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Autore: NightWatcher96    16/11/2015    1 recensioni
Un profondo desiderio di Raphael si avvera, così, per caso, durante una pattuglia notturna.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Nuovo personaggio, Raphael Hamato/ Raffaello
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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N/A  Ecco qui una piccolo One-Shot nata così per caso. Nulla di particolare, era solo un allenamento di scrittura dopo un po' di atrofizzazione! Incentrata su Raph (per una volta!) e non so se avrà mai un secondo capitolo, quindi, spazio alla vostra fantasia ed Enjoy!



Quattro ombre si aggiravano furtive sul tetto di una vecchia distilleria di birra, proprio sulla 35esima. Sotto la luna piena, le sagome si distinguevano con nitidezza per qualche occhio fortunato oltre che abbastanza vicino.

Tranne loro quattro, però, non c’erano altri occhi indiscreti a disturbarli e neanche il caos giù nelle strade, malgrado la tarda ora, poteva risaltare il loro borbottio.
I guerrieri con il guscio, la leggenda metropolitana, erano di pattuglia e fino ad ora non avevano trovato nessuno da riempire di mazzate, neanche un teppistello drogato. I tetti sembravano una seconda città verso il cielo, senza nemici, un regno protetto e indisturbato.

-E’ possibile che non ci sia un solo dannatissimo Purple Dragon qui?!- ringhiò ovviamente il sedicenne Raphael, a braccia conserte: -E siamo a New York!-.

-Suvvia, fratello, calmati- schernì Donatello, intento a studiare meglio il bianco satellite della notte.

La tartaruga in rosso sbuffò in risposta, incrociando le braccia sul petto, non era affatto d’accordo. Dopotutto, lui era il muscolo, amava combattere, menare le mani e… proteggere la sua famiglia anche a costo della vita.

Da molte sere le pattuglie si erano ridotte a una corsa in stile ninja, un’autentica scocciatura, non riuscivano a lasciar sfogare il temperamento pungente di Raphael e questo comportava a farlo apparire più burbero, irascibile se non eccessivamente trasgressivo del solito.

La sua irascibilità deriva anche dal fatto che il suo sacco da box non riusciva più a sbollirlo come una volta e questo incideva sul suo temperamento focoso.
Improvvisamente, Leonardo restrinse gli occhi a due fessure, saltando sul cornicione dell’edificio per fissare, se non studiare, ciò che era misteriosamente apparso. Stile ninja, molto probabilmente.

-Ehi, ragazzi! Credo che abbiamo compagnia- mormorò al gruppo, senza, però, staccare gli occhi dall’edificio di fronte.

Donnie gli si fece accanto con un piccolo salto e dopo una rapida scansione oculare, non poté fare a meno di esclamare: -Che cavolo ci fanno quelli al Museo?!-.

Foot Ninja erano proprio lì, sul tetto triangolare del museo newyorkese e da come si muovevano furtivi, architettavano qualcosa per intrufolarsi senza far scattare l’allarme.

-Da quando Shredder invia i suoi scagnozzi alla ricerca di cimeli antichi?- formulò Michelangelo, grattandosi la tempia.

-Fai sul serio? Mi pare che tu abbia dimenticato seriamente la prima lotta contro quegli stolti mentre cercavano di rubare la Tengu!- ricordò Donatello, scuotendo il capo in rassegnazione.
A volte, il suo fratellino più giovane di tre anni gli dava un tale mal di testa!

-Andiamo. E’ sempre meglio tenerli d’occhio- ordinò piano Leonardo.

-Finalmente qualcuno che parla la mia lingua!- sghignazzò Raphael, mentre picchiava il palmo della mano destra con il pugno sinistro e si librava, dopo il maggiore, nell’aria delle tenebre…
 

Furtivi. Abili. Silenziosi.

Erano questi gli aggettivi perfetti per descrivere le agili manovre dei Foot Ninja, al servizio di Shredder, mentre aspettavano che il loro tecnologico taglia-vetri portatile e grande quanto uno smartphone incidesse un foro abbastanza largo per permettere l’accesso.

C’era un silenzio tombale lì intorno, l’unico suono che si udiva era forse il respiro calmo dei maestri dell’ombra. Qualche auto strombazzava in lontananza ma era come un ronzio. Le sirene delle auto stasera non squillavano nei vicoli più malfamati.

Uno dei Foot rimosse il taglia-vetri a ventosa dal vetro della tettoia a specchi del museo e lo rinfoderò nello zaino sulla sua schiena, poi annuì agli altri e cominciò ad entrare nel foro creato.
Mentre calava anche l’altra gamba e parte del busto, un Sai volò dal nulla, conficcandosi quasi a un centimetro dalla sua testa coperta di nero. Allertati, gli altri ninja si voltarono verso le quattro figure alle loro spalle.

Non ci volle molto a capire che non erano altri che le famose tartarughe.

Un Foot Ninja con alcuni guanti grigi puntò contro Leonardo il suo dito; era un segnale da obbedire per combattere, se non distruggere, i nemici corazzati.

D’altro canto, il leader sguainò le sue katana, poi lanciò un grido selvaggio e diede, così, inizio allo scontro.

Donatello, il più vicino a Foot intento a scivolare sempre di più nell’apertura, si fece leva con il suo Bo per catapultarsi nell’aria, afferrare con le gambe la testa nemica e scaraventarlo pesantemente al suolo.
L’uomo mascherato gemette semplicemente e non si rialzò.

-Forte, Donnie! Come hai fatto?- esclamò Michelangelo, sbalordito.

-E che ne so? Suppongo la giusta velocità, la traiettoria e una buona dose di ninjutsu!- ridacchiò Donatello, tornando nella mischia.

A Raph era capitato il Foot più tosto. Era più grande, forzuto e aveva perfino una coppia di Sai gemelli i cui manici erano fasciati rigorosamente di nero. Non gli dispiaceva un combattimento ad armi pari però non era sicuro di poter dare il meglio di sé, non con il suo istinto di Aniki a scampanellare continuamente nella parte più lucida della mente.

I suoi occhi si spostavano continuamente da Mikey al suo avversario sghignazzante. Il suo fratellino era accerchiato da cinque Foot armati di kunai, tanto e pericolose falci e non sembrava riuscire a farcela.

“Maledetti scorretti!” ruggì nel pensiero.

Per un soffio non si ritrovò con un occhio in meno; il Foot era riuscito a coglierlo nell’attimo di distrazione con un affondo micidiale del Sai sinistro ma questo, involontariamente, illuminò il viso di Raph per un attimo.

“La sinistra! E’ mancino! Quindi, significa che avrà la destra carente!” pensò, trasformando la sua sorpresa in un ghigno oscuro quanto subdolo.

Il Foot riattaccò con un fendente mancino, nel tentativo di tranciargli il viso trasversalmente; Raph, al contrario, si chinò per schivare il primo attacco, poi riemerse velocemente e con una testata lo allontanò. Successivamente, lo afferrò per un braccio, lo tirò verso il suolo, ma all’ultimo istante lo scaraventò pesantemente contro il cemento armato del tetto.

Il suo trionfo momentaneo fu interrotto da un guaito di Michelangelo, colpito brutalmente alla caviglia sinistra. Si era accasciato al suolo, lasciando andare inconsapevolmente le sue preziose armi e piagnucolava in preda al dolore accecante del suo arto ferito, sotto lo sguardo oscuro dei cinque nemici.

-MIKEY!- gridò Raphael: -Tappati occhi e orecchie!-.

Il piccolo mutante non se lo fece ripetere e nell’attimo in cui non vide che oscurità, uno scoppio offuscato grazie alle sue mani lo fece tremare. Raph aveva scagliato una granata a basso impatto per allontanare e ferire anche i nemici, ora distesi in un cumulo di tramortiti al suolo.

Raphael rinfoderò i Sai nella cintura, soccorrendolo; il suo fratellino aveva la disperazione dipinta sul viso leggermente più pallido. La ferita, del resto, ne era la causa, era uno squarcio profondo, rosso e dall’odore ferroso. La tartaruga poteva quasi giurare di intravedere, in quello squarcio di differenti tonalità di rosso e di rosa tenue, un accenno di bianco.
Forse era l’osso!

-Tutto bene, fratello?- chiese nell’evidente preoccupazione.

In altre circostanze, il minore rispondeva con “No, sto morendo… La luce, la luce sta svanendo, diventa tutto scuro! Dite a Raph… dite a Raph… che è un pezzo di fessacchiotto!”, tirando in ballo un bel pugno dritto alla testa ma adesso era tutt’altra questione. Mikey tremava, era stanco e la mano premuta sulla ferita si era completamente imbrattata di cremisi.

-Dai, ti aiuto- fece il mutante con la maschera rossa.

Mentre si sfilava la maschera dal viso, analizzava il combattimento facile sia di Don sia di Leo. In piedi erano rimasti solo due Foot e soccombevano già sotto le più facili mosse. Shredder, dopotutto, non li addestrava come si deve. Ne erano in tanti nel suo grattacielo corvino, al centro di Times Square e questo era un punto sfavorevole.

“Non hanno bisogno di aiuto. Ce la fanno anche da soli” pensò, con un mezzo ghigno.

Era così orgoglioso dei suoi fratelli!

Improvvisamente, il giovane arancione si irrigidì e stringendo una spalla al fratello in rosso, gli dette un profondo nonché sconvolto sguardo. Per un attimo, Raph pensò a qualche malore o peggio, a una perdita di sensi.

-Raph, hai sentito?- mormorò debolmente l’arancione, guardando il cornicione del tetto.

-No, cosa?-.

-Era… un pianto…- continuò l’arancione: -Proveniva dal vicolo qui sotto… dobbiamo andare a vedere-.

Raph si mise in ascolto ma non sentì praticamente nulla, probabilmente suo fratello doveva aver immaginato il suono a causa della spossatezza indotta dall’ingente perdita di sangue.

-Vieni, aggrappati- annunciò quando strinse al meglio la fasciatura approntata.

-Dico davvero, Raph…!- riprovò Mikey.

Quando l’altro lo tirò su, quest’ultimo crollò miseramente al suolo e in un gemito addolorato riuscì ad articolare “Scusa, non ero pronto…”.

Nel momento in cui il rosso aprì la bocca per ribattere in rima, un suono raggiunse le sue orecchie, qualcosa di forte e debole allo stesso tempo.

-Forse avevi ragione, Mikey…- mormorò stupito, lasciando seduto il fratellino in terra, mentre si avvicinava al cornicione.

Si sporse un po’, nel tentativo di rintracciare la provenienza del suono ma in quell’ondata di nero buio l’unica alternativa più valida era calarsi nelle tenebre e indagare.
Raph si voltò ancora verso Mikey, soccorso da un Donnie sempre più vicino e vincitore della sua lotta; suo fratello era in buone mani, così, a cuor leggero, scavalcò il cornicione.
Non era così buio come poteva pensare all’apparenza; c’erano delle leggere luminescenze da alcune finestrelle aperte e insegne di locali poco distanti che illuminavano i tratti lucidi del cassonetto nauseabondo della spazzatura e della scala antincendio.

Agile e veloce, il sedicenne atterrò sul freddo asfalto e in fretta si mise a indagare.

Era un po’ stupito scendere così, sguarnito e alquanto indifeso, nonostante tutto; se era una trappola poteva lasciarci fieramente il guscio. Stupido. Doveva pensare prima di agire!
Raph sospirò leggermente ma in quel momento il suono lo raggiunse come un’onda alle spalle, più forte e chiaro di prima. Era un vagito?
Un po’ scosso, sguainò i Sai e cominciò ad avvicinarsi di soppiatto verso il cassonetto, ovvero, la provenienza del suono. Andando per logica, oltre al bidone non c’era nient’altro che poteva rilasciare quel pianto infantile.

Deglutito un groppo pesante giù per la gola, il ninja aprì di scatto il coperchio del cassonetto e alzò i Sai in difesa. Non ne uscì che un grido di paura infantile.

-Ma che…?- esclamò Raph, sporgendosi sul bidone schifoso.

I suoi occhi si sgranarono ben presto a ciò che vide, ovvero, uno stranissimo sacchetto corvino in movimento costante. Aveva le trabecole? Si era ammattito? Era una bomba?

Raph indietreggiò come scosso, poi si voltò verso la scala quando il vagito scoppiò lagnante e doloroso, come un’implorazione o una richiesta d’aiuto. E tutto ciò che sapeva era il suo corpo in movimento meccanico verso il cassonetto e il sacchetto fra le braccia.

Con la punta del Sai, non troppo in profondità nella plastica, la tartaruga incise uno squarcio, poi rimase completamente allibito.

C’era un neonato nella busta, un bel cucciolo d’uomo con la pelle pallida, alcuni ciuffetti di capelli stranamente tanto chiari da sembrare bianchi e occhi di una tinta chiara, di un perfetto d’oro. Quelle iridi splendevano quasi sotto la luna, scintillanti di lacrime e le piccole mani si muovevano verso il viso di un Raph arrabbiato.

-Come possono abbandonare un bambino?- gli disse.

Il piccolo aveva addosso solo una sporca tutina bianca con delle tartarughine verdi e sul bavaglino c’era cucito un nome in rosso.

-Maximilian…- lesse il rosso: -Questo dev’essere il tuo nome, vero?-.

Il neonato tubò leggermente e accoccolatosi vicino ai piastroni del mutante, cadde subito in un sonno profondo, grato di un po’ di calore.

-RAPH!-.

Il focoso alzò la testa al cornicione, dove sia Leo sia Donnie lo attendevano preoccupati.

-Sto bene!- disse, sperando che il piccolo non si sarebbe svegliato.

-Che è successo lì sotto?- domandò Leo.

-Beh… ecco…- rispose l’altro, guardando il faccino del bimbo: -Dobbiamo tornare a casa-.

-Sì! La ferita di Mikey è grave!- aggiunse Donnie.

Raphael non poteva certamente portare il neonato in un comando di polizia né lasciarlo lì dove l’aveva trovato, abbandonandolo alla morte, così stringendolo al petto con un braccio, risalì la scala antincendio.

-Ragazzi, guardate un po’ cosa ho trovato qui- annunciò, avendo cura di non gridare troppo.

Donnie già sosteneva un debole Michelangelo. Aveva fatto in fretta.

-Un cucciolo d’uomo?- espirò incredulo Leo: -Dove l’hai trovato?-.

-Abbandonato in un sacchetto della spazzatura!- ringhiò frustrato il rosso, accarezzando una guancia del piccolo: -Non so di chi sia, ma sicuramente non è stato voluto, così l’hanno abbandonato miseramente!-.
Leonardo aveva un viso triste ma ben presto fece un piccolo sorriso, mentre guardava anche gli altri fratelli. Potevano portarlo a casa.

E mentre si dileguavano nella notte, l’uno dopo l’altro, un pensiero si delineava nella mente del giovane Raphael. Se quel bambino sfortunato non aveva una famiglia, poteva essere il suo papà.

Il suo desiderio più profondo si avverava così, tanto stranamente, come aveva voluto il destino. Chissà, magari era prematuro parlare di paternità ma anche se mai lo avrebbe ammesso, stringere a sé quel fagottino albino lo faceva affezionare sempre di più.

“Padre a sedici anni…?” pensò Raph, ridacchiando: “Non suona così male!”.

Già. La vita era davvero strana a volte.


 
  
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