piacevole.


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Her Misfortune








He promised her that he would give her everything, everything she wanted, as men in love always do.
And she trusted him despite herself, as women in love always do
.”
[Philippa Gregory, The White Queen]



Il re d’Inghilterra era volubile.
Anne lo sapeva bene; non sarebbe riuscita a convincerlo ad abbandonare la sua regina e volgere i suoi favori verso una comune fanciulla di corte, altrimenti – le sue arti seduttive non erano così raffinate.
Lo aveva conquistato in un momento in cui egli era furioso e deluso dai fallimenti della sua severa sposa spagnola: non desiderava in fondo che un erede, un erede maschio da porre sul trono e rafforzare la sua linea di successione, e tutto ciò che aveva ottenuto dall’Infanta d’Aragona erano bimbi nati morti e una fanciullina gracile e cagionevole di salute.
Anne, spinta dal duca di Norfolk suo zio, aveva approfittato di quella vulnerabilità; e aveva catturato il re con un sottile e delicato gioco di promesse e dinieghi, commenti bisbigliati e sguardi segreti, che ne avevano stuzzicato la curiosità e l’istinto del predatore portandolo in breve tempo a trascurare una sposa vecchia e maledetta – o almeno questa era la voce che si udiva a corte, ove chiunque sapeva che la spagnola, benché si ammantasse di purezza e moralità, era già stata sposata con il compianto re Arthur e a lui aveva ceduto la sua verginità, condannando dunque il povero Henry a peccare giacendo con la vedova di suo fratello.
Anne era stata cattiva, sapeva anche questo; aveva sfruttato le brame di un re ingordo che amava circondarsi di bellezza e lusinghe, gli si era promessa se solo – se solo! – avesse ripudiato la madre di sua figlia per offrire a lei, sciocca Anne, illusa Anne, un ruolo e un titolo che adesso avrebbe voluto rinnegare!
Trattenne le lacrime, la Marchese di Pembroke [1], e s’impedì di versarne anche solo una; non aveva pianto quando aveva dovuto lasciare casa sua, ad appena sei anni, in favore della corte fiamminga, e non lo avrebbe fatto neppure ora che era regina, che aveva dato un erede sano al regno, poco importava che non fosse maschio! Era ancora giovane, e gliene avrebbe dai altri… se solo il re si fosse deciso a giacere nuovamente con lei.
Sollevò le dita a sfiorare il suo girocollo di perle e la piccola lettera che vi pendeva, d’oro, nel solco tra i seni; Elizabeth, la sua piccola, dolce Elizabeth, i cui capelli biondo Tudor non avrebbero mai potuto farla scambiare per una figlia illegittima, checché ne dicessero i malvagi!, ella amava giocarvi, sollevava le mani bianche e paffute e cercava di afferrare il pendente, l’iniziale di un nome che più volte Anne aveva maledetto per la sorte che le aveva causato, e si allargava in un ampio e umido sorriso quando la regina sollevava la bimba tra le braccia per concederle di afferrarlo, lontana dagli sguardi critici delle spie che sedevano accanto a lei nella nursery, e che si dichiaravano per sue amiche, sue dame di compagnia.
Ovunque andasse, nella reggia di Windsor, occhi nascosti la seguivano – pronti a riferire un suo minimo passo falso al re: bastava un’unica occhiata rivolta alla persona sbagliata, un sorriso involontario, un cenno del capo, e sarebbe stata condannata. Sapeva che durante la sua gravidanza Henry aveva intrattenuto rapporti più o meno scabrosi con diverse dame di corte, e se in un’altra occasione sarebbe stata capace di gestire con dignità la situazione – più volte, nell’intimità della sua mente, si era ritrovata a invidiare il sangue freddo che aveva mostrato la precedente regina davanti a tali umiliazioni – ora invece il pensiero di venir messa da parte proprio quando stava dando alla luce una figlia sana la faceva impazzire.
Oh, sapeva che Henry aveva smesso da tempo di amarla, o perlomeno di guardarla con affetto. I lunghi sette anni di corteggiamento e tutto ciò che ne era derivato dovevano averlo stancato e colpito più duramente di quanto lei o la sua famiglia avessero pensato – al punto da mettere Boleyn e Norfolk insieme nella condizione di dubitare del favore del re che fino a quel punto avevano dato quasi per scontato. Nelle sue lettere, suo padre la invitava a non disperare; nelle sue rare visite, suo zio le intimava di riallacciare il rapporto con il suo sposo, sottolineando l’urgenza di dargli il prima possibile un erede maschio.
Avrebbe perso la ragione se avesse udito ancora una volta quelle parole – erede maschio, erede maschio! Come se dipendesse da lei, come se fosse in suo potere decidere il sesso della sua creatura!
Pensare che lo aveva persino amato, un tempo; che era stato il suo punto di appoggio quando l’intera Inghilterra aveva spudoratamente dimostrato l’odio che nutriva per la puttana del re, la strega eretica che lo aveva spinto a liberarsi di una sposa ineccepibile e una regina amata da tutti, che lo aveva persino convinto a rinnegare la Chiesa stessa! Rammentava con amarezza i momenti strappati alla corte, gli incontri segreti, quando lui le posava il capo in grembo e la supplicava di aver pazienza, di aver fiducia, di aver coraggio, che presto sarebbe stato tutto finito e si sarebbero potuti amare alla luce del sole; e rammentava la facilità con cui lei gli aveva creduto, lo aveva cullato, aveva baciato il punto ove la sua fronte gli si aggrottava.
E adesso, adesso! Era tutto finito! Era bastata una figlia femmina per perdere l’affetto del suo re!
La rabbia, la disperazione e il suo talamo vuoto la rendevano incauta, debole; commetteva errori sciocchi, dava la sua fiducia a chi non la meritava. E ora che Henry trascorreva le notti con amanti bambine e passava le giornate passeggiando nel parco con quella maledetta Jane Seymour, Anne non sapeva cosa fare, e si crogiolava nell’autocommiserazione; impiegava il tempo a occuparsi di sua figlia, trascurava le funzioni di corte, e inconsapevolmente forniva ragioni a chi la odiava per continuare a farlo.
No, non poteva permettersi di perdere quella partita – ne andava della sua stessa vita. Se intendeva sopravvivere e mantenere il suo titolo di sposa e regina, avrebbe dovuto conquistare Henry ancora una volta – doveva convincerlo che l’amore che provava per lei non era mai svanito.
Anne Boleyn non aveva ormai alleati, non aveva amici: ma se perdeva persino l’appoggio e la tutela del re, era perduta.




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One-shot: 1017 parole.

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[1] Il titolo concesso ad Anne Boleyn fu quello di marchese e non marchesa (titolo, quest'ultimo, che una donna di norma acquisiva sposando un marchese), a dimostrazione del fatto che il titolo era stato ottenuto per proprio diritto (suo jure). Quello di marchese di Pembroke fu il primo titolo concesso ad una donna inglese.

   
 
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