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Autore: Floralia    03/11/2015    1 recensioni
Grace cammina da sola tra i boschi e le strade del Colorado. In una mano ha una pistola scarica, nell'altra un pennarello indelebile.
Genere: Avventura, Drammatico, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
Capitoli:
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“Metti giù la pistola!”
“Chi siete?”
“Mettila giù.”
“No.”
“Metti giù la pistola o finirai per farti male.”
“Voglio solo andare per la mia strada. Non voglio problemi.”
“Allora devi mettere giù la tua pistola.”
“Mi sparerai se metto giù la pistola.”
“Non ti sparerò.”
“Perché dovrei fidarmi di te?”
“Perché non sono una persona cattiva.”
Grace sospirò, guardando l’uomo negli occhi.  Le braccia erano tese di fronte al suo viso, stringendo l’arma, tremanti per la tensione.
Le abbassò, titubante.
“Ora falla cadere a terra.” Il tono dello sconosciuto era fermo e incoraggiante.
“Ok.” Grace appoggiò la pistola a terra e la spinse via con il piede “Ma non spararmi.”
Lo sconosciuto sorrise.
Sistemò l’arma nella cintura dei jeans e si avvicinò a Grace.
Le tese la mano.
“Mi chiamo Forrester.”
“Grace”
Si strinsero le mani, ridendo per la tensione.
Forrester era un uomo di circa trentacinque anni, dalla corporatura massiccia, gli occhi azzurri e il viso pulito.
Si avvicinò anche la donna che era rimasta qualche passo indietro.
“Io sono Manu.” Era scura, con tratti esotici nell’aspetto e nell’accento.
“Avete un campo qui vicino?”
“No.” Rispose Manu “Siamo in viaggio. Io Forrester e Russell.”
Grace si guardò intorno. “Dov’è Russell?”
Manu indicò verso il corso del fiume che scorreva a pochi metri da loro.
“è in città, da quella parte. Alla ricerca di cibo e di un rifugio.”
La ragazza si voltò ad osservare la direzione indicata e poté scorgere solo alberi e case e una piazza circolare deserta in lontananza.
Un leggero vento scuoteva le chiome degli alberi creando un intenso fruscio che si univa al possente rumore dell’acqua che scorreva.
“Allora Grace” cominciò Forrester “sei sola?”
“Si.”
“Da quanto?”
“Circa due mesi.”
I due si lanciarono un’occhiata. Forrester scrollò le spalle e aggiunse “Se vuoi puoi rimanere con noi.”
Per alcuni secondi nessuno aggiunse nulla.
Grace guardava lontano, oltre gli alberi. I due guardavano la ragazza in attesa di una risposta.
“D’accordo.”
 
 
Si assicurarono due volte che tutte le tapparelle fossero abbassate e le porte bloccate dall’interno.
Accesero due candele che avevano trovato nei cassetti e altre due che Manu aveva nello zaino.
Russell era un tipo allegro, sui quaranta anni. Parlava con l’accento del sud e stava entusiasticamente raccontando a Grace dei suoi successi con la caccia.
Manu ridacchiava. Anche lei aveva circa quaranta anni, la pelle abbronzata e gli occhi neri da gatta.
 Portava una canotta nera e dei pantaloni attillati che lasciavano intravedere il suo fisico atletico.
“Sai, io sono stata nell’esercito molti anni” disse, passando a Grace una coperta di pile “ed è stata la mia fortuna quando è cominciato tutto questo.”
Posizionarono le poltrone e il divano in modo da formare un cerchio attorno al tavolino su cui erano posate le candele e Grace offrì a tutti la cena.
Non le dispiaceva liberarsi di un po’ del peso che ogni giorno le spaccava la schiena, e i tre furono deliziati dal cibo in scatola.
“Non mangiavamo del cibo in scatola da settimane” spiegò Forrester. “Abbiamo attraversato a piedi il parco naturale e le nostre provviste sono andate perdute guadando il fiume”.
Aveva l’aria di uno che avesse perso molto peso in poco tempo.
Grace gustò la sua zuppa di legumi godendosi il tepore e la comodità del nuovo rifugio.
“Raccontaci di te, ragazzina” iniziò Russell “Raccontaci di come hai fatto a sopravvivere da sola all’apocalisse.”
Nella penombra l’uomo si stagliava magro e atletico illuminato dalle fiamme tremanti.
Aveva i baffi e portava una collanina al collo con un dente di squalo, e a Grace ricordò un cacciatore di alligatori della Louisiana.
“Lavoravo al McDonald la notte che è iniziato tutto.”
“Al McDonald!” fece eco Russell “avresti potuto chiuderti dentro e vivere lì.”
Grace scosse il capo sorridendo e continuò: “Ho perso la mia famiglia quella notte. Tutti morti.”
“Già” Forrester annuì da sopra la scatoletta di zuppa di pollo.
“Credo che ci siamo passati tutti, prima o dopo” confermò Manu.
Grace sospirò.
“Poi ho cercato aiuto. Delle persone mi hanno ospitato nella loro casa. Sono tornata nella casa dove vivevo, a Cortez. Ho messo in uno zaino vestiti, soldi, cibo, medicine. Le foto della mia famiglia.”
“Mia madre era un’infermiera ed era all’ospedale la prima notte. La strada era bloccata dai militari e avevo perso mio padre nella folla. Avevo deciso di tornare a cercarli.”
“Erano passati quattro giorni.
Ho seppellito il corpo del mio fratellino nel prato di fianco alla strada verso l’ospedale. Avevamo avuto un incidente con l’auto. Sono arrivata a piedi all’ospedale.”
Lo sguardo di Grace si perse nel vuoto.
“Non c’erano più militari, soltanto cadaveri che camminavano, e cadaveri che giacevano a terra immobili. Avevo il fucile semiautomatico di mio padre.”
“All’inizio è stato difficile, poi ci ho preso l’abitudine e ho sparato in testa agli infetti che si avvicinavano. Sparavo senza neanche pensarci. Il pavimento era ricoperto di sangue e parti umane. Non ho riconosciuto il corpo di mio padre, ma sono arrivata in tempo per far esplodere la testa di quella che era stata mia madre.”
Nella stanza regnava il silenzio. Il vento frusciava contro i vetri del piccolo edificio.
Alle pareti erano appese certificazioni da istruttore di kayak, informazioni sul luogo e listini di orari e prezzi.
“Deve essere stato molto difficile per te” constatò Manu.
Grace annuì.
Continuò: “All’inizio credevo che gli infetti fossero la minaccia. Ho imparato solo dopo che il vero pericolo sono i vivi. Le bande. Mi hanno preso tutto, mi hanno lasciata ferita e senza possibilità di sopravvivere. Uomini armati che girano per le città in cerca di sopravvissuti da derubare.
È per quello che viaggio da sola, cerco di non farmi notare.”
“Allora capisci bene perché ti ho puntato contro una pistola oggi pomeriggio” ribatté Forrester. “Abbiamo avuto anche noi le nostre brutte esperienze.”
Manu si rabbuiò in viso.
Russell scosse il capo.
Grace si alzò ed estrasse una torcia elettrica e un cacciavite dallo zaino. “Vado a dare un’occhiata in giro.”
Uscì dalla zona di luce delle candele e si diresse verso il bancone di ricevimento.
Vi era posato un vaso di fiori appassiti e alcuni suppellettili, che risplendevano della luce spettrale della torcia.
Trovò alcune chiavi e dei registri delle escursioni con canoa e kayak: nomi, orari, dettagli dell’assicurazione, cifre di pagamenti.
Si soffermò sui fogli per alcuni minuti. Passandoci sopra l’indice raccolse un denso strato di polvere.
Sedette sulla sedia girevole che scricchiolò sotto il suo peso e esplorò il resto del bancone.
I cassetti erano stipati di fogli e ricevute. Trovò del denaro.
Sfogliò e lesse gli opuscoli informativi, poi dei dépliant riguardanti la fauna locale.
Lesse infine il regolamento e le istruzioni per utilizzare uno specifico tipo di kayak per lunghe escursioni.
“Non hai sonno?” domandò Russell dall’altro capo della stanza.
“Arrivo subito” rispose Grace. Si mise in tasca tutti gli opuscoli e si diresse verso i suoi nuovi amici.
Si raggomitolò sul divano di stoffa ruvida avvolgendosi nella coperta di pile.
Era una sensazione strana essere di nuovo in compagnia. Era rimasta sola per così tanto tempo da non ricordarsi più come dormire tranquilli senza avere sempre un occhio aperto per vigilare.
Sorrise e chiuse gli occhi. Davanti a lei danzavano le fiammelle delle candele.
“Buonanotte.”
 
Nel sogno Grace era al volante di un’automobile. Accanto a lei sedeva Brandon, con la testa che penzolava attaccata al corpo solo dalla terza vertebra cervicale. Il bambino emanava bassi e rabbiosi grugniti e protendeva le manine sporche di terra e sangue rappreso verso la sorella, trattenuto nello sforzo soltanto dalla cintura di sicurezza.
Grace gridava e cercava di allontanarsi dal fratello, che avrebbe potuto graffiarla e così condannarla per sempre. Dalla bocca del bambino fuoriusciva un denso muco marrone e i suoi occhi morti erano innaturalmente dilatati in un’interminabile sonno cerebrale.
Grace cercava di non uscire dalla carreggiata, ma sulla strada comparivano sempre nuovi ostacoli.
Sentiva le manine di Brandon graffiarle la manica della felpa all’altezza della spalla e cercò di spostarsi verso sinistra. Brandon stridette e si contorse più che mai. Per lo sforzo l’ultimo lembo di cartilagine e cute che teneva il cranio attaccato al collo cedette e la testa del bambino ruzzolò verso i piedi di Grace, battendo i dentini nel tentativo di addentarla.
Nello stesso momento Grace urlò con tutto il fiato che aveva in corpo e si schiantò contro un muro di mattone vivo.
Si svegliò madida di sudore e automaticamente si alzò dal divano e si gettò verso l’uscita, ma fallì e, inciampando nel tavolino che aveva a lato, cadde sul pavimento sbattendo le ginocchia.
Fece forza con le braccia e sollevò il torso dal pavimento.
La ragazza rimase carponi sul pavimento ansimando pesantemente mentre dalla bocca socchiusa grandi gocce di saliva le colavano lungo il mento e cadevano morbide sulle assi del pavimento.
Sentì il tocco di una mano sulla schiena. Era Manu. La aiutò ad alzarsi senza proferire parola.
“Tutto bene?” chiese Russell.
“Un incubo” interloquì Forrester. La sua espressione comunicava empatia, ma anche dolore.
 
Le scatolette erano terminate. Manu trovò delle caramelle al miele nel ripiano di un mobiletto di legno e le condivise con i suoi tre compagni di viaggio.
Era poco più dell’alba quando i quattro uscirono dall’ufficio del turismo dentro il quale si erano rifugiati e cercando di fare meno rumore possibile aprirono il catenaccio del capannone di legno adiacente utilizzando una delle chiavi trovate nella scrivania della reception.
L’interno odorava di muffa e alghe e anche quello che il cervello di Grace impiegò pochi secondi a elaborare come fetore di cadavere. Afferrò di scatto il polso di Russell e la spalla di Manu, spingendoli via dell’ingresso del capannone.
Russell si voltò verso di lei trattenendola, tenendo il dito indice di fronte alle labbra intimando il silenzio.
Forrester estrasse dalla sacca che portava in spalla un’accetta di medie dimensioni, la cui lama risplendette colpita dai raggi ambrati del sole.
Manu afferrò saldamente la sua mazza da baseball in materiale metallico e Russell tolse la sicura alla pistola e impugnò un coltello da caccia robusto e seghettato.
Anche Grace si affrettò ad estrarre dalla borsa un’arma e scelse il coltello da cucina. Mentre lo estraeva dall’involucro di stracci in cui era rinchiuso, la ragazza si ferì alla mano e intravide il sangue scarlatto fuoriuscire dalla sua mano destra e spruzzare il libro di Stephen King.
Russell aveva già spalancato la porta e faceva cenno ai suoi compagni di seguirlo.
Grace poteva sentire il proprio cuore pulsare nelle orecchie, nella gola, fuori dal taglio sulla mano.
Tentò di deglutire ma scoprì la bocca completamente secca e la lingua arida come carta vetrata.
I compagni della ragazza si erano addentrati nell’oscurità del capanno, attirati dai lamenti strozzati che crescevano di intensità e provenivano dall’estremo angolo sinistro.
Grace si permise alcuni istanti di contemplazione. La luce che filtrava da est rendeva visibili diverse colonne di kayak impilati uno sopra l’altro, di colori diversi, subito di fronte a lei.
Più in fondo, nascoste dall’oscurità, si intravedevano le pagaie appese al muro, i giubbotti di salvataggio e diversi armadi alti fino al soffitto. La struttura era ampia una quindicina di metri e profonda almeno venti. Le colonne di kayak creavano corsie indipendenti sulle quali aleggiava un denso pulviscolo grigio.
Mentre da sinistra i lamenti dei non-morti raggiungevano il culmine, poiché le creature avevano percepito la presenza di carne viva, a Grace sembrò di sentire un flebile suono provenire dalla sua destra.
Sentì il bisogno di seguire il suono e mise piede dentro la struttura.
Camminava piano, sfiorando con la punta delle dita le pareti di resina dei kayak. Le suole delle scarpe scricchiolavano al contatto con il pavimento polveroso.
Sentì suoni di colluttazione provenire dal luogo dove probabilmente erano gli altri tre.
Respirò l’aria fitta di polvere mentre si addentrava nel buio.
Le pupille si dilatarono, il cuore continuava a battere ritmico contro lo sterno.
Il suono era più simile ad un gracidare che ad un lamento di predatore. Grace pensò che le ricordava l’aria che passa attraverso il soffietto del camino, oppure un gatto che rigurgita una palla di pelo.
Aveva percorso una decina di metri in profondità quando scorse davanti a sé un movimento.
Tutto era buio, statico.
Si avvicinò.
Riuscì a distinguere i contorni di un essere umano sdraiato sul pavimento, ma registrò mentalmente un errore di proporzioni.
Si sentiva come ipnotizzata mentre proseguiva verso l’essere che emetteva quei suoni e strinse più forte nel palmo della mano il coltello fino a far bruciare il taglio.
Il primo elemento anatomico che identificò fu la testa. Piccola, coperta di riccioli biondi, il viso sconvolto dalla putrefazione e distorto in un ghigno animale. Il corpo terminava con il tronco, dal quale sporgevano gli intestini in un ammasso nero e marrone.
L’odore era insopportabile.
La bambina poteva avere sette anni, non di più.
Brandon.
Graffiava il pavimento con le manine nello sforzo penoso di raggiungere i piedi di Grace.
Brandon con un vetro conficcato nella testa.
Alzò lo sguardo, facendo schioccare i dentini. Gli occhi erano cavità vuote.
Brandon aveva il collo spezzato.
La bambina emise un rantolo spezzato che ricordava orribilmente il pianto di un neonato vivo.
Brandon aveva lo sguardo vitreo, morto.
Grace lasciò cadere il coltello per terra, si chinò verso la bambina, le accarezzò i capelli.
La creaturina tentò di graffiarla e morderla, ma non aveva energia, era debole e insignificante.
I suoi capelli erano incrostati di sangue, come anche il vestitino di pizzo bianco intriso di sangue putrido.
Grace recuperò il coltello e lo avvicinò alla fronte della bambina, tenendolo premuto contro la superficie cutanea.
Tremava.
Brandon era morto allo stesso modo in cui era morta la bambina bionda. Nessuno li aveva salvati, nessuno li aveva protetti.
Grace non li aveva protetti. Non aveva protetto nessuno.
Nel lungo viaggio da Cortez a dove era ora era riuscita solo a proteggere se stessa.
Sentì le urla di festeggiamento di Russell provenire dall’altro capo della struttura.
Gli occhi della bambina si fissarono nei suoi. Ringhiò mostrando i denti come un gattino, mentre agitava le mani nel tentativo di aggrapparsi alla gamba di Grace.
Un’accetta calò dall’alto e le tranciò di netto il collo.
La testolina bionda ruzzolò di qualche metro, mentre Grace si alzava e indietreggiava per la sorpresa.
Forrester la fissava nella semioscurità.
Lei chinò il capo in un ringraziamento silenzioso e mentre usciva dal capanno si chiese da quanto tempo l’uomo la stesse osservando.
Russell e Manu la raggiunsero all’esterno.
I raggi del sole si facevano sempre più caldi e illuminavano la grandiosa vegetazione di pini verde smeraldo e, poco distante, la superficie liscia di un lago che risplendeva come argento fuso.
“Un suicidio di gruppo.” Sentenziò Russell, e dal suo tono Grace capì che non era necessario aggiungere null’altro.
Forrester emerse dal capannone e consegnò a Grace il coltello da cucina che si era lasciata dietro e aveva inavvertitamente fatto cadere.
A coppie trasportarono quattro kayak all’esterno, ognuno si munì di pagaia e giubbotto salvagente.
Mentre camminava verso i grandi armadi, Grace scavalcò i corpi di quattro adulti che giacevano senza vita sul pavimento in una pozza di sangue putrescente.
I kayak furono trasportati fin sopra ad un molo. Da lì furono calati in acqua e, a turno, i quattro salirono ognuno sul proprio e iniziarono a navigare il lago.
Grace entrò nel kayak che aveva scelto, un modello sportivo blu con portaoggetti integrato.
Infilò le gambe nella cavità anteriore, appoggiando i piedi sui supporti in plastica e spingendo le ginocchia contro le pareti interne.
Si assicurò il giubbotto di salvataggio e impugnò la pagaia in fibra di carbonio.
Solcò l’acqua prima con l’estremità destra, poi con la sinistra in un andamento alternato. L’imbarcazione scivolava silenziosa sulla superficie dell’acqua come su di una lastra d’olio.
Una volta presa velocità, si guardò alle spalle. Forrester pagaiava con forza alcuni metri dietro di lei. Manu era appena salita sul suo kayak rosso, aiutata da Russell, il quale era ancora in piedi sul molo di legno.
Utilizzando l’inerzia smise di remare e incastrò la pagaia dietro la schiena.
Immerse la mano destra in acqua e provò un immediato sollievo alla ferita.
Il panorama era grandioso: l’immenso lago glaciale era circondato dalle montagne in lontananza, che apparivano scure e maestose. Dolci colline ricoperte di pini declinavano nel lago, portando i suoni degli uccelli e il profumo del muschio.
Il sole illuminava le casette di legno disposte lungo gli argini e creava giochi di luce con l’acqua gelida.
Grace si vide superare da Forrester, poi da Manu e da Russell. Tutti e tre avevano in volto un’espressione più distesa e giocavano a schizzarsi con le pagaie.
La ragazza si affrettò a raggiungerli verso il centro del lago.
Dopo alcuni minuti di sforzo avevano erano ormai lontani dalla riva da cui erano partiti.
Grace si spruzzò il viso con l’acqua e si sciacquò le braccia. La velocità e la brezza la fecero asciugare in pochi secondi. Si sistemò i capelli a chignon in cima alla testa e si beò del sole che le scaldava la schiena.
Si incuriosì del portaoggetti e provò ad aprirlo. All’interno vi erano due panini ammuffiti dimenticati probabilmente dal precedente possessore del kayak e una lattina di Coca Cola.
Gettò i panini nel lago e aprì la coca. Bevve alcuni sorsi del liquido color caramello e si deliziò del gusto fresco e del sole caldo, chiuse gli occhi e inclinò la testa all’indietro, sentendosi al sicuro nel centro del lago, lontano dai pericoli.
Quando aprì gli occhi la prima cosa che vide fu lo splendido panorama montagnoso del Colorado, verde e fresco come un rametto di menta.
La seconda cosa che mise a fuoco fu un uomo in lontananza, sulla collina alla sua destra, che camminava con andatura claudicante, senza un braccio.
Camminava lentamente, goffamente.
Lentamente, verso l’odore di carne viva.
Lentamente, poiché non doveva più temere la morte.
 
 
  
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