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Autore: StormyPhoenix    08/11/2015    8 recensioni
Los Angeles, primi anni del nuovo secolo. Quasi per caso si incrociano le strade di una ragazza sola e in fuga dal suo passato spiacevole e di una delle band più famose del posto; un sentimento combattuto che diventa prepotente salderà il legame.
(Prima storia sui SOAD, so che è un po' cliché ma vabbè.)
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daron Malakian, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Salve a tutti!
Su consiglio di una cara amica (scrittrice come me) ho deciso di iniziare a pubblicare questa storia, anche se è ancora agli inizi e per come stanno attualmente le cose nella mia vita non sarò puntuale/regolare ad aggiornare pure in questo caso... xD
So anche che è un po' cliché, ma ritengo che quando si è agli inizi in un fandom sia normale, e per quanto sia appunto un po' cliché ho cercato e cercherò sempre di renderla meno scontata. :)
Buona lettura, attendo recensioni!







L'asfalto duro e gelido sotto di me.
Il buio della notte appena attenuato dai lampioni.
Mi sento come se mi fosse passato sopra un camion.
Perché sono ancora viva?
Dovrei essere morta...
Ho i muscoli intorpiditi e dolori ovunque, non oso muovermi per paura di peggiorare il dolore o qualche frattura.
Ho la gola in fiamme per quanto ho urlato e non so se ho ancora abbastanza voce per poter chiedere aiuto nella speranza che qualcuno mi senta... non so nemmeno se farlo, tutto questo dolore e tutta questa sofferenza sono troppo per me, sono ormai un relitto senza vita... ma l'istinto di sopravvivenza in me ha la meglio e dunque inizio a implorare aiuto con la voce che mi è rimasta.
Dopo alcuni minuti le mie forze diminuiscono sempre più e la vista mi si appanna... ma proprio quando sto per perdere ogni speranza intravedo una figura che si avvicina e si china su di me. 
Non so chi sia, cosa voglia, ma ormai accada quel che deve accadere...
Mentre mi sento sollevare da terra il mio corpo si arrende e sprofondo nel buio dell'incoscienza quasi senza rendermene conto.

-Serj-
Fare due passi ogni tanto è mia abitudine, ma a volte mi viene lo strano desiderio di camminare in vicoli nascosti e semisconosciuti... forse per fuggire gli sguardi delle persone che mi riconoscono, o per stare un po' più da solo con me stesso. Questa sera è una di quelle volte.
Prima di uscire di casa, lasciando Shavo e John sul divano a fare zapping e chiacchierare e Daron chiuso nella sua stanza a suonare, mi sono accorto di avere un presentimento che non riesco a qualificare e che mi rende inquieto anche ora dopo svariati minuti di passeggiata; quasi prego che succeda qualcosa che lo confermi o lo smentisca, perché mi rende nervoso e non mi piace.
Improvvisamente sento un lamento, abbastanza fioco invero, provenire dalle vicinanze, da quel reticolo di viuzze. Scatto sull'attenti, cercando subito di individuare l'origine del suono che nel frattempo si ripete ancora qualche volta, diventando sempre più debole e implorante; dopo alcuni minuti di girovagare la mia affannosa ricerca ha esito.
Lì, sull'asfalto della strada, giace una figura rannicchiata, con abiti sporchi e disordinati e ferite ovunque... una ragazza.
Mi avvicino e mi chino su di lei, cercando di capire se le sue condizioni sono tali da richiedere un ricovero in ospedale, infine decido che per stasera la porterò a casa, là sarà al sicuro e potrà riprendere conoscenza, ciò che ha appena perso ora che è fra le mie braccia.
Non mi importa di cosa accadrà, non posso lasciarla lì e andare avanti, devo fare almeno quel poco che posso fare.

«Serj, ma ti sembrava la serata adatta per portare qualcuno a cas-» neanche il tempo di entrare che Daron inizia a dire questa frase, ma la voce gli muore in gola perché lo fulmino con gli occhi.
«Oh merda! Chi è? Cosa le è successo?» si allarma Shavo, avvicinandosi e osservando il grosso fagotto fra le mie braccia.
«Non so chi sia e cosa le sia successo, so solo che giaceva a terra in un vicolo e non me la sono sentita di lasciarla lì e ignorarla» spiego, con voce bassa.
«Deve essere stata malmenata, guarda che lividi e che segni!» constata John, osservandola da una certa distanza.
«Dovremmo chiamare un dottore, ammesso che se ne riesca a trovare uno a quest'ora...»
«Shavo, un mio amico è dottore, potremmo provare a chiamarlo.»
«Sì?»
«Là vicino al telefono fisso c'è un biglietto con su scritto il suo numero.»
Il bassista fa come gli ho detto e, dopo un attimo di ricerca, solleva un post-it giallino.
«Serj, è questo? Dottor Najarian?»
«Sì. Chiedigli se può venire ora... meglio non rischiare, non sapendo le reali condizioni della ragazza.»
Shavo annuisce, poi si accinge a fare la telefonata.
«Bene, ci mancava solo questo» commenta Daron, con la faccia fra le mani. «Abbiamo già tante altre grane, prenderci anche cura di una sconosciuta malconcia non è il massimo in questo momento...»
«Quante storie!» lo rimbrotto. «Una volta che si sarà ripresa non avremo più il problema, contento?»
«Contento non proprio, ma sarebbe meglio» mugugna, guardando prima me e poi la ragazza. È già abbastanza difficile la situazione, spero solo che Daron non dia ulteriori noie.
«Anziché brontolare, perché non vieni di sopra con me così sistemiamo la stanza degli ospiti e mettiamo a letto la ragazza?»
«Okay...» risponde il chitarrista, senza troppo entusiasmo, e mi segue. Percorriamo la rampa di scale che porta al piano superiore, sul cui corridoio si affacciano le nostre camere, e arriviamo alla porta in fondo, quella della stanza degli ospiti; per fortuna è stata usata di recente e quindi non odora di chiuso, ed è pulita. Mentre Daron si adopera per sistemare il letto osservo la giovane, cercando di indovinare i suoi tratti del viso sotto la polvere e il sangue: non credo superi i ventitrè o ventiquattro anni di età, e non mi sembra nemmeno un viso già visto per strada o in qualche negozio. La fatica di sorreggere il suo corpo inerte non è eccessiva e, guardandola, sembra peraltro anche troppo magra.
«Ordini eseguiti, capo!» fa Daron, mettendosi sull'attenti in stile soldato.
«Buffone» ridacchio, spintonandolo appena con una spalla, poi adagio la ragazza sul letto, con dei cuscini sotto alle gambe, e stendo su di lei un paio di coperte.
«Chissà cos'avrà passato...» mormoro, guardandola.
«Io più che altro mi chiedo cosa ci porterà la sua presenza...» commenta l'altro, guardandola anche lui. «Spero non porti guai o grane.»
«Sono sicuro che non ne porterà, tranquillo.»
In quel momento compare Shavo, foriero di qualche notizia a ben osservare la sua faccia.
«Ha chiesto qualche minuto per prepararsi e poi verrà» ci avvisa.
«Perfetto.»

Sembra passata un'ora quando udiamo due colpetti alla porta e la morsa dell'ansia si attenua leggermente.
«Serj!» esclama l'uomo sulla soglia, entrando e venendomi incontro per salutarmi.
«Arevik! Ti aspettavo con ansia» dico, una volta sciolto l'abbraccio. «Immagino che il mio collega Shavo ti abbia già detto qualcosa quando ti ha chiesto di affrettarti.»
«Sì, mi ha detto che avete trovato una ragazza ferita per strada e non sapete determinare esattamente le sue condizioni» risponde Arevik, pensieroso. «Dov'è?»
«Vieni e te la mostro.»
Il medico mi segue su per le scale e, aperta la porta della stanza degli ospiti, rimango sulla soglia e lascio che lui prosegua, poi lo raggiungo.
«Quanto tempo fa l'avete trovata?»
«Una ventina di minuti fa. L'ho trovata io mentre camminavo per strada.»
«In che stato era?»
«Era cosciente, ma poi è svenuta fra le mie braccia, non so se per qualche trauma o per lo sfinimento.»
L'uomo, dopo aver poggiato la sua borsa, si avvicina alla ragazza e le prende prima un polso, poi l'altro, osservandole le braccia da più angolature.
«Il battito è buono, regolare e abbastanza forte, e a giudicare dalla posizione delle braccia non ci sono fratture» constata, con aria concentrata. «Quanto alle ferite visibili» e dirige lo sguardo verso il viso «ha un taglio su un labbro e le è uscito del sangue dal naso, ma il setto nasale non mi sembra contuso, non c'è gonfiore e non c'è nessuna chiazza violacea, suppongo sia stata presa di striscio e quindi si sia soltanto rotto qualche capillare. Posso sollevare le coperte per controllare il resto?»
«Certo, fai pure.»
Arevik esamina le gambe e annuisce come per dire che è tutto okay, non c'è niente di rotto nemmeno là; con suo grande imbarazzo è costretto a dover spostare la maglia della ragazza per esaminare il torso ed entrambi trasaliamo alla vista dei numerosi ematomi sparsi sulle costole e sull'addome. 
«Per determinare se c'è qualcosa di rotto che non si vede la ragazza dovrebbe essere cosciente... suggerirei di farla rinvenire solo per sicurezza e di lasciarla poi dormire normalmente. Credo se la sia vista proprio brutta questa sera, ma è quasi miracolata se ha così poche lesioni... a volte le ferite di un pestaggio possono essere gravi e anche mortali.»
Corro a procurarmi dell'aceto e lo accosto al viso della ragazza; la vedo muoversi, ma a malapena apre gli occhi. Deve essere davvero sfinita...
«Farò velocemente, visto che non sappiamo per quanto tempo ancora sarà cosciente» dice Arevik, e procede a tastare con delicatezza la cassa toracica, le braccia e le gambe; la giovane non reagisce quasi, sebbene cosciente, eccetto quando viene toccato qualche livido.
«Va bene, ho finito» annuncia il dottore. «Visto che non ha urlato e all'apparenza non c'è nulla non ha fratture, solo lividi. Con un po' di riposo dovrebbe riprendersi.»
Udiamo un sospiro e per un attimo scattiamo sull'attenti, per poi constatare che la ragazza si è placidamente addormentata.
«Grazie mille, Arevik.»
«Non c'è di che, Serj» replica lui, con un sorriso. «Per un amico questo e altro.»
  
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