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Autore: Sam27    11/11/2015    2 recensioni
Alle volte il confine tra il bene è il male è una linea sottile, altre volte non è che una nebbia confusa. Apeiron è un demone dei più malvagi mentre Aurora è solo una studentessa con una gran voglia di vivere.
"Appoggia una mano sulla maniglia e tira un ultimo, angoscioso, sospiro di sollievo: non ha mai provato così tanta pena prima di un omicidio."
"Apeiron parve sorpreso da quell’improvviso cambio di tattica e, insieme, ancor più divertito: -La morte non è niente. Io sono sempre io e tu sei sempre tu-
-Come può la morte non essere niente se riesce a toglierti tutto?- rispose Aurora con un filo di voce.
Subito dopo averlo detto si accorse di quanto suonasse sbagliato ed infinitamente sciocco"
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Genere: Drammatico, Fluff, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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N.d.a.: la poesia presente in questa storia è riportata senza alcun scopro di lucro. Si intitola “La morte non è niente” ed è di Pasquale Garofalo. E' una One Shot completamente diversa da ciò che scrivo di solito, troppo smielata e dolciosa per i miei gusti, ho avuto dei problemi nello scrivere il finale poichè il contest per cui l'ho scritta richiedeva necessariamente un lieto fine. Comunque ce l'ho fatta, spero vi piaccia!



La morte non è niente

 
Apeiron scrocchia le dita una ad una e deglutisce, cercando di ingoiare l’ennesimo lungo sorso di assenzio che si è appena portato alle labbra.
Ha finito or ora di parlare con Hybris, che è sempre stato il suo maestro nonché il suo consigliere più fidato ed ora i pensieri gli vorticano confusi nella mente. Si sente come se qualcuno stesse premendo con forza le dita sulle sue tempie e stesse cercando di penetrargli la mente, mentre un liquido caldo e irritante gli scende giù per la gola, giocando a Pallacanestro nel suo stomaco.  E’ la sensazione più strana che abbia mai provato nella sua vita da demone: gli sembra di avere la febbre, cosa impossibile data la sua natura, eppure avverte un forte bruciore ovunque ed il cuore sembra scoppiargli nel petto. Odia quello stupido corpo mortale, così come non sopporta la maggior parte degli umani: sono sempre di fretta, sempre arroganti, sempre convinti di avere tutto sotto controllo ma la cosa che più lo infastidisce è la loro insulsa fragilità.
Distende lentamente la mano, poi la chiude a pugno, la riapre e lascia che una piccola nube scura lo avvolga, appena è sicuro che l’inganno abbia fatto effetto esce dal locale, fa appena in tempo a vedere la cameriera che, confusa, si chiede che fine abbia fatto poi svolta a destra ed infila le mani in tasca mentre si dirige verso la mansarda che ha affittato quell’anno. Non ama stare per troppo tempo nella stessa città ma questa volta c’è stato qualcosa che l’ha trattenuto: lei.
Nemmeno gli innumerevoli bicchieri bevuti riescono a cancellare le spiacevoli sensazioni conturbanti che gli consumano la mente ed il cuore. Al solo pensarla un innato desiderio di morte si fa strada nel suo cuore, il respiro diventa irregolare e lo stomaco inizia a bruciare sempre più forte. Si guarda nervosamente attorno, ansioso di far sparire quelle sensazioni: individua dopo pochi istanti una donna non troppo giovane e la affianca. Gli basta guardarla per un attimo di troppo con i suoi vivaci occhi nocciola e quella scoppia a piangere, lasciando cadere la borsetta. Apeiron fa finta di aiutarla, si china per raccogliere l’oggetto e, nel farlo, la sfiora appena. La donna batte le palpebre un paio di volte, confusa, quasi come se stesse cercando di mettere a fuoco il paesaggio circostante poi scuote la testa e sembra riprendersi, per un momento le è sembrato di non vederci più ma ora si sente rasserenata e pronta per l’appuntamento al buio, ringrazia con un sorriso il bel ragazzo che le sta porgendo la borsa e prosegue spedita.
Apeiron non può fare a meno di lasciarsi scappare un ghigno mentre assicura i duecento euro nella tasca interna del giubbotto. Subito dopo, però, sospira ancora: le strane sensazioni non sono sparite, anzi, sembrano essersi intensificate nonostante il piccolo furto.
Scuote la testa: Hybris ha ragione, deve porre fine a questa storia il più presto possibile.
 
“Sono solamente passato dall’altra parte:
è come se fossi nascosto nella stanza accanto.
Io sono sempre io e tu sei sempre tu”
 
Il giorno del loro primo incontro c’era il sole: un sole splendente e testardo, di quelli irruenti che capovolgono le fredde giornate d’Ottobre. Il cielo era blu cobalto e non c’era alcuna nuvola ad oscurarlo. Insomma: non era decisamente il giorno per un funerale. Questo pensava Aurora, mentre avrebbe voluto essere da tutt’altra parte, invece era capitata lì, tra le lapidi, a dare l’ultimo saluto alla sua defunta nonna. Avrebbe tanto voluto sprofondare con lei nella terra, rimanere nient’altro che cenere ed invece era costretta a restare, a procurarsi con gli artigli un posto nel mondo e a cercare di scalare la ripida salita della vita senza più il suo adorato e ormai vecchio bastone.
Aurora soffocò a stento un altro singhiozzo, seppellendo la faccia nel petto del cugino che la teneva stretta a sé, complice del suo stesso dolore.
-Ecco, ed ora salutiamo Anna per l’ultima volta, potete dirle addio ma sappiate che resterà sempre nei vostri cuori- disse un signore dai corti capelli grigi, chinando il capo.
Aurora annuì in risposta all’occhiata di Stefano ed insieme avanzarono di qualche passo, sfiorarono appena la bara e tornarono al loro posto, scoppiando entrambi in un pianto dirotto. Aurora adocchiò la madre e le si tuffò tra le braccia, mischiando sentimenti, lacrime e braccia. Quando la calce fu stesa del tutto e la sottile lastra di marmo attaccata, la gente iniziò a scemare ed Aurora a calmarsi, si asciugò le lacrime e posò il fazzolettino in una delle innumerevoli tasche del vestito color panna. Strinse moltissime mani e ascoltò miliardi di condoglianze senza riuscire, però, a colmare il vuoto che sentiva nel petto e che andava, pian piano, a trasformarsi in una voragine. Sua madre le accarezzò con dolcezza i capelli biondi e lei chiuse appena gli occhi, lasciandosi scappare un altro singhiozzo, quando li riaprì incrociò per un attimo quelli di un ragazzo vestito di nero che la osservava da lontano.
Trattenne il fiato e batté le palpebre più volte, sicura di aver visto male: non era stata la sua bellezza mozzafiato a colpirla ma gli occhi ridenti ed il ghigno felice che aveva stampato sul volto. Dapprima le si annebbiarono gli occhi di lacrime poi scosse la testa, decisa a lasciar perdere, colse una rosa tra quelle che sarebbero state lasciati là a marcire e la annusò. Lasciando che quel dolce aroma le pervadesse le narici e cancellasse tutto il resto.
Parecchio tempo dopo, o forse solo qualche istante, iniziarono ad avviarsi verso l’uscita, Aurora aveva un’andatura lenta e camminava con un braccio intorno alle spalle di Blanca, sua sorella minore. Avevano quasi raggiunto il grande cancello quando Aurora scorse nuovamente il ragazzo vestito di nero: era appoggiato ad una statua, la guardava e si faceva beffe di lei. Subito rischiò di scoppiare a piangere di nuovo, poi si accigliò, tirò su con il naso, sospirò, sbuffò ed, infine, strinse con forza i pugni.
-Vai da mamma, Blanca- disse posando un bacio tra i capelli della sorellina.
Si diresse a grandi passi verso il ragazzo e lo guardò dritto negli occhi: -Ciao- esordì con cipiglio sicuro. Fece per aprire la bocca ma, non appena incrociò lo sguardo del giovane, si bloccò e tutta la rabbia con cui era andata fino a lì scomparve: cosa credeva di fare? Non poteva prendersela con chiunque solo perché era arrabbiata con il mondo.
-Ciao- rispose lui, sempre più divertito –Volevi dirmi qualcosa?-
-Io…- Aurora abbassò gli occhi, confusa e, tutto ad un tratto, la rabbia di poco prima tornò a pulsarle nelle vene.
-Sì- disse quindi alzando lo sguardo –Mi piacerebbe sapere cos’è che trovi così divertente-
Apeiron rimase senza parole per qualche attimo di troppo e Aurora continuò, imperterrita: -Nessuno dovrebbe ridere del dolore altrui-
-Io invece lo trovo molto divertente- rispose il ragazzo scrollando le spalle e stringendosi nella giacca di pelle.
-Sai cosa trovo divertente io?- domandò Aurora, con gli occhi pieni di lacrime di chi non riderebbe per nulla al mondo –Il fatto che tu sia un completo idiota-
-Sei così dolce, fiorellino- rispose lui scrollando le spalle.
Aurora serrò gli occhi e strinse i pugni, conficcandosi le unghie nel palmo della mano per impedirsi di scoppiare a piangere. Sapeva, in cuor suo, che il ragazzo alludeva a quando, poco prima, aveva annusato la rosa ed era rimasta per parecchi –troppi- istanti sospesa tra sogno e realtà; il fatto che lui la stesse deridendo così apertamente le fece perdere le staffe.
-Tu non sai assolutamente niente di me. E ti dovresti vergognare, perché sei davvero una persona meschina- disse avvicinandosi a lui così tanto che il suo indice teso gli punzecchiò la maglietta.
-Nessuno mi aveva mai insultato così tanto in meno di una manciata di secondi di conoscenza, se può definirsi tale, credo che tu detenga il primato, fiorellino- sussurrò senza smettere di ghignare.
Aurora era su tutte le furie: la voragine sul suo petto aveva deciso di trovare la propria valvola di sfogo in quel ragazzo troppo bello, forse non era veramente arrabbiata con lui, sentiva solo una gran voglia di piangere, vomitare e gridare fino a star male.
-Si può sapere cosa ci trovi così divertente nel dolore?- gli chiese infine, riuscendo a calmarsi e abbassando il tono di voce. Apeiron parve sorpreso da quell’improvviso cambio di tattica e, insieme, ancor più divertito: -La morte non è niente. Io sono sempre io e tu sei sempre tu-
-Come può la morte non essere niente se riesce  a toglierti tutto?- rispose Aurora con un filo di voce.
Subito dopo averlo detto si accorse di quanto suonasse sbagliato ed infinitamente sciocco.
-Ora va, fiorellino, ti stanno aspettando- le disse con una strizzata d’occhi, poi le diede un rapido colpetto sulla spalla e la salutò con la mano.
Aurora gli lanciò un’ultima occhiata stranita, fece per dire ancora qualcosa, un altro insulto forse, ma alla fine richiuse la bocca e gli voltò le spalle, scuotendo la testa e rimanendo sola nel proprio dolore.
Apeiron non aveva mai incontrato un’umana così forte: l’aveva notata da subito in mezzo a tutte quelle macchie nere, un unico puntino bianco scosso dalle lacrime. Non si sarebbe mai aspettato che lei lo notasse o che osasse avvicinarsi a lui, eppure l’aveva fatto. Quello scricciolo l’aveva sorpreso più di quanto avesse fatto chiunque altro. Apeiron era andato lì per rallegrarsi la giornata: i funerali l’avevano sempre divertito moltissimo, almeno tanto quanto gli ospedali. Eppure ora si sentiva strano, era come se il suo cuore si fosse punto con una delle spine di quell’insulsa rosa.
Odiava le rose almeno tanto quanto non soffriva gli umani.
Qualche settimana dopo, in un giorno piuttosto grigio, fu infastidito nuovamente da quei stupidi e fragili fiori: un ragazzo di colore con un mazzo di rose gli andò addosso mentre cercava un posto libero nel treno affollato.
-Scusa, capo!- esclamò il giovane e, cogliendo la palla al balzo, fece per offrirgli qualcosa. Apeiron non gliene diede il tempo, lo guardò negli occhi con sguardo duro e quelli si volatilizzò in men che non si dica.
Il giovane demone sbuffò: era proprio annoiato e, come se non bastasse, non aveva ancora reso nessuno infelice quel giorno. Le sue vittime erano salite a quota uno se si poteva contare quello stupido venditore di rose, inoltre Hybris continuava a stressarlo con quella proposta dell’università di giurisprudenza, come se avesse voglia di abbassarsi all’ascoltare qualche insegnante patetico! Sbuffò e scosse la testa più volte, poi vide una ragazza dal volto noto pochi sedili più avanti e, senza pensarci due volte, si sedette al suo fianco.
-E’ occupato- disse semplicemente lei senza alzare gli occhi dal libro che stava leggendo.
-Non c’è nessuno, quindi è libero-
-Sto tenendo il posto ad una mia amica-
-Mi dispiace, ma il mondo non è un posto giusto- disse semplicemente Apeiron, poi scosse le spalle ed appoggiò i piedi sul sedile di fronte.
Aurora si limitò a sbuffare ancora, senza lanciargli il minimo sguardo, continuò invece a leggere con interesse. Poco dopo tre ragazze arrivarono ridacchiando e lanciarono un’occhiata indispettita ad Apeiron che rispose con un breve saluto militare.
-E’ un tuo amico?- domandò una di quelle ad Aurora.
-No- rispose Apeiron prima che lei potesse farlo –Il posto era libero e mi sono seduto-
Parve indeciso per qualche secondo poi ritirò i piedi dal sedile di fronte e fece loro un cenno col capo. Le tre ragazze si scambiarono una rapida occhiata ma non dissero nulla, si sedettero nei due sedili liberi stringendosi e pestandosi i piedi, Aurora chiuse finalmente il libro e, non appena vide il proprio compagno di viaggio, rimase allibita.
-Chi non muore si rivede- disse Apeiron in un piccolo sbuffo ironico, riconoscendola solo in quel momento.
Aurora strinse gli occhi in due sottili fessure ma non poté fare a meno di lasciarsi scappare un sorrisino divertito. Apeiron contemplò quel piccolo momento di silenzio in attesa, poi parve accorgersi di ciò che aveva appena detto ed impallidì: -Non era quello che intendevo-
Aurora alzò un sopracciglio.
-Cioè, era un modo di dire, non…- cercò di scusarsi, infine fece un rapido gesto con la mano: –Lasciamo perdere-
-Quindi vi conoscete?- si intromise una delle amiche di Aurora.
-Non proprio, Stefy- rispose la ragazza scrollando le spalle.
-Te l’hanno mai detto che gli impiccioni sono irritanti?- domandò Apeiron stiracchiandosi e acciambellandosi sul proprio sedile.
-Non sei simpatico- lo rimproverò Aurora.
-Non intendevo esserlo- rispose prontamente lui facendo spallucce.
Aurora lo trovò profondamente irritante eppure, anche questa volta, non poté impedirsi di scoppiare a ridere. Apeiron rimase spiazzato per qualche istante: perché qualsiasi cosa dicesse per ferirla aveva come unico effetto l’esatto contrario?
-Cosa ci trovi di tanto divertente?-
-Sei buffo- rispose infine lei facendo spallucce.
Apeiron contrasse la mascella e sentì un gelido brivido insinuarsi nelle ossa: buffo. Gli avevano detto molte cose in più di mille anni di esistenza ma nessuno aveva mai osato catalogarlo come “buffo”. Uno stupido orsetto di peluche poteva essere buffo, un idiota travestito da gallina per uno spot pubblicitario era buffo, un cane vestito da Babbo Natale era buffo, non di certo lui. Improvvisamente desiderò con tutto sé stesso farle del male.
La guardò negli occhi, lasciando che lei ricambiasse lo sguardo con due fragili pupille  azzurre screziate di arancione, proprio come l’alba. Si diede qualche attimo per indugiare, giusto il tempo per decidere quale dolore affliggerle, quale emozione devastante suscitarle, quale punizione affibbiarle, eppure quell’attimo bastò. Si ritrovò a distogliere lo sguardo, imbarazzato, da quei due occhi che l’avevano completamente rapito e gli avevano provocato uno strano capogiro mai avvertito prima. Se ne andò senza neanche salutare, scese due fermate prima rispetto alla sua ma non se ne curò. Aurora rimase piuttosto basita da quell’improvviso cambio di scena, aprì e chiuse la bocca un paio di volte prima di riuscire a riprendersi.
-Credo che abbia dimenticato un portachiavi- disse Sofia rigirandosi tra le mani uno strano peperoncino rosso fuoco.
-Puoi darlo a me- disse Aurora tenendo la mano verso l’amica.
-Dove l’hai conosciuto quel pezzo di figo?!- esclamò Giulia prendendo posto al suo fianco.
-Al funerale di mia nonna…- rispose con un filo di voce e lo sguardo perso nel vuoto.
-Ha due occhi che sono… E dei capelli così morbidi! Una voce così bella… Un sorriso mozzafiato… Ha quell’aria da bel tenebroso e poi, lui è…- iniziò a dire Sofia, come se avesse trattenuto il fiato fino a quel momento.
“E’ irritante” avrebbe voluto dire Aurora, ma non fu quello che articolò la sua lingua, no, lei disse: -E’ stupendo-
Sofia e Giulia annuirono mentre Stefania le si avvicinò e, ad un palmo di naso, le domando: -Ti piace?-
Aurora si ritrovò con uno stupido sorriso sulle labbra ad annuire meccanicamente. E, non appena l’ebbe fatto, scoprì quanto fosse vero. Non aveva avuto importanza il fatto che lui si fosse fatto beffe di lei o che fosse stato così maleducato, con una semplice frase aveva potuto più di mille fazzoletti, era riuscito a consolarla e a rinfrancarla seppur per un solo attimo ed ora non poteva far a meno di pensare a quei due ridenti occhi nocciola.
 
“Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare;
parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.
Non cambiare tono di voce, non assumere un’aria solenne o triste”
 
Quegli stessi occhi nocciola si spalancano di colpo nel buio di un appartamento ed il demone a cui appartengono si deterge il sudore dalla fronte, aggrappandosi forte alle coperte e scuotendo violentemente la testa: non ha mai avuto incubi, da che ricordi, perché mai dovrebbe averli proprio adesso?
Socchiude appena gli occhi e non può fare a meno di pensare a lei, il suo sorriso pare illuminare la sua mente mentre la sua assenza sembra restringere la stanza. Sente un immediato bisogno di lei e deve conficcarsi le unghie nel palmo della mano per non correre a trovarla.
Improvvisamente decide: lo farà la notte seguente.
Non gli importa di sembrare egoista, lei sarà sua e nessun altro potrà mai averla. D’altronde non è forse questo, lui, un demone? Ed è nella sua natura essere egoista. E non è forse questo, l’amore? Puro e semplice egoismo? No. Glielo ha insegnato lei: l’amore è altruismo. E, per la prima volta nella propria eternità, Apeiron è stato altruista. Ma ora vuole solo essere egocentrico ed approfittatore e sa di doverlo fare.
Sa anche che ormai non riuscirà a dormire un secondo di più: si alza ed inizia i preparativi per il rituale.
 
“Continua a ridere di quello che ci faceva ridere,
di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quand’eravamo insieme.”
 
-Cosa ci fa lui, qui?- domandò Aurora a bocca aperta.
Apeiron per un momento si dette dell’idiota: che cosa gli era saltato in mente? Poi vide che sorrideva e si calmò: “Sei qui solo perché ti stavi annoiando, la farai soffrire e te ne andrai” cercò di ripetersi mentalmente. Il problema non era tanto il fatto che non fosse vero quanto che nemmeno lui riuscisse a crederci. Non dormiva da due settimane, il che non era poi così anormale per un giovane demone, ma se si aggiungevano la mancanza di fame e, soprattutto, l’assenza di appetito di dolci e  giovani vittime si aveva un quadro assai preoccupante.
-Ha detto che ti cercava, Aurora, qualcosa non va?- domandò sua madre aggrottando le sopracciglia.
-No, certo che no- rispose piano la ragazza.
Aurora fece strada ad Apeiron in salotto, borbottando qualcosa sul fatto che sua madre non gradiva che lei portasse i ragazzi in camera. Il demone annusò la bugia ma non commentò.
-Allora, cosa ci fai qui?-
-Buffo!- esclamò Apeiron grattandosi la nuca.
-Cosa c’è di buffo, questa volta?- domandò Aurora alzando gli occhi al cielo.
-Uno fa ricerche e ricerche su internet, inganna qualcuno, ricatta qualcun altro, corre come un dannato, cammina per quasi un chilometro, rischia di farsi investire da un tir, si perde e per poco non viene derubato! Fa tutto questo per una ragazza dal caschetto insolitamente squadrato e lei non gli rivolge nemmeno un grazie!-
-Caschetto insolitamente squadrato?-
-Ed orribilmente e fastidiosamente biondissimo- ammise Apeiron annuendo vigorosamente.
-Quello che hai detto è tutto vero?-
-Tutto-
Aurora alzò le sopracciglia, scrutandolo attenta e perplessa.
-Beh, tutto apparte il tir, era un bambino con il triciclo-
Aurora alzò ancora le sopracciglia, questa volta così tanto da farle quasi coincidere con l’attaccatura dei capelli.
-E va bene: non mi sono nemmeno perso e non sono stato derubato. Ma è il pensiero che conta, no?-
Aurora scoppiò a ridere fragorosamente. Solitamente i ragazzi di quel calibro la irritavano invece lui non faceva altro che farla ridere.
-Aurora- disse porgendogli la mano.
-Apeiron- rispose il demone stringendogliela.
-Sei straniero?-
-Americano-
Gli italiani erano così scontati: amavano l’America e, al minimo cenno di essa, manifestavano un innato entusiasmo; erano anche piuttosto ignoranti, perciò si poteva affibbiare loro qualsiasi tipo di scusa. Sorprendentemente Aurora fece una smorfia.
-Sono quasi sicura che tu stia mentendo- disse Aurora scuotendo la testa –Il tuo nome, in greco, vuol dire “ciò che non ha confini”-
Per un lunghissimo ed interminabile momento ad Apeiron si gelò il sangue nei polsi ed il cuore gli salì in gola, la sua mente trotterellò veloce ed arrivò all’affrettata conclusione che anche lei fosse un’Ultraterrena e che l’avesse preso in giro per tutto quel tempo. Prima che lei si spiegasse trovò anche il tempo di sperare con tutto sé stesso che fosse un demone perché, in caso contrario… Rabbrividì e decise che fosse meglio non pensarci.
-Ho studiato greco ed anche filosofia a scuola- disse Aurora scrollando le spalle.
-Beh mia madre era greca e mio padre americano-
Mentre pronunciava quelle parole un peso si faceva strada nel suo cuore e si posizionava comodo in prima fila, picchiettando come un martello pneumatico la sua coscienza. Il rimorso per una piccola bugia era l’ennesimo segno che c’era qualcosa che non andava e che quella ragazza non era affatto terapeutica per lui. Alzò lo sguardo ed incrociò i suoi occhi azzurri, il suo cuore fece qualche capriola prima di tornare al proprio posto e, prima che potesse accorgersene, aveva sollevato la mano e le aveva messo una ciocca di capelli dietro l’orecchio, con delicatezza.
Per un momento fu attraversato dall’immagine di Hybris e della sua reazione se fosse stato con lui in quel momento ma la scacciò subito dopo.
-Ti va di andare al cinema uno di questi giorni?-
-Certo, cosa vuoi vedere?- disse Aurora piacevolmente sorpresa. Apeiron si accorse di averglielo veramente chiesto solo quando lei rispose ed allora fu troppo tardi per potersi ritirare ma, anche se ancora non lo sapeva, ormai era troppo tardi per qualsiasi altra cosa.
Appena una settimana dopo andarono al cinema, incontrandosi lì davanti, optarono per un film d’azione e prendendo due grandi confezioni di pop-corn, Apeiron non si offrì di pagare e lei non glielo fece pesare. Una volta in sala le luci si spensero ed il protagonista si buttò giù da un aereo, decollando su New York. Aurora gli si fece più vicina possibile e, senza alcun preavviso, si lasciò scivolare sulla sua spalla, abbandonandosi al profumo maschile che sentiva nell’aria. Apeiron si irrigidì mentre il cuore iniziava a battergli veloce. In pochi secondi gli vennero in mente mille ed uno motivi per spingerla via eppure li scartò tutti con pazienza, uno ad uno. Lì, al buio, con un sottofondo di spari ed inseguimenti, niente sembrava poi così terribile.
Qualche giorno prima ne aveva parlato con Hybris ed il vecchio aveva sorriso, felice che il suo allievo si comportasse finalmente come un demone della sua età; Apeiron non aveva saputo interpretare quella smorfia enigmatica e non aveva voluto indagare oltre. Sentì che Aurora osava ancora, posando una mano sulla sua ed Apeiron seguì l’istinto: la strinse, avvolgendola nella propria e  facendola quasi sparire in essa, poi si rilassò, volse il capo di lato e le posò un bacio tra i capelli. Non seguì alcun copione e fece tutto imbarazzato ed impacciato eppure si sentì come in uno di quei film da quattro soldi: straordinariamente felice. La vide sorridere con la coda dell’occhio e si rasserenò a sua volta.
-Il tuo sorriso è la mia pace- sussurrò nell’oscurità, consapevole del fatto che lei lo aveva sentito.
 
“Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri o dalla tua mente solo perché sono fuori dalla tua vista?
Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo”
 
Apeiron chiude gli occhi e si lascia andare ad un gran sospiro: è stata l’idea peggiore che lui abbia mai avuto eppure non può farci nulla. Questione di attimi e lei arriverà con addosso il suo vestito bianco dalle molteplici tasche o quello azzurro scollato o magari quello rosa chiaro con una rosa all’altezza del seno. Si lascia andare ad un altro lunghissimo respiro, sorpreso di essersi finalmente innamorato.
Il suo corpo vibra, scosso da uno strano tormento interiore. Se un umano ha una forza incredibile quando è animato dalle emozioni, un demone è scosso da una vera e propria forza della natura: sa che, con un solo schiocco delle dita potrebbe far tremare il palazzo, suscitare un uragano in Giappone o provocare un eclissi lunare prematura. Felicità, angoscia, ansia, risentimento e sollievo animano il suo cuore, travolgendolo e straziandolo. Le sue mani fremono, sfregandosi tra loro e giocherellando con le dita l’una dell’altra, le gambe si stropicciano e si dispiegano facendo avanti e indietro nell’appartamento, la bocca emette dei suoni indistinti a metà tra sbuffi e gemiti ed il petto si alza e si abbassa troppo veloce in un ritmo sconnesso e irregolare. Il sangue gli scorre nelle vene ora gelido ora bollente, i sospiri vengono fuori come nuvolette o come fumo denso e la gente, per strada, passando sotto la sua finestra, ha un sospiro di dolore o di sollievo a seconda della prevalenza dell’emozione in questione.
Finalmente si blocca, sentendo un rumore su per le scale, tende le orecchie ed ogni muscolo del proprio corpo ma i passi si allontanano velocemente, salendo sul terrazzo. Quindi ricomincia tutto da capo: l’angoscia, il timore, il rimorso prendono di nuovo possesso del suo corpo. Poi, improvvisamente, un quieto bussare alla porta ed il suo corpo scatta verso di essa.
Appoggia una mano sulla maniglia e tira un ultimo, angoscioso, sospiro di sollievo: non ha mai provato così tanta pena prima di un omicidio.
“Rassicurati, va tutto bene”
 
Aurora aveva sempre odiato le bugie ed aveva avuto, da sempre, un innato sesto senso nello scovarle. Per questo sentiva che il suo ragazzo le stava nascondendo qualcosa, lo avvertiva da come si rivolgeva a lei, da come distoglieva lo sguardo se trattavano di un dato argomento e da come biascicava parole confuse quando si parlava del suo compleanno, dei suoi parenti o semplicemente del suo passato.
La prima volta in cui le sue paure furono veramente confermate fu quando le presentò un vecchio di nome Hybris, un lontano zio a detta di Apeiron, ma Aurora conosceva il greco ed era inquietata dal nome di quell’uomo. Quando ne parlarono lui minimizzò la cosa e finirono con il discutere sui segreti che c’erano tra loro, infine si ripromisero di non tornare più sull’argomento ma, circa un anno dopo, Aurora trovò un braccialetto di Apeiron nella tasca del giubbotto che le aveva imprestato, sulla superficie argentata vi era impressa un’unica splendente parola: Daìmonas , demone in greco. Aurora deglutì, socchiuse gli occhi e seppellì l’informazione in un angolo recondito della mente.
Quel ricordo tornò a fare capolino solo diversi mesi dopo: erano a casa di Apeiron e sostavano abbracciati sul terrazzo, sdraiati sotto le stelle.
Faceva caldo, era luglio inoltrato e le loro mani giacevano sudate ed allacciate nel poco spazio che c’era tra loro. La mano di Apeiron seguì il profilo di Aurora stringendola con forza a sé e accarezzandola con dolcezza, Aurora si sospinse verso di lui, facendo aderire il bacino al suo. Apeiron la prese per i fianchi e la portò sopra di sé, poi infilò i pollici nel bordo della gonna e le lecco le labbra, lentamente.
-Ti amo- le sussurrò a fior di labbra.
Il cuore di Aurora perse qualche battito prima di riuscire nuovamente a pompare sangue.
-Ti amo- rispose poi sorridendo.
Apeiron la strinse ancora più forte a sé e riprese a baciarla, ben presto capovolse la situazione, reggendosi sui gomiti per non schiacciarla con il proprio peso: era così fragile. Iniziò a baciarle la guancia, il lobo, poi il collo, la clavicola, sempre più giù. Aurora ansimava e, quando lui le accarezzò con forza un seno gemette. Apeiron, nell’udire quel suono, non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire un sorrisetto compiaciuto. La ragazza, avvertendo che qualcosa spingeva contro la sua gamba aprì gli occhi, sorpresa ed incrociò quelli di Apeiron: rilucevano al buio come quelli dei gatti ed erano rosso fuoco.
Il demone rotolò di lato, finendo al suo fianco, socchiudendo per un attimo gli occhi e riaprendoli subito dopo: -E’ una malformazione genetica- si affrettò a spiegare, balbettando –Mi succede ogni tanto-
Aurora annuì e sorrise ma fu di poche parole quella sera, lo furono entrambi. Lei non glielo avrebbe mai detto ma aveva capito già da tempo che cosa fosse e quanto potesse essere pericoloso per lei stargli accanto. Apeiron, dal canto proprio, era divorato da profondi dubbi e rimorsi. Era sicuro di amarla nonostante un demone non potesse amare e provava un dolore dilaniante a tacerle la sua vera natura ma Hybris gli aveva spiegato l’unica alternativa possibile  e lui non era pronto ad accettarla.
Questo fino ad una rovinosa e cupa giornata di settembre in cui il loro mondo andò in mille pezzi.
Stavano passeggiando in un parco in cui erano soliti andare. Le loro mani erano allacciate all’interno della tasca della felpa di Apeiron e Aurora stava raccontando la sua giornata da studentessa modello mentre rideva e riferiva aneddoti. Improvvisamente un ragazzo dall’aspetto alquanto bizzarro andò loro incontro: aveva lunghi capelli neri come il petrolio legati in una lunga coda, due profondi pozzi neri sotto le ciglia lunghe ed era vestito di nero dalla testa ai piedi. Aurora non poté fare a meno di rabbrividire non appena si fermò a salutare Apeiron.
-Quanto tempo che non ci si vede- gli disse con un ghigno tra le labbra, abbracciandolo calorosamente.
Apeiron si irrigidì e Aurora gli strinse ancora più la mano, deviando il suo tentativo di tirare la propria via dalla sua.
-Ciao- rispose apatico, emettendo un piccolo sospiro.
-E chi è questa bella fanciulla?- disse accarezzandole una guancia.
Aurora si ritrasse ma, mentre lo faceva, l’occhio le cadde sul polso del ragazzo: aveva un braccialetto con la scritta Daìmonas, lo stesso che aveva trovato nel giubbotto di Apeiron circa un anno prima. Il giovane notò il suo sguardo e seguì i suoi occhi fino ad incrociarli, Aurora si sentì avvampare dalla paura mentre scorgeva del rosso in fondo a quei due pozzi neri.
-Siamo di fretta, Aphysios, ci vediamo un’altra volta-
-Divertiti!- urlò loro dietro –E non sciuparlo troppo, è un così bel fiore-
Aurora non lo vide, perché Apeiron stava quasi correndo nel trascinarla via, ma seppe che il ragazzo aveva tra le labbra un ghigno bellissimo ed inquietante.
-Chi era? E perché non me l’hai presentato?-
-Non fa per te, è un cattivo ragazzo-
Aurora emise uno sbuffo ironico e si morse l’interno guancia, poi slacciò la mano dalla sua, incrociò le braccia e si lasciò scappare un pensiero furtivo: -Aveva il tuo stesso braccialetto-
Apeiron impallidì e barcollo.
-Come…?-
-Era nel tuo giubbotto. Apeiron io lo so, l’ho sempre saputo, credo, e non mi importa- sussurrò lei avvicinandosi a lui e cercando di abbracciarlo . Apeiron le prese le braccia e la bloccò, guardandola dritta negli occhi come aveva fatto un milione di volte eppure sentì che qualcosa dentro di lui si spezzava.
-A me importa, Aurora-
-Cosa intendi dire?- domandò lei spaesata.
-Non possiamo più stare insieme, avrei dovuto prendere questa decisione tempo fa-
Questa volta fu il turno di Aurora di impallidire.
-Non puoi dire sul serio, Apeiron. Ti ho detto che non m’importa!-
-Ma a me sì! Non voglio più vederti- lo disse in tono freddo e distaccato imponendosi di non lasciar trapelare i propri sentimenti. Aurora lo guardò, ferita, poi gli si avvicinò decisa e lo abbracciò, Apeiron la scostò da sé e la guardò negli occhi, bastò appena qualche attimo e lei gridò, sopraffatta da una paura pura e profonda. Durò qualche secondo ma fu sufficiente: quando si riprese dall’attacco di panico lui era già scappato. Lontano da lei, per sempre.
“Ritroverai il mio cuore,
ne ritroverai la tenerezza purificata”
 
Apeiron apre la porta:  il cuore sembra scoppiargli nel petto, pare impossibile che cotante emozioni siano contenute in un corpo umano. Sente il suo odore ed il profumo della sua anima ancor prima di vederla, probabilmente quell’aroma di miele e rose e la cosa che più gli è mancata. Lei gli sorride, piegando leggermente il lato sinistro della bocca più del destro, gli occhi sono quelli di sempre, forse solo un po’ più tristi.
Non la saluta nemmeno, non le rivolge la minima parola, la prende tra le braccia, la solleva da terra, la fa girare e la stringe forte a sé, poi si ferma, la guarda negli occhi e si lecca le labbra.
Aurora è andata lì con delle intenzioni ben precise, intenzioni che si è ripetuta per tutto il tragitto: non cederà al suo fascino, gli parlerà, lo ascolterà, lascerà che si faccia perdonare e poi, forse, gli concederà un  abbraccio. Ma ora è tra le sue braccia, sente il calore del suo corpo avvolgerla e tentarla con insistenza. La sua bellezza mozzafiato la colpisce come altre innumerevoli volte : osserva la mascella squadrata, i profondi occhi nocciola, i capelli disordinati, il naso dritto, le fossette ai lati della bocca, le spalle larghe e le braccia muscolose, il corpo sinuoso, il sorriso sghembo, il giubbotto di pelle, i jeans neri e la maglietta attillata. Tutto in lui la tenta e la stordisce. La sua bellezza è così pura da sembrare quasi finta.
Non riesce a resistere per più di una manciata di secondi: accantona lo stordimento, il dolore, il ricordo degli ultimi mesi, le notti perse a piangere, i giorni incentrati sul dimenticarlo, i sorrisi finti, i piatti pieni lasciati intatti, la rabbia, il rancore e qualsiasi altro sentimento. Semplicemente cede, lasciandosi andare ed assecondando ogni proprio desiderio.
Apeiron risponde al bacio pensando, non senza una certa dose di sollievo ed apprensione, che tutto sta andando esattamente secondo i suoi piani. La trasporta al centro della stanza nel quale è disegnato il piccolo segno dell’infinito che ha pitturato quella notte con polvere di frassino, le accarezza il fondoschiena mentre fa scivolare il coltello d’argento fuori dalla manica della felpa. Le stringe forte il braccio, trasmettendole sollievo e serenità. Prende un ultimo sospiro godendosi ancora un po’ i suoi baci bollenti infine con un rapido movimento del polso la colpisce dritta al cuore.
Continua a stringerla forte tra le braccia, in modo da assopire ogni dolore ed intanto le sussurra una breve frase all’orecchio: -Rassicurati, va tutto bene-
Gli occhi di Aurora si spalancano mentre comprende ciò che le sta dicendo con la poesia che è sempre stata il sottofondo del loro amore a causa del loro primo incontro. Si stringe ancora a lui, non riesce ad odiarlo nemmeno ora, poi chiude gli occhi.
Per sempre.
“Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami:
il tuo sorriso è la mia pace
 
Aurora sente bianco. Normalmente le sarebbe  parso strano. Il bianco non è forse un colore? Eppure in questo momento è sicura di sentire bianco.
Tutta la vita le passa davanti, ogni singolo secondo. Rivive tutti i suoi diciannove anni di vita in quella che sembra un’eternità, dalle prime pappe a quando ha salutato sua madre avvisandola del suo appuntamento con Apeiron. Infine solo il bianco.
Bianco ovunque.
Pian piano il bianco inizia a concentrarsi in alcuni punti del corpo: il cuore, una vena all’altezza del collo e le scapole. Quando apre gli occhi si accorge di averli e quando sospira, rilasciando l’aria si rende conto di poter respirare nonostante non le sia necessario. Si passa una mano sugli occhi, prendendo coscienza del proprio corpo. Si guarda intorno consapevole di essere al proprio funerale, osserva dall’alto sua madre piangere, i suoi amici consolarsi tra loro ed Apeiron in un angolo, con una rosa nera tra le mani. Sembra nervoso e continua a guardarsi attorno, come se stesse aspettando qualcuno.
Aurora prova ad urlare, ad abbracciare sua madre ed a darle piccoli pizzicotti sul braccio ma nessuno sembra udirla né sentirla. Bacia suo padre, sventola una mano di fronte al viso di sua sorella, piange, grida, singhiozza, tenta invano di afferrare un fiore da terra: nulla.
Quando la gente inizia a scemare e rimangono solo i parenti più stretti si rende conto che Apeiron, in un angolo, con lo sguardo perso nel vuoto, sta aspettando proprio lei. Plana al suo fianco, accorgendosi di avere due splendide ali sulla schiena.
Si ferma un attimo a contemplarle: nessuna musica, nessuna poesia e nessun dipinto l’hanno mai preparata a questo, nessuna parola umana potrebbe mai descrivere cotanta bellezza, è come se un pezzo di cielo ed uno di bianco si fossero fusi ed avessero formato le due protuberanze all’altezza delle sue scapole.
Sfiora la spalla di Apeiron e lui si volta verso di lei con un sorriso sulle labbra ma, non appena la vede, questo si trasforma in ghiaccio e il suo pomo d’Adamo scivola su e giù, come impazzito: -Oh merda- mormora.
-Davvero?- gli fa eco Aurora mettendo le mani sui fianchi e sollevandosi da terra senza volerlo.
-Io non volevo…-
-Tu non volevi cosa, idiota?! Mi hai uccisa ed adesso osi anche scusarti?!-
-Pensavo che saresti diventata un demone… d’altronde ti sei messa con me, la tua anima si sarebbe dovuta macchiare di hybris-
-Di solito non si augura alla propria ragazza ogni male-
-Tu non sei la mia ragazza, Aurora, sei un angelo ed io sono un demone. Ancora peggio che tra umano e demone- dice gesticolando e  perdendo il controllo.
-Tu cosa?!-
Apeiron si copre le orecchie con le mani, ora la voce della giovane può raggiungere acuti mai toccati da un umano e per un orecchio mortale non è una cosa piacevole. Aurora se ne rende conto ma continua comunque ad urlare: -Mi hai uccisa, sottospecie di demone dei miei stivali! Ora hai qualche responsabilità su di me, perciò staremo insieme per l’eternità, che ti piaccia o meno!-
Apeiron sospira e scuote la testa: -Pensavo che, come demone, non ti sarebbe importato di aver lasciato la vita ma, come angelo, credo che tu sia molto arrabbiata con me-
-Non ci riesco- ammette Aurora abbassando la voce e la testa –Vorrei esserlo, così come volevo farlo quando mi hai lasciata ma ti amo troppo per farlo-
Per un attimo nessuno dei due sa che cosa dire. Aurora non riesce ancora a capacitarsi di ciò che è successo ed il suo cuore di una bontà infinita si sgretola nel pensare a tutte le persone che ha lasciato eppure, d’altra parte, non può fare a meno di amare Apeiron con tutta sé stessa. Il ragazzo, dal canto proprio, sta cercando di non cedere posto al panico: che cosa ha sbagliato? L’ha uccisa ed ha prestato fede ad ogni passaggio del rituale, senza tralasciarne neanche un sospiro, eppure ora lei è un angelo. Più bella ed irraggiungibile che mai.
-Allora ci ameremo, come Romeo e Giulietta?- domanda infine Apeiron passandole un braccio intorno alle spalle.
-No, ci ameremo come Aurora ed Apeiron, un angelo ed un demone-
Apeiron la bacia, accarezzandole le ali. Non presta attenzione al fatto che le sue mani emettono uno strano fumo nero al contatto con tutto quel bianco, non vuole pensare a ciò che dirà Hybris, non osa immaginare ciò che sta pensando Dio in quel momento, non riesce nemmeno a capacitarsi di come il Signore degli inferi possa reagire ad una notizia simile. Stringe semplicemente Aurora tra le braccia.
-Il tuo sorriso è la mia pace- sussurra Aurora appoggiando la fronte alla sua.
-Il tuo sorriso è la mia pace- ripete Apeiron socchiudendo appena gli occhi.
Restano appoggiati per un tempo che sembra infinito. Ma che cos’è l’infinito in confronto all’eternità? Aprono gli occhi nello stesso istante. Occhi nocciola in occhi azzurri screziati d’arancione. Occhi bianchi in occhi rossi.
Bianco e nero.
Luce e buio.
Bene e male.
Angelo e demone.
Insieme, per sempre.
Perché, in fondo, la morte non è niente.
  
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