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Autore: _Safyra    21/11/2015    5 recensioni
Wanda si era salvata. Adesso era rinchiusa in un altro corpo. Felice. Amata dall'uomo che non aveva mai pensato potesse innamorarsi di lei.
Aveva ricominciato una nuova vita, la sua decima vita, ed era ora di iniziare a godersela. Ad imparare che in quel mondo non esistevano soltanto la compassione, il dolore e l'indulgenza, ma anche il piacere, il desiderio... l'amore di una famiglia, di un uomo.
Non sapeva che là fuori, oltre quelle caverne e quel deserto, c'era un mondo pronto ad accoglierla.
Wanda non sapeva nemmeno di essersi fatta un altro nemico... Ma non c'era fretta. Doveva scoprire molte altre cose oltre a quello.
Dalla storia:
Incrociai lo sguardo di Ian per un interminabile istante. Un istante interrotto da un colpo di scena.
Rimasi impietrita quando vidi esplodere il capannone che avevo di fronte.
Avevo cantato vittoria troppo presto [...]
Avevo promesso. Non lo avrei mai abbandonato.
«Wanda... non c'è più niente da fare, capisci? È andato ormai» singhiozzava Brandt dopo avermi preso il volto fra le mani.
«No» dissi «No. Ian non è morto»
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian, Jared, Melanie, Quasi tutti, Viandante
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Up In The Sky - the serie '
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20



È reale



Ogni minuto che passa è un'occasione per rivoluzionare tutto completamente.

[Vanilla Sky]





C'era una sola finestra in quella stanza d'ospedale, corta e larga. Passai gran parte del giorno ad osservare il deserto che si estendeva fino ai canyon all'orizzonte, come un immenso lago dorato. Di tanto in tanto nuvole bianche e sottili oscuravano il sole, accompagnandolo nel corso del suo movimento verso ovest. Non riuscivo ad intravedere nient'altro, niente che lasciasse intendere dov'ero. Anche la stanza sembrava non voler suggerire nulla, se non il fatto di non essere una vera stanza d'ospedale. Il letto non era uno di quelli alti e sofisticati con le sbarre ai lati, al muro non c'erano prese dove attaccare i macchinari a cui collegare i pazienti. L'arredamento era costituito solo da un comune materasso a mezza piazza, un'asta di metallo da cui pendeva la sacca contenente la roba disgustosa, una sedia di legno e un tavolino.

Quando mi misi seduta e allontanai le lenzuola una delle guardie intenta a fare avanti e indietro per il corridoio puntò lo sguardo su di me, ma io la ignorai. Mi stiracchiai, e per la prima volta dopo tanto tempo pensai di sentirmi meglio. Non mi girava più la testa, né lo stomaco mi bruciava per la fame. Probabilmente era grazie alla quella poltiglia nella sacca di plastica che ero quasi del tutto in forma. L'unica cosa che continuava a dolermi erano le ferite sulla schiena.

Abbassai gli occhi sui miei vestiti e ricordai di non averli più sporchi e sgualciti: dopo la visita di Drago – speravo l'ultima della giornata – Liam me li aveva portati nascosti in un sacco nero. Era stato piacevole annusare un odore che non ricordasse il puzzo stantio del sangue incrostato e della terra secca.

Appoggiai i piedi sul pavimento fresco, barcollando col terrore di vedere le pareti della stanza girarmi vorticosamente intorno, ma la sensazione durò solo qualche istante prima che riuscissi a incespicare due passi verso la finestra. Sbirciai sotto e scoprii di trovarmi al primo piano di un edificio, pochi metri più in là si ergeva una barriera di cemento sulla cui cima si arrotolava del filo spinato. Lo stesso che avevo visto quando mi avevano trasferita dalla cella tutta bianca alla stanza da interrogatorio, trasportandomi su un furgone attraverso un campo.

Quando Ian aveva promesso che sarebbe venuto a prendermi.

L'acqua del bicchiere sul tavolino vibrò, così come il vetro della finestra. Allontanai la mano che vi avevo posto sopra, osservando l'alone delle dita ritrarsi velocemente prima di scomparire del tutto. Poi l'acqua e il vetro vibrarono un'altra volta, più forte, e il bicchiere cadde, frantumandosi in mille pezzi sul pavimento. Quando mi voltai verso la porta vidi le guardie lanciarsi occhiate perplesse e diffidenti e impugnare con più decisione le loro armi. Poi una di loro sgranò gli occhi, spalancò la bocca per dire qualcosa che tuttavia io non riuscii a sentire.

Stavolta non fu solo il bicchiere a spargersi in milioni di piccole schegge, ma anche le due vetrate adiacenti alla porta e la finestra. Un ondata di fuoco e fiamme spazzò via la parete che dava sul corridoio e parte del soffitto, facendo piovere pezzi di legno e ferri tutt'intorno.

Ebbi giusto il tempo di gettare un urlo e infilarmi sotto il letto prima che l'esplosione arrivasse come un uragano. Mi rannicchiai in posizione fetale, strappandomi via il tubicino sul dorso della mano e coprendomi le orecchie ad occhi chiusi.

Sentii il cuore rimbalzarmi nel petto e salirmi in gola mentre il boato scemava e l'esplosione abbandonava il suo apice fino a dissolversi. Gli attimi che seguirono furono scanditi dal silenzio e dallo scroscio non troppo lontano del fuoco che scoppiettava e del cemento che si staccava e cadeva per terra.

Poi udii i passi di qualcuno che si avvicinava correndo, e qualche attimo dopo la luce scura dietro le palpebre divenne più chiara, come se avessero acceso una luce o spalancato una finestra in una stanza buia.

«Santo cielo. Wanda.» Era Liam. Aveva ribaltato il letto scoprendo il mio nascondiglio, e adesso mi guardava con un'espressione di malcelato orrore in faccia, con la divisa annerita e i capelli castano dorato pieni di fuliggine. Inaspettatamente si chinò verso di me e mi abbracciò forte, facendomi premere il viso sulla sua spalla. L'aria era appesantita dalla polvere e dal fumo.

«Stai bene? Sei ferita?» mi chiese quando ci staccammo.

«No, io sto bene ma...» per qualche motivo avevo il fiatone e continuavo a sentirmi il cuore in gola. «Tu?»

«Anche io sto bene.»

«Cos'è successo?» chiesi.

«Credo di saperlo. E credo che lo sappia anche tu.» disse mentre si rialzava e mi dava una mano a fare lo stesso. Poi si ripulì la divisa, per quanto poteva, e si guardò intorno.

Vicino a dove pochi minuti prima si ergeva la porta c'era una piccola montagna di macerie mischiate a pezzi di vetro, da cui spuntava la mano di una delle guardie. Il corpo dell'altra era accasciato poco più in là, ma non era sepolto. Alla vista delle sue ferite e della posizione innaturale delle gambe percepii il sapore amaro della bile salirmi in bocca.

«Non può essere che siano stati Kyle e gli altri.» commentai dopo aver ricacciato indietro il conato di vomito. «Saremmo potuti morire anche noi.»

«Forse qualcosa è andato storto, allora.» ipotizzò Liam «Ma non c'è tempo. Dobbiamo andarcene da qui. Ora.»

Senza aggiungere altro Liam mi prese per mano, trascinandomi fuori di lì. La parte destra del corridoio era inagibile: si percorrevano solo alcuni metri prima di incappare in un cumulo di macerie che arrivava fino al soffitto. Doveva essere giunto da quella parte il bum. La parte sinistra invece era libera e si estendeva in un corridoio che si affacciava su altre stanze.

«Cosa stai facendo?» chiesi quando Liam si chinò vicino alla guardia non sepolta.

«Sto cercando qualcosa che potrebbe tornarci utile.» disse prima di tirare fuori da sotto un grumo di cemento un fucile. «Tipo questo.»

Alla vista dell'arma trasalii senza che lui se ne accorgesse. Passò a frugare nella divisa del cadavere, trovando una pistola.

«Prendila. Ti servirà.» disse quando me la porse. Fissai l'oggetto per qualche istante, rendendomi conto di quanto poco Liam mi conoscesse per non sapere quanto odiassi impugnare una di quelle cose, ma decisi di non fare troppe storie. La presi trattenendo la repulsione, e ricordandomi di come si comportava Ian quando usava la sua, la nascosi dietro la schiena, sotto la maglietta.

«Ci sono state altre due esplosioni, nel campo.» Liam parlava a bassa voce mentre camminavamo. «Poi si sono fermate. Non ho idea se ce ne saranno altre.»

«Dici che Drago è...?»

«No. Non lo so a dirla tutta.»

Pendevano fili scoperti dal soffitto, alcuni erano spezzati e producevano piccole scintille gialle, e tra la polvere e le macerie scoppiettavano delle innocue fiammelle in via d'estinzione. Le pareti erano annerite e in alcuni tratti smembrate. Il corridoio che percorrevamo si unì ad un altro, formando un incrocio. Fummo sul punto di passarci attraverso, quando i proiettili di qualche pistola iniziarono a rimbalzarci accanto, accompagnati da esclamazioni: «Eccoli! Eccoli!»

Con una prontezza che non pensavo avesse, Liam mi spinse in avanti, facendomi attraversare l'incrocio e planare indenne dall'altra parte. Lui invece rimase lì dov'era, inginocchiato all'angolo col fucile pronto per l'uso.

«Liam!» esclamai, raggomitolandomi accanto alla parete.

«Va' via, Wanda!» disse prima di affacciarsi per rispondere al fuoco.

«Non se ne parla!»

Per qualche ragione Liam assomigliava ad uno di quegli uomini super addestrati in grado di uccidere la gente in qualsiasi modo mentre prendeva la mira e sparava, tenendo gli occhi concentrati sul bersaglio. Non indossava giacca e cravatta costose come il tizio della copertina di un DVD che una volta Melanie mi aveva fatto vedere passando davanti ad un negozio di elettronica, ma l'aria decisa e minacciosa era la stessa.

«Wanda, bisogna che io rimanga qui a trattenerli, altrimenti non riusciremo mai a scappare. Qualcuno deve tenerli occupati.»

«Non posso andarmene senza di te, Liam.» la mia voce suonò stridula. «Se non dovessi tornare, io... Claire non...»

La frase rimase così, a metà, interrotta. Dopo aver finito i colpi in canna Liam tornò a nascondersi dietro il muro, puntandomi gli occhi addosso. Poi, in un istante infinitesimale che parve procedere al rallentatore, intanto che io avevo parlato lui si era gettato nel corridoio senza avere paura di essere colpito, era arrivato dalla mia parte e aveva premuto la mano libera sulla mia nuca per tirarmi a sé.

Mi baciò.

Il contatto mi colse di sorpresa, per cui in un primo momento rimasi immobile con gli occhi sbarrati e le braccia abbandonate lungo i fianchi. Liam fece scivolare la mano sul mio fianco e mi strinse più forte, facendo cozzare i nostri corpi. A quel punto la tensione nei muscoli scomparve, lasciando il posto ad un calore febbricitante che mi spinse ad allacciargli le braccia al collo e a ricambiare il bacio. Le sue labbra non erano morbide come quelle di Ian e anche il sapore non era lo stesso, era frizzante e sapeva di limone e sale.

Liam mi baciò come se non ci fosse stato tempo da perdere e ogni istante che passava dovesse essere assaporato a fondo. Mi baciò come se non avesse aspettato altro, come se non ci sarebbe più stata un'altra occasione.

Poi si staccò, lentamente, e il tempo intorno a noi ricominciò a scorrere normalmente. Trassi un respiro profondo, rendendomi conto di aver trattenuto il fiato, e guardai Liam costernata.

«Tornerò.» sussurrò allora lui, sorridendo.

Fissai il cerchio azzurro delle sue iridi, che brillava di una luce più forte di quella che ricordavo, poi mi accarezzò una guancia, sfiorandomi come se avesse avuto paura di farmi male.

«Adesso va'.» disse.

Annuii piano e senza farmelo ripetere un'altra volta mi tirai su e mi voltai verso il corridoio che avrei dovuto percorrere da sola. Anche se decisi di non girarmi a guardare Liam, seppi per certo che il suo sguardo continuò a seguirmi finché non svoltai l'angolo.



Ad un certo punto, dopo aver passato in rassegna tre porte di emergenza chiuse a chiave e aver preso direzioni un po' a caso, constatai di essermi persa. L'edificio non era così piccolo come sembrava, ma doveva pur esserci un'uscita, là dentro, lo sapevo, ne ero sicura, peccato che non mi stessi concentrando abbastanza per poter prendere sul serio la cosa. Ogni volta che chiudevo gli occhi, il nero dietro le palpebre diventava uno schermo in cui si proiettavano le immagini di Liam che mi baciava e mi sorrideva. La scena si ripeteva all'infinito, come un disco inceppato, poi vedevo me stessa ricambiare il bacio e mi sentivo sprofondare.

Una parte di me sapeva che Liam aveva sempre provato qualcosa, ma, a differenza dell'altra più superficiale e impulsiva, non aveva mai pensato che quel ''qualcosa'' potesse essere tanto importante. Molto probabilmente era perché in vita mia avevo sempre e solo visto Ian, che non mi ero accorta di Liam. Non c'era mai stato nessun altro in quel senso (a parte Jared, ma il mio amore per Jared era stato particolare).

E poi c'era Claire, c'erano i sentimenti di Liam per lei, c'erano le confidenze che lui stesso mi aveva raccontato riguardo la loro storia. Non poteva essere cambiato tutto, soprattutto ora che aveva scoperto di essere il padre di Rachel. Sarebbe dovuto essere felice di poter avere un legame così forte con la donna di cui era ancora innamorato, avrebbe dovuto considerare la loro bambina come pretesto per poter riaggiustare le cose.

Cosa avrei detto a Ian adesso?

Si avvicinarono delle voci. Riuscivo chiaramente a distinguerne due, entrambe provenienti dal fondo del corridoio, il quale si interrompeva lasciando il posto ad una scala.

C'era un che di familiare in quelle voci...

«Tutta questa storia mi ha stufato. Non vedo l'ora di trasferirmi da qualche altra parte. Lontano, molto lontano.»

«Ti stanchi facilmente, Nick. Pensavo che il divertimento dovesse ancora cominciare.»

«Tu non hai idea di quello che dici, novellino.» borbottò la prima voce, maschile come la seconda, con impazienza «Forza, sbrighiamoci. Prima troviamo la viaggiatrice meglio è.» aggiunse poco dopo.

Un suono molto simile a quello di una pistola che veniva caricata mi fece accapponare la pelle. Scorsi le ombre delle due anime sulle pareti e trasalendo impercettibilmente mi nascosti dietro lo stipite di una porta. La pistola dietro la schiena mi premette nella carne, come per ricordarmi della sua esistenza.

«Hai sentito?» sussurrò la seconda voce.

C'era qualcosa che non andava. Qualcosa di sbagliato, ma non riuscivo a capire perché. La riflessione durò solo per un istante, poi la mia mano scivolò lungo il legno fino a trovare la maniglia, ma quando l'abbassai la porta rimase chiusa.

Maledizione.

«Io vado di qua, okay?» disse il primo uomo. Lo sentii allontanarsi verso un'altra direzione, poi il rumore dei suoi passi scomparve. Non ci fu risposta al suo avviso, il silenzio diventò improvvisamente sovrano, nel corridoio.

Cessai di respirare e decisi di far scorrere la mano dalla maniglia alla pistola. Impugnai lentamente l'arma, pronta a premere il grilletto nel caso fosse servito... Poi la sagoma bianca del Cercatore mi si parò davanti.

Lanciai un urlo, tentando di puntargli la pistola contro, ma lui mi colpì abilmente il braccio e mi spinse per terra. La pistola volò qualche metro più in là, sul pavimento lucido.

Il Cercatore si avvicinò rapidamente e mi prese per una gamba quando si accorse che tentavo di raggiungere l'arma gattonando nella sua direzione, e mi tirò dalla parte opposta. Sentii le ossa scricchiolare.

Cercai di divincolarmi a forza di calci, ma nonostante tutto lui riuscì a tenermi testa. A quel punto smisi di allungare il braccio verso l'arma e mi voltai.

Fissai il suo viso, incredula, il sangue che defluiva tutto un tratto dal cervello.

«Jeb?»

Un brivido mi percorse la schiena.

Jeb era lì, davanti a me. Con la divisa da Cercatore addosso e una pistola munita di silenziatore nella mano libera. La barba era molto più corta e i capelli lunghi erano ordinatamente raccolti in una coda bassa, lucidi per il gel. Tutto in lui sarebbe potuto risultare familiare, tranne i cerchi azzurri nei suoi occhi. I suoi occhi che un tempo erano stati scuri, neri come la pece, e che ora erano chiarissimi e inquietanti.

Ecco perché avevo avuto una strana sensazione, prima. Avevo riconosciuto la sua voce.

«Jeb. Sono io.» dissi tremando. Jeb mi guardò, perplesso. «Sono Wanda.»

Immaginai che al mio nome sarebbe successo qualcosa, che magari mi avrebbe riconosciuta, ridestandosi dal suo stato confusionale, ma non accadde nulla. Jeb rimase una statua di granito, senza lasciar trapelare nessuna emozione.

«Non può essere...» Sentii salirmi un groppo in gola.

Jeb. Jeb che mi aveva trovata nel deserto con Melanie, Jeb che era stato il primo a fidarsi di me nelle grotte, che mi aveva protetta dagli altri, che mi aveva accolta come membro della sua famiglia. Lo stesso Jeb che mi aveva sempre guardata con affetto e fiducia, adesso non riusciva a far altro che lanciarmi sguardi sprezzanti e diffidenti.

«Non puoi non riconoscermi... Jeb.»

Il cuore mi batteva all'impazzata nel petto, le mani erano fredde e sudavano. Lui mi squadrò per un altro istante, poi si chinò e mi afferrò la gola. Il respiro mi si mozzò, rimanendomi bloccato in gola. Le unghie che graffiavano il dorso delle sue mani nel tentativo di allontanarle.

Non sta succedendo davvero, continuavo a ripetermi, senza trovare la forza per respingerlo. Non avevo mai voluto pensare che lui non fosse riuscito ad ingerire la pillola. Crederlo morto in quel modo era meno doloroso, meno difficile da sopportare. Ma vederlo così, con quegli occhi troppo diversi dai suoi e la voglia di uccidere in faccia, era mille volte peggio.

«Io ti conosco.» disse d'un tratto, con tono duro. «Tu sei la viaggiatrice.»

«Sì... sono io. Sono... Viandante, Wanda. Sono tua amica, Jeb, sono... dalla tua parte.»

La stretta sulla gola si allentò leggermente, giusto in tempo per evitare di farmi soffocare.

Jeb mi guardò per un lungo istante, sempre con distacco. «No.» inveì poco dopo. «Tu sei una traditrice. E devi essere uccisa.» C'era cattiveria nella sua voce.

«Jeb, no...»

Le lacrime iniziarono ad accumularsi negli occhi. Smisi di affondare le unghie nella sua pelle, abbandonando le braccia per terra, lungo i fianchi. «Ti prego, cerca di ricordare.»

«Sei solo una traditrice...» sibilava. Poi mi puntò la pistola sulla fronte e la caricò.

Trasalii, grattando fino a scorticarmi le mani sul pavimento. La crudele determinazione del suo viso mi mise paura.

Pensai a Melanie, a come aveva combattuto quando i Cercatori l'avevano inseguita, a cosa aveva provato quando aveva capito che non ce l'avrebbe fatta, e poi al suo atto estremo, giù da quella finestra. Aveva combattuto per proteggere Jamie, Jared, sapendo di non poter fare altro per salvarli. Quando avevo soggiornato nel suo corpo mi ero lasciata un po' influenzare da quel suo senso del dovere, dal suo coraggio. Immaginai Mel lì con me adesso, e mi chiesi che cosa avrebbe fatto lei al mio posto. Come si sarebbe comportata con l'uomo che di suo zio non aveva altro se non che i lineamenti.

«No.»

La mia voce uscì come un basso grugnito. Jeb mi osservò, interdetto, poi gli afferrai i polsi e facendo leva con le gambe inarcai la schiena e gli sferrai un calcio nella pancia. Lui schizzò indietro sgranando gli occhi per la sorpresa, e perse l'equilibrio. Cadde e lasciò la pistola, che volò per terra e scivolò sulle piastrelle fino alla ringhiera accanto alla scala. Penzolò per qualche istante, in bilico tra il vuoto e il pavimento, prima di sparire di sotto.

Mi tirai su e mi massaggiai la gola che pulsava dolorosamente, fissando Jeb che nel frattempo si era rialzato e tossiva. Nei suoi occhi scorsi un guizzo di rabbia, reso più concreto dai lineamenti tesi del volto.

Arretrai di qualche passo appena lo vidi sfilarsi un coltello da uno degli stivali e cominciare ad avanzare con un sorrisetto inquietante.

«Maledetta...» disse mentre si fiondava contro di me e io mi abbassavo all'istante per evitare la lama, muovendomi così velocemente da stupire anche me stessa. Jeb tentò un altro affondo, sferragliando il coltello dal basso per potermelo conficcare nel fianco. Mi mossi ancora un volta, agile come un gatto, ma stavolta lui mi fece lo sgambetto e caddi a terra. Il dolore che si scatenò improvvisamente sulla schiena mi tolse il fiato. Sentivo i punti affondarmi nella carne.

Jeb alzò sopra di me l'arma scintillante, ma io rotolai a destra: il coltello andò a conficcarsi nel punto in cui poco prima c'ero io, con un fragore metallico. Un fiotto di sollievo mi diede animo quando, nello schivare Jeb, scorsi la mia pistola a meno di un metro di distanza, nera e scintillante sotto le luci a neon del corridoio. Mi alzai e corsi verso di lei, udendo Jeb imprecare mentre mi veniva dietro e cercava di agguantarmi. Fui lì lì per chinarmi a prenderla quando lo sentii afferrarmi la maglietta e tirarmi verso di sé. Lanciò un grido di rabbia e mi spinse contro il muro. Un altro spasmo di dolore mi fece battere i denti, ma non gridai, trattenni le fitte e le ricacciai indietro. Poi Jeb alzò il coltello, mirando al petto. Io gli afferrai il polso con entrambe le mani e opposi resistenza. Aveva una gran forza, più di quanto mi fossi immaginata, ma la punta della lama rimase comunque bloccata a qualche centimetro di distanza dal mio sterno. Sia la mia che la sua mano tremavano per lo sforzo, io per resistere e lui per affondare.

«Tu sei meglio di così, Jeb.» dissi col fiato mozzato. «Lo sai.»

Il Cercatore rise. «Ti sbagli. Io sono così.»

«Non sto parlando con te.» sibilai. Lui inclinò il capo, interdetto. «So che ci sei ancora, Jeb. dentro, da qualche parte.» Fissai i suoi occhi, il cerchio azzurro che brillava come una fiamma indomabile. Il Cercatore mi guardò, freddo e stizzito, e serrò la mascella per poi spingere con più forza il coltello nella mia direzione. Un verso di sofferenza mi uscì dalla bocca quando dovetti aumentare la resistenza. La lama si avvicinò pericolosamente a me.

«Non c'è nessuno qui dentro, oltre a me.» rispose mentre sentivo il ferro gelido e affilato del coltello pungermi la pelle. Alla vista del rivolo di sangue che iniziava a colare lento dalla ferita, il Cercatore tornò a sfoderare quel suo sorriso pauroso, che Jeb, il vero Jeb, non sarebbe mai stato in grado di fare.

«Non ti credo.» sibilai prima di pestargli un piede con tutta la forza che avevo. Un ringhio di dolore uscì dalla sua bocca, la pressione sul coltello diminuì per un istante che mi diede la possibilità di resistergli con solo una mano. Ricordandomi di una delle lezioni impartitemi da Ian quando eravamo ancora nelle grotte, chiusi l'altra a pugno e gliela tirai in faccia. Le nocche protestarono quando gli colpirono le ossa della guancia e del naso, scricchiolando. Il Cercatore arretrò barcollando, gemette, e poi si coprì il viso con una mano.

«Ah...» borbottai io, scuotendo piano la mano dolorante, poi corsi via e raggiunsi il punto in cui era finita la mia pistola. La presi e quando mi voltai indietro scoprii che lui mi aveva inseguita, il viso sporco di sangue, ma non tanto velocemente da potermi cogliere di sorpresa.

Puntai la pistola verso di lui e mirai. Non al cuore, non al cuore, pensai mentre premevo il grilletto e il proiettile fendeva l'aria. Non ero mai stata brava a sparare, non ero mai stata brava con nessun tipo di arma, ma sperai che almeno per quella volta la fortuna fosse dalla mia parte. Non potevo uccidere Jeb, non l'avrei mai potuto fare, men che meno se ci fosse ancora stata la possibilità di riaverlo indietro.

Quando venne colpito il Cercatore gridò, afferrandosi la spalla sinistra. Sulla divisa iniziò a spandersi una chiazza rosso scuro.

«Mi dispiace.» dissi.

D'un tratto in fondo al corridoio si udirono delle voci. Non erano solo due o tre persone stavolta, ma molte, molte di più. Mi avvicinai di un passo al Cercatore. Sul viso sfregiato da graffi e lividi comparve una gioia malvagia. «Non hai scampo, viaggiatrice.» ghignò. Si reggeva in piedi stando appoggiato al muro che aveva alle spalle. La lotta gli aveva fatto sfuggire qualche ciocca di capello grigio dalla coda.

«Dimmi come posso uscire da qui.» gli ordinai.

Lui fece una risata strozzata. «Credi davvero che te lo direi?» Il tono sembrava quasi divertito ed era lo stesso che Jeb era solito usare con chi voleva fare il furbo con lui ma non ci riusciva.

«Credo che tu preferisca rimanere tutto intero.» dissi, alzando la pistola.

«Non avresti il coraggio di uccidermi.» dichiarò «Ho visto i suoi ricordi. Per quanto tu possa essere una Viandante coi fiocchi, la fragilità è uno dei tuoi tratti caratteristici. Insieme alla tua immensa compassione.»

Non è Jeb che sta parlando, pensai mentre trattenevo a stento il desiderio di dargli un altro pugno. Non devo starlo a sentire.

«La Viandante che conosci tu è diversa da quella che hai davanti.»

«Ah, sì?»

«Già. Perché la vecchia» spiegai «non farebbe mai una cosa del genere.» puntai la pistola, chiusi gli occhi per un istante. Poi sparai nella sua gamba. Il Cercatore gridò di nuovo e si accasciò a terra, strabuzzando gli occhi per la sorpresa. Le voci in lontananza si stavano avvicinando.

«L'uscita.» ripetei, controllando il tremolio della mia voce.

«Oltre quelle scale.» disse mentre stringeva i denti e si prendeva la gamba. Altro sangue stava macchiando il tessuto chiaro della sua divisa, saltando all'occhio insieme a quello colato per terra.

Trassi un respiro profondo e mi chinai su di lui. «Verrò a riprenderti, Jeb.» dissi prima di correre via, verso le scale.

L'ultima cosa che vidi mentre attraversavo i gradini furono le ombre degli altri Cercatori che raggiungevano il corridoio, e Jeb chino su di sé poco più in là.



Scese le due rampe di scale, mi ritrovai su un pianerottolo lungo e stretto il cui pavimento scuro si intonava perfettamente con le pareti grigio perla. A metà strada era stato posizionato un grosso vaso bianco – la pianta era una piccola palma molto verde – e poco più in là riversava per terra un quadro, molto probabilmente caduto a causa delle scosse provocate dalle bombe. Il soffitto presentava delle crepe piuttosto recenti e oltre il quadro c'era una porta sopra cui era affissa una scritta luminescente: USCITA DI EMERGENZA. Le scale che proseguivano verso il piano terra le erano accanto.

Da quello di sopra giunsero i chiari rumori dei Cercatori che scendevano. Camminai veloce verso la porta, sperando con tutto il cuore che non fosse l'ennesima chiusa a chiave. Abbassai la maniglia con forza e uscii, risucchiata dalla potente luce del giorno. Mi ritrovai su un balcone lungo quanto l'intera facciata, dalle piastrelle scolorite e la ringhiera in cemento. Il sole era alto nel cielo (forse era pomeriggio) e rendeva calda e afosa l'aria intorno. Il vento, che sapeva di sabbia e fumo, prese a sferzarmi i capelli appiccicati alla nuca, i raggi del sole a pizzicarmi gli occhi. Davanti a me, la distesa oro del deserto, all'orizzonte la grande muraglia dei canyon.

Poco più in là c'era il muro che barricava il campo e nient'altro. Sicuramente mi trovavo sul retro.

La porta si richiuse con un tonfo intanto che mi guardavo intorno e tentavo di trovare un'eventuale scala di emergenza o qualche altra uscita attraverso cui scappare. Ma là non c'era niente se non un tubo di rame più o meno spesso che si prolungava per tutta l'altezza dell'edificio, oltre il balcone, proseguendo verso il basso.

Attraverso la porta udii le voci dei Cercatori farsi sempre più vicine. Mi voltai e guardai la maniglia, aspettandomi di vederla abbassarsi da un momento all'altro, come in un film dell'orrore. L'attimo dopo scattò, ma chi stava dietro non ebbe il tempo di spalancarla, perché io mi ci buttai contro e feci pressione per poterla tenere chiusa.

«Ma che diavolo...» imprecò qualcuno al di là della porta.

«Che succede?» fece un altro che sembrava più lontano.

«Non... si... apre...»

I Cercatori spinsero un po' di più nel tentativo di conquistarsi qualche spanna.

«Oh, cavolo...» annaspai, premendo la schiena e la testa contro la porta a denti stretti.

«Fate fare a me.» grugnì la seconda voce. Per un attimo calò il silenzio, e la pressione che avevo sentito fino a quel momento si attenuò. Cogliendo l'occasione per potermi concentrare anche su altro, mi guardai di nuovo intorno, cercando qualcosa che potesse tenere bloccata la maniglia, un bastone, un tubo... Ma l'unico tubo che c'era era troppo spesso per potersi infilare tra la maniglia e la porta, e troppo lontano per riuscire a recuperarlo in tempo. Posai lo sguardo sui miei vestiti sporchi di sangue e polvere, sugli stivali consumati e la maglietta che si era strappata quando Jeb me l'aveva tirata. Dunque gli occhi scivolarono sulla pistola e...

Presi l'arma, la sfilai dai jeans e la misi subito nel buco tra la maniglia e la porta. Un secondo dopo qualcuno ci andò a sbattere con forza, io balzai indietro, osservandola tremare e sospirando quando rimase chiusa.

«Lurida puttanella!» esclamò la voce.

Bene, Wanda. Risolto un problema se ne crea un altro., borbottò in modo infelice una vocina nella mia testa.

«Wanda?» Qualcuno mi chiamò. La parola non giunse ovattata come potevano fare quelle dei Cercatori dietro la porta, ma nitida e... vicina. Confusa, mi affacciai al balcone e guardai di sotto. Per un attimo pensai di stare immaginando tutto, ma ero troppo sveglia e agitata per riuscire a sognare ad occhi aperti.

Lui era lì, incredulo, con una mano penzolante su un fianco e un'altra sopra la fronte a schernire i raggi del sole.

«Jared!» la gioia mi riempì il cuore, un sorriso di sollievo iniziò ad incresparmi le labbra «Oh, Jared, grazie al cielo!»

Sorrise anche lui. «Wanda! Che ci fai lassù?»

«Mi stanno inseguendo.»

Jared si guardò intorno. «Puoi scendere?» domandò, avvicinandosi di più.

«Dovrei, ma non so se ce la faccio. Di là c'è un tubo.»

Attraversai il balcone fino alla fine, Jared mi seguì da sotto. Da vicino il tubo era ancora più spesso e sembrava più resistente. Terminava non proprio in basso, in un modo che poco s'addiceva ad un tubo che si sarebbe dovuto effettivamente interrompere in quel punto. Sembrava rotto. E vecchio.

«Ce la puoi fare. Non è troppo alto.»

No, non ce la faccio. Non ce la faccio, non ce la faccio.

Respirai a fondo e scavalcai la balconata, scoprendo con mio grande sollievo di non soffrire le vertigini. Allungai un braccio verso il tubo, afferrandolo con non troppa sicurezza, poi fu la volta del piede. Quando mi lasciai andare per arrampicarmi col resto del corpo lanciai un urletto e chiusi gli occhi, sentendo le viti cigolare sotto la pressione del mio peso.

«Non agitarti, Wanda. Hai tutto il tempo per...» La porta improvvisamente si spalancò e ne uscì fuori un'orda di Cercatori. «Okay, scherzavo.» balbettò Jared.

Appena le anime mi notarono strabuzzarono gli occhi. «Eccola!» esclamarono «Prendiamola!»

Mi feci coraggio e scivolai giù per il tubo con Jared che mi aspettava di sotto. Quando fui abbastanza vicina mi aiutò a scendere e iniziammo a scappare, correndo sotto la pioggia di proiettili dei Cercatori.

Jared mi portò lontano dall'edificio, che da quella distanza sembrò essere un presidio di guardia, oltre la zona asfaltata. Lo osservai per bene, vedendo che parte del tetto era stato demolito e che la facciata frontale era per metà distrutta. Dietro l'edificio s'intravedevano alte lingue di fuoco intente a bruciare quel che ne restava di un caseggiato vicino.

Scavalcammo la recinzione di ferro che costeggiava la zona e atterrammo sullo sterrato, continuando la nostra corsa fino a che non trovammo una sporgenza dietro cui nasconderci.

«Cavolo...» Appoggiai una mano sul muro e trassi un respiro profondo. Jared si puntellò sulle ginocchia, ansante, poi alzò lo sguardo verso di me. Aveva anche lui il fiatone.

«C'è mancato poco...» bofonchiai.

«Già. Tu... tu stai bene?»

Annuii. «E tu?»

«Sì... sto bene.»

Jared si rimise dritto. Indossava una camicia a quadri sporca di sangue e dei pantaloni beige sgualciti. Aveva della terra nei capelli e in viso, dove un livido gli colorava di viola uno zigomo. Dal collo gli pendeva un fucile di medie dimensioni.

Jared mi guardò per un attimo, poi si aprì in un largo sorriso. «Vieni qui.» disse, e mi tirò verso di sé, abbracciandomi. Sapeva di terra e sudore.

«Abbiamo pensato che fossi morta.» annunciò, stringendomi un po' di più prima di lasciarmi andare. Gemetti appena per il bruciore che percepii sulla schiena nei punti in cui c'erano i graffi. Jared mi fissò allarmato. «Sei ferita?»

«No, va tutto bene.»

La sua premura mi fece tornare indietro di diversi mesi, a quando Melanie e io eravamo ancora nello stesso corpo e lui si preoccupava per noi come in quel momento stava facendo per me. Era la prima volta che si mostrava così apprensivo nonostante fossi solo io l'oggetto della sua attenzione.

«Come stanno gli altri? Melanie e...» domandai, ma Jared m'interruppe prima che concludessi la frase. «Stanno tutti bene.»

Sospirai di sollievo.

«Conviene spostarsi da qui. Non è un posto sicuro.» commentò dopo aver sbirciato oltre il muro. Impugnò il suo fucile.

«E dove andiamo?»

«Ian e gli altri stanno aspettando al furgone.»

Al nome di Ian, il cuore prese a battermi più veloce. Lui era là, da qualche parte, non molto lontano da noi, e ci stava aspettando. Lui e gli altri stavano tutti bene.

«Pronta?» domandò il ragazzo.

Mi diedi un'occhiata e per un secondo cercai d'istinto la pistola dietro la schiena. Ma ormai l'avevo persa e non rimanevo con nient'altro se non che coi miei vestiti sporchi e insanguinati. Insanguinati del mio sangue o di quello di qualcun altro. O di Jeb.

Al suo ricordo trasalii, ma non così rumorosamente da poter essere sentita da Jared. Ancora non me la sentivo di potergli raccontare di lui.

«Pronta.» risposi.



«Dove le avete trovate?»

Stavamo camminando lungo il confine, in modo da passare inosservati attraverso tutto il campo. Di tanto in tanto sentivamo i rombi dei motori che percorrevano la strada lentamente, come per scovare qualcosa in mezzo alle case dietro cui ci nascondevamo, allora ci fermavano e aspettavamo. Jared aveva l'aria di sapere dove andare e come orientarsi, e questo era un bene, dato il mio scarso senso dell'orientamento.

Nuvole di fumo volavano alte nel cielo, indicando la posizione esatta del presidio di guardia da cui ero fuggita.

«Che cosa?» chiese lui.

«Le bombe.» dissi, oltrepassando dei sacchi d'immondizia addossati al muro di un casolare, tanto numerosi da ostruire lo spazio tra la stessa e il confine. «Liam mi ha detto del piano.»

Jared parlò continuando a camminare e a guardare davanti a sé. «Dopo essere usciti dalle celle, Kyle ci ha portati in un magazzino. Era l'unico posto sicuro in cui potevamo nasconderci in quel momento. Lui non se n'era neanche accorto, delle bombe. Le ho scoperte io, per caso, e così ci è venuto in mente il piano. Aaron ne ha piazzate per tutta la zona, ma qualcosa è andato storto. Un ordigno è esploso per sbaglio innescando una reazione a catena che ne ha fatti saltare altri, ma è riuscito a interromperla.»

«Ah, ecco perché.» dissi mentre mi fermavo. «Aaron dovrebbe proprio sapere che c'è mancato davvero poco perc...»

Il silenzio del vicinato venne improvvisamente interrotto dalla suoneria di un cellulare. «Oh, porca...» Jared sobbalzò «È il mio, scusa.» disse, e lo tirò fuori dai pantaloni.

«L'ho trovata.» si affrettò a chiarire appena avviata la chiamata, voltandosi nella mia direzione. «Sì, è qui con me. Vi stiamo raggiungendo. Siete sempre lì, giusto?»

Un brusio oltre la comunicazione. Jared aprì la bocca per parlare e simultaneamente giunse il suono familiare dell'ennesima bomba che scoppiava, non molto lontano da noi. La terra tremò e in automatico sia io che lui ci abbassammo coprendoci la testa.

«Ragazzi, ma che diavolo succede?» sbraitò il mio amico con malcelata impazienza. Il mio orecchio riuscì a captare solo le parole ''Wanda'', ''tempo'' e ''maggiore''. Jared alzò gli occhi al cielo, poi lanciò un'occhiata oltre il muro dietro cui ci stavamo nascondendo. «Okay. Sentite, adesso devo andare. Ci vediamo tra poco.»

Il ragazzo interruppe la comunicazione e una volta riposto il telefono in tasca frugò nell'altra alla ricerca di qualcosa.

«Okay, ci sono dei Cercatori che stanno venendo nella nostra direzione. Le cose sono due: o ci facciamo scoprire subito e tentiamo una missione suicida, oppure continuiamo a camminare per altri venti metri e tentiamo una missione suicida tra cinque minuti.»

Sbattei le palpebre senza sapere bene cosa dire. Nel frattempo Jared aveva trovato ciò che cercava. «L'unico modo per raggiungere gli altri è uscire allo scoperto.» spiegò mentre mi porgeva un oggetto piccolo e lucido, un coltellino.

«Non è un gran che, ma potrebbe sempre servirti.» aggiunse davanti alla mia espressione non proprio convinta. «Stammi vicino, va bene?»

Jared caricò il fucile e mi riservò uno sguardo di incoraggiamento. Non aveva l'aria calma e sicura di chi sapeva bene come muoversi adesso, anzi in realtà era un po' teso, e il fatto che volesse infondermi coraggio sembrava un po' un controsenso.

Agguantai il coltellino e me lo rigirai tra le dita. «Ti copro le spalle.» risposi io, senza badare troppo al guizzo di sorpresa che gli attraversò gli occhi.

Jared mi diede le spalle e guardò oltre il muro. In un muto avviso, capii di doverlo seguire e iniziai a corrergli dietro a testa bassa. Per un momento intravidi il gruppo di Cercatori che, armati e non, si stavano riversando in strada dopo l'ennesima esplosione, bianchi nelle loro uniformi, in contrasto col nero delle pistole. In particolare, cinque si stavano dirigendo proprio verso di noi.

Corsi fino all'altro casolare, tornando nascosta insieme a Jared.

«Hai visto quanti sono?» dissi in un sussurro mentre mi guardavo alle spalle.

«Sì.»

«Come faremo ad affrontarli? Sono troppi per noi.»

Jared si voltò verso di me. La luce del sole metteva in mostra le ombre scure sotto gli occhi e la pelle sottile degli zigomi. Era come se avesse perso peso. «Più riusciamo ad avvicinarci senza essere visti, più sono alte le possibilità di tener loro testa. Non credo che i ragazzi esiteranno a coprirci mentre cerchiamo di raggiungerli.»

Corrugai la fronte. «Quale sarebbe il piano esattamente? Voglio dire... una volta riuniti con gli altri che facciamo?»

«Ridurre in cenere questo posto, tornare a casa, riprenderci la nostra vita. Non penso sia una cosa che stiamo cercando di ottenere per la prima volta.» C'era un che di ironico nel suo tono, come se l'idea di avere sempre a che fare con tutto questo lo mettesse di buon umore.

Stetti per ribattere, ma un rumore non identificato giunse dietro di me. Jared spalancò gli occhi e puntò il fucile oltre la mia spalla. Partirono due colpi e quando mi girai giunsi a vedere in tempo uno dei Cercatori che si faceva scivolare l'arma di mano prima di cadere per terra, morto.

«Sono qui!» gridò allora un altro, che stava poco più in là rispetto al collega. Da qualche parte risuonò una specie di allarme e senza accorgermene mi ritrovai ad essere trascinata via da Jared. Corsi e mi diressi verso la strada principale con a fianco lui che sparava, colpendo la sentinella sul tetto di una casa o ancora quella nascosta dietro una jeep. Trovammo un Cercatore riversato per strada. C'era una pistola vicino al suo corpo: decisi di prenderla, così mi abbassai e lasciai che Jared mi anticipasse nell'arrivare dietro un cumulo di sacchi di sabbia. Raccattai la pistola evitando di guardare il viso imbrattato di sangue dell'uomo.

«Wanda! Corri!» gridò nel frattempo Jared appena si accorse che ero rimasta indietro.

«Arrivo!»

Mi tirai su. Mentre raggiungevo il mio amico proiettili e schegge colluttavano col terreno e contro le case stesse, come ad una grande festa dove tutti giocavano con le pistole ad acqua senza curarsi di prendere bene la mira. Jared mi coprì e non appena fui abbastanza vicina allungò una mano verso di me. Io l'afferrai d'istinto e lui mi tirò nella sua direzione.

In quel momento qualcosa di piccolo e incandescente mi sfiorò il braccio, come un fiammifero acceso, e la sensazione si acuì quando mi ritrovai sbalzata per terra. Mi presi il braccio e un verso mi uscì dalle labbra quando riconobbi sulla pelle la consistenza viscida del sangue.

«Maledizione.» biascicai, stringendo i denti. Una pallottola mi aveva sfiorato ma senza penetrarmi, procurandomi un lungo taglio orizzontale.

«Wanda.» Jared si precipitò da me inginocchiandomisi accanto. «Ti hanno...»

Il ragazzo non ebbe il tempo di finire la frase. Un Cercatore apparse dietro il muro puntandoci contro un'arma, allora io, colta dall'istinto, scattai per prendere la pistola che era troppo lontana. Quindi chiamai Jared, che però non si voltò tempestivamente verso l'uomo. Per un attimo il tempo sembrò sospendersi, dilatarsi.

Un furgone apparve dal nulla fermandosi oltre le spalle del Cercatore. Poi un uomo armato, sbucato dal retro, lo colpì nella schiena.

«Presto, ragazzi, venite!»

Quando riconobbi il suo viso non riuscii davvero a crederci, nemmeno mentre Jared sorrideva e mi aiutava ad alzarmi.

«Kyle!» esclamò sollevato.

«Su, forza! Non c'è tempo da perdere.»

Kyle ci fece segno di raggiungerlo e noi ubbidimmo. Ero così felice di vederlo che per un attimo mi dimenticai del dolore al braccio. Quando ci avvicinammo al furgone e incrociò il mio sguardo sorrise affettuosamente, porgendomi una mano per aiutarmi a salire sul retro.

«Finalmente ci rivediamo.» disse mentre io gliela afferravo. «Già.» io sorrisi di rimando.

Appena entrai nell'abitacolo il caldo afoso scomparve, sostituito da una leggera frescura. Così mi accorsi di lui.

Una massa arruffata di capelli neri più lunghi del solito, un naso aquilino reso imperfetto da una gobba quasi invisibile, il tatuaggio che recitava Hic et nunc sull'avambraccio. Appena fui dentro si girò di scatto nella mia direzione e quando si accorse di me un guizzo di incredulità gli attraversò gli occhi azzurri.

«Ian.» mormorai.

Quante volte mi ero sognata quel momento, quanti giorni avevo sperato di poterlo vivere davvero. Quante notti avevo pensato a tutto quello che mi sarei potuta perdere se non fossi riuscita a scappare. Alla vita, alle albe e ai tramonti che non avrei più potuto trascorrere con lui. Alle carezze, ai baci e ai sussurri che ci sarebbero potuti essere.

Un secondo dopo Ian si era alzato dalla panchina e mi aveva circondato con le sue braccia, premendomi una mano sulla schiena e un'altra sulla nuca. Io avevo stretto il tessuto della sua maglietta, avevo tuffato il viso nella sua spalla e annusato e toccato il suo corpo come per potermi assicurare che fosse vero, senza accorgermi nemmeno delle lacrime che avevano iniziato a rigarmi le guance.

«Sei qui...» sussurrai ad occhi chiusi.

«Sono qui.»

Ian aveva la voce incrinata, il respiro corto. Percepivo il suo cuore battere forte contro il mio petto, il suono più bello che potessi sentire in quella giornata. È reale.

«Sei venuto a prendermi.»

Lui si scostò per guardarmi negli occhi. L'intensità del suo sguardo mi fece stringere lo stomaco. Era bello anche con un taglio sul sopracciglio e terra e sudore addosso.

«Ho fatto una promessa. Non potevo permettermi di non mantenerla.» disse mentre l'ombra di un sorriso iniziava a incurvargli le labbra screpolate.

Allora mi avvicinai di nuovo a lui e chiudendo ancora una volta gli occhi premetti la bocca contro la sua, in un bacio urgente e dolce al tempo stesso, un bacio che spiegava ogni parola non detta, che appagava ogni nostalgia inespressa.

È reale.



Spazio autore:


Eccomi ritornata! In grinta ed entusiasta, felice di essere riuscita a scrivere questo capitolo dopo tutti questi mesi di assenza. Ci ho lavorato su tanto, volevo che tutto fosse perfetto, come avevo pianificato, così ho voluto prendermi qualche tempo in più per riflettere ed elaborarlo bene. Non so se sono riuscita nel mio intento, se sono stata all'altezza delle vostre aspettative. Io lo spero con tutto il cuore, anche perché ci ho messo davvero tutta me stessa :)

Tra l'altro ho voluto scrivere più del solito perché sapevo che in qualche modo avrei dovuto ricambiare i mesi di silenzio con qualcosa di sostanzioso e cospicuo, che potesse saziare la fame che avete patito durante l'attesa insomma ahahah. Così ecco questo capitolo, lungo e pieno di eventi. A cominciare dal primo, quello che sicuramente molti di voi sospettavano che ci sarebbe potuto essere: il bacio tra Liam e Wanda. Ho pensato che tra questi due le cose non potessero proprio andare diversamente, era evidente che avevo fatto in modo che tra loro nascesse qualcosa, un sentimento di solidarietà, un'intesa, e che inevitabilmente uno dei due finisse per andare oltre tale sentimento. Quindi eccovi qui questo bacio, un po' sorprendete se vi ricordo che Wanda lo ha ricambiato.

Cosa pensate possa succedere adesso? Come si comporterà Wanda con Ian? Come andrà a finire?

E poi segue la sorpresa delle sorprese, l'incubo che Wanda non avrebbe mai voluto che si avverasse: Jeb è diventato un ospite. Uno shock, una cosa impensabile, però è successo e adesso bisogna farci i conti. Wanda lo dirà agli altri? Salverà Jeb?

Infine l'arrivo di Jared e l'incontro – desiderato disperatamente – con Ian. So di aver tranciato un po' l'ultima parte, ma purtroppo era necessario farlo perché altrimenti mi sarei dilungata troppo. Per confortarvi però, vi dico che non salterò questa scena e che nel prossimo capitolo ripartirò direttamente da qui.

Ma che mi dite dei personaggi che non sono comparsi? Liam, Drago, che fine pensate abbiamo fatto? Sono vivi o sono morti?

Aspetto le vostre risposte!

A presto,

Sha :*

   
 
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