Cercavo
qualcuno che sentisse,
qualcuno che vedesse,
bastava che capisse.
Mi trovai sola,
arida come sabbia,
arroccata.
Non il dolore di una madre, il mio,
non quello di una figlia,
né di sorella o marito.
Che il mio lutto non avesse senso?
Il dolore sfiatava trasparente dal mio corpo,
invisibile.
Sospeso nell’aria,
inascoltato.
Rimase lì: muto, inguardato;
irrachitì su se stesso, rattrappito di solitudine.
Io restai muta.
Un dolore non considerato svanisce?
Il mio fossilizzò
e passarono gli anni.
Passarono.
Il presente svanì in passato,
il futuro divenne oggi.
Ti sto parlando,
fragile cucciolo dagli occhi schivi:
abbassi lo sguardo sul tuo tormento
e le ciglia sono sbarre invalicabili.
Come raggiungerti?
Se cuore parla a cuore,
apro il mio al tuo:
schiudo una fessura e do voce al mio dolore.
Tremo di tensione:
un atavico silenzio solidifica in parole.
Imploro che il tuo dolore riconosca il mio
ed erga il ponte tra due anime ferite.
Desidero mostrarti che comprendo...
...non voglio che trovarti.
Ma tu trovi me.
Scivolano in silenzio,
come perle inestimabili,
lacrime infiammate
che bruciano per me.
Il mio dolore, sul tuo viso,
sdrucciola visibile.
Io lo guardo, tu lo senti.
Liquido incandescente,
pioggia calda nel cuore.
In silenzio accogli la mia voce
con un cuore in cui rintocca il mio dolore.
Ringrazio le tue lacrime,
ringrazio il tuo calore,
ringrazio le tue braccia aperte che regalano una stretta.
Cercavo qualcuno che sentisse
qualcuno che vedesse
bastava che capisse.
Trovo te
e ringrazio.