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Autore: sarasuskind    10/11/2015    0 recensioni
quando il panico vi assale, e le mani indipendentemente dal corpo vivono e si uccidono
Genere: Drammatico, Introspettivo, Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando la sigaretta non le ballava tra le dita, aveva il vizio di togliersi la pelle vicino all’unghia del pollice destro, con l’indice della medesima mano. Non se ne accorgeva, ma lentamente solcava la carne viva. Faceva male è vero, ma non le importava. Le dita erano completamente rovinate da quell’indice, che lavorava interrottamente, scavandosi vie tra la pelle. A volte per la profondità delle ferite, non riusciva a piegare il pollice, e lo bagnava con della saliva, e dopo ci soffiava sopra. Un po’ di sollievo, e poi subito quei solchi ritornavano. Ininterrottamente, continuamente, quella pelle bianca e delicata era uccisa, sgozzata e macerata. Non lo faceva in occasioni particolari, ma sempre e comunque. Quando poteva e se ne accorgeva smetteva il massacro da sola, ma il più delle volte, ignara delle azioni compiute dalle sue dita sulle altre opposte, era fermata da Thomas, che prendendole le mani, la baciava e le diceva di calmarsi. Ma in quel momento, in quella cella non si stava massacrando le mani. Le unghie non curate, e le nocche sbiadite, le rughe della pelle visibili, le vene sporgenti. Lei era calma apparentemente.
Gli occhi scuri come la pece fissavano il grigio pavimento, ma non pensavano al niente: la sua mente era un autostrada di pensieri, che come automobili usavano gli abbaglianti, confondendola ancora di più. Era accecata, ingannata da se stessa. Impaurita? No. Solo allibita forse. Caroline Dedlend non provava paura. Non più di quanta ne potesse provare la morte in persona. Il suo pensiero ricorrente era la capacità di morire. Si chiedeva così spesso perché la morte facesse tanta paura alle persone. Nel morire non vi era nulla di orrendamente spaventoso. Forse di doloroso, e triste. Ma non paura, non vi era paura. La paura si provava solo vivendo. Solo nella vita, nelle azioni, nei sentimenti, nelle persone, c’era paura, non nella morte. Questo la rassicurava. Per lei la morte sarebbe stata solo una liberazione, da tutto quello strazio, da quella preoccupazione. La stessa che le agitava l’indice, e lo faceva remare contro il pollice destro, fino a solcarlo e a ucciderlo. Era una guerra fisica quotidiana. Quando accarezzava Thomas sentiva sulla pelle di lui come degli ostacoli, come dei punti non lisci, ma questa era una contraddizione, visto che la pelle e il viso di Thomas erano come quelli di un bambino. Dopo poco si accorse che era la pelle delle sue dita ad essere frastagliata e interrotta. Le stesse dita che tracciavano contorni tanto perfetti, come potevano esserli quelli di quel viso, ora tracciavano contorni e forme irregolari e spezzate. Le faceva male tracciare quelle linee dolci, bruciava in ogni dove la pelle. Ma come al solito non le importava, e lo scontro tra quella pelle e le dita non faceva che ampliare il solco e le ferite. Infatti come poteva fermarsi dal toccare quel viso, era tutto ciò che la rendeva felice. In quella cella tracciava i contorni non con quelle dita, ma con i suoi occhi. Lo sguardo non era più fisso, ma si dirigeva in ogni dove, per poter vedere tutto e notare qualsiasi dettaglio e particolare. I suoi occhi erano stretti, leggermente a mandorla, neri, neri, e ancora più neri. Non se ne distingueva il limite con l’iride. Quando la luce colpiva i suoi occhi, quella restava interdetta poiché non riusciva né a schiarirli, né a riflettersi su di loro. Come se la luce non potesse attraversali o essere parte di loro. Vivevano nella luce, ma non se ne servivano, anche se erano in essa, essa non era in loro. Straordinario pensava lei. Almeno il fragore del mattino non l’avrebbe mai accecata, al contrario dei suoi pensieri. Basta pensare. Erano questi i momenti in cui le dita si accanivano e combattevano, non per il nervosismo quindi, ma solo per l’esasperazione. L’unica via per porre fine alle domande, provocate dalla vista delle cose, che avevano come risposta solo il dubbio. Questi pensieri si sommavano, e non significavano nulla. Queste parole non descrivono che il niente. E solo tanti niente volavano in quella mente. Forse l’indice cercava si allontanare  le azioni dalle mani, visto che quelle azioni erano state esortate dalla mente. Evitavano stragi di indifferenza e accidia. I combattimenti e le ferite sul pollice erano indispensabili affinché Caroline non commettesse atti accidiosi e insensati, e smettesse di pensare.
I capelli, ciocche folte, ricadevano sulle spalle, ma si facevano strada anche sulla schiena magra e dritta. Lisci. Lucidi. Quasi limpidi, anche se scuri. A volte la si poteva vedere mentre se li arricciava tra le dita, creando nodi, e spezzandoli, rigirandoseli e apprezzando la loro morbidezza. Quella sera in cella erano sporchi, più lucidi del solito, freddi. Quelle ciocche scure gridavano stanchezza, e lei si addormentò.
I suoi occhi socchiusi, ma sempre in allerta occupavano la stanza. Le dita appoggiate al viso, come dovessero sorreggerlo. Le gambe vicine e attaccate al ventre, alcune ciocche ricadevano sulle guance e le palpebre erano oscurate dalla caduta dei capelli. La pelle ancora più bianca. La branda sulla quale riposava era dura e scomoda, il fragile corpo erano divenuto parte di quel materasso, come le accadeva ogni notte. Sognava.
   
 
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