Serie TV > I Borgia (Faith and Fear)
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Autore: Greta Farnese    19/11/2015    1 recensioni
Miss Moment, Flashback Borgiacest
Una piccola One Shot su un momento dell'infanzia di Cesare e Lucrezia, ispirato come sempre al grande spirito di devozione e fedeltà che entrambi nutrivano verso l'altro sin dall'infanzia.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incest
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Quel pomeriggio mi stavo esercitando a giocare a volano. Era un gioco molto elegante, e per questo adatto anche alle signorine come me, ma era anche complicato. La palla doveva essere lanciata dalla racchetta che era tenuta in mano su un muro di fronte al giocatore, e doveva poi ritornare sulla sopracitata racchetta.
Esisteva anche la modalità secondo cui la pallina veniva lanciata da giocatore a giocatore, ma per "affrontare" quel livello più difficile si doveva prima perfezionare il lancio al muro. Cosa che io non padroneggiavo, non ancora.
Arrabbiandomi dopo il terzo tentativo finito male, scaraventai la racchetta a terra e mi sedetti con la schiena a ridosso del muro, a braccia incrociate. Beh, se non altro sapevo come lanciarla, mio fratello Giovanni non riusciva nemmeno a fare questo, e giustificava la sua scarsa attitudine con la stupidità del gioco.
Ridacchiai pensando che lo stupido in moltissimi casi era proprio il mio fratello maggiore, e risollevata dal pensiero decisi di riprovarci. Chiusi gli occhi e presi un respiro, quindi lanciai la pallina dal palmo, la colpii con forza con la racchetta e la guardai colpire il bianco muro della villa di nostra madre, quindi ritornò indietro. Emettendo un grido, mi slanciai in avanti e riuscii ad afferrare la malefica palla con le mani cadendo però lungo distesa a terra.
Sentii un applauso provenire da dietro, e voltandomi vidi Cesare, il mio altro fratello, sorridere appoggiato a una delle colonne del porticato.
Sbuffai, non volevo che vedesse i miei fallimenti. Per lui dovevo sempre essere perfetta, o almeno così mi ripetevo. Perfetta non nel senso di perfettamente educata e rispettosa del protocollo, ma perfetta come Borgia, il che faceva una grande differenza. I Borgia non falliscono.
- Ti aiuto a rialzarti - disse muovendo un passo.
- No! - protestai con voce soffocata - so fare da sola! 
Mi rialzai puntandomi sui gomiti, e notai che l'abito verde ormai era inesorabilmente macchiato di terra.
- Sorellina, sei andata bene - mi tranquillizzò lui, avvicinandosi e raccogliendo racchetta e pallina. - Non dimenticarti che hai solo undici anni!
- Quasi dodici - soffiai come un gatto.
- Quasi dodici - concesse lui. - Se magari a volte accettasti di farti seguire da me nel gioco, impareresti prima.
- Sì, ma senza soddisfazione - osservai. - Anche se ci impiego molto, almeno potrò dire che appreso i meccanismi da sola. 
Scoppiò in una fragorosa risata. - Chi meglio di me può capire questo desiderio?
Sorrisi, pensando ancora una volta a quanto fossimo simili. A volte Cesare e io sembravamo due facce della stessa medaglia, entrambi orgogliosi, coraggiosi e decisi, completi nelle poche differenze che ci separavano: lui era il braccio, io la mente. Era un bellissimo rapporto, quello tra mio fratello e me. Potevamo non vederci per una settimana, per due, per un anno, ma il legame non si scalfiva e si ripresentava come se mai ci fossimo lasciati.
- Il pranzo è pronto, comunque - fece lui, riponendo il materiale da gioco nella cassa in giardino.
- E' deciso, dunque? Andrai a Pisa? 
Non avevo deciso di chiederlo, ma da giorni mi tormentava il pensiero di una sua partenza. Zio Rodrigo aveva deciso che doveva studiare all'università di Pisa, per vantare una buona formazione culturale. Sarebbe piaciuto andare anche a me, a quell'università, ma per le donne non era possibile. Io dovevo accontentarmi delle lezioni mattutine di greco e latino. Sorrisi nuovamente pensando alle volte in cui avevo svolto per Cesare una frase o un periodo per salvarlo dalle grinfie del maestro, e avevo perso il conto delle nottate trascorse ripetendo i verbi quando sapevamo che il giorno dopo zio Rodrigo sarebbe venuto a farci visita e ci avrebbe interrogati e non gli sarebbe affatto piaciuto non trovarci preparati.
Solo Giovanni avrebbe potuto permettersi qualche defaiance, ma del resto, lui era il preferito dello zio, si notava subito.
- Credo di sì - mi rispose. Poi si voltò. - Ma non temere, non mi perderò il tuo dodicesimo compleanno.
- Mi penserai un pochino? - domandai, poggiandogli le mani sul petto. Indossava la sua vestaglia preferita, rossa, e potevo sentire i muscoli sotto il tessuto.
- Più di un pochino, sorellina - mi assicurò, baciandomi sulla fronte. Fece per spostarsi, ma io afferrai i lembi della vestaglia per tenerlo accanto a me. Restammo così per non so quanto tempo, lui con la sua fronte premuta sulla mia, il calore del suo fiato che scendeva verso il mio naso. Profumava di cannella. 
Quindi lui si riscosse e si allontanò. I mutamenti di umore di Cesare erano frequenti. - Ehi - mi disse - Non vogliamo assaggiare le pappardelle che ci aspettano a casa?
Mi costrinsi a sorridere e annuii forzatamente.
Mi prese per mano e quasi mi trascinò verso l'ingresso della villa.
- Cesare - lo richiamai. 
Continuammo a salire le scale, lui non si voltò.
- Sì? - chiese tuttavia.
- Anche se andrai a Pisa, non dovrai mai sentirti solo. Hai me. Siamo in due. Due è meglio di uno.
Allora si girò verso di me, mi sollevò tra le braccia e fu così che ci presentammo al resto della famiglia riunita per il pranzo.
   
 
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