CAP 2 - Aspettando il mattino: sotto il canto della
pioggia
Prima della
lettura….
vi chiedo
innanzitutto scusa per
questo ritardo biblico ( di cui vi spiegherò le cause a fine
lettura ) XD
rivelandovi immediatamente che il capitolo 2 è lunghissimo (
supera la cento
pagine ) e l’ho articolato in 4 parti che , nonostante siano
connesse da una
metafora e un tema comuni, mostreranno diversi e importanti episodi del
passato
dei nostri due protagonisti e naturalmente la situazione politica della
Francia
prima della Guerra dei Sette Anni.
Ho cercato di essere
verosimile ma non ho assolutamente
pretese da storica perché questo è un romanzo ed
è dunque un’opera di fantasia.
Vi
lascio alle
vicissitudini dei personaggi che ho ripreso dodici anni dopo il 1743
anno della
drammatica battaglia di Dettingen in
Baviera durante la guerra di Successione Austriaca…
“
mi ridomando, vorrei sapere,
se
un giorno
sarò meno stanco, se le
illusioni
siano le
antiche speranze della salvezza;
o se nel mio
corpo vile io soffra naturalmente
la sorte di ogni
altro, non volgare
letteratura ma
vita che si piega al suo vertice,
senza né più
virtù né giovinezza.
Potremo avere
domani una vita più semplice?
Ha un fine il
nostro subire il presente? “
(
G. Giudici)
***
Ouverture***
Settembre1752
Versailles,
Parigi
Chiudere
gli occhi non sarebbe servito a nulla.
Conosceva
alla perfezione il ruolo di letale rilievo che ricopriva fin da bambino.
In qualunque stagione,
da un soffitto altissimo, pendeva
una spada legata a un fragile crine di
cavallo.
Si
specchiava vanitosamente carnefice sulla superficie della sua corona,
pronta a
tagliarlo in due.
Nonostante
quel mattino il sole dispensasse calda freschezza e allettasse con
l’opportunità di
passeggiare per i
giardini della reggia in compagnia delle amate figlie, era semplice
scardinare schemi
d’ illusorie spensieratezze.
- Se
gli esseri viventi vogliono la sopravvivenza in questo mondo
imprevedibile, è
necessario che adeguino
il proprio corpo
in funzione dei mutamenti che incombono tra la terra e il cielo.
- Continuo
ad avere l’impressione, caro Ministro, che si tratti di
procurare tumori a un
organismo efficiente.
- Maestà,
valutate attentamente a chi elargite lealtà.
Potrebbe essere dannoso nutrire ottimistica fiducia verso
la Prussia che
maschera pusillanimità e
ignavia
con prudenza e pace.
Tra
le pareti bollate di gigli dorati del suo gabinetto, Luigi XV si
pentiva ancora
una volta di aver ricevuto l’ambasciatore Wenzel Anton von
Kaunitz*.
- Non
sarebbe dannoso porgere la mano all’aquila degli Asburgo
disposta a strapparci
l’intero braccio?
- La
mia regina, Maria Teresa, non sta chiedendo
dissanguamento ma sincero appoggio verso un progetto volto a
ripristinare
quest’equilibrio in procinto di logoramento.
Il
re fissava dall’alto e di sbieco il messo elegante dal viso
mitemente ovale e
dal naso prominente… Quei suoi occhietti chiari , che
sormontavano lievi e
rigonfie borse, trasmettevano l’espressione flemmatica dei
segugi che solo
all’apparenza sbadigliano mentre già hanno fiutato
da un pezzo la preda da ghermire.
- Conte
Von Kaunitz. Non è mio dovere accondiscendere i capricci di
una dinastia che ha
contribuito a decretare la rovina della Francia!
La
lunga parrucca di riccioli argentei rendeva
al nobile un’aurea fastidiosamente
inoppugnabile.
- Il
trattato di Aquisgrana sta già
per
essere obliato, vostra Altezza . Dopo le guerre Polacche non
è bastato il
riconoscimento della Prammatica Sanzione a garantire la saldezza del
nostro
Stato. La Slesia appartiene all’Austria da più
duecento anni, rappresenta uno
dei nostri più importanti sostentamenti economici e la
Prussia ha abusato
illecitamente di una facoltà che non le spetta.
- Spiacente
Ministro. Le vostre dispute testamentarie
non m’interessano.
Il
sovrano passeggiava con nervosa calma davanti alla sua massiccia
scrivania
ramata. Era robusto, proporzionato, possedeva lineamenti rotondi e
severi
infiammati da occhi
scurissimi che si
armonizzavano col colore gelido della
parrucca militare…tuttavia si rendeva conto di trovarsi in
una posizione di
vana asimmetria perché ,
malgrado si
ergesse in piedi, il principe austriaco
sedeva su una poltrona rococò fingendo
rispettosa umiltà e pilotando il gioco.
Da
quasi due anni perorava le proprie cause attraverso un eloquio paziente
,
dall’accento tedesco mendacemente buffo che si mostrava in
realtà durissimo.
- Oh…-
sospirò lui recitando ingenuità – Vi
faccio presente che re Federico sta
osservando interessanti patteggiamenti tra la Russia e
l’Inghilterra.
- Non
mi stupisco che Hohenzollern tenga d’occhio
l’Hannover che è la terra d’origine
di Giorgio I…E’ normale che quei maledetti
britannici cerchino il supporto dei
russi che a loro volta temono i prussiani…
- Riflettete,
Maestà. Re Federico, dotato di encomiabile istinto paterno
verso la sua terra,
guarderebbe serenamente una cintura anglo-russa che rischierebbe di
soffocarlo?
Von
Kaunitz protese il busto, socchiudendo lo sguardo e inarcando le
sopracciglia
gravide di docile canzonatura:
- Trovate
auspicabile l’eventualità di un accordo con re
Giorgio?
Nonostante
fosse ancora distante dalla vecchiaia, Luigi avvertiva il peso dei
quarantadue
anni. Non si era dimenticato della pericolosa malattia che
l’aveva debilitato
durante la guerra di successione austriaca. Partito
da Versailles , nel 1744, si era messo alla
testa delle sue truppe che stavano combattendo contro
l’Austria, l’Inghilterra
e l’Hannover…Mentre visitava le Fiandre venne
colpito da una bronchite che gli
fece rischiare la vita e , dopo
la
guarigione, tornato a Parigi, il popolo e l’esercito gli
esibirono una così
immensa venerazione da soprannominarlo
“ benamato”
….un epiteto mai da tradire
e rinnegare.
- Le
vostre sono formulazioni ipotetiche – affermò egli- e non possiedono alcun
fondamento accertato.
L’austriaco
si alzò con calma per licenziarsi ma artigliò,
cortese e poderoso, lo sguardo
dell' interlocutore.
- Maestà…
io sono prudente. Vedo lontano. Le ipotesi partono da fatti percepibili
e non
potete negare che le flotte inglesi considerino le vostre trame
commerciali
nelle Americhe alquanto scomode.
Il
re tacque sentendosi le viscere ardere al pensiero degli stendardi
anglosassoni
che svolazzavano su alberi maestri di torvi velieri.
- L’Austria
– proseguì il Conte-
non ha mai osato e
non oserebbe cancellare dalle mappe le vostre rotte mercantili che vi
danno
nutrimento, luce e salvezza…Con permesso, sire,
mi congedo.
Il
sovrano guardò Von Kaunitz
inchinarsi
deferente sfumando uno sfregiante sorriso sulle labbra.
La
regina Maria Teresa, donna pericolosamente intelligente, si era avvalsa
di un
diplomatico altrettanto pericolosamente intelligente…
Una
spietata aritmetica che non lasciava spazio a nessuna vecchia e solida
convinzione.
*** §***
La
Guerra di successione austriaca, che aveva scosso l’Europa
nella prima metà del
XVIII sec, si concluse con il trattato di Aquisgrana nel 1748
sottoscritto tra le
potenze protagoniste
degli scontri.
Gli
accordi avevano premiato , tuttavia, soltanto il Regno Sardo e la
Prussia.
Quest’ultima infatti vide Federico
II di
Hohenzollern confermare il possesso della Slesia a danno
dell’Austria.
L’Imperatrice
Maria Teresa , profondamente insoddisfatta, non accettò il
sacrificio di una
regione che dal 1526 apparteneva agli Asburgo e costituiva una parte
dei
proventi economici grazie alle risorse minerarie e carbonifere. Il
semplice
riconoscimento della Prammatica sanzione, dopo le Guerre Polacche* (
1738) non
aveva compensato adeguatamente
quella perdita territoriale.
Il
quadro delle alleanze delineatosi durante le trattative di Aquisgrana
stava per
essere ribaltato a causa degli esclusivi interessi territoriali dei
sovrani : Francia
e Prussia da un lato ; Austria, Inghilterra e Russia
dall’altro , vacillarono
pericolosamente.
Federico
II , sentendosi minacciato dagli accordi tra l’ Inghilterra
che controllava
l’Hannover ( terra natia di Re Giorgio) e
la Russia desiderò evitare possibili attriti
iniziando trattative diplomatiche.
Maria
Teresa, invece, prese a tessere una serie di ardue negoziazioni con
Luigi XV in
perenne lotta contro il Regno Britannico.
I
successi commerciali della Francia nel Mediterraneo, in India, nelle
Antille e
nell’America Spagnola avevano procurato grave allarme.
Nonostante la borghesia
inglese fosse più forte, i francesi potevano contare
sull’alleanza di molte tribù
indiane dell'’America Settentrionale e
dei minori costi degli schiavi in Africa .
Entrambi
i Regni erano accecati dalla sete di conquista per
l’incontaminata Valle dell'Ohio
e il territorio dell'Acadia . Quest’ultimo, finita della
guerra di successione
Austriaca , venne ceduto dalla Francia
alla
Gran Bretagna che v’insediò nuovi coloni e insediamenti.
I
francesi costruirono forti lungo il confine incitando gli indiani a
compiere scorrerie
a sfavore delle comunità antagoniste.
Nel
1754 cominciarono le Guerre
Franco-indiane che
ebbero come
maggiore palcoscenico l'Ohio. Qui il colonnello George Washington fu
incaricato
dal governatore della Virginia di porre testa ai distaccamenti francesi
che
avevano eretto una temibile base difensiva in Pennsylvania…
Fort
Duquense era la pervicace brama d’ egemonia su fiumi ,
foreste e terre ormai contaminati
da un ‘ irrimediabile insonnia che
non concedeva più virginea floridezza.
***§***
2
Attendendo il mattino:
sotto il canto della
pioggia.
Giugno
1754
Fort Duquense,
Pennsylvania
Le
estati sbalzavano così nella Pennsylvania: il caldo
intorbidiva il cielo
limpido per poi catramarlo di nubi temporalesche. Il sole
s’ingrossava
nell’azzurro salmastro e poi si tumefaceva tacitando nella
cenere.
La
base di Fort Duquense era tatuata lì, nel verde pietroso
della bassa
vegetazione palustre. Una roccaforte a forma di stella quadrata a sei
punte…Un
tempio esoterico situato alla confluenza di due serpi che arruffavano
le squame
azzurrognole ai tremiti del vento.
Gli
affluenti Monongahela e Allegheny , vedendo da sinistra e destra,
carezzavano il
fortilizio formando il grande fiume Ohio, divenuto ormai vena
trasportatrice di
globuli-merci e notizie infiammate. .
- Quel
colonnello da quattro soldi sta firmando la sua condanna.
- Succede
quando si vogliono promuovere i dilettanti d’avventura.
Dindwiddie si è dato la
zappa sui piedi.
- Il
governatore della Virginia non sarà stato efficacemente cauto, capitano
Pécaudy , ma Washington e
suoi luridi selvaggi sono responsabili del massacro di mio fratello e
di nostri
quindici uomini mandati per una missione diplomatica.
Tutti
stimavano quei condottieri dalla
scorza
di ruvide frane pronte a incamerare qualsiasi acquazzone.
All’interno
del Quartiere dei Comandanti , i veterani Claude-Pierre
Pécaudy*, signor di
Contrecoeur , e Louis Coulon de Villiers* avevano convocato un
consiglio di
guerra assieme due ufficiali francesi .
Si
trovavano attorno ad un tavolo di legno su cui era stata stesa una
mappa della
Valle dell'Ohio che veniva valutata
tra
buie attestazioni .
- Sono
davvero raccapricciato, comandante de Villiers. –
continuò gravemente Pécaudy -
Io e le mie truppe
siamo riusciti a sgomberare
questa roccaforte dagli inglesi
dell'’ufficiale Ward senza spreco di risorse.
Non appena sono stato messo al corrente che Washington
potesse essere
nei paraggi dei nostri territori, ho inviato il maggiore Joseph de
Jumoville per
intercettarlo e ingiungerlo di ritirarsi ma a quanto pare le buone
maniere hanno
fallito…Dai racconti di uno dei nostri
canadesi sopravvissuti e specialmente da un indiano disertore
è risultato che
sono stati gli inglesi ad aver sparato per primi anche
se…inseguito ad un’altra
indagine…
- Sì,
capitano! - impallidì de Vielliers di una rabbia che
riusciva a far sanguinare
dentro senza lanciarla fuori - i
virginiani si sono uniti al saccheggio assieme a quei cani irochesi!
Contrecoeur
cercò di alleggerire tristemente i tratti quadrati del volto
anche se sapeva
che il trauma subito dal collega era un baratro dal fondale
lontanissimo.
- Vi
assicuro che la morte di vostro fratello ha atterrato
tutti…la sua doveva
essere solo una delegazione pacifica.
Louis
Coulon poggiò i palmi delle mani sul tavolo,
pressando le clavicole quasi avesse un freddo
febbricitante.
Piegò
il capo alla stregua di un toro ferito che si stava preparando a
diluviare tornado
.
- Ogni
missione è pericolosa, capitano. Me ne rendo conto. Nessuno
di noi ha profeti o
è profeta. e…Joseph…Joseph sapeva che
bisogna sempre tenere gli occhi aperti.
Siamo militari e ora dobbiamo pensare
a Fort
Necessity e annientare
questi dannati americani.
Avanzò
uno dei due generali francesi, un uomo di trentaquattro anni , di
statura
elevata, dai lineamenti belli e vigorosi che celava sotto
l’acidula solennità una
tristezza tuonante. Per sua fortuna nessuno riusciva a immergere le mani in quegli appuntiti occhi
blu dove le onde di
una burrasca cuocevano snervate da tempo. Lo sguardo , che brillava
d’umidità
fuligginosa, incuteva
rispetto verso i
subordinati mentre la parrucca scura militare inspessiva
un’intimidatoria inviolabilità
che non lasciava fibre di nuda carne.
François
Augustin Renyer de Jarjayes aveva percorso una dura strada per
risollevarsi e
tornare ai vertici della carriera. Indossava l’uniforme degli
alti ufficiali :
giacca blu con il colletto e gli orli delle maniche rossi, un panciotto
dorato,
una pesante cintura grigia, pantaloni chiari e lunghe ghette di cuoio
nero.
- La
situazione ci è favorevole – confermò
adusto - Washington ha eretto un
fortilizio nel mezzo di una pianura alluvionale piuttosto scomoda per
sferrare
attacchi efficaci. Crede di poter condurre il suo contingente
verso….. e combattere
frontalmente ma si è messo in trappola da solo.
A
completare il quadro della situazione , intervenne l’altro
colonnello.
Aveva
una corporatura alta ed energica, occhi marroni nei quali
scoppiettava un fuoco di afflitta allegria, lentiggini cosparse come
tanti semi
di grano arso sulle guance e una capigliatura rosso cupo assonnata
sulle
spalle. Sapeva essere gioviale e flessibile nei momenti di
serenità ma
serissimo nelle strategie.
- Alcuni
miei uomini- riportò Blaise Enrique Rochebrune - hanno
riferito che sta
Washington finendo addirittura di ergere le ultime palizzate e di
scavare
altre trincee. Il terreno
è instabile per i corpi di
fanteria e rischieremmo di passare in una situazione svantaggiosa,
nonostante
gli americani siano mediocremente preparati. Stanno tentando di creare
una
difesa destabilizzante.
- A
essere destabilizzato è Washington –
obiettò François - La nostra artiglieria
è
molto potente e possiamo colpirlo da lontano.
- Esattamente
– riprese il comandante de Vielliers indicando la cartina -
Fort Necessity è
circondata da boschi e le nostre truppe si divideranno in quattro
gruppi e si
nasconderanno tra gli alberi – Prese quattro segnacoli
quadrati e li dispose in
differenti posizioni - Di questi tempi si possono scatenare temporali
estivi, e
noi saremo eventualmente al
riparo
evitando di bagnare la polvere da sparo. La mia divisione
attaccherà
frontalmente da sud, la vostra de Jarjayes si disporrà a
ovest , Rochebrune, voi
starete a est e gli
alleati uroni a
nord.
- Una disposizione
a tenaglia - esaminò
Blaise - La semplicità
è la migliore soluzione per ridurre il più
possibile il numero di feriti e
vittime. Abbiamo in tutto cinquecento francesi e cento wyandot.
Dobbiamo
spiegare a questi ultimi la nostra strategia sui campi
d’addestramento. È gente
pratica e abile….preferisce provare nell’
immediato le prove.
- Non resta
che stabilire un sistema coordinante di segnali tra le milizie francesi
e
canadesi –
puntualizzò François – Ci
occorrerà almeno una settimana di preparazione.
- Bene.
– concluse Pécaudy – Allora potrete partirete da qui questo
ventotto giugno per
raggiungere Great Meadows.
De
Vielliers si pietrificò per un breve istante, vibrato da un
altro terremoto che
restò sottopelle a succhiare corrosivamente i nervi.
- Sì,
capitano – disse schiacciando i tremiti delle mandibole -
Anche se non troverò
mai veramente pace, preferisco realizzare questo straccio di punizione e riposare come ghiaccio.
-
Non
temete – lo rassicurò il comandante canadese
posandogli una mano sulla spalla -
Abbiamo valenti
soldati e soprattutto
due eccellenti ufficiali di Parigi. Il duca
Adrien Maurice di Noailles * non ha mandato due
incompetenti. So che
avete faticato molto, signori ma è con
l’adattamento alle intemperie che si
fortificano le ossa.
François
e Blaise promisero decisi:
- Non
vi deluderemo.
Pécaudy fece portare nel piccolo
ufficio cinque
boccali di birra fresca, luci di cagliatura dorata nel bel mezzo dei
riflessi
umidicci del pomeriggio plumbeo.
- Allo
spirito di Joseph che verrà vendicato e alla corona di
Francia!
Gli
uomini sollevarono i pesanti
calici
verso la lanterna del soffitto che vaporizzava palpiti di rosso lavico.
***§***
Il
sole era erotto dalle nubi bagnato e tremulo, effondendo un alone
giallognolo
che rendeva mucosi i pochi sprazzi azzurri che si sbottonavano.
Fuori
il fortilizio, poco distanti dall’affluente Monongahela,
François e Blaise si
stavano concedendo un attimo di calma grigiastra per redigere il
ragguaglio
degli eventi.
- Scommetto
che con l’assassinio di Joseph Coulon abbiano voluto impedire
eventuali
trattative diplomatiche tra Luigi XV e Giorgio II .
- Non
è da escludere, François. Molti commerci vogliono
sfruttare a meglio le animosità.
Basta che pensi a queste ingarbugliate alleanze con gli indigeni.
Avranno
vissuto e vivono con la natura ma non sono così differenti
da noi per la sete
territoriale.
Gli
scontri contro i canadesi e i francesi si
rivelavano inevitabili e molte volte accadevano
episodi di violente imboscate. Diverse tribù di
irochesi si erano
alleate coi britannici per tentare di rivendicare possedimenti e
distruggere
antichi nemici.
- Ho
visto molti uomini feriti orribilmente e uccisi Blaise e ti assicuro che quella
carneficina è
stato
uno degli spettacoli più abominevoli in assoluto.
- E
dire che il comandante ha voluto vedere con i propri occhi il cadavere
del
fratello.
- Era…talmente
dilaniato che ho stentato a riconoscerlo. Non sono riuscito a dormire
per un
sacco di giorni. È passato quasi un mese ma sembra ieri.
- Il
comandante sta sempre sveglio. È preda
dell'’insonnia e i medici tentano di
somministrarli della valeriana. Ormai la rabbia , la tristezza e la
disperazione lo nutrono più del cibo.
Tra
una giornata ronzante di zanzare assolate e un’uggiosa e
appiccicaticcia ,
François credeva di inspirare un miasma dolciastro di sangue
sgarbugliato nella
polvere.
Quando
lui e un contingente di canadesi erano andati ad appurare la
testimonianza del
canadese fuggiasco, avevano avuto dinanzi gli occhi, sotto le penombre
di
quella selva maledetta, la prova del massacro.
I
quindici morti vennero trovati penosamente
nudi e scotennati tali
e quali a bambole
di pezza scaraventate alla rinfusa da un bambino adirato. La
decomposizione
stava già iniziando a compiere la sua viscida opera di
logoramento e gli insetti
formavano una corteccia brulicante. Uno degli sventurati era stato
decapitato e
la sua testa impalata ad un bastone appuntito mentre
Joseph Coulon giaceva prono col cranio
spaccato te la materia cerebrale, ormai
irriconoscibilmente marcita, si
snodava
sul terriccio, un festone zuppo
di fango
ed erbaccia.
- Generale.
L’ufficiale
venne ripescato dalla cisterna delle memorie.
Si
voltò alle proprie spalle e socchiuse gli occhi un
po’ confuso riconoscendo un
volto famigliare...
Troppo
famigliare...
La
stessa carnagione, lo stesso colore dei capelli e degli occhi...
Lo
stesso sorriso d’incendio...
Di
nuovo lui?
- Etienne!
Il
giovane arcuò le sopracciglia sorpreso:
- Cosa
signore?
Il
generale si scrollò il cappello come si stesse togliendo
della pungente brina
dalla testa.
Mise
a fuoco il soldato che l’aveva interpellato snebbiando le
lenti opacizzate
della mente.
Era
un abenachi, un pellerossa appartenente a una di quelle
tribù che vivevano
sulle coste del Canada.
Aveva trent’anni, un corpo
di statura
slanciata e nerbi aitanti : né troppo acerbo e ancora
estraneo al decadimento.
Possedeva un volto affusolato, appesantito da un naso tendenzialmente
aquilino; le labbra
erano morbide e
mostravano denti di un
bruciante biancore.
Gli occhi nerissimi
splendevano d’intelligenza e affabilità e il derma
duro ed elegante si
accordava assieme alla chioma corvina in parte legata da due trecce
laterali e
in parte lasciata indomita.
- Nootau
– disse François riprendendo il tono arenario
– hai , dunque, portato le tue truppe
sui campi di addestramento?
- Sì,
Generale. Miei guerrieri aspettano di conoscere nuovo piano
d’assalto.
-
Bene.
Io e il maggiore Rochebrune, vi raggiungeremo tra qualche minuto. Il
vostro
aiuto sarà molto importante per completare al meglio la
nostra operazione
contro gli americani.
- Voi
non temete. Miei uomini sanno usare polvere di fuoco.
Il
guerriero fece un cenno rispettoso e si accomiatò
dirigendosi verso i campi
d’addestramento.
Le
trattative di coalizione con il suo clan erano riuscite grazie a lui
che fin
dalla pubertà, a contatto con i colonizzatori
d’oltre oceano, aveva imparato un po’
di francese sviluppando un
notevole senso diplomatico. François, lasciando stupiti i
soldati, gli era
diventato quasi amichevole sempre preservando il proprio status di
europeo giacché l’etnocentrismo è un virus
genetico che appartiene ad ogni
civiltà soprattutto a quelle “ evolute”.
- Speriamo
che gli uroni*
continuino a comportarsi
ragionevolmente – borbottò schiarendosi la gola
– non possiamo sapere con
certezza di quali intrugli sia fatto il cervello dei selvaggi.
Blaise
lo fissò in silenzio e
poi notò che
assunse un’espressione smarrita e ventosa.
Capendo
perfettamente quell’aria annegata e svolazzante fece:
- Nootau
somiglia molto a Etienne.
L’amico
sospirò disperdendo una pallida ombra
di assenso.
Non
era stato facile contrattare con i nativi che portavano piume tra le
chiome
lunghe, mefistofelici amuleti, strani abbigliamenti di pelle conciata,
credenze
di spiriti enigmatici...Rappresentavano veramente un’altra
dimensione che
conosceva una natura di caccia, rituali e sopravvivenza di rude
solennità.
François, come gli altri militari, aveva pensato che quegli
uomini , dai visi
terrosi e dai linguaggi cavernosi , fossero esseri regressi e lontani
dalla
vera realtà...Eppure mai si sarebbe aspettato di trovare
dall’altra parte del
pianeta una persona che potesse reincarnare
una parte di famiglia.
- Sì,
purtroppo. Anche io come de Vielliers vorrei diventare un ghiaccio in
mezzo
agli incubi.
Si
allontanò bruscamente dalla sponda ripiombando nel mutismo
scrosciante d’acqua
plumbea e rami secchi .
Si
tastò lo sterno quasi fosse un gesto di poco conto per
aggiustarsi il gilet.
In
realtà sotto le stoffe nascondeva una medaglietta di fine
oro prezioso che
rappresentava la Santa Vergine Maria.
Apparteneva
alla moglie fin da bambina ma lei gliela aveva regalata prima della
partenza
per l’America…
Gliel’aveva
regalata nonostante lui avesse litigato e lasciato nella sua villa
valanghe
irrisolte che ostruivano parecchi passaggi di luce.
“
Judith…so che non sono
stato il migliore dei mariti in questi ultimi anni…avrei
dovuto baciarti molti
minuti prima di salutarti a Le Heavre. Non sono riuscito a farlo ma ti
prego…aiutami….continua
ad aiutarmi. Ti ho
sempre promesso che ,
qualunque cosa possa capitare, continueremo insieme.
C’è la morte dappertutto
che separa e l’unica
madonna che conosco sei tu… L’unico
sogno che mi resta per davvero. “
***§***
Cimitero
di Saint Paul de Champs, Parigi
Un’altra
piccola croce di
fiori bianchi.
La quinta
testimonianza di
una voce smorzata nell’appestata tenebra polmonare.
Pareva
l’ultimo pezzo
prezioso di un’opaca collezione esangue di farfalle mai
cresciute.
Era
la settima volta in
quel mese che Judith, accompagnata da François, visitava la
tomba di Josephine ,
stroncata a cinque anni da una violenta bronchite.
Dopo il funerale,
avvenuto
alla fine dello scorso febbraio, la donna si recava al cimitero in una
compulsiva e tacita incredulità
per
capire se stesse viaggiando in uno
sconfinato incubo oppure no.
Cercava
di credere che
fosse un errore assurdo, che era impossibile che anche la sua ultima
bambina si
trovasse lontano da lei e dal marito in un mondo deforme e
inaccessibile…
Non poteva dormire
sottoterra, tra segnacoli di marmo rugginoso e ossa sconquassate
dall’oblio, se
il suo posto era nella cameretta accanto a
quella dei genitori….
Una
febbre si poteva curare
e quella cavità digeriva lenta e inesorabile solo una cassa vuota.
Prima che avesse
potuto
vedere i necrofori deporre il corpicino della figlia nella bara, era
svenuta
tra le braccia raggelate di François.
Josephine portava
ancora la
camicetta da notte ricamata e la cuffia coi merletti che lasciava
zampillare teneramente
i suoi riccioli castani.
Quella che era stata
riposta nel feretro ligneo doveva essere una bambola di porcellana
biancastra
che le somigliava tanto.
- Cos’è
Judith? Ancora non ti svegli? – la
interpellò con arida ruvidezza il marito.
La donna lo guardò in
silenzio sentendosi forare il petto dal vento freddo dei suoi occhi
blu…
Voleva trovare un
conforto
sanguinante ma almeno caldo nell’uomo che amava e con il
quale stavano
condividendo il desiderio disperato di allargare la famiglia.
Da molto tempo lui
era desertificato
da un dolore che mangiava le
lacrime prima che potessero scorticare il viso. Ormai
s’isolava in una notte
cavernosa piena di coltri nevose.
- L-la
nostra Josephine – balbettò la
moglie – ci aspetta a casa, vero? In questi giorni si
sarà nascosta sotto il
suo letto, per non farci vedere che ha la febbre…non vuole
dare preoccupazioni
ma noi la guariremo…
Il
Conte socchiuse le
palpebre quasi volesse filtrale e depurare quell’ aria
primaverile che cercava
di artigliargli il
pianto assopito negli
occhi.
- Josephine
– rispose roco - è sotto quella
croce.
- Dio…non
può commettere ancora una cosa
simile…
L’uomo
deglutì avvertendo
le pareti della gola che si sfregavano infiammandosi.
- Judith.
Nostra figlia è solo un corpo
vuoto in una cassa vuota. Una vuotezza dentro
l’altra…un nulla che è finito in
una buca che produce altro nulla.
- E'
così allora?! Consideri ciò che abbiamo
messo al mondo una vuotezza?
Lo sposo le si
accostò al
viso per chiuderle col proprio afflato ogni
poro di pelle che osasse respirare malsana
speranza.
- Dare
nomi e battesimi basta per ritenere
vite, anime che durano un battito di ciglia?Femmine malate che muoiono
subito!
L’unico miserabile progresso è stata
Josephine…Gran bella consolazione!
Judith,
all’improvviso si
paralizzò smorta e allucinata .
Lesse avidamente
sulle
lapidi i nomi delle
sue bambine per
cercare di sentire in bocca un minimo sapore di delicatezza…
Danielle…Madelene…Orthénse…Josephine…
Una dolcezza che
lasciava
spazio a una cruenta insipidità…un retrogusto
orribile d’irrealtà
come se quelle piccine non fossero
esistite.
François
era stato
atrocemente sincero…
L’essenza
di quei nomi
aveva avuto una luce talmente breve da essersi rivelarsi illogica.
La prima, morta per
aborto
spontaneo, non aveva nome…Le due gemelle Danielle e Madelene
erano decedute al
quarto mese di vita per una complicazione cardiaca mentre
Orthènse , affetta da
spina bifida, spirò
a due anni.
Una successione di
tragici quadri che
luccicavano d’ironia assassina.
Judith
sentì i nervi
frantumarsi e piombò
in ginocchio
sull’erba, gonfiando la pesante
gonna scura del vestito che appassì le pieghe simile ad un
fiore moribondo. .
Pianse squarciata
fin nelle
vene coprendosi il viso con le mani, solleticate da ciocche isteriche
di
capelli che si scompigliavano dalla crocchia.
- Ognuna
di quelle creature malate mi è
cresciuta nel ventre!- esclamò arrochita di singulti - È
insensato sentire le loro anime parte di me? Ho sbagliato?! Ho sbagliato a far crescere
ciò che abbiamo
fatto insieme?!
François
, straziato da
quei gemiti, sollevò
la moglie alla maniera di una condannata che stava per essere
condotta in una cella buia
e appestata.
- Judith!
-
la scosse - forza! Andiamocene!
La donna lo respinse
con adirato
panico svincolandosi
dalla soffocante
stretta.
Tornò
chinata vicino alle
figlie.
Il conte la
ghermì per un
braccio e la rialzò sbattendole a momenti il
viso contro il suo.
- È
inutile ! - sibilò - Hai capito? Basta.
La
trascinò via ma lei si
scostò ancora una volta bruscamente. Chiudendosi nella sua
mantellina di lana.
- Riesco
a camminare anche da sola.
I due uscirono dal
cimitero, uno accanto all’altra senza sfiorarsi,
guardarsi….
Le
loro ombre, separate da
uno strinante raggio di sole., erano sagome di nomadi che incedevano su
vie
diverse annaffiate da una pioggia
che defluiva
tra respiri fatiscenti e parole mai consumate .
- Non
trovi che queste violette siano splendide
?
Judith
tornò al presente illuminata gentilmente dalla voce di
Oriane.
Sentì
di nuovo l’asprigno e soffice odore dei boccioli sulle tombe
e la
presenza accalorante della sorella maggiore…
Il
sole del tardo pomeriggio avvampava di riflessi miele le foglie degli
alberi
che diventavano trasparenti , mostrando le vetrose venature sottopelle.
-
Sì…
hai avuto una bella
idea, Oriane. Il
bianco dei gigli e dei crisantemi è lucente ma è
troppo infreddolito…le tonalità
delle violette sono pietre preziose e donano un po’ di linfa
colorata.
- Questi
fiori sono bellissimi eppure nascondono la loro purezza tra
l’erba alta,
crescono silenziosamente senza pretese, senza farsi notare e poi ,
quando vengono
raccolti, colmano il cuore di un profumo serale e
gioioso…Tali sono le speranze
nei momenti più oscuri. Sbocciano lentamente e magari uno
non se ne accorge.
Judith
si chinò ad accarezzare delicatamente un fiore indaco che
abbassò la corolla
come un uccellino timido.
- Ricordo
che a Josephine piaceva tanto quando raccontavo che davanti la casa
delle
Madonna, dopo l’annunciazione di Gabriele, erano spuntate
tante belle violette.
Oriane
le posò affettuosamente la mano sulla spalla.
- Tutte
le tue bambine desidereranno che tu faccia sbocciare le
viole… hai ancora tanti
anni da vivere anche se so che questa lunghezza che ti si protrae verso
un
orizzonte invisibile crea paura.
- È
così…Dopo ciò che è
successo , alcune volte credo di non riuscire ad alzarmi
dalla cenere…è sempre come se avessi addosso
detriti inamovibili. E
François…François è in
America nel momento in cui ho bisogno di parlargli…di
riunirmi a lui…tornare all’origine del nostro
legame.
La
contessa tacque un breve attimo e , scrollando la testa con amara
ironia, riprese:
- Ma alla
fin fine il nostro matrimonio pare un microcosmo smarrito, una bolla
trasparente
che galleggia pallidissima fra gli enormi trambusti del
mondo…François ha dovuto
risollevare le nostre finanze proponendosi per una missione militare
d’oltreoceano…E infatti è stato
convocato il novembre dell’anno scorso dallo
stato maggiore per il Canada. Non ha esitato a partire…dalle
lettere che mi
manda non mi ha ancora riferito con precisione quando
tornerà in Francia…forse
addirittura il prossimo anno. Non sai che dolore, Oriane. Peggio della
battaglia in Baviera.
La
sorella sospirò ma sorrise ardente e seriosa.
Era
una donna avvenente di trentacinque anni, dai lisci capelli color
caffè che
emanavano un odore liquido e dissetante. Portava due trecce laterali
che
salivano sul capo per legare una parte della chioma che lasciava liberi
dei
ciuffi alla moda greca. I tratti del viso erano vellutati ma
più quadrati
rispetto a quelli affusolati di Judith…le sopracciglia scure
erano spesse e gli
occhi brillanti possedevano striature grigio cupo e argento mentre la
bocca
pulsava decisa e vermiglia sulla carnagione rosea e chiara.
- Come
mi racconti sempre, Judith, tuo marito è un militare ed
è ancorato a un
assillante senso del dovere ma sa che non può vivere privato
di un rifugio
sicuro…un rifugio che non è soltanto
un’accomodante quotidianità. Tu sei sua
moglie e non puoi essere calma monotonia. Voi due mandate avanti
assieme la
casa ma concepite diversamente il dolore …più che
altro modi di agire che vi
hanno portato a prendere le distanze l’uno
dall’altra. François ti sarà potuto
apparire incomprensibile e arido…Con la testa accaldata, mi
avrebbe fatto
infuriare e quando leggevo le tue lettere ci restavo
male…tuttavia credo di
aver capito che lui erige una diga poiché porta
l’acqua di un fiume immenso che
se non riesce a controllare rischia di devastare tutto…Tuo
marito non vuole
travolgerti con le sue sofferenze.
- Stando
in silenzio, Oriane , lo ha fatto comunque. È dannatamente
orgoglioso e testardo,
ha paura che aprendosi cada in un baratro. Non mi vuole mostrare le
lacrime!
Non capisce che sono disposta ad accogliere qualunque suo
tormento! Ci siamo
conosciuti, abbiamo avuto la fortuna di sposarci
liberamente…Lui all’inizio si
era messo in gioco criticando se stesso e ora…negli ultimi
anni…ha fatto passi
indietro mentre io mi ponevo avanti.
Oriane
inarcò con inquisitrice ironia le sopracciglia, storcendo di
lato la bocca in
un’arricciatura teneramente superba.
- Ne
sei sicura?
- Ho
dato e sto dando tutta l’anima a François.
- Non
ne dubito, sorella, ma…anche tu cammini
all’indietro come tuo marito…Hai paura
di tirare fuori veramente le armi. Non puoi vivere di triste
diplomazia…Un
dialogo è fatto anche di scontri, persuadere
l’avversario per portarlo sulle
tue stesse teorie.
Judith
aggrottò la fronte tentando di arrestare le sentenze
dell’avversaria:
- Ma
non posso cambiare l’indole di François!
L’ho sempre saputo che ha un carattere
particolare…
L’altra
donna le picchiettò una
guancia, allo
stesso modo di quando era ragazzina e la scrollava con dispettosa
amabilità dai
piagnistei e dalle paure del buio.
- È
proprio perché non puoi cambiare questo
carattere che devi affrontarlo per difendere te stessa e anche
lui…Arrabbiati
più spesso. Non dico di atteggiarti
da
scatenata nevrastenica ma al momento giusto bisogna che tu sfoderi le
armi
giuste. Tuo marito non ti sarà solo complice ma anche
antagonista. I vostri
cuori sono uniti ma hanno ritmi sanguigni differenti…
La
contessa sbilanciò un sorriso confuso di lacrime.
-
Da
ragazzi…quando…stavamo da soli, tranquilli in una
bella notte…a me sembrava
che i nostri cuori battessero come fossero meravigliosamente scossi da
uno
stesso sangue…però non riusciamo più
ad avere figli da due anni.
La
sorella l’abbracciò accarezzandole protettiva le
spalle ed ella si sentì ridicolmente
e felicemente bambina come nei momenti in cui giocavano a mamma e
figlia.
- Alcune
volte l’amore Judith è un cantiere perennemente in
costruzione…si alzano
palazzi e se ne abbattono altri che non vanno bene…non
c’è un
piano architettonico definito dal
principio alla fine…L’unica tua certezza
è procurarti di volta in volta i
materiali adatti per plasmare solide fondamenta…Torna a
restaurare quello che
hai edificato con
François. Un bel
palazzo può rovinarsi, ma può tornare al suo
antico e autentico splendore.
Inutile.
Quell’amica non
si smentiva. Da adulta
aveva razionalizzato in parte il carattere irruento e passionale, ma la
sostanza era rimasta immutata. Si rivelava in famiglia quella
dall’animo
schietto e intrepido talvolta anche imprudente. La sorella minore
rimembrava
quanto fossero state
distanti da piccole
in materia d’abitudini. Erano cresciute nella stessa casa,
erano state mandate
a studiare nello stesso convento e nondimeno avevano maturato
attitudini
opposte. Una più dedita allo studio, alla musica e al
riserbo, l’altra sveglia ,
estroversa e proiettata verso una mondanità in cui aveva
difeso i propri pregi
e assecondato i corteggiamenti dei giovani.
Judith
sapeva , comunque, che Oriane era sempre stata in realtà
lontano dai cuori
frivoli e spregiudicati di certe cortigiane che
ne avevano descritto
meschinamente cattive e false immagini.
Non
sapevano quanto lei
possedesse mani
profonde per accogliere burrascosi atterraggi.
- Oh-
si accorse – stanno arrivando, finalmente.
Da
un viale di lapidi irrorate di sole si avvicinò un uomo
magro e alto con un
bimbo di tre anni che gli teneva la mano.
Il
primo portava un fascio di fiori colorati, il secondo teneva un tumido germoglio bianco.
Cosimo
Ludovico di Nardo era sposato da quasi diciotto anni con Oriane.
Aveva
quarantatre anni, un corpo longilineo dal collo lungo e le spalle
spigolose e
una camminata ponderata e rassicurante da anziano. Era
vestito di un semplice completo grigio
Originario
di Napoli, gestiva una ditta commerciale navale che aveva numerosi
affari in
Francia. Non proveniva da una stirpe nobile ma la sua famiglia aveva
accumulato
faticosamente così tanti successi,da essere stata elevata a
grado di baroni dai
Borboni del Regno di Sicilia.
Il
piccolo Samuele era
l’adorato figlio che
tuttavia non possedeva alcun legame biologico coi genitori…
- Chiedo
venia , mie signore, se abbiamo tardato…-
s’inchinò l’imprenditore parlando con
fine e delicato accento partenopeo.
Judith
fissò profondamente contenta quella coppia.
Sapeva
che durante l’adolescenza Oriane ebbe due relazioni
tempestose finite male che
le causarono sofferenza da parte dei nobili. Fu ritenuto scandaloso che
una
delle figlie dei conti de La Seigne
avesse consumato la propria illibatezza prima del
matrimonio
aggiudicandosi la nomea di fanciulla dai facili costumi. Ovviamente
furono
tutte notizie diffamatorie ma la compromisero in modo serio.
L’unico
che non osò giudicarla accettandola così
com’era fu Cosimo che avanzò la
sincera proposta di condurla all’altare. Oriane non si
mostrò entusiasmata da
quell’uomo che all’inizio le pareva troppo
tranquillo e noioso…tuttavia fu
costretta piano piano a cambiare idea…
Si
trovò vincolata a lui da un sentimento lento e calmo,
discordante dagli
infuocati amori passati ma più profondo e incredibile che
l’aveva portata a
stabilirsi in Italia.
Quel
commerciante brillava d’intelligenza e intuito negli affari
ma non possedeva maligna
furbizia. Era una persona onesta, dai placidi occhi neri cesellati da
fini
rughe, dalla voce
calorosa e paterna che
non tremava e s’inacidiva d’ira. Sembrava quasi il
canto di un pastore che
camminava sicuro su ripidi
declivi.
- Su
Samuele – lo incitò dolcemente - impara che
non dobbiamo far attendere le dame.
Oriane
prese il piccolo in braccio , aggiustandogli premurosamente il gilet e
la
camicetta scomposti. Aveva un visetto diffidente e affascinato
dall’universo
immobile e gorgogliante delle lapidi.
- Vieni piccolo…spero
che tu abbia fatto il bravo.
Non
era propriamente un bel bambino visto che possedeva una fronte
pronunciata che stonava
con le guance paffute e il mento basso,
ma i grandi occhi castano verde vispi e tremuli come
quelli di un
gattino curioso e i folti capelli rosso irlandese lo rendevano grazioso
e buffo.
I
genitori stravedevano per lui.
Per
molti anni non erano riusciti ad avere figli e così avevano
adottato un neonato
che era stato abbandonato dinanzi al sagrato di una chiesa.
- Abbiamo
trovato margherite arancioni, Madame Judith – disse il
cognato porgendole il
fresco mazzo che espanse un aroma agrodolce- Spero
che possano aggiungere un po’
d’allegrezza a queste belle corone. Si sa che questi
fiorellini spuntano
dappertutto e non conoscono momenti precisi per riempire prati.
- Sì,
Cosimo…hai ragione – soggiunse sorridendo Oriane -
Non ci avevo pensato… adesso
il bouquet è completo e pare sorrida di più.
- Vi
ringrazio….è una nuvola carica che non perde di
leggerezza.
La
donna , nel suo periodo buio, si sentiva scaldata dalla presenza di
quei
parenti che erano venuti dall’Italia e
le avevano sollevato il morale nel lungo periodo di
assenza del marito.
- Dato
che l’ora del tramonto si avvicina – propose Cosimo
- potremmo avviarci verso
la chiesa di San Paolo per recitare i Vespri.
- L’aria
è ancora dolce, Judith…il freddo della sera non
è ancora calato.
- Certo,
andiamo.
- Zia…zia…
Il
nipotino allungò la vivace mano verso Judith che gli rispose
dolcemente:
- Che
c’è , tesoro?
- Per
te.
La
contessa prese tra le dita il candido camma.
- Oh…che
bella rosa bianca!
Il
cognato si accostò alla moglie accarezzando i capelli
fiammati del figlio.
- Il
piccolo Samuele ci teneva a regalarvela…è
difficile
trovare un simile bocciolo a
luglio…chissà…avrà
desiderato tardare per donarvi
qualche sorpresa.
Judith,
s’indirizzò assieme a
Oriane, al cognato
e al nipotino, verso la vecchia basilica…
Tra
mausolei cubici, statue crespate di angeli e lapidi che fluidificavano
le loro
ombre, il pensiero le andò a Etienne.
Etienne
che riposava illecitamente sotto i cipressi di spine tumultuose.
Lo
aveva promesso a François.
Avrebbe
pregato anche per lui che faticava a trovare il paradiso tra nebbie
incenerite.
Contemplò
la rosa sospirando sulla corolla mezza dischiusa di tenera e freddolosa
incertezza.
***§***
Luglio,
Fort
Necessity, Great Meadows
La
pioggia cantava filigrane di vetri spaccati.
L’orchestra
levava e calava i fumi delle sue note.
Gli
alberi , che imperterriti assorbivano tra le frasche
la sublime tossicità del pulviscolo, erano martiri fumatori
istupiditi d’oppio.
La
pioggia cantava scalpiccii d’insetti cristallini che
schiantavano il loro volo
sull’erba melmosa…
Grandi
fiumi di sporco e triste terrore si espandevano nella verde
vallata…
I
musicisti da dietro i tronchi, coi volti semicoperti da fazzoletti
simili a
banditi o fabbri febbricitanti, suonavano i loro flauti e oboi neri
seguendo il
direttore...
Il
direttore che modulava armonie rintronanti o singhiozzi di cacofonia
pachidermica.
Tutti
lo seguivano, chi elettrizzato, chi ricolmo di impaurita adrenalina.
François
arrampicato su un masso e riparato da un albero scandiva a voce alta
ordini
scostandosi e ricoprendosi la bocca con una bandana bigia. Teneva il
cavallo
dello schioppo posato sul petto, una mano incollata al grilletto e una
che
sorreggeva la canna. Si inginocchiava sul sasso e si rialzava in una
ginnastica
inquieta e potente che metteva a dura prova i tendini e i muscoli delle
gambe.
Conducendo
da una posizione innalzata l’attacco di centosessantasei
soldati, tentava di
avere una visuale decente
della muraglia
di legno di Fort Necessity ma la fuliggine gelida che emetteva lo
schianto dell’acquazzone
e la polvere da
sparo costituivano un
nefando connubio.
Le
fronde del bosco riparavano i fucilieri così che le pietre
focaie degli archibugi
potessero far esplodere efficacemente le cariche. Tutta la coltre
appannava le piante
che si annerivano trasformandosi
in una zolfara che propagava
moscerini di carbone che parevano pinzare lo sguardo e infiltrarsi
nella gola e
nei bronchi.
Di
certo le gocce d’acqua attutivano l’effetto
soffocante degli spari, ma il
contingente franco-canadese aveva iniziato ad attaccare il fortilizio
di
Washington dopo le undici di mattina.
Pioveva
dalle tre di
pomeriggio ma da quasi
quattro ore alternate d’offensive, pause e offensive, soldati
e ufficiali
inalavano nei polmoni salnitro e monossido di carbonio.
Il
generale de Jarjayes era abituato ad adoperare moschetto
e carabina ma lo aveva sempre fatto
nella cavalleria leggera e nel corpo delle guardie urbane di Parigi. Da
quando
si era proposto volontario per andare in America , lo avevano preposto
proprio
a uno degli squadroni di artiglieria.
Nonostante
l’abile e burbero spirito di adattamento, trovarsi nel bel
mezzo di una fucina
vomita fumo era diverso che combattere a cavallo o piedi. Cavalieri o
fanti la
polvere bisognava sempre affrontarla ma stanziarsi dietro cannoni o
fucili non
consentiva di galoppare o correre seminando
nugoli riarsi.
“ Maledizione! “ inveiva
dentro di sé l’ufficiale
francese “ quegli americani stanno
affogando come topi in una fogna e ancora vogliono resistere ?!
“
Le
trincee di Fort Necessity si erano trasformate in ruscelli oleosi e
parte dei
miliziani britannici e virginiani tentavano di uscire da quei gorghi
fetidi,
mentre altri , scheggiati dal diluvio, rispondevano disperatamente al
fuoco dei
nemici.
La
vallata era talmente deturpata dal fango che l’erba pareva
essersi diradata a
isolette di ciuffi verdi che sporgevano simili a bubboni ispidi e
viscidi.
George
Washington , circondato completamente dalle truppe francesi, non aveva
via di
scampo: le munizioni dei suoi uomini stavano per esaurire, la polvere
da sparo
rimasta era inutilizzabile e per altro si rifiutava di armonizzarsi con
il
capitano inglese James Mackay. Quest’ultimo era stato mandato
tre giorni fa da
Fort Cumberland per dargli manforte ma la convivenza , più
che saldare validi
aiuti, aveva fatto scaturire dissidi e incomprensioni
cosicché l’esercito si
trovava diviso in due deboli compagini.
“ Patetici….” rifletteva
François “ cosa credono
di combinare?
Sono talmente scoordinati che non so se ridere o
piangere…”
-
Generale de Jarjayes!
L’uomo
si voltò dietro
accorgendosi che era
arrivato un messaggero di Vielliers : capì che era giunto il
momento cruciale
della battaglia.
- Il
capitano inizia l’ultima fase d’attacco?
– chiese.
- Sì,
signore. Preparate l’artiglieria da campo.
François
ordinò:
- Fuori
batteria ! Avanguardie retrocedere!
Gli
artificieri rimasti nascosti obbedirono celermente trascinando avanti
due
massicci cannoni neri trasportati su carri a ruote. Immediatamente caricarono le palle dentro
la lunga bocca da
trenta calibri e innescarono la polvere da sparo nella camera della
mina. Infiammarono
le teste degli accenditoi.
- Mirate
a ore dodici…Uno!Due! Tre! Fuoco!
I
mortai ruggirono sfere cocenti che demolirono, come fossero rachitiche
falangi
di scheletro, le
palizzate di Fort
Necessity.
Le
squadre di Vielliers e Blaise attaccarono una dopo l’altra
facendo eruttare
l’artiglieria pesante che devastò in tante
parabole di boati il
fradicio accampamento dei nemici.
Gli
americani non contemplavano più
l’opportunità di rivolgersi alla divina
Provvidenza.
Infinite
porte d’inferno avevano aperto squarci tra il temporale e lagune divoratrici.
***§***
Oramai
il sole s’era dileguato invisibile tra le svuotate nubi
temporalesche tale a
quale ad uno sfrattato che vergognoso raccoglie i suoi stracci
scomparendo in
una nebbia protettiva.
Le
bocche dei cannoni francesi spente e fumose erano diventate musi di
placidi
formichieri che avevano distolto lo sguardo dagli insetti prede.
L’avvento
della sera non quietò il giovane Washington che aveva perso
irrimediabilmente
il controllo dei
superstiti che , spompati
dall’esaurimento, si
erano saturati i
fegati col rum finendone ogni scorta.
Dagli
ossami di Fort Necessity , alcune misere tende si drizzavano simili a
cappelli
marci dalle quali provenivano bestemmie, imprecazioni , ordini stremati
e
screzi.
Le
milizie franco canadesi avevano catturato centonovantadue soldati che
giacevano
seduti l’uno affianco all’altro legati per i polsi
sorvegliati da wyandot.
Avrebbero trascorso un’infausta notte fuori
l’accampamento provvisorio di
Vielliers , sozzi da
capo a piedi col
fango che si sarebbe rappreso tra i capelli e
sulle divise. L’umidità calda avrebbe
presto fatto sentire il brulicare
stordente di germi e setticemie febbrili .
- Le
truppe virginiane e britanniche sono state ormai annientate –
ricapitolò
Vielliers ai suoi ufficiali – centonovantadue prigionieri e
trentuno morti. Su
un totale iniziale
di duecentonovantatre
uomini, a Washington e Mackay ne restano settanta e per giunta feriti. Noi abbiamo avuto soltanto tre deceduti
e diciannove
infortunati. Perdite davvero minime. Il nostro battaglione è
quasi intatto.
- Signore
– intervenne François – non converrebbe
domattina arrestare il resto degli americani e giustiziare Washington
al
cospetto del nostro tribunale militare?
Louis
Coulon de Vielliers lo guardò annuendo con aria grinzosa e
al contempo negando
combattuto e razionale:
- Generale
de Jarjayes . Sono terribilmente tentato di condannare a morte
Washington, ora
che non ha vie di fuga….tuttavia dobbiamo tener conto
d’importantissime e
delicati equilibri tra la nostra Francia e
l’Inghilterra. Vi rammento che siamo in
tempo di pace.
- Pace?
Non
confondiamo la formalità con la verità dei fatti!
Tra noi e i britannici non
c’è mai stata una pacifica condivisione dei
territori e inoltre il grave
crimine di cui è responsabile Washington è al di
là di questioni meramente
nazionali! Qualunque militare di qualunque stato deve essere condannato
a morte
per aver massacrato un contingente diplomatico!
- Generale!
– esclamò inasprito di
tristezza di
Vielliers – credete sia facile per me accettare una simile
situazione? I lutti
privati appartengono al nostro piccolo mondo ! Gli stati sono
più grandi e noi
serviamo la Francia. Abbiamo agito nella legittimità di
difendere e accrescere
la nostra potenza economica e bellica ma se uccidessimo Washington e il
resto
dell'’esercito decreteremmo una guerra contro
l’Inghilterra e le potenze a essa
alleate! Mineremmo equilibri già abbastanza precari. Ci
siamo spinti
rischiosamente lontano con questa battaglia.
Blaise
soggiunse rammaricato e grave:
- François,
il comandante ha ragione. È meglio che restituiamo i
prigionieri e concediamo a
Washington la possibilità di resa. Lui e suoi sono stremati
ed è impossibile
per loro sostenere un altro assalto. Inoltre le
nostre munizioni sono scarse e le nostre
provviste iniziano piano piano a diminuire. Se arrivassero altri
rinforzi dai
virginiani saremmo noi a soccombere disastrosamente. Concludiamo la
faccenda
qui. Gli americani hanno subito ingenti perdite e il controllo del
fiume Ohio è
in mano della Francia.
- Quindi…-
si crucciò il generale guardando la lanterna infreddolita
della tenda- non ci
resta che passare alle trattative…Bene. In che modo potremmo
sperare di
contrattare se noi non capiamo l’inglese e gli inglesi non
capiscono il
francese?
- Alcuni
prigionieri hanno informato che tra gli americani
c’è un olandese che se la
cava con entrambe le lingue – rivelò
l’amico – lo faremo giungere qui tra
qualche ora .
De
Vielliers si avvicinò a un rudimentale scrittoio di legno,
prese alcuni fogli di
carta ingiallita e una penna che intrise in una boccetta
d’inchiostro e iniziò
a scrivere.
- In
questo documento – spiegò il veterano –
verrà concessa agli inglesi la condizione
di ritirarsi con le loro armi, bandiere e proprietà personali e la garanzia di
vedere rimpatriati
i compagni imprigionati. In cambio non dovranno per un anno
più mettere piede
nell’Ohio o altrimenti saranno distrutti. Naturalmente a
Washington verrà
attribuita la responsabilità dell’assassinio di
mio fratello Joseph e degli
altri defunti . Non posso fare altro.
François
si rassegnò constatando che il ragionamento dei colleghi non
faceva una piega.
Osservò con acre rispetto e mestizia de Vielliers col cranio
bianco cosparso di
rughe incerate che parevano bruciarsi di gelo al barlume delle lucerne.
- Perdonatemi,
signore – s’inchinò mortificato
– prima mi sono lasciato andare in modo poco
conveniente. Non dovrei comportarmi così. Ho superato
l’età dei bollori
adolescenziali.
Il
comandante canadese fece un sorriso smunto ma pieno di gratitudine.
- Non
è necessario che vi scusiate, generale …purtroppo
la vendetta è una fasulla
soddisfazione che genera una voragine
d’infinti crimini. Mi basta già
quel pezzo di famiglia che non esiste e non mi parla più.
Sentirò freddo in
ogni stagione.
***§***
Dopo
la mezzanotte del quattro luglio, George Washington fu
costretto a firmare il patto di resa
redatto da Louis Coulon de Vielliers.
Da
un cielo nero, grosso di farinosi nembi, che s’appiccicavano
sopra le stelle
spegnendone ogni fiammella, riprese a piovigginare.
L’olandese
di nome Van Braam , portò il documento di capitolazione al
suo comandante che
lo firmò vacillante in una veglia assonnata e tesa, quella
strana stanchezza
che fa appesantire gli occhi ma non concede alcuna rassicurante
posizione di
addormentamento.
Mentre
gli americani si accingevano miserevolmente a far fagotto dei loro
tendaggi
sotto il cielo bluastro di un’aurora sudicia di torba ,
François passeggiava
lungo il perimetro dell'accampamento franco-canadese.
Non
vedeva l’ora di andarsene da quella specie di palude
corrugata della
Pennsylvania e potersi finalmente lavare nel quartiere militare di Fort
Duquense. Un bel bagno bollente lo avrebbe aiutato a prevenire
cervicali,
precoci indolenzimenti d’ossa e letali malori causati
dall’umidità perforante
che s’attaccava in una canicola artica, simile al ghiaccio
che si strofina sulla
pelle scottata.
Si
sentiva puzzare dappertutto. Il cappello nero era pregno dell'agre
odore
metallico della pioggia, la giacca della divisa si appesantiva di
raffreddato
stantio , i pantaloni e gli stivali mostravano maculature sbavate di
fango.
Voleva
davvero andarsene.
Da Great Meadows.
Dall’America.
Far
ritorno in Francia da Judith….da lei…Voleva
soltanto lei e nessun epico e
dorato riconoscimento. Aveva lasciato in sospeso troppe cose. Si era
chiuso, lasciato
costellare da una dolorosissima abulia…un rintronamento
furente che gli aveva avvizzito
calore e interesse. Le morti delle cinque bimbe erano state
intollerabili e soprattutto
il giorno in cui si spense Josephine fu lancinante.
Quel
tardo pomeriggio, periodo in cui si trovava ancora al
comandando delle Guardie Urbane di Parigi,
aveva organizzato prontamente un’operazione di soccorso per
contrastare un
incendio esploso in uno dei quartieri più poveri della
città.
Durante
un’evacuazione da un’abitazione, riuscì
assieme ai suoi uomini a salvare un’anziana
e una donna. Quest’ultima urlò che i suoi due
figli erano rimasti intrappolati
da alcune travi di legno.
Senza
pensarci due volte François si lasciò trangugiare
dalle fiamme ed estrasse da
assi, spine dorsali imputridite e acuminate, i bambini
della giovane madre. Tenendoli ben stretti
tra le braccia uscì assieme a loro , col respiro granulato
di carbone e la
divisa e la pelle bruciacchiate.
Tutti
lo acclamarono con ardente ammirazione ritenendolo un eroe ma quando
tornò a
casa e la moglie, tremante e asmatica,
riferì che Josephine non si muoveva
più, si scordò di ogni encomio e
successo.
Da
quel momento la situazione sprofondò sempre più
giù fino a che non si deteriorò
anche l’intimità coniugale. Se prima fare
l’amore rappresentava un
preziosissimo ritaglio di complicità, di riappacificazione e
conforto intensi
divenne un terribile atto meccanico.
Judith
era troppo triste e angosciata e lui si deformò talmente
polare e tetro da non
riuscire più ad accarezzare e baciare. Il piacere fisico gli
parve soltanto una
scintilla immensa, ustionante e inutile. La sposa provava sofferenza a
concedersi e questo
fu umiliante e
frustrante.
François
venne travolto da sensi di colpa che restarono a macerare come aceto
nel cuore
e si lasciò investire da una macabra frigidezza che
contagiò anche l’amata
Judith. Quella malattia lo aggrovigliava più disintegrante
di qualunque
sifilide: il disgusto verso se stesso.
Si
sarebbe dislocato in quell’istante per ritrovarsi a casa e
recuperare il tempo
perduto, calpestato, fuso in silenzi d’uragani.
L’unica
consolazione e l’unico contatto d’amore con Judith
erano le lettere ,
quei bellissimi fogli stesi con la sua calligrafia ricercata, danzante
di
tenera mestizia. Potevano essere custodite le frasi più dure
e massicce ma l’odore
di leggera menta argillosa della carta, l’inchiostro nero che
effigiava ricami
di aspri rimproveri, aneli di rabbia incarnavano una voce e una pelle
uniche,
insostituibili…Le parti di luce che albergavano da anni
nello spirito. Ogni
volta che riceveva una lettera dalla sposa , il Conte avvertiva una
fiamma
oceanica irradiare gli acquedotti intirizziti
del cuore.
Il
mese scorso le aveva inviato la risposta, un manoscritto lungo, una
delle più
piovigginose che avesse mai stilato…
Attendeva
con trasudata trepidazione cosa gli avrebbe ribattuto,
rivelato…
Tanti
sogni e incubi aveva plasmato con fango, sale e oro
liquefatto…
Fintanto
che si arrovellava,
sentendosi un
pesce strappato dal mare che si dimena ansando sul crudo legno di una
barca, si
avvicinò ad un gruppo di pellerossa che parlottavano tra
loro.
Alcuni
avevano i fucili posati sul terreno, alcuni si abbeveravano a borracce
di
pelle, altri pulivano le armi o controllavano le munizioni .
Nootau
, tra di loro, stava cambiando le cariche alla carabina.
Era
un gesto che non aveva nulla di strano ma François
restò col cuore schiacciato
come se qualcuno glielo avesse strizzato per fargli colare tutto il
sangue.
L’indiano
era mancino.
Come
Etienne.
Aveva
una pistola in mano.
Come
Etienne il giorno della sua morte.
- Washington,
sta per lasciare Great Meadows.
Blaise,
che lo aveva raggiunto con discrezione,
lo trasse in salvo da
un breve ma
brutale bagno in una vasca di pece.
- Allora
consegnerà il documento redatto a De Vielliers? –
domandò secco.
- Sì…eccolo
che sta per arrivare.
Il
giovane ufficiale virginiano, seguito da un taciturno e rancoroso
MacKay,
raggiunse . con passo estenuato, incrostato di fango e le insegne
sfatte, i limiti
dell'’accampamento nemico.
Louis
Coulon lo accolse tale e quale ad una statua di pietra templare che
poteva
ritrarre un inviolabile guardiano.
Il
generale si avvicinò assieme
all’amico,
incuriosito cupamente dall’aspetto del comandante avversario.
Poteva
essere un ragazzo di ventidue anni… la stessa età
di quando lui perdette parte
delle proprie milizie in Baviera.
Viso
imperfetto dalle quadrature sassose e stanche quasi fossero impastate
di gesso
secco e opaco, naso grosso da avvilito uccello marino che dalle narici
lasciava
cadere una lunga e fragile scanalatura che distanziava la bocca
già di sottile
vecchiezza...tuttavia era illuminato dalla medesima vergogna guerriera
che vestì
il Conte l’estate del 1743.
La
battaglia di Dettingen fu una sua forzata medaglia di consolazione per
aver
accompagnato la
Francia nel fallimento.
L’esercito di Giorgio II uscì vincitore e, sebbene
avesse stracciato il proprio
anelo e il proprio corpo, tornò con la divisa lacera, la
baionetta scarica e la
sciabola irrimediabilmente insozzata di sangue e sterile arena.
Gli
saettarono nella mente frecce di ricordi ad una velocità
paradossale e lenta….il
ritratto che gli fece Deronne, il medico grezzo e acuto
dell'’esercito capace
di fare una diagnosi certa senza bisogno di una visita:
“ Ti stai
affilando come un
uomo con dedizione e imprudenza…Provi a fare invecchiare gli
occhi ma sei un
bambino che vorrebbe scendere dall’albero sul quale si
è arrampicato…L’ancora
del tuo vascello è stata appena levata. Hai vissuto nel
baccano di un porto che
ti ha schiaffeggiato per buttarti all’orizzonte”
Le accuse
sarcastiche e corrosive di
Frederic Claude de Girodel.
“ Il
senso dell'onore è encomiabile ma inutile,
valoroso de’ Jarjayes… ho solo visto il vostro
stendardo bruciarsi al suolo.”
Il verdetto finale del Duca de Noailles :
“Per aver trasgredito gli ordini del
vostro comandante supremo, vi requisisco i gradi di tenente.”
In quel momento,
impantanato in una
vallata limacciosa
della Pennsylvania,
guardò un riflesso di se stesso remoto che parlava un
inglese sferzante e
ferroso contro un melodico e irruvidito francese che tentava di
contrastarlo.
Coulon
rispettò le condizioni del patto e
liberò i soldati anglo americani presi prigionieri.
François
avrebbe volentieri piantato un proiettile nel petto di Washington. Si
convinse
che costui lo avesse offeso mostrandosi in qualità di un
sosia perdente che
dimorava invitto nella coscienza.
Quando
costui diede le spalle, si domandò se l’olandese
avesse parafrasato
precisamente il documento di resa…
I
suoi sospetti non gli vennero mai confermati ma in effetti ebbe
veramente
ragione a dubitare.
Washington
non comprese mai di essere stato accusato di assassinio e de Vielliers
non
seppe mai che il virginiano
aveva
firmato la capitolazione ascoltando la traduzione stentata e malmessa
del
militare olandese.
I
termini di piombo che lo incriminavano assunsero il pallore tisico
di un’emaciata foschia:
“
responsable de
l’assassiner du
comandant
Joseph Coulon de Jumonville «
Dopo
le otto di mattina, Fort Duquense venne data alle fiamme che depurarono
inesorabili ciascun carcame che osasse ancora sopravvivere di futile
malinconia.
***§***
ottobre
Versailles, Parigi
Nonostante
l’autunno stesse iniziando a depredare dolcemente gli alberi
da foglie di smorto
smeraldo e inibito oro, persisteva un
aroma d’acidità afosa…
Un’ombra
di sterpaglie che sgretolava lentamente ticchettando scalpiccii
brucianti.
Tutti
erano ormai convinti che tra padre e figlio vi fosse un ponte in rovina
sorretto dai loro occhi ancora più spalmati d’olio
combustibile.
In
quell’assolato pomeriggio di residue brine estive, i militari
guardavano
sorpresi Luigi XV presiedere l’Alto Consiglio di Stato
assieme al Delfino Luigi
Ferdinando.
Nel
salone , di lusso austero e spigoloso , sedevano tutti attorno ad un
rettangolare tavolo in massiccio stile rococò, imperioso
residuo archeologico
di Re Sole, una deposizione di
mortifera
vitalità.
I
due reali si fronteggiavano l’uno assiso sul versante di
levante l’altro sul
versante di ponente. A
separali una
pianura levigata di gelo castagno cosparsa di missive che parevano
cedere il
posto rispettosamente ad una grossa e renosa mappa dell'America del
Nord.
- La
valle dell'Ohio è finalmente sotto il controllo della
Francia – pronunciò il
sovrano come un valoroso atleta che avesse terminato una maratona- Dopo estenuanti scontri
abbiamo pieno potere
sui commerci con Fort Pontchartrain du Detroit * e La Baie des Puants*
: con gli
scambi tra il Québec e le città della Louisiana
guadagneremo notevole vantaggio
sulla Gran Bretagna. Si è registrato un ingente aumento
delle entrate e la
Virginia ha assistito a una critica contrazione dei suoi
proventi…tuttavia la
notizia della sconfitta di Washington a Fort Necessity sta infiammando
il
torpore del Duca di New Castle. A quanto pare si sta mobilitando per
organizzare un contrattacco. Confermate
dunque tali notizie, Generale
de
Girodel?
Il
conte sedeva alla
destra del re, simile
a un Cristo di glaciale minacciosità.
A
quarantaquattro anni i capelli neri, che gli arrivavano sulle spalle ,
erano
filamentosi di grigio: di
rado portava
la parrucca proprio perché ci teneva a palesare la sua
santità profana e
tronfia.
Il fisico di arcigna
snellezza somigliava ai
cipressi che verdeggiano cupi e sprezzanti e gli occhi seghettavano con
un tono
acquamarina chiaro e laminato.
Il
volto tagliente , in parte butterato da cicatrici d’ustione,
carburava mitezza
inquietante e il sorriso espandeva un pulviscolo di fraudolenta
modestia.
- Sì,
vostra
Altezza – rispose con tono greve simile a uno strato di neve
- Ora che Thomas
Pelham-Holles è diventato Primo
Ministro, sta rivedendo i suoi assetti diplomatici. La situazione per
le loro
colonie può declinare ancora più e
perciò si sta programmando una forte
spedizione contro i nostri territori. È confermato che i
rinforzi britannici
partiranno l’anno prossimo. Non si conosce con assoluta
certezza chi sarà il
generale al comando. La stragrande maggioranza caldeggia la nomina di
Edward
Braddock. È un veterano temibile e potrebbe creare notevoli
problemi.
Nonostante la nostra vittoria è necessario chiamare in
patria i francesi che
hanno combattuto in Pennsylvania e spedire nuove milizie. Dobbiamo
disporre di
efficaci forze in campo. Questo è l’inizio di una
guerra contro re Giorgio.
Il
re congiunse le mani davanti al viso meditabondo. Cercava di apparire
autorevole
e ponderato ma chi lo conosceva molto bene riusciva a cogliere in quel
gesto
un’insicurezza imbarazzata che veniva respinta dentro dagli
avambracci chiusi.
Alcune volte si aveva l’impressione di vedere un corridore
che prima partiva
veloce e deciso e dopo rallentava guardandosi dietro per la paura di
aver perso
o di perdere qualcosa.
- In
teoria – considerò schiarendosi la gola - non siamo in tempo di
conflitto e non possiamo
definire grandi battaglie piccole lotte per estendere
l’egemonia degli empori. È
difficile, nondimeno, stabilire quanto possa convenire uno scontro
definitivo
per affermare pienamente la nostra supremazia in America
Settentrionale. I
nostri fondi si reggono su pilastri non ancora solidi al cento per
cento…però…se riuscissimo a
conquistare tutte le colonie inglesi , la Francia
arriverebbe a possedere i tre quarti delle rotte marittime e
ciò decreterebbe
un’autentica apoteosi: la trasformazione nel più
grande impero mondiale che sia
mai esistito.
Frederic
si compiaceva degli sguardi di Luigi XV che lo interrogavano con
trepida
mansuetudine. Da dopo la Battaglia di Dettingen era
riuscito a farsi abilmente strada tra i pochi
fidati consiglieri reali. Apparteneva all’associazione
silenziosa del Secret du Roi. Il
parlamento aveva
ricevuto una così grave restrizione di poteri che non vi
erano più primi
ministri da sette anni. Tanti funzionari covavano odio verso la corona
e il
monarca, avvelenato dalla paura e dalla diffidenza, era giunto per
avvalersi di
una sotterranea rete di spie-dirigenti .
- È
quello che penso anche io, Sire – accondiscese Girodel - Quanto tempo
potrà reggere questa ridicola
tregua che esiste solo su carta? Tra l’altro, sottolineo i resoconti
dell'ambasciatore Von
Kaunitz. Sarà pure un rapace degli
Asburgo, ma la nostra rete di spionaggio gli dà ragione.
C’è un motivo per cui
i viennesi hanno soprannominato Federico di Hohenzollern “ il brigante di
Postdam”. I suoi rapporti
diplomatici con re Giorgio diventano
sempre più sospetti e se non sferriamo un attacco drastico all’Inghilterra
ci troveremmo stritolati in
una morsa letale . Se un gigante viene ferito alle gambe non
riuscirà mai più a
correre. Gli austriaci potrebbero sta volta rivelarsi utili…
Si
alzò il Delfino di Francia, un giovane di ventisei anni un
po’ corpulento ma
terribilmente solido e dotato di un’ammirevole e religiosa
eleganza. Lineamenti
regolari, di morbidezza autorevole e per nulla flaccida e pigra.
Colpivano i
suoi occhi neri, d’intelligenza amara, viva e indagatrice.
Non abusava di falsi
sorrisi e baldanzose cortesie. Non camminava mai curvo e aveva il volto
perennemente in alto non come emblema di boriosità ma con
acutezza di falco
guardiano.
Non
amava Girodel e non amava i segreti del padre che tentava di forzare
con una
pertinace spranga di ferro.
- Vorrei
poter condividere il vostro entusiasmo Generale de Girodel - lo appellò
con burbero contegno - poiché
all’inizio anche io ero tentato di muovere guerra ai britanni
ma ho avuto modo di
riflettere più accortamente
su alcune questioni
per nulla
trascurabili: la nostra vacillante economia. Le guerre espansionistiche
di re
Sole misero a nudo l’inefficienza
del
suo sistema fiscale in cui i funzionari appaltatori prelevavano in modo
eterogeneo e disorganizzato, frenando attività e arricchendo
solo le loro
casse. Piaga che è caduta su Filippo D’Orleans che
ha tentato di far rinsaldare
la situazione con l’emissione di carta moneta, una soluzione
illusoriamente
risanatrice…Si è vista poi l’inflazione
e la svalutazione stessa della moneta!
Si è visto poi come annaspavano le banche!
Gli
altri generali borbottarono
tra loro
lamentando la rigida diligenza del principe. Speravano che i contrasti
in
famiglia andassero avanti affinché costui non potesse rimirare il trono neppure
col binocolo.
Era
indubbiamente comodo che Luigi XV dispensasse loro fiducia visto che
era di
continuo irresoluto ed era indubbiamente doloroso che il figlio un
giorno
sarebbe potuto divenire re.
- Siamo
riusciti a raggiungere il pareggio di bilancio sedici anni fa , grazie
ai piani
diligenti del Cardinale de Fleury…- silenziò
tutti il Re - L’economia è già in
ripresa! E direi che ci occorra una svolta, figlio mio!
- L’ottimismo
non vi deve ottenebrare la ragione, padre! Se
siete devoto alla buon’anima del Cardinale
de Fleury che vi ha guidato e insegnato ,
preservate la sicurezza del nostro Stato!
L’economia si è avviata ma ha
ancora un respiro irregolare e cagionevole! Se ci buttassimo nel
vortice di una
guerra firmeremmo la nostra condanna a morte!
Luigi
Ferdinando, da fervente cattolico che non confessava i sensi di colpa a
chi non
fosse sacerdote, ribatteva
evitando di
sollevare un altro problema pungente: la migrazione degli ugonotti
dalla Francia
avvenuta due anni orsono inseguito a cruente repressioni che duravano
dal
sedicesimo secolo. Tale ondata di volontari esuli aveva sottratto al
regno una
cospicua parte di
commercianti ,
artigiani e operai determinando un forte indebolimento nello sviluppo
delle
attività.
- Principe
– cercò di conciliarsi Frederic più per
convenienza che per franchezza- La
vostra lodevole ponderatezza, è
comprensibile ma come si vuol dire se la migliore difesa è
l’attacco è doveroso
soppesare i rischi e analizzare i nostri punti di debolezza e forza.
È vero che
dobbiamo ancora ristabilirci però non possiamo ristagnare e
regredire. Un
‘espansione bellica ben organizzata porterebbe sotto i nostri
piedi le nazioni
rivali. L’esercito è ben controllato.
Il
giovane e si risidette e serrò le mandibole cercando di
contenersi: ovvio, per il conte Girodel
era normale evidenziare sempre che anche lui possedeva lo scettro del
comando.
Aveva
aderito con successo a molte operazioni di guerriglia nelle colonie
americane,
assoggettando indigeni in maniera più o meno valida.
Deteneva parecchi affari
di cui, quasi al novanta per cento, non si riusciva a capire quanti
fossero
leciti e no. Tra l’altro la
Compagnia
delle Indie Occidentali contava sui suoi finanziamenti tenendolo in
grande
considerazione e fornendogli lealmente supporto.
Il
principe giurava a se stesso che , una volta salito al trono, avrebbe
approfondito ancora meglio le indagini sul suo conto.
- So
a chi affidare determinati incarichi,
figlio mio…- redarguì il Re - bisogna
circondarsi di pochi ma buoni
servitori.
- La
vostre misure precauzionali hanno lasciato perplessi me e le mie
sorelle,
padre…Certo, è degno d’interesse il
come esercitiate appassionata filantropia a
commedianti teatrali che siedono su troni e vi rintronano il senno con
irresistibili profumi!
Ecco
che cominciava il duello tanto atteso.
Girodel
fissava tacitamente allietato il confronto tra padre e figlio: si
sapeva che il
primo, finalmente libero dall’ombra moralista di Fleury, aveva abbandonato da tempo
la fedeltà
coniugale cercando deliziose amanti e iniziando a guadagnarsi,
lentamente in
politica, la nomea di fannullone .
Il reggente
, al contrario, era ritenuto un lodevole esempio di morigeratezza e
razionalità, un nobile legato sinceramente alla consorte e
ai suoi piccoli
figli. Era stato reduce da un primo lutto matrimoniale da adolescente
che
l’aveva ferito in modo profondo e successivamente si era
dovuto risposare con
la principessa Maria Josephina con la quale aveva instaurato un vero
affetto.
- Caro
figlio, potresti essere anche un giudice mandato dal Creatore in
persona, ma
sono io padrone della mia volontà! E io discerno
l’intelligenza nefanda da
quella brillante!
- Con
quale mossa strabiliante voi e la vostra musa ci porterete sul lastrico?
- Ti
rammento, Luigi Ferdinando, che sul trono ci sono ancora io.
Quando
si osava alludere in modo velenoso all’amata Madame Pompadour
, il sovrano s’incolleriva.
Sapeva bene che il delfino e le figlie la detestavano cercando di
trovare crepe
che potessero far crollare il raffinato edificio delle sue
qualità. Trovavano
inconcepibile che avesse ricevuto il titolo di amante ufficiale.
Luigi
Ferdinando temeva aggressivamente la sua influenza e desiderava
esiliarla da
Versailles non appena avesse ottenuto i pieni poteri governativi.
Il
Duca di Noailles che fin a quel momento era rimasto in un mutismo riservato, ritenne opportuno
dileguare la
coltre elettrica di burrasca:
- Maestà.
Io sostengo le preoccupazioni del Principe così come
comprendo la ferrea
determinazione del Generale Girodel. Espanderci potrebbe accrescere la
nostra
potenza ma al contempo un regno con ampissimi confini aumenterebbe
pericolosamente
la vulnerabilità. Bisogna prendere insegnamento dalla
storia. I grandi imperi
non hanno retto il peso di regioni spropositatamente allargate. Le
membra che
si allungano perdono compattezza muscolare. Anche Ottaviano Augusto
raccomandò
ai propri eredi di custodire gli antichi e ampi limes di Roma e di non
lanciarsi in dissennate conquiste. Il mio suggerimento è,
come ha detto
Girodel, mobilitare altre truppe in Canada ma restare sulla difensiva e
non emettere
alcun ultimatum contro l’Inghilterra.
I
generali esposero alcune obiezioni ma non osarono dilungarsi
più di tanto
perché quell’uomo, anche se ormai a cinquantanove
anni stava per concludere il
servizio militare, trasmetteva una regalità cesarea e
autentica che scorreva
nei canali di fresca antichità delle sue rughe, nei suoi
lineamenti fieri ed
eroici tali e quali a quelli di un grifone dal volto spesso
d’aquila, dal torso
leonino e dalle invisibili ali rocciose.
Il
re non poteva dargli torto perché lo stimava allo stesso
modo di Girodel e in
fondo, con autentico amore e vergognosa colpevolezza, non voleva
distanziarsi
ancora di più dal figlio per il quale aveva sperato
nell’infanzia e
nell’adolescenza e lo riteneva, in un clima anche
deteriorato, una parte della
sua anima generata dal proprio anelo vitale.
Fissò
il principe che distese un po’ più dolcemente lo
sguardo anche se manteneva
negli occhi un telo di offesa severità.
Tornò
a volgersi verso il Duca:
- Capisco…condivido
il vostro pensiero però temo che restare sulla difensiva
significherebbe
offrire vantaggio a re Giorgio.
- No, Altezza. Si
tratta di tenere al sicuro le ricche regioni che già
sfruttiamo e
incentivare di più il loro sviluppo…Piuttosto che
una guerra infinita ,
bisognerebbe proporre una volta per tutte una spartizione equa delle
colonie di
America.
Sta
volta Frederic era preso in contropiede: non voleva rinunciare
orgogliosamente
alla sua facoltà di obiettare ma neppure desiderava
contrastare uno dei
pochissimi uomini che temeva e rispettava con franchezza.
Certo Noailles,
avrebbe potuto benissimo lasciare il maggiore Rochebrune a dirigere
i corpi di polizia delle frontiere e
soprattutto imprigionare De Jarjayes nella caserma delle
Guardie Urbane
di Parigi a contatto coi microbi della
plebaglia.
- Ahimè,
Duca di Noailles i patti di questo genere non giovano
tanto…- tentò di imporsi
con gentile
prepotenza- pensate a cosa è
accaduto durante le trattative di Aquisgrana. Il Regno di Savoia e la
Prussia
hanno divorato la maggior parte delle pietanze del banchetto lasciando
le briciole
all’Austria e a tutte le altre nazioni.
Il
valoroso veterano, colmo d’integerrima e pietrosa
serenità , rimandò:
- Avete
ragione Generale de’Girodel ma occorre pensare al meglio e
fare decisamente di
meglio. Siamo ancora in tempo per prevenire irreparabili disastri. Non
sono
state stipulate ancora nuove e decisive trattative e il Primo Ministro
di
Inghilterra non credo sia entusiasta di allestire un dispendioso
diluvio
bellico. Penso che neppure la Prussia desideri un
conflitto…essa vuole
garantirsi protezione e non ha esternato dannose ostilità
verso di noi.
Il
delfino, anche lui convinto patrocinatore di Noailles,
indirizzò al re un’occhiata
bruciante d’implorazione:
-
Padre.
Lasciamo che l’Austria risolva da sé i suoi screzi
con gli Hohenzollern! Prendiamoci
cura e arricchiamo le colonie che già possediamo. Se
originiamo un’altra guerra
ci incancreniremo causando l’amputazione di buona parte dei
nostri arti.
Il
monarca fissò un antico mappamondo che troneggiava nel
letargo di una
ringhiante mitezza da orso bruno….
Così
serico e perfetto, così fintamente piccolo che ci si
scordava che tenerlo in
mano rappresentava sorreggere l’ opprimente ossigeno di mari
e monti.
- D’accordo
– si decise più fermo - Non
avanzeremo
alcuna dichiarazione di guerra…per adesso. Siccome tutto
è in divenire ed è
incerto, valuteremmo in che modo avanzare volta per volta. Duca di
Noailles
e Conte Girodel ,
da domani inizierete i
preparativi per reclutare le milizie d’America.
Frederic
si dovette accontentare amaramente di quel mezzo trionfo…De
Noailles era un
monolite difficile da gettare a terra. Il fatto che François
fosse ritornato nella
Maison du Roi , non
l’aveva digerito
bene.
L’
odio comunque non lo portava ad anelare la sua morte…non gli
augurava di finire
massacrato dai pellerossa o
annegare in una palude della Louisiana.
Conveniva
più che altro nutrire
accuratamente il
proprio ego, vedendo il rivale arrampicarsi
ai vertici della carriera similare
a una scimmia zoppa che tenta di raggiungere i cocchi di un'altissima
palma. Se
coi compensi ricevuti per la sua missione di volontario, avesse
risanato la
precarietà dei latifondi di famiglia sarebbe rimasto un
erede senza eredi.
I
Girodel avevano un figlio di cinque anni, i de Jarjayes bambine finite
all’altro mondo.
François
non era un uomo povero, ma un pover’uomo.
Un
Sisifo condannato a portare sulla montagna un macigno che, raggiunta la
vetta, gli sarebbe
sempre scivolato lungo un pendio
di strozzanti rovi.
***§***
novembre
Nouvelle
Orleans, Louisiana
Quella
sentenza gli rimbombava nella testa come una nenia funebre di metallico
incenso.
“ Mai
chiedere perdono in guerra. Il Signore lo sa che hai
una sciabola e una baionetta. Non puoi perdere tempo a estrarre
proiettili da
cadaveri nemici. I romani sono tornati a raccogliere in lacrime il sale
sparso
su Cartagine distrutta? “
François credeva di udire le
spettrali raccomandazioni
del padre Jean Antoine quasi fosse sorvegliato
dall’alone di un nero angelo custode.
Sta
volta non c’era nulla di cui umiliarsi e infatti stava con la
schiena
eretta introiettato
verso l’azzurro del
levante cosparso di nebbiolina dormiente.
Bisognava
recitare inni di gloria, eppure non riusciva temendo di stonare in modo
misero
e tragico.
Lui…
Lui che finalmente tornava trionfante e che aveva contribuito a
fortificare la
grandezza del Regno di Francia.
Conosceva
bene la legge dell'infido splendore.
L’aurora
somigliava al crepuscolo, il crepuscolo all’aurora.
Niente
di più certo. Inevitabile. Confuso.
Nascita
e appassimento costituivano un armonioso codice binario o forse erano
riflessi
di uno stesso numero primo cui la mente stremata attribuiva multipli
inesistenti di possibilità.
Il
Mississippi dominava plumbeo e meditabondo le lande della Louisiana,
infiltrandosi
con ieratica arroganza tra vecchie montagne, tra opache rive di boschi
pianeggianti, tra melmose isolette
che
sporgevano come dorsi di caimani o incuriosite teste di anfibi.
Le
nuvole , che lievitano all’orizzonte della foce, prendevano
le sembianze
di scogli ruvidi e
cremosi e rivelavano
che il mare terminava versandosi
in un
limbo senza giorno e notte.
François
, compiuta la missione a Fort Necessity, si
accingeva a raggiungere Nouvelle Orleans in
attesa di altre direttive .
Affacciato
alla prua del battello Lys Blanc ,
non condivideva l’esausta serenità dei
soldati…Non riusciva a scambiare qualche
effimera cordialità col timoniere, non sorrideva ai
borbottii irritati degli
sconfitti a carte, non si confrontava o congratulava coi propri
sottoufficiali.
Quel
fiume , sul quale navigavano, gli pareva una sciarpa infeltrita che si
scuciva
all’estremità annegando in una distesa di vernice
blu e informe.
Neppure
il neonato mattino servì a dorare la cenere dei
pensieri…
Tutto
si bruciava dopo il silenzio acquatico dell'aurora e anche la pallida
ombra
della Luna veniva incenerita da fiamme inesorabili.
Il
sole si accingeva a levare gli ormeggi e a viaggiare nella volta
celeste con
una corazza di recrudescenza splendente.
Da
tempo il generale diffidava di quella malevola castità che
carezzava e scuoiava
città, campagne e progetti.
Era
una colata di fasullo oro zecchino, utile a impreziosire la permanenza
del buio
che non scompariva dagli angoli delle strade, dagli ombelichi
screpolati dei tronchi,
da sotto i nidi delle rondini che migravano altrove.
“ Ma
niente è più dolce che occupare i sublimi templi
sereni, saldamente muniti dalla dottrina dei saggi, donde si possa
abbassare lo
sguardo sugli altri e vederli errare qua e là e cercare,
aggirandosi senza
criterio, la via della vita. “
François
adorava Lucrezio* e da adolescente lo leggeva all’insaputa
del padre che da cattolico
praticante e aristocratico catoniano, deprecava le teorie
sull’assenza di Dio e
sul rifiuto dell’obbligo civile e militare.
Il
De rerum natura, riprendendo i precetti del filosofo
greco Epicuro,
mostrava la casualità del moto degli atomi che dà
origine ai corpi,
l’aggregazione e la disgregazione a cui sono soggetti gli
esseri viventi, la
confutazione della religione tradizionale, l’esaltazione
della vita appartata
lontana dai tumulti politici…
Cose
inconcepibili per un bravo cristiano e un
nobile servitore della corona…
Guardando
verso l’alto, il Generale invidiava i gabbiani che
sorvolavano i rombi
delle cannonate terrestri…
Quegli
uccelli s’interessavano a Maria Teresa che aveva rivendicato
la Slesia perduta
a causa dei prussiani?
Sostenevano
la Francia ? Decidevano di arruolarsi in un esercito e servire uno
Stato?!
L’unica
constatazione, ironica e vendicativa, era pensare che anche gli uccelli
più
bianchi atterravano al suolo per cibarsi di pesci morti e spazzatura.
“
Làthe biòsas” , diceva
Epicuro “ vivi in disparte”…Fosse
stato semplice!
Non
sia mai Jean
Antoine udisse che la fede
opprimeva gli uomini “ dalle sue regioni
celesti” , che “ la natura
non è preparata dal dovere divino”
,
che la saggezza consiste nel rinnegare la ragion di stato e nello starsene bellamente in
disparte nella
contemplazione!
I
moti dell’universo erano troppo logici e perfetti per non
essere stati creati
da Dio, gli uomini si erano evoluti e si erano organizzati in
società dandosi
leggi e obblighi da rispettare e così ,
come il Sacro monoteismo aveva distrutto gli dei pagani,
la Monarchia
aveva oppresso con un unico scettro le brame dei feudatari.
François
ricordava che il padre conciliasse i pensieri dei repubblicani Catone il Censore e Cicerone con la
devozione verso il re. Non
esistevano contraddizioni e l’ “Exemplum”
dell’Antica Roma ben fungeva da
pilastro per una più che rispettabile carriera pubblica. La
filosofia non
doveva possedere fini estetici ma pratici e le teorie pericolosamente
razionali
o edonistiche erano proibite e corrompenti.
Il
generale si domandava, tuttavia, come fosse possibile credere in Dio e
avere
una visione imperialisticamente pragmatica del creato...
Si
domandava in che modo si poteva andare in chiesa , incapaci di
comprendere l’anima:
il cuore si deformava simile ad uno specchio d’acqua
infilzato da un dito ed
egli ancora non fermava gli archi vibratori delle scosse.
Erano le undici di
sera
nella dimora de Jarjayes ma la routine pareva inghiottita da
un’atemporalità di
claudicante bufera.
Da più di
sei ore i medici
chiamati da Jean Antoine non uscivano dalla camera di
Philippe…
Qualche candelabro
rischiarava , come l’aureola di un piccolo santo avvizzito,
il grande blu
dell'’oscurità. Alcuni servi , reggendo candele,
facevano avanti e indietro
seguendo gli ordini irrequieti del conte. Lasciavano magri serpentelli
di luce
che svanivano subito in liquescente polvere.
Il
piccolo François, col
cuore palpitante di angoscia, aveva smesso di giocare quella mattina,
da quando
nel giardino della villa suo padre era giunto sconvolto portando in
braccio il
figlio maggiore svenuto e terreo.
I servi avevano
riferito
che, durante la battuta di caccia, il ragazzo era caduto rovinosamente
da
cavallo sbattendo la schiena e la testa.
Vennero
chiamati fatti
chiamare due chirurgi e un farmacista perché la situazione
si rivelava più
grave del previsto.
Il
bambino era stato
confinato nella sua stanza assieme alla balia e
adesso, esasperato da quella tensione che bolliva
devastazioni
sottocoperta, volle
uscire.
Poiché la
nutrice si era
addormentata, ne approfittò per sgattaiolare fuori e
immergersi nell’oscurità
dei piani superiori della villa.
A
cinque anni tutto pareva
gigantesco.
I riccioli erano una
fontana incontrollabile che gli inondava la fronte e le guance di tondo
e
freddoloso zucchero, la morbida camiciola da notte stava larga e i
piedi, piccini
e paffuti, faticavano a calpestare per intero le grandi mattonelle di
marmo.
Il corridoio che
conduceva
alla camera del fratello grande si elevava con gelide volte a botte che
sembravano spettrali colli di giraffa che si congiungevano in un
lontanissimo
buio.
Molte
finestre erano
coperte dalle tende e soltanto una lasciava intravedere uno spiffero
d’alito
lunare.
Nonostante fosse
impaurito
dal buio e dalle geometriche armature medioevali che sembrava dovessero
scattare da un istante all’altro, François
affrettò il passo per avvicinarsi
alla porta di Philippe.
Mentre
ormai era molto
vicino, l’uscio
si aprì facendo
fuoriuscire una rovente luce arancione.
Immediatamente si
nascose
dietro la tenda broccata di una finestra.
Riuscì
a distinguere la
voce del fratello che si dimenava lacera:
- Perché…non
mi sento le gambe? V- voglio
rialzarmi…
- Philippe
– raccomandò il conte stritolato
– non ti agitare.
- P-padre…che
sta s-succen-do…?
Jean Antoine, senza
aggiungere risposta, uscì dalla camera seguito dal
più anziano dei medici.
- Dottore,
com’è la situazione di mio
figlio? È un
trauma momentaneo? Quanti
giorni deve impiegare per riabilitarsi?
Ci
fu un silenzio
vergognoso e tristemente agghiacciante.
Dopo un
po’ il chirurgo, sforzandosi di apparire più
misurato possibile,
rivelò:
- Signore,
vostro figlio è stato fortunato
a non aver subito un’emorragia interna al cranio e una febbre
infettiva…tuttavia…le
tre fratture riportate
alla colonna
vertebrale sono gravissime.
- Che…che
intendete dire? Dovrà stare a
letto lunghissimo tempo?
Il
medico desiderò svanire
come aria ma alla fine dovette completare l’orrenda diagnosi:
-
Io e miei colleghi
siamo mortificati, nonostante
abbiamo tentato di raddrizzare le giunture cartilaginee dei dischi
vertebrali,
i nervi che collegano e controllano le gambe
sono irrimediabilmente danneggiati.
- No…non
capisco – rispose con tono
smorzato e moribondo l’uomo.
- Il
sistema nervoso parte dal cervello e
si propaga lungo le braccia, la spina dorsale e le
gambe…è un meccanismo
delicatissimo. Se si lede una di queste componenti non esiste
guarigione.
- Non
ditemi che Philippe…
- Purtroppo
, signore, il ragazzo non
camminerà più.
Da
dietro la tenda,
François affacciò attonito il capo.
Sentì il
cuore del padre
comprimersi brutalmente nelle penombre cavernose.
Mentre ancora gli
sfuggiva
di mano la consistenza di quella verità, il bambino
posò gli occhi su una
sciabola dall’elsa dorata appesa alla parete di
fronte…
Da lontano luccicava
simile
a una reliquia fatua
e lo teneva d’occhio
svelando la lama
affilata pronta a
fischiare spietata.
Aspettando torrenti
di
piogge.
Aspettando il
mattino.
Il
Generale esibiva un regolare e avvenente connubio tra
l’eleganza della madre,
che echeggiava negli ondosi occhi blu,
e
le severe ombreggiature dei lineamenti del conte. Alto, maestoso e
severo
trasmetteva ammirazione, soggezione e gelida diffidenza.
Tuttavia,
troppe volte, si sentiva il viso granitico tenero e frangibile analogo
a quello
di un bimbetto. Quando si radeva gli capitava di tagliarsi una guancia
che si
striava di rosso impallidita da una goffaggine
adolescenziale…
Rabbrividiva
se pensava di essersi addossato il destino del primogenito
Philippe…
Cosa
sarebbe successo se non fosse avvenuto quel tragico incidente a
cavallo? Da
figlio cadetto avrebbe perseguito un’altra carriera? Quella
di ministro? Quella
di cardinale? Una vita più comoda
lubrificata dal privilegio di dedicarsi agli studi ?
Meglio
non elaborare ipotesi irreali…
Il
Cielo aveva desiderato in tal modo il corso degli eventi e lui era
stato
costretto ad appropriarsi , fin dall’infanzia, del dovere di
un altro…Un dovere
trasformatosi, dopo lungo tempo, in linfa vitale.
Aveva
raggiunto la vetta dei gradi inseguito a una lunga scalata: per quasi
sei anni
era stato sergente, maggiore e capitano nelle Guardie Urbane di Parigi
e, grazie
all’abilità e alla fermezza, si era guadagnato una
rinnovata ammissione nella Maison du Roi
grazie al Duca di Noailles,
proseguendo l’avanzata e attuando missioni difensive sulle
frontiere della
Francia e persino nelle colonie d’Oltreoceano.
Infiniti
mesi di arrampicata scansando gelide valanghe che crollavano alla
più piccola
aurea di lamento e in
che maniera Jean Antoine aveva reagito? Con sguardi di solenne e
magnanima
sufficienza quasi si rassegnasse a non redigere il testamento a un
erede
semidio.
François,
tristemente astioso, comprendeva in parte quella diffidenza
genitoriale: anche
dall’Aldilà avvertiva
l’ombra di un’
arcata sopraccigliare raggelare ogni raggio di calore...
- Nessuna
pioggia spegnerà Sole di oggi.
- Etienne!
Il
giovane, che l’aveva raggiunto a prua,
scherzò perplesso:
- Signore!
Piace tanto chiamarmi con quel nome! Il mio è
così brutto?
Il
generale guizzò leggermente il capo e rispose:
- Perdonami...
E’ da un pò di giorni che non riesco a
dormire...L’insonnia fa strani scherzi,
Nootau.
L’abenachi
appoggiò le mani sul corrimano di prua ispirando l’aria fresca e
nebbiosa del mattino.
- Insonnia
non del tutto cattiva – ammise con riflessiva
semplicità – fa sentire bene le
parole senza suoni...quelle che non nascono mai da bocca ma che restano
acqua
scura che si unisce a sangue e che non si possono prendere.
Infastidito
dalle pieghe che si sarebbero potute evolvere, il Conte
tagliò seccamente:
- Lascia
luccicare queste perle di saggezza nella tua testa e dì ai
tuoi uomini che tra
mezz’ora approdiamo a Nouvelle Orleans.
- Sì,
Generale.
L’uomo
si rammaricò di licenziare il migliore dei suoi sottoposti
alleati.
A
mano a mano che l’imbarcazione si avvicinava al litorale di
Nouvelle Orleans ,
prese a organizzare zelantemente le operazioni d’attracco
aiutato dai
comandanti di marina.
Cercò
di non sentire la voce dorata del pellerossa che tanto rassomigliava al
tono
agreste e cesellato di Etienne…
Sebbene
le considerevoli differenze caratteriali tra i due, entrambi
risplendevano di
un’energica positività...
Quella
positività ingenua e sfrontata che egli si spossava di
trovare oltre le nuvole.
Nell’attimo
in cui il naviglio stava preparando la passerella che si sarebbe
adagiata sulla
banchina del porto, chiamò:
- Nootau.
L’indiano
gli si affiancò reverenziale e interrogativo.
- Dopo
che avremo attraccato -
proseguì il
superiore – immagino che tu e tuoi uomini ritornerete dalle
vostre famiglie.
- Certo,
Generale…ho moglie e tre bambini che domandano se io stato
divorato da spiriti maligni!
François
abbozzò un sorriso abbattuto.
La
visione del volto di Judith lo destabilizzava…
Il
millesettecento quarantatré era stato il principio dei suoi
annegamenti
famigliari…il principio di una maledizione scaturita proprio
quando si era
appena sposato imparando a distendere speranze.
- Capisco-
rispose accantonando a fatica le proprie angosce – prima che
ci separiamo,
vorrei ringraziarti nel migliore dei modi...
- Per
me è stato onore servirvi...Vostra tempesta è
nobile, Generale...anche se forse
sembra che viaggia perdendo molti fulmini.
Il militare
fissò il mare fustellato di resina arancione e azzurra e
tornò a guardare il
guerriero con sincera ed estenuata limpidezza.
- Sai,
Nootau...Etienne...era mio fratello. Il migliore che abbia
mai avuto.
Note
storiche:
- Guerra
di successione Polacca ( 1733-1735) :
conflitto che scaturì in
Polonia inseguito alla morte del Re Federico Augusto II :
l’Austria e la Russia
sostennero il figlio Federico Augusto III mentre la Francia , la Spagna
e il
Ducato di Savoia Stanislao Leszczynski, suocero di Luigi XV.
- Uroni
:
popolazioni indigene del Nord America, più propriamente
“
wyandot ” (
di cui fa parte anche la
tribù degli abenachi ). Il termine “
urone” ( detto huron in
francese ) , all’inizio usato dagli esploratori in
modo dispregiativo, significava “
burbero” e “ arrogante” ,
oppure hure
“ testa di
cinghiale” , per indicare la particolare capigliatura degli
indigeni che
ricordava la peluria.
Voltaire, per
esempio, nel libro
“ l’ingenuo” , adopera il termine
“ urone” per denotare semplicemente la
provenienza esotica del suo protagonista che è appunto un
pellerossa.
- Lucrezio
: o Tito Lucrezio Caro ( Pompei o Ercolano 94 a.C –
Roma
50 a.C ) poeta e
filosofo romano seguace
dell'epicureismo che influenzerà molto
l’esistenzialismo moderno con temi
riguardanti l’angoscia e
il pessimismo.
( personaggi
realmente
esistiti)
- Venzel
Anton Von Kaunitz ( 1711- 1794) : influente
diplomatico e politico austriaco
laureato in legge, sostenne il dispotismo illuminato e molte riforme
nazionali
dapprima sotto la regina Maria Teresa ( che gli concesse ampio potere)
e
successivamente durante il governo di Giuseppe II, Leopoldo II e
Francesco II.
Divenne il primo vero fondatore del Consiglio di Stato Austriaco e , in
veste
di cancelliere fu responsabile, in politica estera, delle trattative
con la
Francia durante la Guerra dei Sette Anni. Venne inviato infatti a
Parigi nel
1750, dove rimase per due anni al fine di convincere Luigi XV a
sostenere la
causa degli Asburgo contro la Prussia. All’inizio non fu
facile persuadere il
sovrano ma
l’ambasciatore riuscì a
piegarlo , avvalendosi di Madame Pompaduor che lo indurrà a
stipulare
l’alleanza con l’Austria [ questo si
vedrà più avanti nella storia]
- Claude
Pierre- Pécaudy de Contrecoeur e Louis
Coulon de Vielliers : entrambi
ufficiali canadesi,
ebbero un ruolo
molto importante nella difesa e nella gestione delle colonie francesi
in
America. Il primo espulse le truppe inglesi del comandante Ward da Fort
Prince
George che fu abbattuto e ricostruito con il nome di Fort Duquense ( in
onore
del Marchese Duquense, allora governatore della Nuova Francia ) . Il
secondo,
fratello maggiore di Joseph Coulon de Jumoville , sconfisse Washington
a Fort
Necessity e redasse il documento di resa.
[
per
il Duca di Noailles , potete
rivedere le
note del CAP 1 ]
I
problematici resoconti sull’imboscata di Jumoville prima
della Battaglia di
Fort Necessity:
nonostante assuma
una
prospettiva da narratore onnisciente, ho riportato il punto di vista
solo dei
franco-canadesi ( per non allontanarmi
dal palcoscenico del protagonista ) ...
Mi pare opportuno e
corretto
, quindi, esporre le versioni che sono state date di
quest’imboscata in
un’ottica più ampia possibile.
Esistono parecchi
dibattiti
al riguardo , perché le fonti studiate concordano su molti
fatti e discordano
su altri. Tutte però sostengono che lo scontro
durò quindici minuti e Jumoville
fu ucciso e una buona parte dei suoi uomini freddata o fatta
prigioniera. Ho
consultato sia wikipedia che un altro sito di battaglie coloniali
poiché i miei
libri di storia non si dilungavano dettagliatamente prima della guerra
dei
sette anni e sulle guerre franco-indiane.
Le versioni che
Washington
scrisse coincidono tutte tranne che per dei particolari. In un suo
diario
affermò riguardo alle sue truppe, che “ "eravamo
appostati molto vicini a loro... quando ci scoprirono;
dopodiché ordinai alla
mia compagnia di aprire il fuoco... La compagnia... ricevette tutto il
fuoco
dei francesi, durante gran parte dello scontro, che durò
solo un quarto d'ora,
prima che il nemico fosse sconfitto. Uccidemmo Mr. de Jumonville, il
comandante... ed altri nove; ne ferimmo uno, e facemmo ventuno
prigionieri".
Durante il dialogo
della
seconda scena Contrecouer riporta i rendiconti fatti da un Canadese
scampato e
un irochese disertore appartenente al contingente di Washington.
Entrambi
sostennero che furono gli inglesi a far fuoco sui francesi e
specialmente
l’indiano disse che il suo popolo cercò
d’impedire agli inglesi di massacrare i
francesi.Nella mia fan-fic ho
desiderato tuttavia mostrare maggiormente
lo scetticismo di Contrecouer e attribuire
l’assassinio del contingente
diplomatico sia agli inglesi che agli irochesi. Infatti è
stato de Jarjayes a
verificare sul campo la modalità d’uccisione di
Jumoville e dei coloni.
Una terza fonte,
ritenuta da
diversi storici come la più corretta e precisa, proviene da
John Shaw, un
soldato appartenente al contingente di
Washington che non prese parte diretta allo scontro ma raccolse
accuratamente
le testimonianze dei propri compagni mettendo in luce la terribile
azione di un
capo irochese di nome Tenachrisson, conosciuto dagli inglesi come
“ Half king”
poiché aveva radunato diverse tribù sotto il suo
comando.
La cosiddetta
imboscata
accadde di notte, e i virginiani colsero di sorpresa i francesi che
dormivano e
uno di loro perciò: "sparò
un colpo dopodiché il colonnello Washington diede l'ordine
di sparare. Molti d
loro furono uccisi, il resto fuggì, ma i nostri indiani li
avevano
accerchiati... tornarono dagli inglesi deponendo le armi... Qualche
tempo dopo
[,] gli indiani giunsero[,] il Mezzo Re prese il suo Tomahawk e
spaccò la testa
del capitano francese, dopo avergli chiesto se fosse inglese ed aver
ricevuto
risposta negativa. Ne prese quindi il cervello e se ne lavò
le mani prima di
togliergli lo scalpo".
Anche un altro
disertore
anglo indiano confermò il resoconto sostanzialmente corretto
di Shaw: “nonostante la scarica di
moschetti che
[Washington] fece su di lui, egli [Washington] intendeva leggere
[l'invito] e
si era ritirato tra i suoi uomini, a cui in precedenza era stato
ordinato di
sparare ai francesi[. T]ale [Tanacharison], un selvaggio, giunse [dal
ferito
Jumonville] e disse, Tu non sei ancora morto, padre mio, e
colpì ripetutamente
con l'ascia uccidendolo" . Tale versione è stata
documentata dallo
storico Fred Anderson che interpreta il massacro da parte degli indiani
come un
sacrificio rituale e riporta i dati dei morti francesi a 13 o 14.
Riportati questi
dati, il giovane
Washington ha avuto gravi
responsabilità e difatti nessuno contesta il fatto di
attribuirgli la morte di
Jumoville.
Tuttavia,
leggendo anche il
sito sulle battaglie del farwest ( che conferma anch’esso le
fonti di
wikipedia) , ho riscontrato e condiviso un’interpretazione
“ umana” di
Washington e dei suoi errori. Lo scontro
con Jumoville è avvenuto, come ho riportato prima , di notte
ma a quanto pare vi
è stata una certa
confusione iniziale : “dopo una notte di pioggia
fitta, Washington, confuso e
mezzo perso tra i boschi con una quarantina di miliziani, aveva seguito
Tanaghrisson, l’Half King, fino al luogo dove era accampata
la pattuglia
francese, ora chiamato Jumonville Glen, ed era quasi inciampato addosso
ai
soldati francesi ancora intontiti dal sonno che si preparavano a far
colazione
ai piedi di un roccione. Non è chiaro se un Francese avesse
dato l’allarme o un
Virginiano avesse sparato subito per il panico, comunque i Virginiani
lanciarono due salve di fucilate, mentre i Francesi ricambiavano
qualche colpo
sparso e si ritiravano tra gli alberi, dove però i Mingo di
Tanaghrisson
bloccavano loro la ritirata.
Un
ufficiale francese
chiese il cessate il fuoco, dichiarando che l’alfiere
Jumonville e altri 14
francesi erano feriti, uno era morto e cercando di far capire, tramite
un
interprete, che i Francesi venivano in pace a portare un messaggio
scritto per
gli Inglesi in cui si ingiungeva loro di ritirarsi dai possedimenti di
re Luigi
XV di Francia. Washington disse che avrebbe letto la lettera tramite il
suo
interprete e si apprestò a farlo. Intanto Tanaghrisson si
avvicinò a Jumonville
ferito, si accertò che non fosse inglese e […] poi alzò
l’accetta, lo colpì alla testa finché
non si spaccò[…]. Mentre Washington restava
paralizzato dallo shock, i Mingo si
precipitarono a massacrare i Francesi feriti, finché
Washington riuscì a
riprendersi e a far formare dai Virginiani un cordone protettivo
attorno ai 21
superstiti. Solo uno dei feriti fu salvato, mentre gli indiani
scotennavano i
13 cadaveri, li denudavano, ne decapitavano uno, impalandone la testa
su un
bastone, e se ne andavano con il bottino.”
Washington, scosso e debole a causa
della poca
esperienza, volle proteggere la sua vacillante reputazione redigendo
nel suo
diario che aveva ucciso i francesi di Jumoville in quanto
spie…naturalmente
senza mai confessare che si trattava di un contingente diplomatico. Perdonate questo
papiello XD
ma anche a costo di essere noiosa è necessario ribadire che
la storia è fatta
di interpretazioni e non è sempre facile capire al cento per
cento quale possa
essere la più corretta…
Note
personali:
ecco
l’angolo degli sfoghi! XD finalmente posso dirvi
perché ci ho impiegato
tantissimo per aggiornare ( università e disegni a parte )
…
dunque, ho
avuto dei problemi di salute che mi hanno rallentato e tra l'altro ho
dovuto finire un altro capitolo macigno in Saint Seiya ( i cavalieri
dello zodiaco)
e sono tornata su Lady Oscar. Bene. Ero partita abbastanza tranquilla
perché
credevo e M’ILLUDEVO di avere il capitolo 2 completo ad un
60% dove doveva
all’inizio esserci la nascita di Oscar…mi sono
resa conto che la situazione era
più tragica del previsto perché, avendo in mente
di parlare approfonditamente
di François e Judith ( sì, ho lasciato il nome di
Judith aggiungendo “
Marguerite” come nome secondario ) , non potevo trascurare
una cospicua
quantità di vicissitudini sul loro passato. Oltre
però il fattore psicologico e
intimo c’era anche l’antefatto della Guerra dei
Sette Anni , o meglio la
battaglia di Fort Necessity su cui mi sono dilungata abbastanza.
Passiamo
ai personaggi. Ho desiderato fare questo grande salto temporale di
dodici anni
dal primo capitolo poiché credo che una narrazione lineare
sarebbe stata
eccessiva e pesante invece
una un po’ più
frammentata da flashback avrebbe trasmesso più
mistero e concesso
gradualità conoscitiva
alla figura di François. Ho lasciato capire il drammatico
periodo di crisi con
la moglie e ho anche introdotto il nome di un importantissimo
personaggio :
Etienne, il fratello minore del protagonista.
Non
posso anticiparvi null’altro su costui perché il
prossimo aggiornamento gli
sarà dedicato quasi interamente
;) e
sarà una figura importante per tutta la
storia specialmente per quanto riguarderà Oscar e
André .
Ovviamente
ho anche mostrato la sorella maggiore di Judith, Oriane, il cognato
Cosimo e il
nipotino Samuele ( futuro cugino di Oscar) …Saranno
personaggi “ secondari” ma
continueranno ad apparire , soprattutto Samuele.
È
stata un’occasione per mettere in luce il carattere sensibile
e buono della
contessa , fragile e forte e comunque non esente da incomprensioni
verso il
marito che come afferma Oriane, reagisce in modo diverso nel
dolore…Nel
flashback del cimitero i due sposi sono uniti nel lutto ma tristemente
separati
da lacrime che escono e lacrime celate…
Altro
aspetto importante in questo capitolo è stato il rapporto
tra Luigi XV e il
delfino Luigi Ferdinando ( attinto dalla realtà storica ma
reinterpretato ) che
oltre a far emergere la situazione d’incertezza politica
della Francia ( la
crisi economica, la persecuzione degli ugonotti, l’assenza di
un parlamento
autorevole) cerca d’offrire un ritratto umano di due reali,
padre e figlio,
distanziati dai loro contrasti e le differenze caratteriali e uniti in
fondo da
un affetto sofferto.
Per
ricostruire il carattere di Luigi XV ho consultato la mia enciclopedia,
il mio
manuale di storia, wikipedia e un altro libro che concordavano tutti
sul
delinearlo come uno dei Borbone più colti, un re legato
molto alle figlie ma
dotato di una personalità insicura che l’aveva
condotto a essere aggressivo
verso i parlamentari e soggetto e influenzato dal Secret
du Roi e dalle sue donne specialmente Madame Pompadour.
Ho
riportato di nuovo il simpatico e amabile Frederic-Claude de Girodel
che ha già
avuto Victor di cui parlerò nell’ultima parte del
Cap 2 ( assieme ad un piccolo
André X3 )….lui è il personaggio
molesto che deve per forza guastare
le feste…è accresciuto in furbizia e
spregiudicatezza e non manca di delineare in termini compassionevoli e
spregiativi François…
Chiudendo
tutto , vi do appuntamento bisettimanale con i prossimi aggiornamenti!
^^
Un
ringraziamento colossale e affettuoso a chi mi segue e un
ringraziamento
speciale a Lady Dreamer!! :*
p.s
: purtroppo Oscar nascerà nel cap 3 XD dovrete penare un
po’….