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Autore: JudeNera    16/11/2015    0 recensioni
Mi trovo vicino al portoncino della mia casa e si avvicina un uomo che probabilmente conosco, visto la reazione quasi impercettibile del mio corpo. Lui mi dice «sta attento a Jodie».
In un primo momento indietreggio timoroso, poi chiedo spiegazioni
«Jodie? Che vuoi da lei?»
«Non farla andare via» mi risponde la voce tranquilla
«Lei non andrebbe mai via, me l’ha promesso» dico questa volta più arrabbiato di prima
Il signore con un grande naso e la faccia spigolosa si gira, mostrandomi il suo lungo cappotto nero, e se ne va, scomparendo nella nebbia.
Genere: Dark, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zacky Vengeance
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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One shot:

Ti riporta via come la marea, la Felicità



Un pizzico al naso mi fa destare da quello che era forse un incubo. Non ci faccio più caso oramai, ogni notte è la stessa cosa, tanto che gli incubi che faccio non mi fanno quasi più paura. Ce n’è uno però che faccio molto spesso e che ancora mi fa svegliare tutto tremolante e agitato:
Mi trovo vicino al portoncino  della mia casa e si avvicina un uomo che probabilmente conosco, visto la reazione quasi impercettibile del mio corpo. Lui mi dice «Sta attento a Jodie»
In un primo momento indietreggio timoroso, poi chiedo spiegazioni
«Jodie? Che vuoi da lei?»
«Non farla andare via» mi risponde la voce tranquilla
«Lei non andrebbe mai via, me l’ha promesso» dico questa volta più arrabbiato di prima
Il signore con un grande naso e la faccia spigolosa si gira, mostrandomi il suo lungo cappotto nero, e se ne va, scomparendo nella nebbia. Cerco di rincorrerlo ma la nebbia ostruisce lo sguardo e subito tutto intorno a me diventa bianco e definito, quasi come se fossi capitato all’interno di una stanza con alte pareti chiare. Mi ci vuole qualche secondo per riconoscere la porta dell’attico e, dritto davanti a me, la rampa di scale di casa mia. Mi siedo sull’ultimo scalino, cercando di riprendere fiato, e sento delle piccole vocine in lontananza.
«Cosa sarà mai?» dico sottovoce per capire da dove provenga
Nel frattempo le voci diventano sempre di più e sempre più forti fino a farmi intuire che vengono proprio dal portoncino. Qualcuno sta entrando in casa mia senza il mio permesso. Mi affaccio e vedo solo un grosso rettangolo marrone che si nuove lentamente. Strabuzzo gli occhi e riconosco un grosso scatolone portato sulle spalle da sei piccoli bambini biondi. Non appena mi affaccio le testoline si girano verso l’alto, fino ad incenerirmi con quei grandi occhi azzurri, ma non appena io mi risiedo sento le piccole scarpe andare a ritmo sugli scalini, quasi come se fosse una marcia.
Si dirigono verso di me e io non so che fare.
Non appena la prima rampa di scale è terminata, quasi come se mi leggessero nel pensiero, iniziano ad intonare un motivo lamentoso, cantando ciò che hanno intensione di fare
«Questo pacco esploderà trallallero trallallà, e con noi Jodie verrà trallallero trallallà, nessun mai ci fermerà trallallero trallallà, e la vita finirà trallallero trallallà»
A questo punto mi alzo dal letto, sempre, tutto sudato e ansimante.
Non è poi un gran che come incubo eh? Cioè ci sono cose molto più spaventose, potrei sognare decapitazioni, sangue a fiumi, mostri di ogni genere, eppure la cosa che mi fa più paura è proprio questa.
Non sono mai stato un inguaribile romantico, anzi, ed è proprio per questo che non mi spiego quello che mi succede ultimamente. Matt dice che è solo una cosa involontaria che nasce nel mio cervello e che, viste le tante delusioni, tendo a reprimere. Christ dice che sono innamorato, ma lui è sempre esagerato in  tutto. Non posso esserlo, non ora, non di lei.

Tutto ciò che so ora è che sono ancora a letto e non so che ore sono, non so che giorno è e nemmeno voglio saperlo. Il cd è finito, gli impegni rimandati. Accendo il cellulare che si trova sul comodino e do uno sguardo ai messaggi


Brian:
Hey bro ma che fine hai fatto? In un attimo sei sparito. Ci siamo anche preoccupati ma poi abbiamo pensato che volessi solo andare un po’ a riposare. Ora sembrerò tua mamma, ma non farlo più ok? Domani alle 11 sono da te.


Guardo fugacemente l’orario sul telefono, 11.05. La precisione non è mai stata la virtù di Brian e molte volte ringrazio Dio per questo. Se mi vedesse così in questo momento non so cosa potrebbe pensare.
Scorro gli altri messaggi e ne trovo uno che devo leggere.


Tu piuttosto tutto ok? E’ da un po’ che non ci sentiamo. Non dirò le cose solite che si dicono in questi casi, tipo “cazzo non ti sei fatto proprio sentire” quando poi avrei potuto chiamarti io e sentire se c’è qualcosa che non va. In qualunque caso spero che tu stia bene. Ho saputo del nuovo cd e non vedo l’ora di ascoltarlo, so che sarà un capolavoro come gli altri.

Il primo messaggio è delle 22.36, cazzo, sono andato a dormire davvero presto

E lo so che non avrei dovuto contattarti, e lo so che nei messaggi precedenti ci sono solo inutili convenevoli ma cazzo Zack, non sapevo che fare. Ieri ci ho parlato e mi ha detto che la situazione non è migliorata ed ho pensato che dovrei scappare lontano di qua e non dirlo a nessuno, ma non ce la faccio! Mi dispiace
Inviato alle 00.48

Stringo forte il telefono, quasi come a volerlo disintegrare. Nella mia testa ora non c’è niente, c’è sono una nuvola d’aria pesante che mi impedisce di pensare razionalmente a quello che potrei fare. A destarmi da questi pensieri sconnessi ci pensa il campanello che mi squittisce dritto nel cervello.
Mi alzo a fatica e mi dirigo verso la porta d’ingresso, sapendo già chi c’è dall’altra parte

«Oh mio dio V! un po’ di ritegno» dice il mio amico coprendosi gli occhi «ti sembra questo il modo di venire ad aprire la porta? E se ci fosse stata una bella donna da questa parte?»
«Sarei stato già pronto all’azione» rispondo sorridendo al mio amico, indicandomi l’unico pezzo di stoffa che ricopre le mie parti intime
«Adesso si che ti riconosco, tettone» mi dice mentre entra in casa, strizzandomi un capezzolo
Io lo maledico sottovoce prima che lui mi chieda
«Un bel caffè al tuo grande amico Brian non lo fai?» sfoderando uno di quei sorrisi che usa quando deve adescare qualcuna
«Sai dov’è la macchinetta, sai dov’è il caffè, fattelo. Io dovrei andare a lavarmi»
«E questa la chiami ospitalità?» mi domanda mentre si avvia verso la cucina
«No ma questa non può essere casa tua solo quando non sai dove devi portare la seconda conquista della serata. Ah a proposito, l’altra sera Jenn mi ha visto andare in bagno, pensava fossi il tuo maggiordomo» dico un po’ scocciato
«Jenn?» si gira verso di me con un cucchiaino di caffè in mano
«Si, la ragazza coi capelli rossi…»
«Ah si quella con un paio di tette stratosferiche!»
«Ecco, vedi che hai subito capito… ah e la prossima volta passa qualcuna anche al tuo povero amico qui» dico indicandomi
«Lo sai come sono fatto, potresti far sesso con tutte le ragazze che adesco per me, se solo tu lo volessi» mi rimarca l’ultima frase e io non posso far altro che sedermi al tavolo e rimandare la doccia.
«E allora qual è il problema?» dico ad alta voce
«Dovresti domandarlo a te stesso, Zack» veniamo interrotti dal fischio della macchinetta che ci indica che il caffè è pronto. Il mio amico lo versa in due tazzine e poi si siede difronte a me.
«Io lo so perché sei andato via ieri sera ma voglio che me lo dica tu»
Gli occhi del mio amico si fanno cupi e so che devo risponderlo, altrimenti mi caverà queste parole di bocca con la forza.
 Prendo il cellulare e gli leggo il messaggio che ho ricevuto alle 23.05, la sera prima


Sono appena uscita dall’ospedale e volevo vederti

Sono poche parole ma sappiamo entrambi cosa significano. Gli leggo poi gli ultimi due, quelli che anche io ho letto stamattina, e vedo il mio amico pensieroso.
«Voglio la tua opinione Bri» dico serio
«Sei sicuro? Probabilmente è l’opposto della tua» mi dice grattandosi nervosamente la barba
«Spara»
«Io ci andrei… cioè boh, la vorrei far distrarre un po’… mi manca»
“Lo dici a me?” pensai, ma evitai di dirlo.
«Lo sai che non posso»
«Lo so, per questo ti dico che è una mia opinione» si versa l’ultima goccia di caffè e la sorseggia guardandomi. Probabilmente vuole capire i movimenti impercettibili del mio corpo, mi conosce bene quel cazzone.
Sono sotto pressione per cui avvicino la mano alla bocca e comincio a mangiarmi le unghie
«Levati quelle mani di bocca» mi dice severo il moro
«Sembri lei quando dici così» alzai leggermente gli occhi per poi quasi immediatamente riabbassarli, come se la tazzina sporca fosse stata più interessante delle parole del mio amico
«Ah allora qui ci vuole proprio una terapia d’urto, stiamo messi male»
«Che? Ma vuoi scherzare? Io sto benissimo senza di lei, anzi è meglio così» riprendo in mano tutto il mio orgoglio lo sfido con lo sguardo.
«A chi vorresti prendere in giro?» il ragazzo alza il sopracciglio sinistro
«E’ la pura verità…» dico prima di essere interrotto da una suoneria familiare
«Pronto? Si va bene, vengo subito»
«Il capo ti ha dato gli ordini della giornata?» sogghigno
«Matt sta diventando una fottuta primadonna, ora ha una canzone in mente e la dobbiamo immediatamente trascrivere, prima che se la dimentichi...» sbuffa lui
«Fortuna che non sono il primo chitarrista» dico con occhi sognanti 
«Vuoi venire a pranzo da me? Dove ci stanno due possono starci anche tre!» sorrise il mio amico
«Grazie mille ma non sono in vena, porterei solo sconforto e non mi va di farlo» ammetto sincero
«Se cambiassi idea sai dove abito… ah e non ti abbuffare di patatine fritte anche oggi» dice mentre si avvia verso la porta
«No oggi penso anelli di cipolla fritti!» prendo in giro il mio amico
«Ci sentiamo oggi pomeriggio Zack» mi sorride e lo saluto con la mano prima di chiudere la porta alle sue spalle.
Guardo velocemente l’orologio in cucina, che segna le 12.16, e decido di correre in bagno a lavarmi e vestirmi per andare a fare la spesa e per non finire davvero a mangiare in un fast food. Ad un certo punto sento il campanello di casa suonare e, credendo fosse ancora Brian, vado ad aprire senza maglietta. Giro la chiave e difronte mi trovo il nulla più assoluto, allora mi affaccio verso destra e poi verso sinistra, cercando l’autore di quel banale scherzo, ma non scorgo nulla. A quel punto gli occhi si abbassano e si fissano su una scatola posta sull’uscio. La prendo, la apro e fanno capolino dei soldi con sopra una lettera. Sapendo già cosa mi aspettava mi chiudo la porta alle spalle e strappo la busta della lettera per poi leggere velocemente


“Lo so che questi sono solo una piccola parte di quelli che mi hai prestato ma ti prometto che te li restituirò al più presto tutti. Domani parto. Grazie di tutto”

Accartoccio la lettera e cerco immediatamente il telefono, furioso come una bestia.
Digito il numero di Jodie due, tre volte ma risulta sempre occupato, come se fosse stato scollegato. Allora le mando un messaggio


Che diavolo significa questo? Vieni subito qui che dobbiamo parlare

Inizio a camminare nervosamente avanti e dietro, cercando una soluzione o forse aspettando che lei mi risponda. I minuti sembrano ore e le mando un altro paio di messaggi, tutti senza risposta. Ad un certo punto mi salta in mente un’idea malsana che cerco di scacciare con tutte le mie forze. È il limite, è la cosa che non avrei mai voluto fare ma dovevo vederla e non potevo lasciarla andare senza chiarire tutto. Prendo le chiavi dell’auto e mi dirigo verso casa sua.











Mi avvicino alla porta silenziosamente e sento dei rumori provenire dall’interno, probabilmente una tv accesa. Busso e la tv smette di parlare.
«Lo so che sei lì Jodie, aprimi» dico nervosamente continuando a bussare
Mi avvicino alla porta e sento un respiro pesante dall’altra parte, così appoggio la mano sul legno freddo e sussurro «Jodie»
Lei quasi subito mi apre con le mani tremanti, cercando di sembrare però il più tranquilla possibile. Entro velocemente in casa, prima che possa cambiare idea, e richiudo la porta alle mie spalle.
«Perché?» dico incrociando le braccia. All’improvviso la casa che mi ha ospitato innumerevoli volte mi sembra bianca e fredda.
«Cosa perché?» mi risponde puntando quei suoi occhi cerulei nei miei. Non posso sostenere lo sguardo,
perciò lo alzo sulla bandana colorata che ha poggiata sulla testa
«Perché vai via? Perché mi hai restituito i soldi?» stringo i pugni fino quasi a far entrare le unghie nel palmo
«Sai la risposta ad entrambe le domande» mi risponde quasi impassibile «non dovresti essere qui» cerca di dirigersi verso la poltrona ma io la prendo per un braccio e la faccio girare verso di me
«Io faccio quello che mi pare e no, non so più la risposta a nulla. Spiegami ti prego perché non ti capisco più» la mia voce si fa un po’ più acuta, sto per esplodere e lo so
«Avevo promesso di restituirti i soldi delle chemio e…» continua a guardarmi dritto negli occhi
«…ed avevi promesso di rimanere con me!» stendo le braccia lungo i fianchi e lei finalmente abbassa lo sguardo. Aveva promesso che non mi avrebbe mai lasciato ad affrontare la vita da solo,  aveva promesso che mi avrebbe sempre aiutato ed ora stava scappando via da chissà che cosa
«Sto morendo, Zack» riesce a dire singhiozzando tra le lacrime, non l’avevo mai vista piangere.
Quelle parole mi fanno rimanere immobile, come una bambola senza vita, aspettando di essere punto per risvegliarmi e capire che questo è solo il peggiore dei miei incubi. Non può a essere vero, l’operazione era andata bene e mi aveva detto di essere stazionaria.  O forse mi aveva mentito solo per quieto vivere.
«Va via, non posso farti soffrire» continua lei quando sembra non avere più lacrime in corpo. Io per tutto questo tempo sono rimasto impalato difronte a lei, fissando quegli occhi pieni di lacrime e non più contornati dalle sopracciglia. Cerco di fare qualcosa di sensato ma è come se il mio cervello ed i miei muscoli non comunicassero più, mi sembra di stare in uno di quei film in cui le persone in coma vedono loro inermi stesi su di un letto di ospedale.  Ad un certo punto riprendo tutte le mie forze e le mie facoltà mentali e mi avvicino di un passo, mentre lei comincia ad urlare
«Va via… Ti prego! Sto morendo… io… mi hanno dato… solo… solo un altro mese di vita!» la vedo accasciarsi per terra allo stremo delle forze. Mi siedo anche io e comincio a gattonare verso di lei. Le prendo il viso fra le mani ed inizio a darle dei piccoli baci a fior di labbra
«Che fai? Non ho bisogno della tua compassione!» dice facendosi indietro
«Sta zitta che non capisci un cazzo! In 15 anni non hai mai capito un cazzo! Sei stata la mia migliore amica, la mia confidente, la persona che, insieme a quegli altri quattro mi ha sempre fatto sentire vivo. Ci sei stata alla morte di Jim, quando non volevo mangiare o alzarmi dal letto, e tu mi hai preso le mani e mi hai sgridato, perché è questo che fanno gli amici. Ci sei stata al matrimonio di Matt, quando Gena si presentò urlando a tutti che io l’avevo lasciata ma ero stato proprio io a tradirla, e tu sei riuscita ad allontanarla per evitare che dicesse altre stronzate. Ci sei stata quando mi ubriacavo e davo di matto, ci sono stato quando ti ubriacavi e vomitavi l’anima. Eravamo tutti in ospedale quando uscisti nera di rabbia col mascara tutto colato da quella sala d’ospedale, quando ti dissero che ti avrebbero operata per cercare di asportare il Male. E tu con tutto ciò sei sempre stata ad ascoltare le mie stronzate, i miei piccoli problemi, senza battere ciglio, senza lamentarti.  Adesso io non lo so perché tu vuoi andare via, perché vuoi allontanarti da me, sapendo certamente che soffrirei il triplo non vedendoti.  Non lo so perché mi hai restituito questi stupidi soldi come se fossi stato un sicario, uno che non ha mai avuto nessun tipo di rapporto con te ma ascoltami bene, non mi importa. Se scivoli tu, scivolo anche io, ricordi? Non ho nessuna intenzione di perderti Jo, non potrei sopportarlo per cui… mi vuoi sposare?»
Le ho detto tutto e mi sento molto più leggero ora, quasi svuotato a dire il vero
«Che diavolo stai dicendo?» mi chiede lei spaesata. I suoi occhi lasciano intravedere un minimo di paura e sgomento
«Non te l’ho mai detto ma… sono sempre stato innamorato di te, fin dalla prima volta che ti vidi cercare di aprire quell’armadietto a scuola. Temevo che dicendotelo avrei perso tutto quello che avevamo costruito, la bella amicizia che ci legava e non ho voluto. Ti ricordi le rose che ti arrivarono quando litigasti con Peter? Beh, te le feci recapitare io; e ti ricordi quella scatola di cioccolatini a San Valentino che fece diventare invidiose tutte le tue colleghe? Sempre io. Quante volte ti ho rimboccato le coperte sperando che mi dicessi di venire lì con te, quante volte ti ho stretto la mano e mi sono sentito più forte. Non desidero altro che sentirti dire sì»
le asciugo i solchi delle lacrime ed aspetto speranzoso
«Tu sei un uomo di merda!» comincia a darmi a pugni sul petto «un grandissimo figlio di puttana! Uno schifoso approfittatore!» mi tira dalla maglietta e fa si che le nostre labbra aderiscano perfettamente. Si stacca un poco e continua «… e l’uomo dei miei sogni»
I miei occhi si illuminano in questa situazione che ha dell’incredibile, la cosa migliore e peggiore che mi sia capitata.
Lei si allontana e comincia a mordersi il labbro, incerta se parlare o meno. I miei occhi si poggiano prima su di lei e poi sul tavolino davanti alla tv dove era poggiata una busta di patatine. Mi allungo leggermente e ne prendo una intera, una di quelle patatine gusto pizza ad anello
«Allora?» ribadisco «mi vuoi sposare?» mi appoggio sulle ginocchia ed allungo la mano, porgendogli quell’anello improvvisato.
Lei prende la patatina, se la mette in bocca e la mastica, facendo animatamente sì con la testa.



Quegli occhi da bambina io non li scorderò mai più.
  
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