Ciao a tutti ^ ^.
Questa è la presentazione del primo capitolo
di Bénédiction sotto riportato, e siccome so che finirò per parlare molto vi do
il permesso di saltarla, nel caso voleste.
Ma la presentazione va fatta. Vorrei darvi
un paio di ragguagli per capire meglio la storia.
Qualcuno ha avuto la malaugurata idea di
regalarmi Les fleurs du
mal per Natale, che ispira in maniera diretta la
suddetta ficcy. Infatti il titolo è spudoratamente copiato da una poesia
contenuta in tale raccolta.
La storia è nata come una one-shot, e come
tutte le mie one-shot finisce per arrivare a 38 pagine e 21 capitoli. Non
capisco dove sbaglio…
Mi scuso dell’inconveniente che è quello di
non poterla leggere tutta di seguito come credo sia giusto: infatti i primi
venti capitoli hanno luogo dalle nove di sera del 21 Luglio a mezzogiorno del
dì seguente. È un flusso continuativo…
A parte questo particolare troverete
parecchie citazioni in lingua –specialmente francese-. Molti di voi conoscono
il greco, io purtroppo no, a parte quelle due parole che imparo studiando
filosofia ^///^. Se trovate errori potete avvertirmi gentilmente.
Parlo davvero tanto…
Detto questo, FINE DELL’INTRODUZIONE (Ta-dan
ta-dan).
Bénédiction.
I.
Pluviôse, irrité contre la ville entière,
De son urne à grands flots verse un froid ténébreux
Aux pâles habitants du voisin cimitière
Et la mortalité sur les faubourgs brumeux
Mon chat sur le carreau cherchant d’une litière
Agite sans repos son corps maigre et galeux ;
L’âme d’un vieux poète erre dans la gouttière
Avec la triste voix d’un fantôme frileux.
Le bourdon se lamente, et la boûche enfumée
Accompagne en fausset la pendule enrhumée,
Cependant qu’en un jeu plein de sales parfums,
Héritages fatal d’une vieille hydropique
Le beau valet de cœur et la dame de pique
Causent sinistrement de leurs amours défunts.
C. Baudelaire,
LXXV Spleen.
(Piovoso,
irritato contro l’intera città,
rovescia a
fiotti dall’urna un freddo tenebroso
sui pallidi
abitanti del vicino cimitero
e la mortalità
sui sobborghi avvolti nella nebbia.
Il mio gatto,
cercando un giaciglio sopra il pavimento,
agita senza
posa il corpo scabbioso e magro;
l’anima di un
vecchio poeta vaga dentro la grondaia
con la triste
voce d’un fantasma freddoloso.
La campana si
lamenta e il ceppo affumicato
Accompagna in
falsetto la pendola infreddata ,
mentre in un
mazzo di carte dai lerci profumi,
fatale eredità
di una vecchia idropica,
il bel fante
di cuori e la donna di picche
chiacchierano
sinistri di defunti amori.)
‘Piove.’ Mi disse semplicemente entrando
nell’appartamento che avevamo affittato.
Era terribilmente zuppo d’acqua. Sembrava
avesse fatto un bagno in mare tanto i suoi vestiti erano fradici e i suoi
lunghi capelli mori, sempre perfettamente pettinati, scompigliati e
sgocciolanti.
Mi fece una profonda tristezza.
Lo vedevo tremare. Lui non doveva tremare!
Di cosa stava tremando, poi? Di freddo?
Non avrei mai dovuto lasciarlo tremare in
quel modo.
‘Lo vedo.’ Asserii ammiccando nella sua
direzione.
Anche se, sottolineo con particolare
devozione, mi fece subito l’effetto di uno che non era stato sorpreso dalla
pioggia, ma era stato piuttosto gettato in acqua.
Il fatto è che fui talmente stupido, così
affogato nei miei perversi meccanismi celebrali e ancora totalmente immerso nel
pesante ripasso dell’ultimo minuto che aveva una qualche labile parvenza di
utilità ai miei occhi di studente poco puntiglioso, da non accorgermi, o non
sforzarmi di accorgermi, del suo sguardo ferito, e di tutte quelle piccole
espressioni quasi intangibili, leggere inclinazioni delle perfette curve del
suo volto, delle quali dopo tutti quegli anni avevo imparato a menadito la
fisionomia come fossero cose importanti -in effetti lo erano-, dal loro
significato tutto speciale, velato e catastrofico.
Non ho mai imparato a stare attento alle
piccole cose.
Mi accontentavo, allora più che mai, di
dettagli grossolani che potevano indurmi in qualche modo alla risoluzione
pressappochista del caso, senza pretese elevate o profondamente intrise di
spiritualità, concetti elati o semplicemente un po’ di filosofia spiccia,
insomma, quello di cui la gente ha bisogno per trascendere un po’ alla banale
quotidianità e rozzezza di costumi.
Seguitemi bene: fu proprio questo mio
“pressappochismo” a condurci alla disperata ricerca di quella notte che non ho
la voglia, il coraggio, né la crudeltà di dimenticare.
‘No. Non hai capito. Piove.’ Ripeté con quel
suo tono piatto e molto basso, quello che usa sempre quando è sopraffatto da
correnti gelide nel cuore che nemmeno lui, con tutta la sua buona volontà e la
sua spiccata intelligenza, riesce ad arginare.
Non riusciva nemmeno più a nasconderlo al
sottoscritto. Avevo acquisito una stupefacente conoscenza del significato
mascherato in ogni suo gesto, ogni suo sguardo ed ogni sua parola, e l’avevo
fatto assorbendo tutto ciò per abitudine, soltanto perché lo vedevo
infinitamente riprodotto ogni benedettissimo giorno che trascorrevo in sua
compagnia. Era come se il mio cervello elaborasse automaticamente questi
elementi, ed automaticamente mi fornisse le indicazioni del caso e i
suggerimenti sul come trattare con guanti di velluto la sua anima così fragile
da potersi spezzare ed andare in mille frantumi se solo non avessi avuto
l’accortezza di essere gentile e fargli percepire tutto il mio calore e il mio sostegno
affettuoso.
Avevamo un bisogno quasi fisico.
Mentre rientravo dal bagno con un grande
asciugamano pulito mi accorsi che non pioveva affatto.
Fu una consapevolezza che mi colpì
nettamente e con una sconcertante fitta nello stomaco, come se questo avesse
fatto una capovolta nella mia pancia che sobbalzava.
Perché, se non pioveva, lui era così
bagnato, fino al midollo?
Rientrando in camera aprii la bocca per
chiedere una qualsivoglia spiegazione sensata al fatto che lui fosse entrato
sgocciolando sulla moquette azzurra di casa quando era una bellissima serata di
fine Luglio, le stelle splendevano nel cielo terso, e non c’era nemmeno una
nuvola a minacciar tempesta.
E finalmente, quando lui si avvicinò col suo
passo felpato e sensuale posandomi l’indice della sua mano destra sul labbro
per pregarmi di tacere –è già doloroso abbastanza, sentivo vibrare nell’aria il
suo monito disperato- io vidi il rossore dei suoi occhi gonfi e quanto erano
profondamente intrisi della tristezza indicibile che l’aveva sempre sovrastato.
‘Devi fare un bagno…’ Sussurrai. La sua mano
era sempre accostata alla mia bocca.
‘No, ho davvero bisogno di parlarti.’
‘Su. Ci metti cinque minuti.’ Paradossalmente la mia voce
tremava più della sua. Era spaventosa, a sentirsi, o così mi appariva. Faceva
trapelare quella sottile debolezza che era sempre stata mia propria, ed era
l’incapacità di reagire, di spronarmi, il momento in cui le disgrazie mi
piombavano addosso con tutta la loro invereconda pesantezza di macigni.
Che poi ci fosse lui a darmi l’incipit era
un altro discorso.
Alla fine era tutto riconducibile alla
stessa snervante realtà, al fatto che io senza di lui non andavo da nessuna
parte, e lui senza di me non avrebbe resistito all’irrefrenabile desiderio di
farla finita.
Oh, sì, era un passionale! Affrontava la
vita con una veemenza, con un interesse così vivo e pulsante, inestinguibile
nel bene e nel male.
Quello che faceva, lo faceva mettendoci
l’anima. Ed era chiaro come il sole che non poteva reggere a lungo il momento
in cui le cose gli sfuggivano di mano e l’anima razionale veniva bruscamente
surclassata dalla sua parte desiderante, l’epithymetikòn come ce lo
descrive brillantemente Platone, lasciandolo in completa balia delle proprie
emozioni e dei propri istinti distruttivi.
In fondo è di questo che si parla.
Degli istinti di autolesionismo così
sfacciatamente spiccati in Giulio.
Avete presente quel mito poetico
dell’auriga, sempre di Platone? Per me Platone è il filosofo più poetico, con
le sue idee, che la storia ricordi. Ma non sta a me farvi un excursus sulla
teoria dell’intelligibile. Quello che vi voglio dire è che, tracciando le fila
dell’orientamento animistico del mio caro Giulio, il suo carro allegoricamente
figura dell’anima, tende paurosamente verso il basso mondo dei sensi.
Io non arriverò mai a capire quanto
spropositatamente amplificate lui avverta le cose che lo scalfiscono anche in
maniera superficiale, ma di certo non è il modo umanamente codificato.
Non è un bene.
Non lo è affatto.
E’ la sua sciagura, se me lo concedete,
perché vuol dire che sarà sempre costantemente incatenato alla miriade di
sensazioni prorompenti come un fiume in piena che lo distruggono. Io credo nel
potere delle sensazioni, e vedere Giulio immerso completamente nel suo stato di
trance onirica, di spaventoso abbandono -come se la sua mente abbia costretto
il suo corpo a subire una sincope per il dolore che, avvelenandogli il cuore, è
diventato troppo grande persino per la sua ragione acuta e penetrante- è una
cosa spaventosa e mi ferisce ogni volta come non mai.
Perché, alla fine, è come ammettere che non
mi sono dedicato abbastanza alla sua salvezza interiore.
‘Henka…’ Mi ridestò dalle mie amare
congetture con la voce di chi era contento.
Non mi fidavo della sua proverbiale arte
recitatoria. Mi stava semplicemente imbrogliando, lo sapevo bene, glielo
leggevo negli occhi chiari e stanchi.
Mi rialzai dal letto sul quale mi ero
sdraiato nel tentativo di concentrami su quello stupido libro di filologia
germanica. Non è giusto dover dare degli esami ad Agosto. Oltre che essere
moralmente scorretto è anche straziante per il povero studente che vede
bruciata la sua rosea prospettiva di vacanza per ritrovarsi chino su volumi
enciclopedici di vasta cultura altisonante.
D’accordo, sto esagerando. Io e Giulio, in
effetti, eravamo in vacanza, libri alla mano. Saremmo dovuti tornare il giorno
seguente.
--- Piaciuto il primo capitolo? Beh, da solo
non dice molto. Spero continuerete a seguire la storia per potermi dire che la
trovate interessante (ah ah! Sono molto vanitosa…)
Henka è un diminutivo che sta per Henrik.
Lui è finlandese (ho rubato il nome al tastierista dei Sonata Arctica ^ ^)
Sapete, rileggendo il tutto mi sono accorta
di aver commesso un errore madornale: ho lasciato che fosse Henka a narrare in
prima persona, ma come fa un finlandese a parlare così bene l’italiano (mi
faccio i complimenti da sola)? Boh… forse è un genio. Comunque non potevo
riscrivere tutto da capo. Fate finta di nulla, per favore. (io sono anche
giustificata in caso di errori: mi immedesimo nel Finlandese…)
Vorrei andare in Finlandia.
La verità è che sono molto insicura di
questa storia per un mio piccolo problema tecnico ^///^: non sono un ragazzo…
<-- vergognoso, non trovate? Per questo chiedo ai fanciulli sostegno morale.
Il prossimo capitolo è veramente breve e
insipido, ma mi serve come introduzione, per spiegare qualche dettaglio della
storia. Prometto che ci saranno capitoli più interessanti (spero).
E se a qualcuno interessasse conto di
postare un capitolo ogni sabato, avvertendo preventivamente quando non sarà
possibile. Mi impegnerò con serietà se me ne darete il motivo ^ ^.
A sabato, e grazie.
Love_in_idleness.