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Autore: Niglia    03/11/2015    1 recensioni
[Caledon/Rose; Caledon!centric]
Cal non sa se la ama, oppure no. Ma è sua, e nessun altro la avrà.
Scritta per il 'Drabble Weekend Event' indetto dal gruppo FB "We are out for prompt".
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caledon Hockley, Rosalinda Dewitt Bukater | Coppie: Jack Dawson/Rosalinda Dewitt Bukater
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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WE ARE OUT FOR PROMPT – 30 OTTOBRE / 01 NOVEMBRE 2015

Titolo: Mine
Personaggi: Caledon/Rose; one-sided.
Prompt ©Harlequin Valentine: Cal non sa se la ama, oppure no. Ma è sua, e nessun altro la avrà.
Generi: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life
Avvertimenti: Nessuno
Note: Missing Moments, Movieverse. La scena qui descritta (ed esaminata?) riprende quella, durante il film, in cui Rose fa colazione con Caledon il mattino dopo essere andata alla festa in terza classe con Jack.

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Mine







There’s nothing I couldn’t give you.
There’s nothing I’d deny you if you would not deny me.
Open your heart to me, Rose.
[Caledon Hockley, Titanic]


La osserva in silenzio mentre porta alle labbra la tazzina del tè. Le bocca rossa e carnosa si socchiude appena, il bordo sottile della ceramica si posa sul labbro inferiore e un movimento elegante del polso pallido fa scorrere il liquido caldo sulla lingua, poi scivola in gola: ne immagina il percorso quando la vede deglutire, per poi poggiare nuovamente la tazzina sul tavolo.
Gli occhi di Rose fissano un punto indistinto sulla tovaglia, le palpebre abbassate fremono, la punta della sua lingua inumidisce leggermente le labbra.
Caledon aggrotta la fronte, sorseggiando il suo caffè. Non ha difficoltà ad immaginare dove giacciano i suoi pensieri: la sera prima ha visto gli scambi non tanto discreti tra lei e il suo eroe – storce il naso con un’espressione di disgusto al pensiero – ma se aveva pensato che si fosse resa ridicola soltanto durante la cena, si era dovuto contraddire una volta che Lovejoy l’ebbe raggiunto al rientro in camera, portando verità sussurrate e immagini spiate di feste in terza classe, piedi scalzi e danze fin troppo strette.
La rabbia e la gelosia gli avevano impedito di prendere sonno fino a notte ben inoltrata. Sapere che la sua fidanzata era da qualche parte nella stiva della nave, insieme a quel bamboccio che aveva portato a cena, fatto sedere accanto alla madre, che aveva guardato e a cui aveva sorriso in un modo che a lui non era mai stato dedicato – Cristo santo, che cosa ci faceva in mezzo a quei miserabili? – lo aveva fatto impazzire.
Aveva bevuto: il brandy era stato il suo compagno per la notte. Si era seduto su una poltrona accanto al letto che la notte prima aveva condiviso con lei – sua madre probabilmente sapeva, ma il suo desiderio per le loro nozze le fa volgere lo sguardo da un’altra parte mentre la figlia giace, non sposata, con il suo promesso – e aveva bevuto, giocherellando con il pesante diamante che le aveva regalato appena il giorno prima.
Dio santo, neanche quel pendente l’aveva addolcita nei suoi confronti. Che cosa avrebbe dovuto fare per avere il suo affetto e la sua lealtà come era nei suoi diritti di marito pretendere? Si era persino umiliato, le aveva detto parole e promesse che credeva che non avrebbe mai pronunciato in tutta la sua vita, e lei – nel tempo di un battito di ciglia la sua attenzione era già volta altrove, su un ragazzino la cui più enorme fortuna è stata imbarcarsi sul transatlantico ed attirare lo sguardo della sua fidanzata.
La luce tiepida del mattino che scivola nella suite dalla vetrata alle sue spalle illumina il contorno di Rose come l’aura di una creatura celestiale. I capelli rossi le ricadono su una spalla, il petto si alza e solleva piano all’interno del corsetto, la vestaglia le scivola leggermente verso l’incavo del braccio denudando una porzione di pelle nuda che Caledon non può fare a meno di osservare. Per un attimo l’illusione è tale – è un quadro talmente domestico, quasi sereno se si ignorano i retroscena – che Cal deve battere le palpebre più volte per rammentare la sua irritazione.
L’ha già avuta, ovviamente – praticamente è come se fosse già sua moglie, anche se avrebbero dovuto aspettare di raggiungere New York prima di poterlo essere anche davanti alla legge – e malgrado questo ha l’impressione di non possederla ancora. Non è mai completamente sua, neanche quando le gambe morbide di lei cullano i suoi fianchi, quando le sue dita sottili gli si aggrappano alle spalle, e il suo respiro si fa frenetico per la forza del piacere che riesce a strappare al suo corpo malleabile. Non è sua neppure quando la sua pelle bianca diventa arrossata, e la sua bocca venera i suoi seni – è come se lei accettasse passivamente il tutto come parte del prezzo da pagare per far contenta alla madre.
E Caledon non lo sopporta – lui vuole tutto, tutto, vuole ogni cosa che lei può dargli – e invece lascia che lei tenga gli occhi chiusi mentre da e prende piacere, lascia che gli volti le spalle, che si addormenti lontana da lui come se non avessero condiviso niente.
E adesso, nel giro di poche ore, la brama e l’eccitazione che ha desiderato vedere nei suoi occhi quando guardano lui viene invece rivolta a un insulso topo di fogna?
La cameriera si avvicina con discrezione, come se avvertisse la tensione che aleggia tra loro, e fa per versargli dell’altro caffè.
Lui la lascia fare, poi ne prende un sorso e decide di spezzare il silenzio.
«Speravo che venissi da me, stanotte.»
Rose si irrigidisce – è un attimo, quasi un gesto involontario che maschera subito, ma lui se ne è accorto – e la furia lo rende cattivo.
Non ha intenzione di farsi mettere in ridicolo, di farsi superare da un ratto di terza classe. Rose è sua, e che sia dannato se dovesse lasciarsela rubare da qualcun altro.





-.-.-.-.-.-.-.-
Drabble: 813 parole.


   
 
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