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Autore: Barbara Baumgarten    14/11/2015    1 recensioni
In un universo Cyberpunk, Ruby lotta per sopravvivere. L'umanità è stata costretta a vivere nei Quartieri: zone isolate sparse nel sottosuolo della Terra. La criminalità organizzata è gestita da Fobetore, capo del Quartiere 1, e si svolge per lo più in Icelus, una realtà virtuale. Ma un giorno, quella vita sempre uguale, verrà stravolta e Ruby si troverà a dover fare i conti con se stessa.
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Giunti nel quartiere 89, la visione che Ruby ne ebbe, le fece accapponare la pelle. Tutto era fatiscente: i palazzi, le strade e le persone. La luce proveniva da sparuti lampioni, la maggior parte dei quali non funzionante. Il silenzio era interrotto dal passaggio di sprinter che sfrecciavano a grande velocità e spesso dovette ricorrere ai suoi riflessi per evitare di essere investita. Si sentiva fuori luogo. Tutto in lei le diceva di non attirare l’attenzione, più del necessario. Era il suo istinto di sopravvivenza, ciò che le aveva permesso di cavarsela in molte situazioni. Così, prese la sua lunga treccia a spiga di grano e la mise dentro la maglia, sollevando, poi il cappuccio della felpa. Non voleva che si ricordassero della ragazza dai capelli rosa e in quello squallido quartiere monocromatico, il colore dei suoi capelli spiccava come una mosca bianca. Abbassò lo sguardo giusto in tempo per evitare di calpestare un uomo in piena crisi d’astinenza da Moony: era sdraiato a terra, in preda alle convulsioni, che si rotolava fra i suoi propri umori. Uno spettacolo orrendo. Gayle lesse il disgusto sul suo viso.

“Non hai mai visto uno in crisi da Moony?” le chiese, stupito. Certo che li aveva visti! Tutti i quartieri hanno i propri drogati.

“Si, ne ho visti fin troppi” rispose quasi amaramente.

“Eppure, sembri scordartelo ogni volta che la spacci” il tono dell’uomo era decisamente accusatorio.

“Cosa vuoi che ti dica?” disse Ruby, alterata. “Che mi spiace per loro? Che mi pento delle mie azioni?” c’era astio nel tono della sua voce. “Beh, non me ne frega un cazzo. Se non sei sufficientemente forte da sopravvivere nel quartiere, allora ti offro una valida alternativa: la Moony”

Lui non la guardò in faccia, ma lei poté intuire i suoi pensieri.

“Non mi pongo questioni morali, Gayle. La suddivisione delle azioni umane fra buone e cattive le lascio alla gente come te. Per quanto mi riguarda” disse infine, facendo spallucce “sopravvivo”

“Le persone come me?” chiese l’uomo.

“Si, Gayle. Quelle che sono cresciute nella bambagia, permettendosi di poter giudicare gli altri. Quelle che sono sempre state troppo impegnate a guardarsi intorno piuttosto che alle spalle”

Questa volta, aveva fatto centro. Lui si fermò e la guardò dritta negli occhi. Ruby riuscì a vedere rabbia nelle iridi grigie dell’uomo.

“Tu credi davvero che questa possa essere un alibi per ciò che fai? La bambina orfana, cresciuta per le strade del quartiere, incapace di rispettare anche solo una regola?” era arrabbiato e Ruby si chiese se non la stesse prendendo troppo sul personale.

“Sei sempre stata una giovane in gamba, Ruby” continuò “Eppure, sei riuscita a prendere, sempre, le decisioni sbagliate”

“Che cazzo ne sai, tu?” ora era lei ad essere infuriata. Chi era quell’uomo incappucciato che tanto sapeva della sua vita?

“Ne so a sufficienza per dirti che non è mai troppo tardi per tornare indietro. Puoi ancora essere una brava ragazza, se solo lo desiderassi” Lei stava per ribattere quando lui, senza togliere lo sguardo dal suo, con la testa le indicò un portone.

“Siamo arrivati” disse. Ruby inspirò profondamene, trattenendo la rabbia. Era sempre stato il suo problema: se perdeva il controllo, e lo perdeva regolarmente, poteva finire solo in modo violento. Fin da bambina le dicevano che aveva rabbia repressa, dovuta, probabilmente, all’abbandono da parte dei suoi genitori. Lei non se l’era mai bevuta la cazzata dell’incidente. Loro l’avevano lasciata sola. Punto. Così, iniziò a colmare le lacune linguistiche con la violenza. Più volte era stata rinchiusa nella Stanza delle Punizioni: un metro quadro di buio e tanfo. Ma la riabilitazione non funzionò gran che o, almeno, non nel modo in cui le educatrici dell’orfanotrofio speravano. Lei diventò sempre più taciturna e le rare volte in cui interagiva, erano sempre con Nick o con i computer.

Gayle le fece strada dentro a quello che avrebbe dovuto essere il grande atrio del palazzo. Ma di grande aveva solo i buchi nelle pareti e i topi. Squittivano preoccupati mentre i due attraversavano la stanza a grandi falcate. Si fermarono in prossimità di una porta e Gayle bussò due volte, fece una pausa e diede un ultimo colpo al battente.

“Che tecnologia” lo canzonò la ragazza e lui sorrise.

“E’ il metodo migliore, perché nessun hacker può bypassarlo” disse, facendole l’occhiolino. Un uomo, vestito come Gayle, aprì la porta e salutò il Gran Maestro con un bacio sulle mani poi, accorgendosi della ragazza, fece un passo indietro e la squadrò.

“E’ lei?” domandò a Gayle.

“Si, io sono io” parlò Ruby, precedendo il Gran Maestro “E tu sei tu?” domandò avvicinandosi al volto dell’uomo incappucciato, in segno di sfida.

“Ruby” la voce di Gayle era calda ma decisa “Lascia stare” le disse e lei ubbidì.

 

Tutti e tre si diressero in un’altra stanza, dopo aver attraversato un lungo corridoio. L’arredamento era, se possibile, più bizzarro dell’abbigliamento dei suoi proprietari. Sembrava che tutto, lì dentro, fosse uscito da un libro di storia: la carta da parati -una cosa che non si vedeva nelle abitazioni da decenni prima della grande guerra- era floreale, sui toni caldi del rosso e del vermiglio, mentre la luce proveniva da applique in ottone. Ruby si ricordò di una volta nella quale aveva visto alcune fotografie che erano state scattate negli anni Quaranta del XX secolo e si chiese come avessero potuto trovare cose così antiquate nei quartieri.

Gayle la fece accomodare su una poltrona in velluto rosso, con grandi bottoni che ne fissavano la trama a rombi. Sembrava comoda a vista, ma non poté dire la stessa cosa una volta sedutasi sopra: i bottoni le premevano sui glutei in modo, decisamente, fastidioso facendola sobbalzare più volte, in cerca di una posizione comoda. L’altro uomo uscì dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle, così che rimasero, ancora una volta, da soli lei e Gayle.

Ruby attendeva delle risposte e l’uomo cercava le parole giuste per iniziare la conversazione.

“Gradisci qualcosa da bere?” chiese cordialmente Gayle, la ragazza fece cenno di no con la testa e l’uomo sorrise.

“Vorrei solo sapere chi sei e perché il mio covo è stato distrutto” disse freddamente Ruby. Era stanca, nervosa e non aveva la minima intenzione di perdersi in chiacchere inutili. L’uomo si prese qualche istante prima di parlare, misurando poi ogni parola.

“Bene, Ruby. Comincio col presentarmi: io sono Gayle, Gran Maestro dell’ordine Draeloran” disse e Ruby mostrò subito i primi segni di nervosismo.

“Questo me lo hai già detto, Gayle” lo rimproverò la ragazza.

“Hai ragione, perdona la mia cattiva memoria” si scusò l’uomo.

“Hai mai sentito parlare dell’ordine?” domandò Gayle e la ragazza scosse la testa.

“L’ordine Draeloran venne fondato nel XIII secolo da alcuni monaci che avevano doti particolari. L’intento era quello di creare un esercito che vegliasse sull’umanità e, soprattutto, sulle persone dotate: gli Uber. Erano anni oscuri, durante i quali molte persone vennero uccise solo per il semplice fatto di essere particolari, tuttavia l’ordine riuscì a salvaguardare molte linee di sangue” l’uomo si prese una pausa, per permettere a Ruby di capire le sue parole.

“Gli anni si susseguirono e divennero secoli. Accanto al mio ordine ne nacque un altro con scopo simile: Fobetore”. A quelle parole la ragazza ebbe un sussulto.

“Fobetore? Stai parlando dello stesso Fobetore di Icelus?” chiese, allarmata e incredula.

“Esatto, Ruby. Fobetore ha molti più anni di quelli che credi” disse sorridendo amareggiato.

“Gli Uber sono persone eccezionali, capaci di dominare le forze della natura, piegandole ai propri desideri. Se i Draeloran si posero lo scopo di proteggerli ed educarli, Fobetore volle controllarli per poi averli fra le sue file. Quando esplose il conflitto del quale la Terra porta oggi le più gravi ferite, gli Uber vennero ricercati con febbrile necessità da entrambi gli ordini. Molti di essi perirono, altri si dispersero. La ricerca delle linee di sangue divenne faticosa e sanguinaria; Fobetore riusciva a trovarli quasi sempre per primo e la proposta che faceva era sempre la medesima: con lui o contro di lui e puoi immaginare cosa significasse la seconda opzione. Così, mentre sulla superficie imperversava la guerra fra umani e Prototipi, nell’ombra si consumava una strage di Uber”

Ruby non riusciva a trovare un senso alle parole di quell’uomo, eppure sentiva dentro di sé che, ciò che stava ascoltando, era una storia reale. Tutti conoscevano la fine della Terra, la guerra con i Prototipi, il coinvolgimento della BioCave e l’inizio della colonizzazione del sottosuolo. In pochi, tuttavia, conoscevano la nascita di Fobetore.

“Okay” chiosò Ruby “Stando a ciò che mi stai raccontando, esistono delle persone con poteri che vengono contese fra i Draeloran e Fobetore. Io cosa centro?”

“Tu, Ruby, sei un Uber, discendente da una linea di sangue molto forte”

La ragazza avrebbe riso a crepapelle se non avesse saputo, in fondo al cuore, che quell’uomo aveva ragione. Lei sapeva alterare il tempo e lo spazio, ecco come riusciva a sfuggire ai Viper quando risaliva in superficie.

“Quindi ora mi proteggerai?” chiese, accorata. L’uomo sorrise.

“E’ più complicato, Ruby. Vedi, Fobetore ha tentacoli molto lunghi, è insano, profondamente sadico e ha poteri grandi. Per poterti proteggere, come tu mi stai chiedendo, devo prima liberarti da lui”. Le parole dell’uomo la colpirono come uno schiaffo. Essere liberata?

“Cosa intendi?” domandò allarmata la ragazza, irrigidendosi sulla poltrona. L’uomo cercò di essere gentile nel dire ciò doveva.

“Quando sei nata, tua madre ha deciso di lasciarti in orfanotrofio, credendo così di nasconderti ai due ordini. Inutile dirti che fu una scelta dolorosa e inutile. Fobetore fu il primo a trovarti, quando ancora non ti reggevi sulle gambe. Hai mai emicranie, Ruby?”

La ragazza ci pensò per meno di un secondo: soffriva di forti mal di testa da quando ne aveva memoria.

“Si” rispose laconicamente.

“Questi dolori non sono normali, Ruby. Partono dalla base del tuo collo e si irradiano all’intero cranio, dandoti l’impressione di perdere i sensi. In realtà, tu i sensi li perdi davvero. Hai un microchip impiantato sotto la pelle, con il quale Fobetore ti controlla e non solo. È capace di comandare il tuo corpo, la tua mente, di addestrarti e di inserire o togliere le informazione a proprio piacimento”

Ruby si toccò istintivamente la base del collo, senza trovare nulla di anomalo. Gayle vide il gesto e si accinse a spiegare.

“Non lo troverai, Ruby. È troppo piccolo”

“Ma io… non capisco quello che mi stai dicendo” Ruby era incredula. L’uomo le fece cenno di alzarsi e di seguirlo. Insieme e in silenzio, varcarono una porta nascosta da una tenda ed entrarono in una stanza buia. Gayle la fece accomodare su una sedia nera che sembrava una poltrona da dentista.

“Ruby” disse quasi a fil di voce “Ti devo chiedere di fare una scelta. Io posso farti vedere cosa hai fatto, quali azioni sono state guidate da Fobetore e darti la possibilità di diventare una persona migliore. Ma ho bisogno della tua collaborazione”

“Cosa devo fare?”

“Devi rilassarti e promettermi che arriverai fino alla fine. Se la procedura dovesse essere interrotta bruscamente, ci saranno serie probabilità di perderti” disse con tutta la drammaticità di cui era capace.

“Potrei morire?” domandò, spaventata.

“In un certo senso, si. Potrebbe morire la parte di te conosci meglio e sopravvivere quella affiliata a Fobetore”

“Perché dovrei voler interrompere la procedura?”

“Perché farà male e non solo a livello fisico. Vedrai te stessa fare cose di cui non conservi la memoria cosciente”

La ragazza si prese qualche secondo per riflettere. Aveva forse una scelta? Temeva il dolore, era ciò di cui aveva sempre avuto paura, eppure sapeva sopportarlo. Sarebbe andata fino in fondo.

“Okay. Iniziamo” disse, semplicemente, sedendosi comoda e fissando con occhi determinati la stanza buia.

   
 
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