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Autore: Monique Namie    17/11/2015    22 recensioni
Autunno 1936.
Dresda (Germania).
Il giovane Herbert Wendler si trova a gestire la pasticceria che zia Agathe gli ha affidato. È un periodo storico per certi versi molto difficile: anche se l'economia della Germania si sta progressivamente risollevando dopo la crisi del '29, nel 1936 ci si trova ad affrontare un’importante carestia. Le riserve di materie prime e di cibo sono ridotte drasticamente. Per sopravvivere bisogna ingegnarsi, ma se c'è qualcosa che a Herbert non manca è la motivazione e la fantasia.
*** NOTA: {Storia terza classificata al contest "Assaporando il mondo" indetto sul forum di EFP}
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Novecento/Dittature
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Dominostein Terza classificata al contest "Assaporando il mondo" indetto da 9dolina0 sul forum di EFP.

Note autore:
Nonostante il personaggio di Herbert Wendler sia veramente esistito, la sua vita privata è totalmente frutto della mia immaginazione.
Questo è il mio primo racconto di genere storico; in precedenza ho scritto solo due brevi poesie che farei rientrare sotto questo genere. Gran parte dei racconti che ho scritto sono fantascientifici, tuttavia, poiché amo inserire elementi reali persino quando parlo di viaggi interstellari e pianeti collocati all'altro capo dell'universo, non mi è affatto dispiaciuto compiere un lavoro di ricerca, prima e durante la creazione di questa storia.




Dominostein



Autunno 1936.

Dresda (Germania).

Mentre accelerava il passo, lungo il ponte che attraversava il fiume Elba, Herbert Wendler sollevò il colletto del cappotto e si strinse nelle spalle per proteggersi dal freddo. Il vento che soffiava da nord era esageratamente gelido per gli inizi di ottobre. Quando respirava, alla luce degli ultimi vecchi lampioni a gas, una nuvola di vapore si dissolveva nell’aria. Teneva i pugni chiusi immersi nelle tasche, ogni tanto sgranchiva le dita e pensava al caldo appartamento sopra la pasticceria di zia Agathe, o meglio la sua pasticceria. Sì, perché all’età di ventisei anni, mentre i suoi coetanei erano già tutti maritati da un po' e impiegati come operai in qualche industria post-bellica riconvertita, lui invece non aveva mai avuto nemmeno il tempo per pensare alle ragazze, perché doveva occuparsi della gestione del negozio. Agathe gli aveva affidato la proprietà della pasticceria da qualche anno; un'attività che richiedeva tempo ed energie. Era tutt’altro che semplice condurre un’impresa del genere, ed era raro che, alla sua età, un giovane avesse sulle spalle così tante preoccupazioni gestionali.
Sua zia diceva che, in quegli anni, se si voleva sopravvivere alle dure leggi della vita, si doveva prima di tutto imparare a ridurre al minimo le perdite e le rimanenze. Lui le voleva molto bene e perciò non protestava, ma in segreto sognava di scambiare il suo posto con uno dei cuochi che se ne stavano barricati in cucina, tra le spezie aromatiche, i profumi degli ingredienti tradizionali e il rumore degli attrezzi del mestiere.

Zia Agathe era diventata la sua nuova famiglia da quando sua madre era morta prematuramente per malattia e il padre lo aveva abbandonato per darsi alla malavita. Herbert viveva a Meißen e, all’età di quindici anni, per qualche mese aveva vissuto di stenti facendo il lustrascarpe per strada. Un periodo infernale. Poi era arrivata zia Agathe da Dresda e lo aveva portato a casa con lei. Herbert l’aveva incontrata una sola volta quando aveva appena tre anni, non ricordava nemmeno di averla una zia, invece lei si ricordava benissimo di lui e, ogni volta che si presentava l'occasione, lo dimostrava raccontando aneddoti sulle vicende di famiglia. Agathe aveva appena quarant’anni ed era già vedova: suo marito era morto al fronte durante la Grande Guerra. Non aveva avuto figli, per questo tendeva a sommergere il nipote con l’affetto della madre che avrebbe voluto essere.
Quel giorno Herbert,
dopo aver fatto visita al mugnaio fuori città per ordinare una scorta di farina, stava tornando verso la pasticceria. Il raccolto quell’anno era stato scarso e i sacchi di farina che aveva potuto permettersi erano meno della metà di quelli dell’anno precedente. Tolse le mani dalle tasche e le sfregò energicamente per cercare di scaldarsi un po’. Sopra l’entrata del negozio avevano fatto installare una lanterna alimentata a energia elettrica, che per l’epoca era una rarità di cui potersi vantare; la sua luce si vedeva da lontano e come una stella, anche durante le notti più meste, indicava la strada di casa.
Quando entrò nel negozio, un intenso profumo di cialde caramellate gli allietò i sensi. Zia Agathe stava servendo gli ultimi clienti della giornata, mentre questi si lamentavano per l’aumento dei prezzi e lei cercava, per l’ennesima volta, di spiegare la criticità della situazione.
Era un periodo piuttosto difficile: certo, l’economia della Germania era in rialzo da quando Hitler era salito al governo nel ’33, ma i soldi da soli non sfamavano e le colture quell’anno erano andate a male a causa delle troppe piogge.
Herbert si sentiva inquieto. Quando l’ultimo cliente uscì dal negozio, serrò la porta e si voltò verso sua zia.
«Dobbiamo trovare il modo di ridurre le rimanenze e abbassare i prezzi, in modo che anche i meno abbienti possano permettersi di comprare da noi certi prodotti.»
La zia si tolse adagio il grembiule e lo ripiegò meticolosamente su una sedia. «Sapessi come vorrei che si potesse fare qualcosa. Purtroppo è un periodo magro e se ci mettessimo a regalare il cibo finiremo in strada.»
Herbert sospirò. «Non sto parlando di regalare…», si morse un labbro e non riuscì a trovare le parole per continuare a spiegare le sue ragioni.
«Che cosa ha detto il mugnaio?», chiese Agathe.
«Che ci può fornire solo quindici sacchi di farina.»
«Cosa?! Ma sono…»
«Pochissimi, lo so. Se li razioniamo, forse riusciremo ad arrivare fino ad aprile», concluse amaramente il ragazzo. «Da aprile dovremo iniziare a usare le farine peggiori. Le teniamo da parte appositamente, del resto.»
La donna sorrise, sinceramente ammirata dai progressi di gestione che Herbert stava facendo, poi il suo sguardo si rabbuiò improvvisamente. «E tu vorresti metterti ad aiutare i poveri? Aiutiamo prima noi stessi!»
Il ragazzo non disse nulla. Restò fermo a osservare la zia; con quell’espressione accigliata che aveva assunto, sembrava di colpo invecchiata di una decina d’anni. Forse era anche colpa dell’intensità decrescente della luce del giorno. Il sole ormai era calato, regolò l’intensità della fiamma di una delle lampade già accese alle pareti e osservò sovrappensiero i pochi dolci che erano rimasti invenduti, adagiati in modo disordinato sui ripiani dietro al vetro dell'espositore. I biscotti ricoperti di glassa potevano essere conservati per qualche giorno, i Waffel anche per una settimana, ma altri dolcetti, per esempio quelli alla crema, erano un problema. Era impossibile prevedere le quantità esatte da produrre: alcune volte una tipologia di dolci veniva esaurita a metà mattinata, altre volte sembrava che nessuno volesse saperne di comprarli.
Nonostante le rimanenze fossero sempre esigue, tra le varie opzioni non c’era mai quella di gettare via il cibo. Nemmeno una briciola doveva essere sprecata.
Tempo fa, davanti alla pasticceria si sedeva una giovane senzatetto e Herbert, facendo attenzione che la zia non lo vedesse, più di una volta le aveva portato un cestino di dolciumi avanzati. Scendeva al piano terra di notte e la trovava sempre lì, raggomitolata sul marciapiede dall’altro lato della strada. Più di una volta era stato tentato di condurla dentro al negozio per offrirle un riparo dalle intemperie. Non si erano mai scambiati una singola parola, non che Herbert non ci avesse provato, ma lei restava muta e lo ringraziava solamente con lo sguardo: aveva uno sguardo magico, capace di trasmettere emozioni diverse variando appena l'espressione alla luce della lanterna che il ragazzo portava con sé. Ad un certo punto aveva sentito la necessità di trovarle un nome, così, in cuor suo, l’aveva soprannominata Grete. Forse se n’era addirittura innamorato, ma non osava sbilanciarsi oltre le offerte di cibo. Una notte scese come di consueto, ma lei non c’era. Non seppe mai che cosa le fosse successo e rimpianse non averla potuta aiutare di più.
Zia Agathe per principio non regalava mai niente: diceva che bisognava sapersi guadagnare da vivere e che la carità era diventata una parola estranea persino in chiesa. Diceva anche che per avere successo in quel mestiere, bisognava avere un segreto da custodire. Il suo segreto era la ricetta personalizzata per creare la pasta perfetta per le cialde caramellate. Quando le sfornava, un profumo squisito, di un’intensità indescrivibile rendeva bellissima la peggiore delle giornate. L’aroma delle sue speciali Gaufre tedesche era quello del pane lievitato, del latte tiepido appena munto nei pressi di un vecchio casale ai margini del bosco, dello zucchero sciolto che assumeva un colore ambrato e imitava un’essenza mistica. Un tripudio d’arte culinaria che trasportava in un’altra dimensione. Per non parlare del momento dell’assaggio: se si aveva la pazienza di masticare delicatamente la cialda fragrante, quell’aroma magico risvegliava antichi ricordi sepolti nell’animo e conduceva a chilometri di distanza, in una dimensione ultraterrena. Ebbene sì, le leccornie della pasticceria Wendler fornivano, ai più predisposti, la possibilità di viaggiare senza muovere un passo.
Herbert Wendler sognava di riuscire, un giorno, a creare qualcosa di sublime come le cialde della zia, qualcosa che potesse emozionare oltre che sfamare. Ci pensava notte e giorno: quando usciva al mattino per comprare il giornale dallo strillone in strada, immaginava il giorno in cui il suo nome sarebbe finito in prima pagina, elogiato come migliore pasticcere della Germania. Talvolta, la notte, prima di addormentarsi, provava mentalmente varie combinazioni di ingredienti e giudicava se la loro unione fosse cosa buona e giusta o un abominio.
Fu proprio durante una di quelle notti costellate di pensieri che gli venne l’idea. Era quasi mezzanotte e, con lo sguardo perso nel buio, gli tornò in mente un flash di vita passata: sua madre che lo accarezzava scompigliandogli i capelli davanti la Frauenkirche. La Chiesa di Nostra Signora a Meißen, con le sue pietre scure a faccia vista, sembrava una costruzione di mattoncini giocattolo. Quando nevicava, invece, assomigliava a un dolce ricoperto di zucchero a velo e veniva voglia di assaggiarla.
Accese una candela e scese in cucina con passo felpato, poi raccolse su un panno tutti i dolci invenduti e valutò compiaciuto la situazione. Un istante dopo si mise a sbriciolare i biscotti, amalgamare le creme e fondere il cioccolato. Adoperò varie pentole: su una mise a sciogliere del burro che poi mescolò con dello zucchero, su un’altra mise del latte a bollire.
In che modo Herbert pensasse,
con tutto quello sbatacchiare, di non svegliare sua zia che dormiva al piano di sopra, era un bel mistero. Agathe infatti si svegliò nel cuore della notte disturbata dai rumori sospetti provenienti dabbasso. Credette che fossero entrati dei ladri, ma si tranquillizzò quando, sbriciando dalla porta socchiusa della cucina, vide il volto di suo nipote; tornò a dormire senza chiedere spiegazioni, poiché aveva già intuito tutto.
Lavorare alla luce di una candela richiedeva grande concentrazione per non combinare pasticci, ma il risultato fu eccellente sotto ogni punto di vista: la nuova creazione di Herbert aveva un profumo invitante e un aspetto allettante. Si trattava di cubetti composti di tre strati e ricoperti esternamente da un velo di cioccolato. Uno strato centrale di marzapane era intervallato da uno
di pan di zenzero - ottenuto miscelando miele, zucchero di canna e zenzero - e da un ultimo strato ottenuto dalla lavorazione dei dolci invenduti. Il tutto veniva poi ricoperto di cioccolato. Tagliati a metà e sistemati in file precise su di un vassoio, assomigliavano un po’ alle tessere del domino. Decise, per questo, di chiamarli Dominostein.
Quando la mattina seguente, alle prime luci dell’alba, zia Agathe,
ancora in vestaglia da notte, scese le scale che portavano al negozio, per aprire la porta sul retro ai cuochi, venne attratta da un buonissimo profumo proveniente dalla cucina. Trovò il nipote addormentato su una sedia con la testa abbondonata sulla tavola. Poco più in là, un vassoio coperto da uno strofinaccio: Agathe lo tirò verso di sé incuriosita. Herbert si svegliò di soprassalto con il volto tutto infarinato e, non riconoscendo l’atmosfera della sua camera, fu colto da un breve attimo di spaesamento… poi ricordò.
«Che cosa hai preparato di buono?» chiese la zia sorridendo con naturalezza. Senza aspettare una risposta da parte del ragazzo, sollevò un lembo dello strofinaccio. «Cioccolatini?» Ne prese uno e lo assaggiò. «Sono deliziosi. Spero tu abbia memorizzato bene gli ingredienti… perché dai prossimi giorni saranno esposti in prima fila in vetrina» disse.
Dominostein. La pasticceria Wendler, da allora, fece di quei cioccolatini il proprio punto di forza. Turisti di passaggio si fermavano nel vicolo, un tempo sconosciuto, in cui sorgeva il negozio, per acquistare la leggendaria prelibatezza di Herbert, che intanto era stato proclamato miglior cioccolatiere della Germania orientale.
Quelli non erano semplici cioccolatini, erano uno scrigno di ricordi: nel loro soffice ripieno c’era la vita del giovane che li aveva creati, le carezze di sua madre e i sorrisi di suo padre, gli atti di gentilezza che aveva compiuto verso Grete, il dispiacere di averla perduta e la speranza che forse, una mattina, riaprendo la serranda lei sarebbe stata di nuovo lì, seduta sul marciapiede di fronte alla pasticceria. Perché al di là delle sue vesti stracce e di quel suo volto sporco, aveva intravisto la bellezza. I Dominostein li aveva creati anche per lei.
Zia Agathe gli aveva insegnato che per avere successo bisognava avere un segreto da custodire. Il suo ingrediente segreto non era qualcosa di materiale, era formato da una sostanza volubile, dal sapore variabile a seconda dell'umore: il ricordo. Mentre mescolava gli ingredienti per dare vita ai Dominostein, lui viveva come in una parentesi temporale: ricchezza sotto forma di emozioni, ecco come si poteva definire il componente segreto di quei dolci.


Durante la Seconda Guerra Mondiale, il Dominostein venne soprannominato "Notpraline".
Quando la società del cioccolatiere Herbert Wendler fallì a causa delle difficoltà economiche indotte dal conflitto, la ricetta originale e la tradizione vennero ceduti alla "Dr. Quendt".
Da allora, i pasticceri,
non conoscendo la natura dell'ingrediente segreto originario, lo sostituirono con un ripieno al 30% di punch al rum.




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