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Autore: Ledy Leggy    22/11/2015    1 recensioni
Un incontro piuttosto strano per una normale giornata di lavoro.
Lì per lì pensai che fosse il genere di persone che si vedono due volte nella vita e poi spariscono per sempre, perciò vissi tranquillamente la settimana, senza farmi tanti problemi e continuando a vendere biglietti aerei, o per crociere e a organizzare mega viaggi di gruppo di quelli a cui di solito partecipano i vecchi, in località non troppo lontane da casa né troppo costose.
Non potevo certo prevedere che sarebbero successe tutte quelle cose in seguito.
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Undercover Mission

Capitolo 1

 

 

 

Ci sono giorni in cui il limite tra mare e cielo è netto come una riga di pennarello su un foglio di un bambino. In quelle giornate ti ritrovi a pensare che niente può andare storto.

Altre volte quella stessa linea di orizzonte sparisce del tutto, confusa, e non sai più dove inizia il cielo e dove finisce il mare. Quelle sono le giornate che non sopporto.

Ma piuttosto una bella tempesta, no? Dico io.

Almeno lì si distingue il mare dal cielo, per quanto burrascosi possano essere entrambi.

Quel giorno, quello che avrei sempre ricordato e segnato sul calendario, era come un giorno di nebbia: altamente confuso e indeciso.

Era partito peggio che mai, ma finì con una sfumatura lievemente più felice, come se stesse assicurando che il giorno seguente la linea che separa mare e cielo sarebbe stata nuovamente netta e visibile.

Mi svegliai nettamente col piede sbagliato.

La sveglia non suonò quella mattina, perciò mi alzai alle sette e cinquanta.

Dovevo essere al bar alle otto.

Corsi in bagno e non so come riuscii ad uscire di casa alle sette e cinquantacinque, ovviamente senza trucco, vestita alla bene e meglio e a mala pena pettinata (guardandomi nello specchio dell'ascensore).

"Ciao Nancy!" Mi salutò il fruttivendolo davanti a casa, che tutte le mattine mi vedeva correre per andare a lavoro, perennemente in ritardo.

Lo salutai con un cenno, giusto per non risultare scortese, anche perché non ricordavo affatto il suo nome.

Arrivai al bar alle otto e zero due. Ero veramente fiera di me stessa, considerato che dodici minuti prima ero ancora a letto.

Maledii la sveglia con trasporto e salutai Jennifer, la mia collega preferita, che stava già servendo da un'ora.

"Come stai?" Mi chiese mentre mi passava accanto con un vassoio pieno di brioche.

"La sveglia non ha suonato." Risposi mentre portavo due caffè. Poi presi le ordinazioni di due signori seduti al tavolo fuori. "Ho un diavolo per capello." Dissi incrociandola di nuovo mentre tornavo al bancone. "E tanti capelli." Aggiunsi quando anche lei ebbe tempo di fermarsi al bancone per un po'.

Passammo le prime due ore della mattinata così, scambiando frasi sconnesse mentre portavamo caffè e brioches ai clienti, prendevamo ordinazioni e portavamo conti ai clienti.

Ci riuscimmo a fermare un attimo solo dopo le dieci e mezza, quando ormai i clienti che volevano fare colazione diminuivano prima di far arrivare quelli alla ricerca di un pranzo, seguiti a loro volta da quelli alla ricerca di una bottiglia d'acqua o un gelato del pomeriggio tardi.

"Come è andata la settimana?" Mi chiese Jennifer quando riuscimmo a sederci.

Già. Perché lavoravo al bar solo nel fine settimana, per arrotondare lo stipendio. Il resto della settimana lavoravo in un'agenzia di viaggi.

"Tremenda. È precipitato un aereo e per poco non ci restavano tutti secchi, per fortuna il pilota ha avuto la presenza d'animo di riatterrare subito in un campo. Adesso non venderemo più biglietti di quella compagnia aerea per un bel po'." Raccontai.

"Quanti clienti avevate su quel volo?" Ecco la mia Jennifer. Aveva il terrore degli aerei, non gliene importava niente di tutte le cose che le raccontavo, ma faceva comunque finta che le interessasse.

"Solo uno, grazie al cielo." Rispondo con un lieve sorriso.

"Cameriera! Lavora o sta dormendo?" Sbraitò in quel momento una voce da un tavolo.

Mi alzai con calma e mi diressi sorridendo verso il tavolo.

"Desidera?" Chiesi gentilmente.

"Due caffè ed una bottiglia d'acqua." Rispose l'uomo indicando se stesso e l'uomo che sedeva di fronte a lui. Non avevano proprio l'aria raccomandabile, forse perché il primo era quasi troppo brutto e il secondo troppo bello, ma decisi di non farli innervosire troppo.

"Donne." Sbuffò quello brutto non appena mi girai.

Giornata sbagliata per provocarmi.

Cambiai idea in meno di mezzo secondo.

"Se ha qualche problema con le donne cambi bar, fa un favore a se stesso e a me." Sbottai girandomi verso di lui.

Jennifer alzò lo sguardo dalla cassa, dove stava facendo il conto dei soldi e mi guardò preoccupata.

"Io non ho nessun problema con le donne, soprattutto se sono belle come te, tesoro." Ghignò l'uomo di fronte, quello bello, che non aveva ancora parlato.

Mi fissò intensamente, gli occhi dorati che mi trapassavano da parte a parte.

Gli occhi presi da soli potevano sembrare quasi dolci, ma messi insieme a quel ghigno sadico sembravano fuori tema.

"Se ci vuoi provare con qualcuno c'è un nightclub dietro l'angolo." Sorrisi mentre tornavo al bancone.

Ero piuttosto fiera delle mie risposte.

Jennifer mi batté il cinque sotto al bancone e poi mi indicò il cartellino sotto al bancone con la scritta rossa: Sorridi ai Clienti!

E non avevo sorriso io?

Lo so, faccio schifo come cameriera, ma odio quando gli uomini ti trattano con superiorità, come se loro fossero degli dei.

Portai i caffè al tavolo e glieli sbattei davanti con poca grazia, sempre sorridendo ovviamente.

Non mi lasciai di certo turbare dalle loro risatine. Beh veramente un po' sì, ma non lo diedi per niente a vedere, cosa di cui vado estremamente fiera.

Tornando al mio paragone col mare, che adesso mi sembra estremamente senza senso, direi che in effetti l'inizio di quella giornata fu più burrascoso che nebbioso.

Beh anche il pomeriggio se è per questo, considerato che piovette così forte che vennero giù le tegole di metà dei tetti della città.

Niente di esagerato per carità, ma quando mi vidi piovere una tegola due metri più avanti mi presi un bello spavento e decisi di aspettare che spiovesse in una libreria lì vicino.

Avevo appena terminato la mia magnifica giornata di lavoro, caffè, tè, bottigliette d'acqua, gelati... noiose come poche giornate, soprattutto perché il cliente abituale della domenica, quello col cappellino rosso che si fermava a parlare un po' al bancone, non era venuto.

Oh, e c'erano stati anche i clienti maleducati. Che però avevano pagato senza fare storie, anche quando avevo detto loro che un euro di mancia lo potevano anche lasciare.

Jennifer si stava soffocando dalle risate sotto al bancone, ma visto che poi avevano lasciato anche la mancia e io avevo vinto la scommessa, aveva smesso di ridere e mi aveva offerto, imbronciata, un bel gelatone con vaniglia e biscotto. E poi se ne era preso uno anche lei per consolarsi.

Non eravamo molto attente alla nostra dieta, no.

Insomma, ero chiusa nella libreria ad aspettare che spiovesse, una bruttissima giornata alle spalle e il pensiero della cena che continuava a farmi venire l'acquolina in bocca (avevo da scaldare le lasagne che erano avanzate a Danny, il mio vicino di casa).

Perciò, quando un uomo che riconoscevo anche piuttosto bene mi venne a sbattere addosso, non ci vidi più.

"Ma che cavolo ha al posto degli occhi?" Sbottai in faccia all'uomo.

Era esattamente lo stesso uomo del bar, quello con gli occhi dorati.

Esattamente come quella mattina, indossava un berretto nero che nascondeva quasi tutti i capelli a parte qualche ciocca bionda che usciva disordinata, dei jeans sbiaditi e una maglietta scura, con sopra un giacchetto di pelle.

"Scusi." Rispose lui distratto.

Sgranai gli occhi. Uno che la mattina parlava alle donne a quel modo non sembrava né il tipo da libreria, né il tipo che chiede scusa.

Lasciai perdere e tornai a guardare il cielo, nella speranza che la pioggia diminuisse un po'.

"Bella pioggia eh?" Mi chiese poco dopo lo stesso uomo ripassandomi accanto.

Cavoli che persecuzione.

Annuii distrattamente.

"Vuole un passaggio?" Chiese poi.

Lo guardai bene in faccia. Adesso non aveva nessun ghigno sadico, sembrava una semplicissima persona, per quanto bello potesse essere, che passava da una libreria che non si sa perché era ancora aperta a quell'ora della domenica sera.

"No, grazie. Soprattutto dopo stamattina." Ribattei piccata.

Nessuno si ricorda delle cameriere, questo ormai l'ho imparato, ma mi aveva detto che ero una bella donna, no?

Okay, il tono era un po' volgare, ma che memoria da pesce rosso aveva?

"Stamattina?" Chiese lui incerto.

Sembrò riflettere per un po', mentre io continuavo a guardare il cielo.

"Oh, sei la cameriera dalla battuta pronta." Ridacchiò lui.

Improvvisamente il suo sguardo cambiò e si fece più malizioso.

"Niente passaggio? Sicura?" Chiese con il suo ghigno sadico, tornato improvvisamente in faccia.

"Grazie, vado a piedi." Dichiarai uscendo dalla libreria, un diavolo per capello (ancora, sì).

Uscii sotto la pioggia a testa alta e tornai a casa. Era una fortuna che non mi fossi truccata quella mattina, altrimenti avrei anche avuto il trucco che colava negli occhi. Invece mi accontentai di borsa, capelli, scarpe, calzini e mutande completamente fradici.

Tanto fradici che quando entrai in casa lasciai una bella pozza d'acqua in terra davanti alla porta.

E dove sarà la sfumatura più felice? Chiederanno i pochi di voi che si ricordano ancora del mio bello e insensato paragone col mare. Beh, per la prima volta avevo visto la faccia dolce dell'uomo dagli occhi dorati e dai capelli biondi sotto al berretto nero. Quei pochi istanti tra l'urto e lo 'scusi', il mio antipatico cliente era stato gentile con me.

Anche se quando arrivai a casa ero decisamente convinta che fosse un tipo che soffriva di sdoppiamento di personalità, piuttosto che un attore. Il che può solo significare che è un grande attore, su questo non c'è dubbio.

 

Lì per lì pensai che fosse il genere di persone che si vedono due volte nella vita e poi spariscono per sempre, perciò vissi tranquillamente la settimana, senza farmi tanti problemi e continuando a vendere biglietti aerei, o per crociere e a organizzare mega viaggi di gruppo di quelli a cui di solito partecipano i vecchi, in località non troppo lontane da casa né troppo costose.

Giorno nuovo, vita nuova. Mi ripeto tutte le mattine.

Ma penso che come incoraggiamento sia rivolto più al mio umore che al mio stile di vita, perché continuo tranquillamente ad andare in ufficio tutti i giorni tranne il venerdì (il mio giorno libero) e ad andare al bar nei fine settimana.

Il mio umore invece cambia radicalmente di giorno in giorno, e in certi giorni del mese - lascio a voi intuire quali - addirittura di ora in ora. Che in effetti porterebbe qualcuno a pensare che sono un po' lunatica.

Perciò provate a immaginare quanto fui contenta quando rividi i clienti antipatici entrare nel bar anche il sabato dopo, soprattutto contando che erano i miei giorni del mese, quei pochi giorni in cui rispondevo grugnendo a tutti, compresa mia madre al telefono, e in cui una singola cosa fuori posto poteva o farmi incazzare o lasciarmi totalmente indifferente a seconda di come mi girava.

In quel momento ero piuttosto impegnata nel trattenermi dall'urlare addosso a Megan, la mia collega meno preferita, perché aveva messo un cd con squallide canzoncine d'amore che suonavano tutte infinitamente uguali e lunghe, per riuscire a trattenermi dal ringhiare addosso agli uomini antipatici che, dopo essersi seduti al solito tavolino, mi avevano chiamato con un poco garbato: "Ehi bellezza. Portaci due caffè qui."

Stavolta ignorai totalmente il Sorridi ai Clienti! Passai subito alla fase Stai pronta a buttare tutti fuori a calci e preparai i caffè in fretta.

Glieli sbattei davanti al naso con grazia ancora minore della volta precendente.

"Bellezza lo dici a qualcun altro." Ringhiai al biondo, che stavo iniziando a considerare una persecuzione. "E il per favore è stato inventato per un motivo." Sbottai rivolta al secondo uomo, quello ancora meno raccomandabile. Perché se il primo (il biondino dagli occhi dorati) era un bel tipo, muscoloso e atletico, il secondo era decisamente un gorilla.

"Grazie." Disse il biondino con tono ironico.

"Prego." Sibilai io, ancora più ironica di lui.

Quando poi si alzarono per pagare mi defilai in bagno per far finta di sistemare il trucco (che non avevo messo in un attacco di pigrizia acuta) e lasciai Megan a cinguettare il prezzo ai due tipi loschi.

Una scena molto simile si verificò l'indomani, la domenica, quando i due tipi entrarono nel bar accompagnati da un terzo tipo losco.

Per fortuna quel giorno c'era Jennifer insieme a me, e mi trattenne dal fare pazzie come mettergli il sale nel caffè (per esperienza personale so quanto faccia schifo) o annacquargli la tazza di latte che avevano chiesto per il terzo tipo losco.

Quando arrivarono a pagare però restai stupita. Il biondino venne verso la cassa, e io non feci in tempo a cedere il posto a Jennifer perché stavo ancora sistemando i soldi di un altro cliente.

"Nancy, giusto?" Esordì il biondino. "Il conto per favore."

"Come sai il mio nome?" Chiesi sbalordita. Ci tenevo molto alla privacy, gli altri sapevano sempre e solo quello che io volevo che sapessero su di me.

"La tua collega me l'ha detto ieri." Sorrise lui. "Ne aveva il diritto?" Chiese poco dopo.

Sarei stata pronta a scommettere che aveva fatto una scommessa con i suoi amici sulla mia reazione, perché li vidi fissarci insistemente e ridere tra di loro.

Frase contorta, lo so. Ma era un bel modo per dirlo.

"Megan imparerà che ha solo il diritto di farsi gli affari proprio da ora in poi. Sono sette euro." Borbottai innervosita.

Presi i soldi che mi tendeva il biondino e iniziai a contarli mentre li mettevo nella cassa.

"Ehi biondino! Ci sono tre dollari in più." Dissi alzando lo sguardo.

Il biondino stava già uscendo dal negozio dietro agli altri tipi loschi.

Ridacchiò quando sentì il suo nuovo soprannome.

"È la mancia." Disse subito prima di uscire chiudendosi la porta alle spalle.

Infilai i soldi nel barattolo delle mance e passai il pomeriggio a sbuffare con me stessa e con Jennifer, finché lei non ne ebbe abbastanza e decise di lasciarmi da sola a brontolare contro il mondo perché osava ruotare.

Il problema principale era che avevo pensato che il biondino l'avrei visto solo due volte nella vita, mentre ero già arrivata a quattro.

Mi calmai solo quando Nathan, il cliente abituale della domenica col berretto rosso, entrò nel bar e si sedette al bancone.

"Ehi Nathan! Il solito?" Chiesi sorridendo.

"Sì, grazie Nancy." Rispose lui sorridendo a sua volta.

Ecco, lui è proprio un ragazzo per bene. Di quelli che dicono grazie, per favore, prego e arrivederci.

E non ti apostrofano con donna, bellezza e tesoro.

"Sbaglio o dicevi qualcosa contro il mondo che ruota?" Chiese Nathan mentre sorseggiava il suo solito 'un caffè come ti pare'.

Uhm... l'avevo davvero detto ad alta voce.

"Solo clienti antipatici nella giornata sbagliata." Minimizzai agitando una mano come a scacciare una mosca.

"Come sempre per te." Concluse Nathan finendo contemporaneamente il suo caffè.

Bravo ragazzo, mi conosceva bene.

Uscì poco dopo, col solito dolcetto che gli regalavamo perché fino al giorno dopo si sciupava.

 




 




 

Ciao a tutti!!

Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto, anche perché questa è una storia alla quale tengo molto.

Aspetto le vostre recensioni, positive o negative che siano.

A presto con il prossimo capitolo.

Ledy Leggy

  
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