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Autore: yachan    11/11/2015    2 recensioni
Cosa significa "essere se stessi"?
Da bambino non me ne preoccupavo.
Se qualcosa mi infastidiva, mi arrabbiavo. Se qualcosa mi piaceva, lo dicevo.
Ma tutti noi cambiamo nel tempo.
Così come le cose che vogliamo proteggere...
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doraemon, Hidetoshi Dekisugi, Nobita Nobi, Shizuka Minamoto, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao, torno con la seconda fan fiction sul mondo di Doraemon. E' da un po' che ci lavoro, e ancora è fase di sviluppo.
Spero ugualmente possa piacere ai fans di Doraemon (ps: visitate nobitaland.tumblr.com)
I fatti si svolgono qualche anno dopo la versione anime/manga. Buona lettura!

DORAEMON AND NOBITA PRESENT:
 
 
JUST LIKE YOU
Che significa “essere se stessi”?
 
Cap.1
 

Da quando erano cambiate le cose? La verità è che non lo sapeva neanche lei. Avevano praticamente passato l'infanzia fianco a fianco, divertendosi e sognando in quelle giornate soleggiate, idealizzando il loro futuro e sfruttando ogni istante della loro fanciullezza.
Lei, i suoi amici e Doraemon. Credeva che sarebbe stato così per sempre.
Ma non tutto è per sempre. Le cose sono destinate a cambiare, ad evolvere.
Ed è stato infatti così. Come le estati volgono al termine prima dell’arrivo del freddo, così anche la loro infanzia era giunta al termine.
La partenza di Doraemon era stata uno di quei segnali che preannunciava l'arrivo della loro tappa successiva.
 
 
La vita di ciascuno dei bambini del quartiere aveva preso direzioni diverse a seconda delle loro personalità.
Gian si era infine iscritto a un club di baseball, anche se era conteso da tanti altri club sportivi viste le sue abilità fisiche. I suoi modi di bullo erano rimasti, ma aveva smesso di fare tanto il prepotente ora che lo sport lo assorbiva molto. Così come alle elementari che alle medie e superiori i compagni evitavano di farlo arrabbiare o mettersi contro di lui, soprattutto ora che aveva rafforzato i suoi muscoli e buttato un po’ di pancia con tanto esercizio. Continuava ad avere l’aspetto minaccioso e imponente con le sue spalle ampie, per questo continuavano a chiamarlo Gian.
A Suneo invece non interessava lo sport e si era unito a un club di disegno, ma in breve si era stufato. Così dopo la scuola frequentava dei corsi privati di disegno di moda o era in viaggio ogni momento che gli era concesso per assistere a sfilate di moda. Non era cresciuto tanto come gli altri in quanto statura e questo aumentava il suo senso d’inferiorità, che compensava con la sua faccia tosta e la vanità.
Dekisugi, come era da aspettarsi, era il primo della classe anche alle superiori, anche se doveva contendere il primo posto della scuola con altri due studenti di altre classi. Otteneva anche buoni voti nello sport, anche se non era la sua passione, e i suoi modi cordiali e il bell'aspetto aumentava la sua popolarità tra le ragazze. Era richiesto in tanti club quasi quanto Gian, ma aveva optato per un club sulla scienza, la sua passione.
Lei, Shizuka, aveva deciso di iscriversi a un club di musica, per poter approfondire lo studio del suo strumento preferito: il violino, e poter lasciare definitivamente il pianoforte che sua madre la obbligava ad apprendere da bambina. Era stata una scelta dettata dal suo desiderio, ma adesso che si trovava da sola nell'aula di musica a praticare da un ora con il violino, la sua decisione cominciava a vacillare. Forse il violino non era per lei, non le sembrava di essere migliorata così tanto in quei anni, l'insegnante di musica la rimproverava spesso e lei iniziava a sentirsi demoralizzata.
Posò il violino sulle sue gambe e appoggiò la spalla sulla finestra accanto, dando un occhiata distratta fuori sui campi di baseball. Dal secondo piano all'orizzonte si poteva vedere il cielo con toni caldi del tramonto.
Infine Nobita, lui... be', lui...
  • Shizuka sei ancora qui?
La ragazza si voltò nel momento che un giovane della sua stessa età entrava nell'aula.
  • Nobita-san, anche tu?
  • Eh, la riunione si è prolungata più del previsto- fece lui con aria stanca, mentre andava ad appoggiarsi sulla finestra.
  • Capisco. Io stavo ripassando gli ultimi esercizi- spiegò lei.
  • Ti stai dando da fare, eh?- gli sorrise lui, e poi diede uno sguardo fuori dalla finestra su uno dei campi sportivi della scuola. Un gruppo di giocatori di baseball stavano facendo il giro del campo intonando una canzone di incoraggiamento- Anche gli altri si stanno impegnando.
  • Già- annuì lei.
Il suo sguardo si posò sul ragazzo che era distratto a guardare fuori. Il profilo del viso di lui era illuminato dalla luce arancione, sulle labbra un sorriso nostalgico e occhi persi nei suoi pensieri dietro a lenti rotonde.
A cosa stava pensando in quel preciso momento? Forse lui, come lei, ogni tanto era rapito dai ricordi della loro infanzia?
Avrebbe tanto voluto scorgere qualche frammento dei suoi pensieri. Quando erano bambini era più semplice.
Si lasciò scappare un sospiro. Il ragazzo se ne accorse e si voltò a guardarla come chiedendosi cosa le passasse. Shizuka scosse le mani davanti facendo cenno di non darci importanza.
  • È solo che... stavo pensando se avevo fatto la scelta giusta a scegliere il violino anziché il pianoforte- afferrò lo strumento e lo guardò rattristata- Forse ho sopravvalutato le mie abilità. Credevo di essere brava, che impegnandomi sarei migliorata... ma comincio a credere che non sia così. Sono negata per il violino…
Delle mani si posarono subito sulle sue spalle. Lei sussultò silenziosamente.
Confusa Shizuka alzò lo sguardo e vide Nobita che le si era avvicinato, appoggiando le mani su di lei e guardandola seriamente dall’alto. La vicinanza al suo viso e lo sguardo fisso su di lei, fecero colorare istintivamente le sue guance. Ma non pareva che Nobita se ne fosse accorto, forse a causa della luce colorata che colpiva i loro visi.
  • Non puoi arrenderti. È la tua passione, ti sei sempre esercitata in ogni momento libero e continui a farlo. Rinunciare non è da te. Il talento non serve a niente se non c’è passione e motivazione. E tu ce l’hai.
  • Nobita-san...- disse lei sorpresa fissando i suoi occhi neri con riflessi grigi.
  • Continua per la tua strada anche se incontrerai ostacoli o persone che non credono in te. D’accordo?
La ragazza annuì timidamente posando il suo sguardo in basso.
  • Bene- le sorrise e si staccò dalle sue spalle. Volse il suo sguardo alla finestra- Impegniamoci a realizzare i nostri sogni...
  • ... Nobita-san- il ragazzo si voltò a guardarla aspettando che continuasse. Lei sembrò titubante, come se qualcosa la trattenesse- Tu...
  • Sempai Nobita!- fece un ragazzo entrando nell’aula e fermandosi all’ingresso- Oh scusate, ho disturbato?- chiese notando la ragazza.
  • No, dimmi Kosuke.
  • È sempre lui, questa volta vuole farlo sul serio.
Nobita sospirò e si grattò dietro la testa esasperato.
  • D’accordo, portami da lui- e guardò Shizuka dispiaciuto- Scusami, parleremo più tardi…
  • Sì, certo, ciao…- lo salutò, mentre l’altro uscì velocemente dietro Kosuke. Sospirò con la mano ancora alzata e l’abbassò lentamente.
Era la stessa situazione di sempre, le poche volte che si trovavano da soli, c’era sempre qualcuno che se lo portava via.
Spostò il suo sguardo fuori dalla finestra dell’aula al secondo piano. Vide dalla sua postazione i due ragazzi che uscivano dall’atrio e andavano incontro ad un gruppetto da cui sembrava esserci qualche tipo baruffa.
Sbuffò. I soliti maschi… se non ne combinano almeno una al giorno, non erano soddisfatti. Credeva di comprenderli avendo da bambina giocato più con loro che con le femmine, ma crescendo non capiva se le femmine si facevano più intelligenti o erano i maschietti che si facevano più idioti.
I suoi occhi si soffermarono sulla figura di spalle di un ragazzo moro che tentava di parlare con alcuni di loro.
Nobita era cambiato. E non solo di aspetto fisico, ora era di una testa più alto di lei, portava ancora i soliti occhiali rotondi, ma non aveva più la frangetta dritta e neanche capelli così corti. La sua andatura si era fatta decisa, la voce più maschile e non aveva più quell’espressione svogliata o piagnucolosa.
I suoi voti non erano eccellenti, ma si sforzava per ottenere una buona media, senza mai tentare di farsi notare. Non praticava sport in qualche club come Gian, ma ogni tanto lo vedeva dilettarsi in qualche partita per divertimento.
Sorrideva come lo faceva da bambino, alternando momenti seri, ed era ancora un pasticcione.
Nobita era cambiato, più di tutti. Da quando Doraemon era tornato alla sua epoca, qualcosa era mutato in lui. E non sapeva dire cosa. Avevano passato l’infanzia a giocare insieme con i bambini del quartiere, credendo che la loro amicizia non sarebbe cambiata, eppure da quando si era separato dal robot gatto, Nobita aveva smesso di esternare con tanta semplicità i suoi sentimenti. Sebbene tutti loro erano dispiaciuti di non vedere più Doraemon, erano convinti che più di tutti Nobita avrebbe sofferto per l’addio. Eppure in nessun momento aveva mostrato cedimenti, né aveva condiviso con loro i suoi pensieri o preoccupazioni. Semplicemente, era andato avanti. E non potevano negare che questo li aveva sorpresi.
Con l’inizio delle medie i rapporti con lui si erano fatti meno frequenti, tutti ormai erano assorbiti con i nuovi ritmi scolastici e alla ricerca di nuove occupazioni. Poi alle superiori con il sistema di smistamento degli alunni, Nobita era capitato in una classe differente da loro. E i contatti si erano fatti ancora più radi.
Nobita era cambiato, era inutile negarlo. Nonostante mantenesse il suo carattere gentile e altruista, era come avere davanti un’altra persona. E questo l’allarmava quando ci pensava. Credeva di conoscere il suo amico Nobita, e invece ora tutto ciò che sapeva di lui, era attraverso gli altri. Non era iscritto ufficialmente a nessun club, ma era ugualmente molto occupato perché si era candidato come rappresentante di classe, diventando vice, anche se era chiaro alla classe che si impegnava più lui del rappresentante in carica. Si presentava alle riunioni della scuola, collaborava alle iniziative, i compagni si rivolgevano a lui per qualsiasi problematica, faceva da tramite da studente a insegnante, svolgeva gli incarichi più noiosi al posto del rappresentante che pareva più interessato a fare bella figura davanti ai compagni e a battere Dekisugi come intelligenza e popolarità. Dekisugi però non sembrava prenderlo molto in considerazione come rivale, infatti rivolgeva più spesso la parola a Nobita che incontrava alle riunioni. Forse Dekisugi, più di lei, Gian e Suneo, era quello che interagiva con Nobita, rientrando più volte tardi a casa alla stessa ora dopo aver svolto incarichi scolastici. Lo stesso Dekisugi aveva commentato che Nobita avrebbe dovuto essere il rappresentante e non farsi carico di tutto il lavoro, ma quando lo aveva fatto presente a Nobita lui aveva alzato le spalle con spensieratezza dicendo che gli andava bene com’erano le cose.
Nobita ora girava per i corridoi con altre persone al suo fianco. Non sapeva molto di loro, solo che avevano avuto un inizio difficile e la prima persona con cui avevano stretto amicizia era lui. Ciò non la sorprendeva tanto, fra tutti Nobita fin da piccolo aveva avuto questa capacità di avvicinare a lui le persone e conquistare la loro simpatia. E non perché fosse un genio o un talento o un modello, semplicemente perché era se stesso. Anche se era stato per anni tormentato da Gian e Suneo, lui non serbava rancore e aveva dato loro aiuto quando ne avevano avuto bisogno. Ed era per questo che era ben voluto, alla loro maniera, anche da Gian e Suneo.
Però…
Sospirò nuovamente mentre si alzava e riponeva il violino nella sua custodia.
… perché quel Nobita la faceva sentire così? Come se il suo ruolo da amica d’infanzia era passato in secondo piano, ricevendo meno attenzioni, come se fosse stata esclusa dalla sua vita. Una parte desiderava essere più partecipe nella sua quotidianità, di essere la confidente dei suoi pensieri e… poter comprendere meglio quel Nobita.
Era come... distante. 
Non lo comprendeva, ma si sentiva come abbandonata dai suoi amici... Il che era assurdo, perché Suneo e Gian erano nella sua stessa classe e Dekisugi si soffermava spesso a parlare con lei. Creando non poche gelosie tra qualche alunna. Non era cieca, Dekisugi era un ragazzo molto carino e sapeva quanto interesse suscitava tra le sue coetanee e anche le più piccole. Non poteva non notare gli sguardi invidiosi di loro, quando lei e lui passavano del tempo insieme. E anche se alle elementari era un fatto lieve, con l'arrivo delle superiori gli sguardi si erano accentuati. 
Non è che le desse fastidio, non ci faceva caso alle elementari, né alle medie, tanto meno alle superiori. Lei e Dekisugi erano solo amici, e le piaceva conversare con lui, aveva sempre qualcosa di nuovo da raccontarle. E quel rapporto si era mantenuto anche nel corso degli anni. Anche se doveva più volte confermare alle sue compagne e altri curiosi, che tra loro non c'era niente, a dispetto delle apparenze che li vedeva come una coppia. 
Chiuse la custodia del violino e prese la sua cartella dove infilò il suo spartito. Uscì dall'aula e percorse il corridoio in quel momento deserto, la maggior parte dei studenti era tornata a casa o era fuori dall'edificio. 
Soffermò lo sguardo sul suo riflesso delle finestre del corridoio. 
Anche lei come tutti i suoi amici era cresciuta, non aveva più l'aspetto di una bambina delle elementari. Si era fatta crescere un po' i capelli, ma aveva ancora l'abitudine di legarseli in due codini che ricadevano sulle spalle. 
Le sue compagne di classe le facevano spesso dei complimenti del suo portamento elegante e commentavano come attirasse l'attenzione dei ragazzi più carini. Ma sinceramente non ci badava tanto. Era carina e gentile con tutti, quindi non aveva preferenze, a parte i suoi amici d'infanzia. Con loro era più se stessa. 
E recentemente, il suo rapporto con Nobita iniziava a pesarle. Le era ormai chiaro che Nobita la trattava come qualsiasi altra compagna di scuola. Non c'era più quel trattamento riservato che dedicava solo a lei. E sebbene fosse una sciocchezza questo la feriva. 
  • Ah, Shizuka!- un ragazzo le corse incontro- Non te ne sei ancora andata- fece Nobita chinandosi per prendere fiato e sorridendo sollevato di averla raggiunta. Shizuka annuì, mentre lui alzava la testa- Bene, ho fatto in tempo. 
Ora che era vicino, Shizuka notò la stanghetta degli occhiali che era storta e vicino alla mandibola una macchia scura, che sospettava non fosse pittura. 
Lei appoggiò per terra la cartella e la custodia.   
  • Che ti è successo?- chiese preoccupata, con l'intento di toccare il suo viso e verificare l’entità del danno. 
  • Oh, questo?- si indicò il viso, retrocedendo appena con la testa per evitare il contatto con la mano di lei- Non è niente, solo un imprevisto- sorrise spensierato toccandosi dietro la testa. Shizuka era rimasta con la mano ancora sospesa in avanti- Ah già! Sono venuto a cercarti perché mi sono ricordato di una ragazza del quinto anno, si chiama Sakura e ha una sorella che frequenta un accademia di musica. L'ho appena sentita e mi ha detto che in questo periodo sua sorella è a casa e che volentieri ti darebbe una mano con il violino. Sempre che tu voglia, chiaro. 
Shizuka abbassò il braccio e lo fissò sorpreso. Credeva che Nobita non avesse fatto caso a quello che si erano detti prima. Né che si fosse preso la briga di fare qualcosa. 
  • Sì, certo, mi farebbe piacere- disse congiungendo le mani allegra- Sicuro che non la disturberò? 
  • Ma no, Sakura ha detto che per sua sorella è un modo per tenersi allenata e la diverte. Bene allora, la chiamo per confermare. Le lascio il tuo numero così vi concordate sul giorno, va bene?- Shizuka annuì, mentre lui prese il suo cellulare dalla tasca e digitò qualche tasto- Ci vediamo- la salutò con la mano e si voltò per tornare indietro. Lo guardò allontanarsi e parlare al telefono con disinvoltura e allegramente. 
Shizuka si chinò per raccogliere il violino e la cartella, e s'incamminò anche lei per tornare a casa. 
Camminò stringendo forte la maniglia della cartella. Non sapeva cos'era quel sentimento. Doveva rallegrarsi dopo quello che aveva fatto Nobita per lei, perché a dispetto degli anni lui ancora si preoccupava. 
Eppure, sentiva angustia nel cuore. Perché a dispetto delle apparenze, non era cambiata la situazione. Lui si era comportato come faceva di solito, accorrendo quando vedeva qualcuno in difficoltà e offrendo il suo aiuto. Lei non aveva fatto l'eccezione, l'aveva aiutata così come con gli altri compagni. Perché Nobita era gentile con tutti e lei era solo una vecchia amica, nient'altro... 
L'aveva capito quando aveva tentato di avvicinarsi a lui e con disinvoltura si era scostato da lei, mostrandogli solo un sorriso di cortesia. 
La feriva, e molto con quella gentilezza disinteressata. E Nobita non sembrava neanche accorgersene, assorbito com'era nei suoi impegni e pensieri. 
 
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  • Ho saputo che stai migliorando con il violino- disse un ragazzo dai capelli neri avvicinandosi al suo banco. Lei alzò lo sguardo per guardarlo- Ho sentito il professore che ne stava parlando- spiegò. 
  • Sì, grazie all'aiuto di Kaori- disse lei mentre si alzava dalla sedia e prendeva il suo sacco a pranzo. Era loro abitudine pranzare insieme- È una ragazza che sta studiando musica. 
I due uscirono dall'aula, insieme ad altri compagni, poi andarono a sedersi a qualche panchina del cortile della scuola. 
  • Ah, la sorella di Sakura. Sì, ricordo che una volta ne stava parlando a Nobita. 
  • È fantastica, suona divinamente ed è stata molto gentile con me spiegandomi cosa stavo sbagliando- aprì il suo bento, una scatola contenente il cibo. Dekisugi fece lo stesso- Mi piacerebbe suonare come lei, ma dovrò sforzarmi di più se vorrò arrivare al suo livello. 
Il ragazzo sorrise e iniziò a mangiare. 
  • Sono contento per te, ti trovo più di buon umore rispetto agli altri giorni. 
  • Ah sì?- chiese sorpresa. 
  • Sì, si notava che eri depressa. Però ora stai meglio. E sospetto che c'entri Nobita. 
Lei appoggiò le bacchette e fissò il suo pranzo. 
  • Perché, ti ha detto qualcosa? 
  • No- alzò le spalle- L'ho solo dedotto dalla tua espressione. Fin da bambina era l'unico di noi che ti faceva sorridere in quel modo. 
  • Ti sbagli, sono sempre stata la solita con tutti voi. 
  • Dici?- le sorrise quasi divertito. 
  • Certo che sì- sbuffò con fastidio riprendendo a mangiare- Nobita-san è solo un amico, non l'ho mai trattato in maniera diversa- vide il ragazzo guardarla con scetticismo- Dico sul serio! 
  • Va bene, va bene, ti credo- fece lui. 
Lei tornò a guardare il suo pranzo. Perché Dekisugi si divertiva a insistere su quell'argomento? Per lei era già abbastanza complesso cercare di capire la confusione che gli provocava Nobita. 
  • Comunque- disse il moro chiudendo il suo bento dopo aver terminato di mangiare- è meglio così, per me. 
  • Che intendi?- lo guardò mentre metteva via il suo pranzo. Lui le sorrise. 
  • Be', non vorrei dover competere con lui un giorno. 
  • Competere per cosa? 
Il ragazzo si alzò in piedi e le offrì una mano per alzarsi. Lei si alzò per effetto della spinta e i loro visi si avvicinarono. Dekisugi la guardò fissa negli occhi, ma Shizuka rimase impassibile attendendo una risposta.
  • Te lo dirò più avanti- disse con un sussurro e lasciandola andare. 
Shizuka lo guardò confusa, ma non ci fece caso. Non era la prima volta che diceva frasi che non comprendeva. 
 
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  • Mà, sono a casa!- gridò Nobita dall'ingresso di casa, mentre si toglieva le scarpe. 
Una donna con occhiali rotondi come i suoi si avvicinò all'ingresso. Rispetto a quando lui frequentava le elementari, si notavano qualche ruga in più sul viso, dovuto forse anche alle tante volte che si infuriava, ma né lui né suo padre si azzardavano a scherzare su quell'argomento o avrebbero patito la fame. 
  • Nobi-chan anche oggi hai fatto tardi? 
  • Sì, mi sono soffermato a compilare dei fogli e il tempo è volato. 
  • Comincio a credere che non ti fa bene. Guardati, sei sciupato in faccia e temo che sei dimagrito ancora. 
  • Nah, è solo la tua impressione. Vedi come sono in forma?- fece qualche buffa imitazione di un palestrato- E non faccio neanche sport. 
  • Mhh...- fece poco convinta- Lavati le mani e vieni a mangiare. 
  • Sì, vado a lasciare la cartella- fece lui salendo le scale. Arrivò alla stanza e aprì la porta. Due passi e si lasciò cadere sul tatami a faccia in giù- Ouch!- promemoria: ora che era più alto, lasciarsi cadere per terra faceva decisamente più male. 
Era a pezzi, non poteva negarlo. Strisciò verso la scrivania per appoggiare la cartella e poi si ribaltò con il corpo, rimanendo con il viso rivolto al soffitto. Non aveva neanche la forza di alzarsi e togliersi la divisa. 
Da quando la sua vita scolastica si era fatta così stancante? Non poteva credere che da bambino si lamentava di essere sempre stanco! 
Alzò il mento e osservò la scrivania dietro di lui. Il cassetto era chiuso. Rimase a fissare in silenzio, per poi alzarsi e dare la schiena. La stanza era tremendamente silenziosa ed era una sensazione che gli dava fastidio. Non resistette e uscì dalla stanza per dirigersi in bagno. Si tolse gli occhiali e sciacquò la faccia. Rimase a fissare la sua immagine riflessa allo specchio. Ciuffi di capelli neri ricadevano bagnati sulla fronte. Si toccò la mandibola, gli faceva ancora male quando la muoveva. 
Era stata una pessima idea mettersi in mezzo giusto quando l'altro stava per tirare un pugno. Ah be', poteva andargli peggio come due anni prima. 
Si asciugò la faccia e si rimise gli occhiali per andare in cucina. 
  • Hai già pensato a cosa dedicarti quando la scuola terminerà?- chiese d'un tratto il padre mentre stavano cenando- Al tuo futuro? 
  • Uhm, non saprei- alzò le spalle disinteressato. 
  • Nobita, non puoi essere così irresponsabile- disse la madre arrabbiata- Il prossimo anno ci saranno gli esami e se aspiri a entrare in qualche buona università, dovresti già darti da fare. 
  • Tamako non essere così dura con lui- fece il padre cercando di calmarla e guardò il figlio- Però ha ragione tua madre, Nobita. È importante essere accettati a una buona università al giorno d'oggi, o comunque avere buone referenze nel caso tu volessi entrare in qualche azienda a lavorare. 
  • Lo so papà- fece lui stanco e si alzò da tavola- Grazie per la cena- e se ne andò frettolosamente. Sentì borbottare la madre con il padre, ma non rimase lì. Salì in stanza e si sdraiò sul tatami. Ancora silenzio. Chiuse gli occhi. 
Il futuro, eh? Se fosse stato onesto avrebbe risposto che aveva già abbastanza pensieri sul suo futuro. E che pensarci tanto lo aveva fatto solo impazzire. 
Non voleva pensarci più, non ancora. Voleva vivere il presente, giorno dopo giorno, e godersi quella momentanea serenità. 
 
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 “Il futuro fa paura”, dove lo aveva sentito dire prima? Non che lei avesse paura, ma come tutti i suoi coetanei non poteva evitare di soffermarsi a pensarci. Il suo futuro come l'aveva immaginato da bambina non era cambiato tanto, si era solo arricchito di particolari nel corso degli anni, aumentando gli obiettivi, senza tante pretese. 
In fondo era una ragazza semplice. Le piaceva uscire con le sue amiche e passare del tempo con i suoi amici d'infanzia, apprendere nuove ricette e esercitarsi al violino. E chissà, un giorno incontrare il suo principe azzurro. 
Ridacchiò. Non poteva certo aspettarsi di vedere arrivare il suo cavaliere in sella al suo cavallo bianco. Non era più una bambina. 
  • Aaah!- si sentì spinta da dietro e cadde in avanti per terra. 
  • Eh? Ho colpito qualcuno?- fece uno dietro una pila di scatole che sorreggeva e che gli impedivano di vedere davanti. Spostò la testa per vedere- Scusa, non l'ho fatto apposta!- disse dispiaciuto e appoggiò subito le scatole per terra per prestare soccorso- Ti sei fatta male? 
  • Nobita-san?- lei riconobbe la voce e alzò lo sguardo. Lui era ugualmente sorpreso e ancora più preoccupato. 
  • Shizuka, mi dispiace- si chinò- Non stavo guardando e... hai sbattuto la testa? Vuoi che ti porti in infermeria? 
Lei scosse la testa. 
  • N-no, sto bene. Solo lo spavento. 
  • Sicura?- si avvicinò e la guardò per controllare. 
Shizuka rimase immobile per qualche istante vedendo Nobita così vicino al suo viso e i suoi movimenti come se fossero al rallentatore. Gli occhi fissi su di lei senza effettivamente guardarla.
Si sentì d'improvviso bruciare le guance e il cuore accelerarsi. 
  • Ho detto che sto bene!- reagì d'istinto serrando gli occhi e lo spinse indietro malamente. 
Nell’istante stesso si pentì della sua reazione esagerata. Cosa aveva fatto? Alzò lo sguardo e si aspettò che Nobita si lamentasse, ma lui la guardò per qualche secondo senza espressione come stupito, per poi sorridere goffamente. 
  • Meno male- disse sollevato e le offrì la mano per alzarsi. 
Lei accettò la mano timidamente e quando si rialzò la lasciò andare. Si voltò per prendere le scatole lasciate a terra. Shizuka lo guardò da dietro e fu tentata di dirgli qualcosa, o almeno dargli una spiegazione, ma non riuscì ad aprire bocca. 
  • Nobita-san!- dietro lei arrivò correndo una ragazza. La riconobbe, era la sorellina di Gian, Jaiko- Ti avevo detto che non ce l’avresti fatta a portarli da solo- borbottò lei, mentre si avvicinava per prendere parte delle scatole. Nobita sorrise imbarazzato- Certo, se vuoi fare sempre di testa tua… chi hai investito?- si voltò a guardare la ragazza lì immobile- Shizuka-chan? Ti sei fatta male?
Shizuka scosse la testa evitando di guardare Nobita.
  • Meglio così- disse Jaiko e si rivolse a Nobita- Andiamo, ci staranno aspettando all’aula d’arte. Ci vediamo Shizuka- salutò e se ne andò con al fianco il ragazzo e le scatole.
La ragazza li guardò. I due avevano preso a parlare su qualcosa che pareva divertire Jaiko. Non capì su cosa stavano scherzando, però sembrano comprendersi.
Jaiko, così come loro, era cambiata. Forse era quella che aveva avuto uno sviluppo fisico più evidente. Sempre appassionata di manga, aveva continuato la sua passione nei vari club delle scuole. Portava ancora i capelli corti e fuori da scuola il suo affezionato berretto rosso. Forse era stato il suo disegnare incensante che l’avevano fatta dimagrire o forse perché aveva cambiato alimentazione, ma aveva giovato al suo fisico che si era fatto più femminile.
Al contrario di Gian, Jaiko non era una prepotente, era gentile e allegra, non era solita frequentare quelli del quartiere infatti passava i suoi momenti liberi o ad aiutare la madre o a disegnare, talvolta anche a portare a passeggio il cane Muku. Tutti del quartiere sapevano che aveva un adorazione per suo fratello maggiore, che lo considerava come un eroe, così come sapevano che Gian era molto protettivo con lei e che non permetteva a nessuno di farla piangere o prendersi gioco di lei. Ecco perché nessuno si azzardava ad avvicinarsi a Jaiko.
Ricordava di aver giocato più volte con lei da bambina e di averla incrociata più volte nel quartiere passando del tempo chiacchierando. Ma solo questo, perché il resto del tempo lo trascorreva con i suoi compagni di classe, talvolta in qualche avventura fantastica in compagnia di Doraemon.
Era di due anni più piccola e aveva frequentato le loro stesse scuole, ogni tanto si salutavano in corridoio, ma non si soffermavano molto perché ognuno era sempre preso con le proprie attività. Come c’era d’aspettarsi, Jaiko si era iscritta al club di disegno il primo anno, per poi fondare un club del manga alternandosi con loro per l’uso dell’aula d’arte.
Come Jaiko e Nobita avessero iniziato a parlare così spesso non lo sapeva. Forse perché da bambini Jaiko era solita chiedere aiuto a Nobita quando era prossima alla scadenza di un suo manga e ancora adesso l’aiutava.
Ma che andassero così d’accordo, non lo ricordava. E non capiva perché questo iniziava a farla sentire incomoda.
Soprattutto, aveva perso l’occasione di scusarsi con Nobita.
 
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  • Bene, e con questo abbiamo finito- disse un castano al gruppo presente- L’aula è a posto.
  • Con il nuovo materiale e la nuova disposizione dei mobili potremmo ricevere nuovi membri- fece una ragazza.
Il gruppo applaudì soddisfatta del lavoro.
  • E siamo riusciti a terminare in poco tempo- fece un altro del gruppo.
  • Merito dell’aiuto di Nobita-kun- disse il castano rivolgendosi al ragazzo nominato- … Nobita-kun?- ripeté notando che il moro non aveva aperto bocca per tutto il tempo e aveva lo sguardo perso.
  • Ouch- ricevette una gomitata discreta da Jaiko che lo risvegliò- Eh? Ah, non c’è di che- sorrise imbarazzato- Sono felice di aver dato una mano. Se avete bisogno d’altro, fatemelo sapere.
  • Certo- gli strinse la mano- Sei il benvenuto da noi.
Nobita gli sorrise contento, per poi congedarsi e uscire dall’aula in compagnia di Jaiko.
I due rimasero in silenzio, finché la ragazza non sospirò guardando fuori dalla finestra del corridoio. Si stava oscurando il cielo.
  • Si è fatto tardi. Oggi avevo promesso alla mamma di aiutarla a cucinare, visto che mio fratello rientrerà tardi dagli allenamenti.
Il ragazzo la guardò per qualche secondo per poi annuire.
  • Ti accompagno. Oggi non ho altro da fare.
  • Sicuro? Non avevi da compilare dei questionari?
  • Li farò a casa, non preoccuparti.
I due ragazzi presero le loro cartelle e si diressero fuori dalla scuola. Faceva un po’ freschino, ma era una bella giornata.
Jaiko si soffermò a guardare il tramonto, poi guardò il ragazzo che gli camminava vicino.
Da quanti anni si conoscevano? Da quanto ricordava Nobita era già presente nella sua quotidianità da bambina. Era il bambino che tanto ne parlava il fratello e il suo amico sminuendolo, era il bambino che si faceva notare per le sue scarse qualità atletiche e intellettuali, era il bambino di cui lei stessa si burlava e che l’aveva fatta piangere in due occasioni seppur per fraintendimento e farneticando su un misterioso futuro, era il bambino che la salutava con un sorriso allegro, era il bambino che aveva apprezzato dopo suo fratello i suoi fumetti, era il bambino che se la incrociava e la vedeva giù di morale cercava di aiutarla, era il bambino di cui lo stesso fratello aveva ammesso che era un amico dell’anima, era il bambino di cui quasi nessuno notava le qualità e che lei aveva scorto in qualche occasione, era il bambino che era rimasto fino a tarda notte ad aiutarla con i suoi manga nonostante crollasse dal sonno.
E ora era il ragazzo che le aveva dato il benvenuto nella scuola, che l’aveva incoraggiata ad aprire un club di manga e a cui si rivolgeva quando aveva qualche problema, era il ragazzo con cui condivideva un tratto di strada per tornare a casa.
Nobita era cresciuto rispetto i suoi ricordi dell’infanzia quando lo vedeva giocare con suo fratello e altri bambini del quartiere, le sue spalle non erano basse e incerte ma salde e decise. E il suo sorriso era rimasto come quello di un bambino, anche se forse pochi potevano notare la malinconia riflessa nei suoi occhi.
Come in quel momento, il suo sguardo era fisso sulla strada che percorrevano, ma la sua mente sembrava essere altrove. O come quando era venuto a prenderlo per sistemare insieme l’aula d’arte, lui si era mosso come un automa sorridendo come per nascondere qualcosa.
E lei sapeva, o per lo meno sospettava, chi era la causa di questo.
  • È successo qualcosa con Shizuka-chan?- bastò questa domanda per innescare un irrigidimento nel ragazzo, che però mascherò con un sorriso confuso- Oh andiamo, te lo si legge in faccia- sbuffò lei.
  • Non so di che parli- alzò lo sguardo al cielo- Oh, guarda, siamo arrivati a casa tua.
Ecco che ricominciava. Nobita trovava sempre un modo per evadere le sue domande. Non che fosse importante, ma cominciava a stancarsi del suo modo di mascherare i suoi veri pensieri. Sospirò e si avvicinò alla porta di casa.
  • Ci vediamo domani.
  • Sì- il moro salutò, nel momento che lei entrava in casa. Jaiko indietreggiò e rimase qualche secondo a guardarlo mentre se ne andava.
  • Jaiko che fai impalata fuori?- chiese la madre passando per l’ingresso- Entra e chiudi la porta, sta iniziando a far freddo.
  • Sì, mamma.
  • Nobita era con te?- chiese la donna mentre portava dei scatoloni nel negozio. Jaiko annuì togliendosi le scarpe della divisa- Oh, che ragazzo gentile. Fortuna che c’è lui, quello scansafatiche di tuo fratello pensa solo allo sport e non si preoccupa di riaccompagnarti a casa. Con i tempi che girano, dico io!
  • Non importa. Il fratellone si sta impegnando al massimo e io non voglio essergli di disturbo.
  • Già, già, ma poi non viene neanche una volta ad aiutarmi- sospirò e si sedette su uno scatolone- Non potrò mandare avanti a lungo questo negozio.
  • Ci sono io- le posò una mano sulla spalla e le sorrise. La madre ricambiò il sorriso.
  • Ah, cara ragazza. Che farei senza di te?
  • Metto via la cartella e scendo- avvisò la figlia, per poi salire le scale fino al piano superiore dove c’era la sua stanzetta. Nel corso degli anni i poster e i fogli si erano accumulati nella stanza, il cestino della carta era sempre da svuotare, e la scrivania era provvista di ogni genere di pennino e pennello.
La ragazza appoggiò la cartella e si guardò le mani. Disegnando freneticamente con l’inchiostro, si era procurata la sua dose di vesciche sulla mano. Non le era molto importato in passato, pur di migliorare la sua velocità e abilità, ma ultimamente ci stava facendo più caso al suo aspetto. Non che d’improvviso le fosse nato il desiderio di truccarsi o mettersi in ghingheri come facevano molte delle sue coetanee, semplicemente cercava di non trascurarsi troppo. Le era bastata l’esperienza dell’anno precedente, aveva perso d’un colpo dieci chili per lo stress nel disegnare nei tempi previsti.
Con lo sguardo si soffermò su una busta gialla chiusa dentro il suo cassetto. Aveva preso l’abitudine di chiudere i cassetti, perché talvolta suo fratello per la curiosità andava a sbirciare qualche suo manoscritto e lei si vergognava di mostrarne alcuni, di cui uno disegnato anni prima che mostrava un protagonista molto simile al Nobita di dieci anni, impacciato, sfortunato e frignone.
Ridacchiò sfogliando velocemente quei disegni. Non sapeva come le era venuto in mente di prendere spunto fra tanti soggetti proprio Nobita. Forse perché già allora si soffermava a osservarlo? O forse semplicemente era a corto d’idee. Sta di fatto che quel manoscritto non l’aveva mai inviato per il concorso. Motayo era stato l’unico a leggerlo e gli era piaciuto molto, però lei all’ultimo non se l’era sentita di inviarlo alla casa editrice. Motayo non s’era spiegato il perché della sua scelta, e neanche lei, però sentiva che preferiva che rimanesse nel cassetto. E così è stato.
In seguito aveva disegnato altri manoscritti per altri concorsi, e aveva ottenuto la sua dose di soddisfazione con lo pseudonimo di Christine Goda.
Rimise la busta nel cassetto e uscì dalla stanza. A volte si era soffermata a chiedersi che ne avrebbe pensato Nobita di quel manga. Si sarebbe offeso o ci avrebbe riso su?
Perché poi il suo parere le importava così tanto? Non era la prima volta che si rivolgeva a lui per mostrare un nuovo manoscritto, piuttosto che a suo fratello o Motayo.
Motayo… chissà che n’era di lui? Non lo sentiva dall’ultima volta che lui l’aveva chiamata dalla nuova città dove si era appena trasferito.
Si distrasse attendendo qualche cliente del negozio, mentre la madre cucinava. Poi quando era ormai buio, sentì la voce del fratello dall’ingresso.
  • Ciao Takeshi, com’è andata oggi?- chiese lei andandogli incontro. Lui era sporco di terra su tutta la divisa da baseball. Si tolse le scarpe e si mise la mazza sulle spalle.
  • Aaah, sono dei rammolliti- brontolò lui- Se vogliamo puntare al Koshien, dovremmo allenarci più intensamente.
  • La mamma ha già preparato da mangiare, lavati le mani e vieni a tavola.
  • D’accordo- fece lui trascinandosi per le scale. Anche se non voleva mostrarlo, era stremato dagli allenamenti.
Jaiko sorrise e lo guardò allontanarsi.
  • Ah, com’è andata con l’aula d’arte?- chiese lui rimanendo sulle scale.
  • Bene, Nobita-san ci ha aiutato a reperire i materiali e a sistemarli.
  • Oh- fece lui alzando lo sguardo come se stesse pensando- Capisco.
La sorella lo guardò senza capire il perché di quella pausa tra una parola e l’altra, ma il ragazzo entrò in stanza senza aggiungere altro. Lei non ci fece più caso e andò dalla madre che aveva già servito in tavola. Il fratello le raggiunse, avrebbero mangiato in tre quella sera perché il padre sarebbe rincasato di notte.
  • Mangia ancora Jaiko- insistette la madre porgendole un’altra porzione di curry- Devi alimentarti di più alla tua età.
  • Lo so, lo so- sospirò lei.
  • Stavo pensando che è da un po’ che non pratichi in cucina, dovrei insegnarti qualche nuovo piatto. Sai, per il giorno che ti sposerai e dovrai preparare il pranzo alla tua famiglia…
Sia a Jaiko che a Takeshi andò di traverso il boccone.
  • P-perché questo argomento all’improvviso?- chiese la figlia imbarazzata.
  • Già, Jaiko è ancora una bambina- annuì Takeshi.
  • Storie, Jaiko non è più una bambina- fece la mamma alquanto perplessa della loro reazione- È giusto che tu sappia cucinare bene, per te e per il tuo futuro.
  • Se è per un aiuto in cucina, posso cucinare io- fece Takeshi.
  • Così finiremo per morire avvelenati- commentò la madre, facendo deprimere il ragazzo- Fortuna che sarà tua moglie a cucinare e non viceversa.
Jaiko guardò pensierosa il suo piatto. Cucinare per il futuro sposo e famiglia… non ci si vedeva in quei panni. Forse perché non aveva mai pensato a se stessa come una casalinga con dei figli o forse perché non aveva finora sentito quell’impulso di cucinare per qualcun altro, a parte la sua famiglia. Anche se una volta aveva preparato il suo bento per pranzo e l’aveva fatto assaggiare a Nobita. In quel momento si era sentita stranamente contenta mentre lui si complimentava.
  • Jaiko? Mi stai ascoltando?- fece la madre risvegliandola.
  • Eh? Ah sì. Ci penserò su- sorrise tra sé, mentre il fratello la fissava con sospetto.
 
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  • Che hai detto?- chiese Nobita al ragazzo di fronte a lui.
  • Competizione Recita Scolastica- disse l’altro mentre sfogliava un fascicolo- Quante volte te lo devo ripetere?
  • Ma… che senso ha? Anche le altre due classi metteranno in scena uno spettacolo per la festa culturale. Non dovremmo fare qualcosa di diverso?
  • Ascolta, Hidetoshi della 4-2 parteciperà alla recita e io non posso essere da meno. Se lui può studiare e partecipare a uno spettacolo teatrale, lo posso fare anche io, e pure meglio.
  • Un attimo, tutto questo è solo per… rivalità?
  • Nell’ultima classifica Hidetoshi mi ha superato di due punti- fece il gesto con le dita- Due punti! Non può passarla liscia.
Nobita si sbatté la mano sulla fronte. Ne aveva sentito di cavolate, ma questa volta Saotome si stava superando. Questa sua ossessione nell’essere il migliore della scuola, soprattutto su Dekisugi, lo portava a fare scelte egoistiche e insensate. Non poteva credere che lui era il rappresentate della loro classe.
  • Ma noi non sappiamo recitare, nessuno in classe è portato per la recita. Come convincerai gli altri?
  • Già fatto- fece l’altro continuando a sfogliare il fascicolo.
  • C-come? Cosa? Perché non mi hai interpellato?
  • E perché avrei dovuto? Quando si tratta di persuadere, nessuno mi batte. E poi sono il rappresentante, non possono opporsi alla mia decisione.
Nobita alzò gli occhi al cielo.
  • D’accordo, ma perché la stessa opera teatrale? Sia la 4-2 che la 4-1 mettono in scena Romeo e Giulietta.
  • Non mi hai sentito prima?- fece Saotome scocciato- Si chiama Competizione Recita Scolastica. Come può sapere la scuola che sono meglio di Hidetoshi se non lo batto nella sua stessa opera teatrale? Fujo della 4-1 era d’accordo con me e farà la stessa cosa.
  • Ma tu hai mai recitato?
  • No, ma che ci vorrà mai? Si tratta solo di imparare a memoria le battute- gli mostrò il copione che stava leggendo- E dare un bacio a Sasaki, ovvio.
  • Non credo che si tratti solo di questo- commentò Nobita- Comunque, hai già pensato a tutto il resto? Gli scenari, i costumi e…
  • No, ma non c’è problema, perché te ne occuperai tu.
  • Io?- si segnalò.
  • Io ho già tanto da fare nell’imparare a memoria la parte di Romeo, studiare per il prossimo esame e sconfiggere Hidetoshi. I preparativi e tutto il resto li lascio a te, visto che non reciterai con la classe- si alzò in piedi e gli porse un plico di fogli- Non accetto obiezioni, né errori, Nobi-kun. Hai tre settimane per preparare tutto.
Detto questo il ragazzo prese il suo copione, la sua cartella e uscì dall’aula deserta.
Nobita lo guardò andarsene, poi grugnò frustato mentre sbatteva la testa sul banco. Perché fra tanti rappresentanti dovevano scegliere proprio Saotome? Per essere intelligente, lo era, ma solo per lo studio, per il resto era vanitoso, egocentrico e per niente collaborativo. Non si poteva neanche lontanamente paragonare a Dekisugi. Il suo ex-compagno di classe era stato molte volte rappresentante alle elementari e medie, ma in nessun modo aveva fatto prevalere il suo rango per fini egoistici, né si era vantato dei suoi successi. Tantomeno era interessato a questa assurda rivalità tra Saotome e Fujo che si contendevano la classifica come miglior studente.
  • Perché non hai semplicemente rifiutato?- fece una voce che riconobbe. Appoggiato sullo stipite della porta dell’aula c’era un biondino che lo guardava con le braccia incrociate.
  • Hiro, non posso semplicemente rifiutare. Mi sono preso un impegno e lo porterò a compimento.
  • Lasciando a te lo sbattimento e a lui la gloria? Quante volte si è ripetuta la storia?
  • Semplicemente Nobi-kun non è capace di opporsi…- disse una ragazza dai lunghi capelli neri, cerchietto rosso e carnagione chiara, mentre entrava nell’aula usando la seconda porta scorrevole.
  • Non ti ci mettere anche tu Chika- sbuffò Nobita mentre prendeva il plico di fogli. C’era molto da fare prima della Festa Culturale della scuola.
  • … ma per tua fortuna, non sei solo- la ragazza si sedette allo stesso banco con la sua solita espressione passiva. Il biondo fece lo stesso.
  • Tutto pur di evitare questa noiosa recita.
  • Ragazzi…- li guardò sorpresi, mentre i due compagni di classe prendevano i fogli spartendoseli- Grazie- sorrise.
Era contento, dopo il tempo passato insieme Hiro e Chika erano diventati più amichevoli. Quando li aveva conosciuti il secondo anno di superiore Hiro era una testa calda e Chika non parlava con nessuno. I due non si sforzavano neanche di fare amicizia con il resto della classe, ma sentiva che in fondo erano due brave persone e che serviva a loro solo un piccolo incoraggiamento. Hiro era sempre un attaccabrighe e più di una volta si era trovato coinvolto nelle sue risse, ma almeno ora l’aveva convinto ad attaccare solo in casi estremi. Chika aveva ancora difficoltà a relazionarsi con le compagne di classe, perché aveva il difetto di dire sempre la verità anche quella scomoda, e raramente si emozionava come le altre ragazze. Però ora parlava di più e si esprimeva senza timore con lui.
  • Che c’è da sorridere tanto?- chiese Hiro sospettoso.
  • Eh? Niente, niente…- ridacchiò- Bene, mettiamoci all’opera.
 
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  • Se con indegna mano profano questa tua santa reliquia, è il peccato di tutti i cuori pii, queste mie labbra, piene di rossore, al pari di contriti pellegrini, son pronte a render morbido quel tocco con un tenero bacio- disse un ragazzo dai capelli neri prendendo per mano una ragazza della sua stessa età. Entrambi erano vestiti con tradizionali vestiti dell’epoca.
  • Pellegrino, alla tua mano tu fai troppo torto, ché nel gesto gentile essa ha mostrato la buona devozione che si deve- rispose la ragazza in modo teatrale- Anche i santi hanno mani, e i pellegrini le possono toccare, e palma a palma è il modo di baciar dei pii palmieri.
  • Santi e palmieri non han dunque labbra?- chiese Dekisugi.
  • Sì, pellegrino- annuì Shizuka- ma quelle son labbra ch’essi debbono usar per la preghiera.
  • E allora, cara santa, che le labbra facciano anch’esse quel che fan le mani: esse sono in preghiera innanzi a te, ascoltale, se non vuoi che la fede volga in disperazione- si avvicinò di più a lei.
  • I santi, pur se accolgono i voti di chi prega, non si muovono- lo guardò in viso.
  • E allora non ti muovere fin ch’io raccolga dalle labbra tue l’accoglimento della mia preghiera- il ragazzo fece per chinarsi e baciarla. Lei socchiuse gli occhi e rimase in attesa.
Nel momento stesso l’immagine di Dekisugi si distorse, per poi essere sostituita con un’altra persona con capelli neri e occhiali tondi.
Aprì gli occhi incredule, il cuore le iniziò a battere forte d’improvviso cogliendola impreparata e agitata. Con le mani istintivamente lo colpì sul petto spingendolo indietro.
  • No! Non posso!- gridò, per poi rendersi conto aprendo gli occhi che era in classe e aveva appena alzato la voce durante la lezione. L’insegnante si era voltato a guardarla sorpreso, così come il resto dei compagni. Lei doveva avere ancora il cuore che le batteva forte per l’agitazione e il calore sulle guance che le colorava di rosso il viso.
  • Cos’è che non può Minamoto?- chiese l’insegnante, mostrandosi comprensivo nonostante avesse interrotto bruscamente la sua lezione.
  • Io… io…- lei stava appena rendendosi conto di essersi addormentata in classe e di aver solo sognato- Mi spiace, non stavo ascoltando bene…
  • D’accordo. Ripeterò il passaggio…- fece il professore senza preoccupazione. Del resto Minamoto era una delle sue alunne migliori e ben educate, quindi non sospettò niente.
Shizuka annuì silenziosamente, mentre i compagni di classe tornavano a guardare la lavagna. Avrebbe voluto sotterrarsi dalla vergogna. Non le era mai capitato di addormentarsi in classe, salvo rari casi.
  • Non hai dormito stanotte Shizuka?- chiese un’ora dopo Dekisugi avvicinandosi al suo banco. L’insegnante era già uscito e gli altri se ne stavano andando a mangiare.
  • Credo di no- disse lei stancamente mentre prendeva il suo pranzo- Stavo ripassando le battute della recita, temo di aver fatto tardi.
  • Devi rilassarti, si tratta solo di una recita scolastica. L’imparerai presto a memoria.
  • Facile per te dirlo, hai una buona memoria…- sospirò lei mentre si alzava dal banco e lo seguiva fuori dall’aula- Non avrei dovuto accettare la parte di Giulietta.
  • Sarai perfetta, fidati- gli sorrise. Però lei non sembrò tanto rassicurata. Avevano già provato altre volte la recita in classe, ma lei tendeva a bloccarsi in alcuni passaggi o a distrarsi. E non capiva perché.  
  • Forse ho solo bisogno di esercitarmi di più… - disse lei cercando di auto convincersi nel momento che alzava lo sguardo da terra. Incrociò la figura di un ragazzo che veniva dalla parte opposta del corridoio insieme ad altre due persone.
Un ricordo nitido le tornò in mente facendola nuovamente agitare. Si bloccò e abbassò subito lo sguardo, mentre i tre passavano affianco e proseguivano oltre continuando a parlare.
Dekisugi doveva essersi fermato anche lui, ma non aveva detto ancora niente.
Sperò che non avesse notato niente di strano e non le facesse domande appena riprese a camminare. Però il ragazzo non fiatò finché non arrivarono alla solita panchina e si sedettero per mangiare.
  • Quindi… a chi era diretta quella frase?
Shizuka si voltò a guardarlo confusa.
  • Stavi sognando, no?- spiegò lui- Doveva essere stato un sogno particolare per farti agitare così.
Lei arrossì senza un motivo apparente.
  • No, io… era solo una sciocchezza- guardò il suo bento da pranzo- Niente di importante.
Dekisugi la guardò mentre lei iniziava a mangiare.
  • … Nobita.
A Shizuka le andò di traverso un boccone di frittella. Tossì e bevve un sorso d’acqua.
  • C-che c’entra lui? È stato solo un caso, la stanchezza! È che lui… non sono io che decido i sogni e… !- si bloccò quando vide l’espressione sorpresa del ragazzo. Capì troppo tardi di essersi tradita.
  • Io veramente… volevo solo dirti che Nobita e la sua classe faranno la stessa recita… - fece Dekisugi ancora sorpreso.
  • Oh… davvero?- rise imbarazzata- E così avremmo più di una Giulietta e Romeo quest’anno… che buffo.
  • … E così hai sognato Nobita- concluse il ragazzo come terminando di pensarci, facendo sussultare Shizuka- Capisco.
  • N-non è come pensi!- disse Shizuka arrossendo e agitando le mani- Non significa niente.
  • Lo so- alzò le spalle tranquillo- Era solo un sogno.
Lei si sentì più sollevata dalla risposta del ragazzo. Non sembrava dargli tanta importanza. Già, era solo un sogno. Perché farci allora un dramma? Non aveva nessun significato il fatto che Nobita avesse preso il posto di Dekisugi nella recita del suo sogno. Non era reale. Eppure… perché il suo cuore continuava a battere? E perché quella sensazione di disagio? Era come se si sentisse ancora in colpa per aver spinto Nobita l’ultima volta. E in effetti non aveva avuto occasione di scusarsi con lui. Forse era dipeso da quello?
 
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  • Una Competizione Recita Scolastica?- fece Jaiko sorpresa- Ma cosa ha in testa? Nessuno avrà voglia di sorbirsi tre volte la stessa recita.
  • È quello che ho cercato di far capire a Saotome-kun- sospirò lui. I due stavano camminando di ritorno a casa. Si era fatto nuovamente tardi- Sono riuscito a procurarmi gli abiti, ma per gli scenari è inutile farli fare tre volte se useremo lo stesso palco della palestra. Ne sto parlando con Dekisugi per dividerci i compiti per ciascuna classe.
  • Io e gli altri dell’aula d’arte ti daremo volentieri una mano- disse subito Jaiko.
  • Davvero? Sarebbe magnifico- disse entusiasta- ma non siete impegnati anche voi con i preparativi per la vostra classe?
  • Noi prepareremo dolci da vendere- spiegò lei- C’è voluto un po’, ma ora siamo in grado di prepararli senza incidenti. Quindi ho qualche ora a disposizione per disegnare gli scenari. Me l’aveva già accennato mio fratello.
  • Ottimo- la prese per le mani e le sorrise- Ti devo un favore!
  • Nobita?- fece una voce. Nobita guardò oltre Jaiko e vide un ragazzo in divisa sportiva.
  • Gian, ciao! Hai terminato gli allenamenti?- lasciò andare le mani di Jaiko e andò incontro a Takeshi- Ho saputo che avete una nuova recluta nella vostra squadra.
  • Sì- annuì lui- Ma è ancora presto per decidere se farlo partecipare al campionato. Tu invece sei impegnato con la recita?
  • Eh sì- ridacchiò- Fortuna che Jaiko darà una mano. Be’ vado, che ancora manca da fare per la recita- fece lui voltandosi e salutando entrambi i fratelli- Ci vediamo!
Takeshi guardò allontanarsi il ragazzo, poi si avvicinò alla sorella che era rimasta immobile da prima.
  • Non entri in casa?
  • C-certo che sì!- disse voltandosi, cercando di nascondere un certo rossore sulle guance e infilandosi in fretta dentro casa. Takeshi la seguì e la vide correre in stanza e chiudere la porta dietro di sé.
La cosa non gli piaceva per niente.                                              
 
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  • Non mi piace per niente- fece Saotome sbirciando dietro un tendone. Nobita che era lì vicino lo guardò perplesso.
  • Cosa?
  • Perché per ultimi? Hidetoshi sta ottenendo tutta l’attenzione su di sé. E a noi tocca recitare per ultimi.
  • Stiamo solo rispettando la cronologia delle classi. Ti ricordo che la 4-2 aveva già presentato per prima il progetto della recita. Poi te ne sei saltato fuori con questa assurda idea della competizione, quindi non lamentarti ora.
  • Bah, non è che reciti così tanto bene- commentò l’altro con una smorfia- Persino tu Nobi-kun potresti recitare meglio.
  • Oh, che gentile- commentò il moro con sarcasmo, poi gli porse un abito- Piuttosto, vai a cambiarti. Gli altri sono già pronti per quando terminerà.
L’altro prese il vestito con malavoglia.
  • Quel pubblico non capisce niente. Se non fosse per la bellezza di Minamoto, non riceverebbero neanche un applauso.
  • Io non credo che stiano recitando così male- Saotome lo guardò di traverso.
  • Io ho molto più fascino di Hidetoshi, più intelligenza e più bravura.
E molta arroganza, pensò Nobita, ma il tipo non pareva ancora accorgersene. Nel momento stesso li raggiunse una ragazza alta e slanciata vestita di un abito elegante.
  • Come mi vedo Saotome?- disse volteggiando davanti a loro.
  • Sì, sì, bene- fece l’altro senza badarci molto- Vedi però di non mandare a monte la recita. Non dovrebbe essere tanto difficile muovere le labbra, no? Con un po’ di fortuna la tua presenza attirerà qualche spettatore in più.
  • Come? Sasaki-kun non reciterà?
  • Ovvio che no, pensi che sia abbastanza intelligente per imparare a memoria le battute? Ho dato l’incarico a Hoshino. Sarai lei che dietro le quinte reciterà al posto di Sasaki.
  • Ma…- fece per ribattere- Che senso ha? È una recita scolastica, è un progetto che si fa insieme per divertirsi, e non una stupida gara.
  • Ancora non hai capito niente della Competizione Recita Scolastica, eh?- fece l’altro scocciato- Logico, chi si accontenta delle briciole e stare dietro le quinte non potrà mai capire la difficoltà nell’essere il migliore.
  • Io non…
  • Va bene, mi impegnerò- fece la ragazza con un sorriso interrompendolo- Vinceremo questa competizione.
  • Bene, vado a cambiarmi- Saotome si allontanò, lasciando i due lì fermi.
  • Sasaki-kun, perché non… !
  • Va bene così Nobi-kun- fece lei con ancora il sorriso- Va bene così…- ripeté però con un sorriso triste.
Lui la osservò per qualche secondo, per poi abbassare lo sguardo. Sasaki era entrata nella loro classe solo quell’anno, prima era nella sezione di Fujo. Era una ragazza carina, solare e molto curata nell’aspetto. Aveva lunghi capelli castani mossi, talvolta raccolti in graziose acconciature. La si notava subito avendo una fisionomia quasi da idol.
  • Io non sono d’accordo con Saotome. Tu sei intelligente- la guardò serio. Lei sbatté le lunga ciglia sorpresa- E anche se il mio parere non è importante, stai molto bene con quel vestito.
  • Grazie…- sorrise lei come risollevata. Poi si allontanò, nel momento che passava di lì Suneo.
  • Ehi Nobita- fece il ragazzo salutandolo- È un peccato che non siamo nella stessa classe, eh? Con il mio talento e buon gusto ho reso Romeo e Giulietta super fashion.
  • Sì, ho visto. Sono belli- ammise lui.
  • Avrei potuto interpretare la parte di Romeo, certo la bellezza e la bravura non mi mancano, ma ho molti impegni e per questa volta mi accontenterò della gloria.
Ecco un altro a cui non mancava la modestia, pensò Nobita con un sospiro.  
  • Già, è un peccato che i miei vestiti sfigureranno i vostri- continuò Suneo.
  • Non importa- alzò le spalle- È solo una recita. I nostri abiti li ho chiesti in prestito a una ragazza di quinta, l’anno scorso aveva portato quei abiti per una sfilata d’epoca.
  • Nakashima Naoko della quinta?
  • Sì, esatto, perché?- lo guardò, mentre Suneo sembrava fare una faccia arrabbiata.
  • Frequentiamo lo stesso corso di moda. Siamo rivali- disse infastidito- Be’, avresti potuto chiedermelo a me e non a lei.
  • Eh? Ma se hai appena detto…
  • Io ho molto più talento di lei! E una persona come te senza gusto, non può capirlo!
  • Perché ti stai arrabbiando ora?- fece Nobita confuso, mentre l’altro sbuffava voltandosi altrove.
  • Comunque sia- sbirciò da dietro il tendone- siamo a un momento clou. C’è il bacio tra Giulietta e Romeo. Non nego che a Dekisugi gli sia spettato la parte migliore, qualsiasi maschio vorrebbe essere al posto suo e baciare la bella Giulietta- si voltò a guardare Nobita, ma lui si stava allontanando- Ehi, non rimani qui a guardare la recita?
  • No, ho altro da fare- Suneo però lo trattenne per il braccio.
  • Dai, non puoi perdertelo- disse con un sorriso furbo- O pensi che la tua classe sappia fare di meglio?
  • Non insistere, non voglio vedere!- disse agitandosi e staccandosi da Suneo. L’altro lo guardò sorpreso, mentre Nobita cercava di evitare lo sguardo- M-mi aspettano di là, ciao- disse sbrigativo, mentre si dirigeva da un’altra parte.
Non fece in tempo a fare qualche passo in più che gli sembrò che il pavimento si muovesse. Si fermò subito appoggiandosi alla parete cercando di calmarsi. Un istante dopo si rese conto che stava realmente tremando il pavimento e le pareti: era un terremoto. Il tempo di rendersene conto che la luce andò via, lasciando tutti nel panico.
 
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  • … tutto sommato, la miglior Festa Culturale che ho assistito- concluse Chika appoggiandosi alla ringhiera della terrazza scolastica, dove c’erano già due ragazzi che guardavano il panorama.
  • Senza tener conto che con questo imprevisto è saltata quella sciocca recita- disse Hiro- E Saotome non è stato per niente contento. Ha continuato ad accusare Hidetoshi di aver provocato il terremoto per impedirgli di recitare e vincere la Competizione.
  • Credo che con oggi abbia raggiunto un nuovo livello di stupidità- disse Chika.
  • Non sei dispiaciuto dopo tutto il lavoro che hai fatto?- chiese Hiro al ragazzo che stava in mezzo ai due.
Il moro alzò le spalle guardando il cielo.
  • Nessuno di noi poteva prevedere un terremoto nel bel mezzo della festa. Almeno non ha procurato tanti danni e ci siamo potuti godere il resto della festa all’aria aperta.
  • Ho come l’impressione che tra tutti, sei tu la persona più contenta per questo imprevisto- commentò la ragazza guardandolo- E non credo che c’entri la Competizione.
Nobita ridacchiò incerto, poi sorrise.
  • Già… tutto sommato, la miglior Festa Culturale.
   
 
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