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Autore: marig28_libra    23/11/2015    2 recensioni
Le ombre del vespro si abbattono minacciose sul leone dei de Jarjayes, protettore araldico di una stirpe da secoli servitrice della corona francese.
Colpiti dal lutto delle loro bambine , François e Judith non riescono più a generare un erede sano e a vedere la serenità degli animi…
Oltre i campi di battaglia e le oscure incomprensioni, i due dovranno trovare il coraggio di prendersi ancora una volta per mano e riscoprire se stessi…Tra passato e presente , la ricerca dell’origine : la maturazione dell'amore assoluto e contorto.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Generale Jarjayes, Madame Jarjayes, Marron Glacé
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAP 2 - Aspettando il mattino: sotto il canto della pioggia

Prima della lettura….

vi chiedo innanzitutto scusa per questo ritardo biblico ( di cui vi spiegherò le cause a fine lettura ) XD rivelandovi immediatamente che il capitolo 2 è lunghissimo ( supera la cento pagine ) e l’ho articolato in 4 parti che , nonostante siano connesse da una metafora e un tema comuni, mostreranno diversi e importanti episodi del passato dei nostri due protagonisti e naturalmente la situazione politica della Francia prima della Guerra dei Sette Anni.
Ho cercato di  essere verosimile ma non ho assolutamente pretese da storica perché questo è un romanzo ed è dunque un’opera di fantasia.

Vi lascio alle vicissitudini dei personaggi che ho ripreso dodici anni dopo il 1743 anno  della drammatica battaglia di Dettingen in Baviera durante la guerra di Successione Austriaca…  

 

 

 

 

 

 

 

“ mi ridomando, vorrei sapere,
se un giorno sarò meno stanco, se le  illusioni
siano le antiche speranze della salvezza;
o se nel mio corpo vile io soffra naturalmente
la sorte di ogni altro, non volgare
letteratura ma vita che si piega al suo vertice,
senza né più virtù né giovinezza.
Potremo avere domani una vita più semplice?
Ha un fine il nostro subire il presente? “

 ( G. Giudici)   

 

 

 

 

                                                                                                                                         

*** Ouverture***

 

                                                                                                                                            Settembre1752

Versailles, Parigi

 

Chiudere gli occhi non sarebbe servito a nulla.
Conosceva alla perfezione il ruolo di letale rilievo che ricopriva fin da bambino.

 In qualunque stagione,  da un soffitto altissimo,  pendeva una spada legata a un fragile crine di cavallo.

Si specchiava vanitosamente carnefice sulla superficie della sua corona, pronta a tagliarlo in due.

Nonostante quel mattino il sole dispensasse calda freschezza e allettasse con l’opportunità di  passeggiare per i giardini della reggia in compagnia delle amate figlie, era semplice scardinare  schemi  d’ illusorie spensieratezze.

-          Se gli esseri viventi vogliono la sopravvivenza in questo mondo imprevedibile, è necessario che  adeguino il proprio corpo in funzione dei mutamenti che incombono tra la terra e il cielo.

-          Continuo ad avere l’impressione, caro Ministro, che si tratti di procurare tumori a un organismo efficiente.

-          Maestà, valutate attentamente a chi elargite lealtà.  Potrebbe essere dannoso nutrire ottimistica fiducia verso la Prussia che maschera pusillanimità e  ignavia con  prudenza e pace.


Tra le pareti bollate di gigli dorati del suo gabinetto, Luigi XV si pentiva ancora una volta di aver ricevuto l’ambasciatore Wenzel Anton von Kaunitz*.
 

-          Non sarebbe dannoso porgere la mano all’aquila degli Asburgo disposta a strapparci l’intero braccio?

-           La mia regina, Maria Teresa, non sta chiedendo dissanguamento ma sincero appoggio verso un progetto volto a ripristinare quest’equilibrio in procinto di logoramento.


Il re fissava dall’alto e di sbieco il messo elegante dal viso mitemente ovale e dal naso prominente… Quei suoi occhietti chiari , che sormontavano lievi e rigonfie borse, trasmettevano l’espressione flemmatica dei segugi che solo all’apparenza sbadigliano mentre già hanno fiutato da un pezzo la preda da  ghermire.
 

-          Conte Von Kaunitz. Non è mio dovere accondiscendere i capricci di una dinastia che ha contribuito a decretare la rovina della Francia!


La lunga parrucca di riccioli argentei  rendeva al nobile un’aurea fastidiosamente inoppugnabile.
 

-          Il trattato di Aquisgrana sta già  per essere obliato, vostra Altezza . Dopo le guerre Polacche non è bastato il riconoscimento della Prammatica Sanzione a garantire la saldezza del nostro Stato. La Slesia appartiene all’Austria da più duecento anni, rappresenta uno dei nostri più importanti sostentamenti economici e la Prussia ha abusato illecitamente di una facoltà che non le spetta.

-          Spiacente Ministro. Le vostre dispute testamentarie  non m’interessano.


Il sovrano passeggiava con nervosa calma davanti alla sua massiccia scrivania ramata. Era robusto, proporzionato, possedeva lineamenti rotondi e severi infiammati da  occhi scurissimi che si armonizzavano col colore gelido  della parrucca militare…tuttavia si rendeva conto di trovarsi in una posizione di vana asimmetria perché ,  malgrado si ergesse in piedi, il principe austriaco  sedeva su una poltrona rococò fingendo  rispettosa umiltà e pilotando il gioco.
Da quasi due anni perorava le proprie cause attraverso un eloquio paziente , dall’accento tedesco mendacemente buffo che si mostrava in realtà durissimo.
 

-          Oh…- sospirò lui recitando ingenuità – Vi faccio presente che re Federico sta osservando interessanti patteggiamenti tra la Russia e l’Inghilterra.

-          Non mi stupisco che Hohenzollern tenga d’occhio l’Hannover che è la terra d’origine di Giorgio I…E’ normale che quei maledetti britannici cerchino il supporto dei russi che a loro volta temono i prussiani…

-          Riflettete, Maestà. Re Federico, dotato di encomiabile istinto paterno verso la sua terra, guarderebbe serenamente una cintura anglo-russa che rischierebbe di soffocarlo?


Von Kaunitz protese il busto, socchiudendo lo sguardo e inarcando le sopracciglia gravide di docile canzonatura:


-          Trovate auspicabile l’eventualità di un accordo con re Giorgio?


Nonostante fosse ancora distante dalla vecchiaia, Luigi avvertiva il peso dei quarantadue anni. Non si era dimenticato della pericolosa malattia che l’aveva debilitato durante la guerra di successione austriaca. Partito  da Versailles , nel 1744, si era messo alla testa delle sue truppe che stavano combattendo contro l’Austria, l’Inghilterra e l’Hannover…Mentre visitava le Fiandre venne colpito da una bronchite che gli fece rischiare la vita e ,  dopo la guarigione, tornato a Parigi, il popolo e l’esercito gli esibirono una così immensa venerazione da soprannominarlo  “ benamato” ….un epiteto mai da tradire e rinnegare. 

-          Le vostre sono formulazioni ipotetiche – affermò egli-  e non possiedono alcun fondamento accertato.


L’austriaco si alzò con calma per licenziarsi ma artigliò, cortese e poderoso, lo sguardo dell' interlocutore.

-          Maestà… io sono prudente. Vedo lontano. Le ipotesi partono da fatti percepibili e non potete negare che le flotte inglesi considerino le vostre trame commerciali nelle Americhe alquanto scomode.


Il re tacque sentendosi le viscere ardere al pensiero degli stendardi anglosassoni che svolazzavano su alberi maestri di torvi velieri.
 

-          L’Austria – proseguì il Conte-  non ha mai osato e non oserebbe cancellare dalle mappe le vostre rotte mercantili che vi danno nutrimento, luce e salvezza…Con permesso, sire,  mi congedo.


Il sovrano guardò Von Kaunitz  inchinarsi deferente sfumando uno sfregiante sorriso sulle labbra.
La regina Maria Teresa, donna pericolosamente intelligente, si era avvalsa di un diplomatico altrettanto pericolosamente intelligente…
Una spietata aritmetica che non lasciava spazio a nessuna vecchia e solida convinzione. 

 

*** §***

 

 La Guerra di successione austriaca, che aveva scosso l’Europa nella prima metà del XVIII sec, si concluse con il trattato di Aquisgrana nel 1748 sottoscritto tra  le  potenze protagoniste degli scontri.

Gli accordi avevano premiato , tuttavia, soltanto il Regno Sardo e la Prussia. Quest’ultima infatti vide  Federico II di Hohenzollern confermare il possesso della Slesia a danno dell’Austria.
L’Imperatrice Maria Teresa , profondamente insoddisfatta, non accettò il sacrificio di una regione che dal 1526 apparteneva agli Asburgo e costituiva una parte dei proventi economici grazie alle risorse minerarie e carbonifere. Il semplice riconoscimento della Prammatica sanzione, dopo le Guerre Polacche* ( 1738)  non  aveva compensato  adeguatamente quella perdita territoriale.   
Il quadro delle alleanze delineatosi durante le trattative di Aquisgrana stava per essere ribaltato a causa degli esclusivi interessi territoriali dei sovrani : Francia e Prussia da un lato ; Austria, Inghilterra e Russia dall’altro , vacillarono pericolosamente.
Federico II , sentendosi minacciato dagli accordi tra l’ Inghilterra che controllava l’Hannover ( terra natia di Re Giorgio)  e la Russia desiderò evitare possibili attriti iniziando trattative diplomatiche.
Maria Teresa, invece, prese a tessere una serie di ardue negoziazioni con Luigi XV in perenne lotta contro il Regno Britannico.
I successi commerciali della Francia nel Mediterraneo, in India, nelle Antille e nell’America Spagnola avevano procurato grave allarme. Nonostante la borghesia inglese fosse più forte, i francesi potevano contare sull’alleanza di molte  tribù indiane dell'’America Settentrionale e dei minori costi degli schiavi in Africa .
Entrambi i Regni erano accecati dalla sete di conquista per l’incontaminata Valle dell'Ohio e il territorio dell'Acadia . Quest’ultimo, finita della guerra di successione Austriaca , venne ceduto dalla Francia  alla Gran Bretagna che v’insediò nuovi coloni e  insediamenti.
I francesi costruirono forti lungo il confine incitando gli indiani a compiere scorrerie a sfavore delle comunità antagoniste.  

Nel 1754 cominciarono le Guerre Franco-indiane  che ebbero come maggiore palcoscenico l'Ohio. Qui il colonnello George Washington fu incaricato dal governatore della Virginia di porre testa ai distaccamenti francesi che avevano eretto una temibile base difensiva in Pennsylvania…
Fort Duquense era la pervicace brama d’ egemonia su fiumi , foreste e terre ormai  contaminati da un ‘ irrimediabile insonnia che non concedeva più virginea floridezza.  

 

***§***

 

 

2

Attendendo il mattino:

sotto il canto della pioggia.

                                                                       

 

Giugno 1754

Fort Duquense, Pennsylvania

Le estati sbalzavano così nella Pennsylvania: il caldo intorbidiva il cielo limpido per poi catramarlo di nubi temporalesche. Il sole s’ingrossava nell’azzurro salmastro e poi si tumefaceva tacitando nella cenere.
La base di Fort Duquense era tatuata lì, nel verde pietroso della bassa vegetazione palustre. Una roccaforte a forma di stella quadrata a sei punte…Un tempio esoterico situato alla confluenza di due serpi che arruffavano le squame azzurrognole ai tremiti del vento.

Gli affluenti Monongahela e Allegheny , vedendo da sinistra e destra, carezzavano il fortilizio formando il grande fiume Ohio, divenuto ormai vena trasportatrice di globuli-merci e notizie infiammate. .

-          Quel colonnello da quattro soldi sta firmando la sua condanna.

-          Succede quando si vogliono promuovere i dilettanti d’avventura. Dindwiddie si è dato la zappa sui piedi.

-          Il governatore della Virginia non sarà stato efficacemente  cauto, capitano Pécaudy , ma Washington e suoi luridi selvaggi sono responsabili del massacro di mio fratello e di nostri quindici uomini mandati per una missione diplomatica.


Tutti stimavano quei condottieri  dalla scorza di ruvide frane pronte a incamerare qualsiasi acquazzone.

All’interno del Quartiere dei Comandanti , i veterani Claude-Pierre Pécaudy*, signor di Contrecoeur , e Louis Coulon de Villiers* avevano convocato un consiglio di guerra assieme due ufficiali francesi .

Si trovavano attorno ad un tavolo di legno su cui era stata stesa una mappa della Valle dell'Ohio che veniva valutata  tra buie attestazioni .

-          Sono davvero raccapricciato, comandante de Villiers. – continuò gravemente Pécaudy -  Io e le mie truppe siamo riusciti a  sgomberare questa roccaforte dagli inglesi dell'’ufficiale Ward senza spreco di risorse.  Non appena sono stato messo al corrente che Washington potesse essere nei paraggi dei nostri territori, ho inviato il maggiore Joseph de Jumoville per intercettarlo e ingiungerlo di ritirarsi ma a quanto pare le buone maniere  hanno fallito…Dai racconti di uno dei nostri canadesi sopravvissuti e specialmente da un indiano disertore è risultato che sono stati gli inglesi ad aver sparato per primi anche se…inseguito ad un’altra indagine…

-          Sì, capitano! - impallidì de Vielliers di una rabbia che riusciva a far sanguinare dentro senza lanciarla fuori -  i virginiani si sono uniti al saccheggio assieme a quei cani irochesi!


Contrecoeur cercò di alleggerire tristemente i tratti quadrati del volto anche se sapeva che il trauma subito dal collega era un baratro dal fondale lontanissimo.

-          Vi assicuro che la morte di vostro fratello ha atterrato tutti…la sua doveva essere solo una delegazione pacifica.


Louis Coulon poggiò i palmi delle mani sul tavolo,  pressando le clavicole quasi avesse un freddo febbricitante.
Piegò il capo alla stregua di un toro ferito che si stava preparando a diluviare tornado .

-          Ogni missione è pericolosa, capitano. Me ne rendo conto. Nessuno di noi ha profeti o è profeta. e…Joseph…Joseph sapeva che bisogna sempre tenere gli occhi aperti. Siamo militari e ora dobbiamo pensare  a  Fort Necessity e annientare questi dannati americani.


Avanzò uno dei due generali francesi, un uomo di trentaquattro anni , di statura elevata, dai lineamenti belli e vigorosi che celava sotto l’acidula solennità una tristezza tuonante. Per sua fortuna nessuno riusciva a immergere le mani  in quegli appuntiti occhi blu dove le onde di una burrasca cuocevano snervate da tempo. Lo sguardo , che brillava d’umidità fuligginosa,  incuteva rispetto verso i subordinati mentre la parrucca scura militare inspessiva un’intimidatoria inviolabilità  che non lasciava fibre di nuda carne.
François Augustin Renyer de Jarjayes aveva percorso una dura strada per risollevarsi e tornare ai vertici della carriera. Indossava l’uniforme degli alti ufficiali : giacca blu con il colletto e gli orli delle maniche rossi, un panciotto dorato, una pesante cintura grigia, pantaloni chiari e lunghe ghette di cuoio nero. 
 
 
 

-          La situazione ci è favorevole – confermò adusto - Washington ha eretto un fortilizio nel mezzo di una pianura alluvionale piuttosto scomoda per sferrare attacchi efficaci. Crede di poter condurre il suo contingente verso….. e combattere frontalmente ma si è messo in trappola da solo.


A completare il quadro della situazione , intervenne l’altro colonnello.
Aveva una corporatura alta ed energica, occhi marroni nei quali scoppiettava un fuoco di afflitta allegria, lentiggini cosparse come tanti semi di grano arso sulle guance e una capigliatura rosso cupo assonnata sulle spalle. Sapeva essere gioviale e flessibile nei momenti di serenità ma serissimo nelle strategie.
 
 

-        Alcuni miei uomini- riportò Blaise Enrique Rochebrune - hanno riferito che sta Washington finendo addirittura di ergere le ultime palizzate e di scavare altre  trincee.   Il terreno è instabile per i corpi di fanteria e rischieremmo di passare in una situazione svantaggiosa, nonostante gli americani siano mediocremente preparati. Stanno tentando di creare una difesa destabilizzante.

-          A essere destabilizzato è Washington – obiettò François - La nostra artiglieria è molto potente e possiamo colpirlo da lontano.

-          Esattamente – riprese il comandante de Vielliers indicando la cartina - Fort Necessity è circondata da boschi e le nostre truppe si divideranno in quattro gruppi e si nasconderanno tra gli alberi – Prese quattro segnacoli quadrati e li dispose in differenti posizioni - Di questi tempi si possono scatenare temporali estivi, e noi saremo eventualmente  al riparo evitando di bagnare la polvere da sparo. La mia divisione attaccherà frontalmente da sud, la vostra de Jarjayes si disporrà a ovest , Rochebrune, voi starete a est  e gli alleati uroni a nord.

-        Una disposizione a tenaglia -  esaminò Blaise - La semplicità è la migliore soluzione per ridurre il più possibile il numero di feriti e vittime. Abbiamo in tutto cinquecento francesi e cento wyandot. Dobbiamo spiegare a questi ultimi la nostra strategia sui campi d’addestramento. È gente pratica e abile….preferisce provare nell’ immediato le prove.

-     Non resta che stabilire un sistema coordinante di segnali tra le milizie francesi e canadesi  – puntualizzò François – Ci occorrerà almeno una settimana di preparazione.

-        Bene. – concluse Pécaudy – Allora potrete  partirete da qui questo ventotto giugno per raggiungere Great Meadows.


De Vielliers si pietrificò per un breve istante, vibrato da un altro terremoto che restò sottopelle a succhiare corrosivamente i nervi.


-       Sì, capitano – disse schiacciando i tremiti delle mandibole - Anche se non troverò mai veramente pace, preferisco realizzare questo straccio di punizione  e riposare come ghiaccio.

-      Non temete – lo rassicurò il comandante canadese posandogli una mano sulla spalla -  Abbiamo valenti soldati e soprattutto due eccellenti ufficiali di Parigi. Il duca  Adrien Maurice di Noailles * non ha mandato due incompetenti. So che avete faticato molto, signori ma è con l’adattamento alle intemperie che si fortificano le ossa.


François e Blaise promisero decisi:  

-          Non vi deluderemo.


Pécaudy  fece portare nel piccolo ufficio cinque boccali di birra fresca, luci di cagliatura dorata nel bel mezzo dei riflessi umidicci del pomeriggio plumbeo.

-          Allo spirito di Joseph che verrà vendicato e alla corona di Francia!

 Gli uomini sollevarono i  pesanti calici verso la lanterna del soffitto che vaporizzava palpiti di rosso lavico.  

***§***

 

 Il sole era erotto dalle nubi bagnato e tremulo, effondendo un alone giallognolo che rendeva mucosi i pochi sprazzi azzurri che si sbottonavano.

Fuori il fortilizio, poco distanti dall’affluente Monongahela, François e Blaise si stavano concedendo un attimo di calma grigiastra per redigere il ragguaglio degli eventi.
 

-          Scommetto che con l’assassinio di Joseph Coulon abbiano voluto impedire eventuali trattative diplomatiche tra Luigi XV e Giorgio II .

-          Non è da escludere, François. Molti commerci vogliono sfruttare a meglio le animosità. Basta che pensi a queste ingarbugliate alleanze con gli indigeni. Avranno vissuto e vivono con la natura ma non sono così differenti da noi per la sete territoriale.

Gli scontri contro i canadesi e i francesi si rivelavano inevitabili e molte volte accadevano  episodi di violente imboscate. Diverse tribù di irochesi si erano alleate coi britannici per tentare di rivendicare possedimenti e distruggere antichi nemici.

-          Ho visto molti uomini feriti orribilmente e uccisi Blaise  e ti assicuro che quella carneficina  è stato  uno degli spettacoli più abominevoli  in assoluto.

-          E dire che il comandante ha voluto vedere con i propri occhi il cadavere del fratello.

-          Era…talmente dilaniato che ho stentato a riconoscerlo. Non sono riuscito a dormire per un sacco di giorni. È passato quasi un mese ma sembra ieri.

-         Il comandante sta sempre sveglio. È preda dell'’insonnia e i medici tentano di somministrarli della valeriana. Ormai la rabbia , la tristezza e la disperazione lo nutrono più del cibo.

Tra una giornata ronzante di zanzare assolate e un’uggiosa e appiccicaticcia , François credeva di inspirare un miasma dolciastro di sangue sgarbugliato nella polvere.

Quando lui e un contingente di canadesi erano andati ad appurare la testimonianza del canadese fuggiasco, avevano avuto dinanzi gli occhi, sotto le penombre di quella selva maledetta, la prova del massacro.
I quindici morti vennero trovati  penosamente nudi e scotennati  tali e quali a bambole di pezza scaraventate alla rinfusa da un bambino adirato. La decomposizione stava già iniziando a compiere la sua viscida opera di logoramento e gli insetti formavano una corteccia brulicante. Uno degli sventurati era stato decapitato e la sua testa impalata ad un bastone appuntito mentre  Joseph Coulon giaceva prono col cranio spaccato te la materia cerebrale,  ormai irriconoscibilmente marcita,  si snodava sul terriccio, un festone  zuppo di fango ed erbaccia.   

-          Generale.

L’ufficiale venne ripescato dalla cisterna delle memorie.
Si voltò alle proprie spalle e socchiuse gli occhi un po’ confuso riconoscendo un volto famigliare...
Troppo famigliare...
La stessa carnagione, lo stesso colore dei capelli e degli occhi...
Lo stesso sorriso d’incendio...
Di nuovo lui?

-          Etienne!


Il giovane arcuò le sopracciglia sorpreso:

-          Cosa signore?

Il generale si scrollò il cappello come si stesse togliendo della pungente brina dalla testa.

Mise a fuoco il soldato che l’aveva interpellato snebbiando le lenti opacizzate della mente.
Era un abenachi, un pellerossa appartenente a una di quelle tribù che vivevano sulle coste del Canada.
Aveva trent’anni, un corpo di statura slanciata e nerbi aitanti : né troppo acerbo e ancora estraneo al decadimento. Possedeva un volto affusolato, appesantito da un naso tendenzialmente aquilino;  le labbra erano  morbide e mostravano denti di un bruciante  biancore. Gli occhi nerissimi splendevano d’intelligenza e affabilità e il derma duro ed elegante si accordava assieme alla chioma corvina in parte legata da due trecce laterali e in parte lasciata indomita.

-    Nootau – disse François riprendendo il tono arenario – hai , dunque, portato le tue truppe sui campi di addestramento?

-          Sì, Generale. Miei guerrieri aspettano di conoscere nuovo piano d’assalto.

-      Bene. Io e il maggiore Rochebrune, vi raggiungeremo tra qualche minuto. Il vostro aiuto sarà molto importante per completare al meglio la nostra operazione contro gli americani.

-          Voi non temete. Miei uomini sanno usare polvere di fuoco.

 Il guerriero fece un cenno rispettoso e si accomiatò dirigendosi verso i campi d’addestramento.

Le trattative di coalizione con il suo clan erano riuscite grazie a lui che fin dalla pubertà, a contatto con i colonizzatori  d’oltre oceano, aveva imparato un po’ di francese sviluppando un notevole senso diplomatico. François, lasciando stupiti i soldati, gli era diventato quasi amichevole sempre preservando il proprio status di europeo giacché  l’etnocentrismo  è un virus genetico che appartiene ad ogni civiltà soprattutto a quelle “ evolute”.
 

-     Speriamo che gli  uroni* continuino a comportarsi ragionevolmente – borbottò schiarendosi la gola – non possiamo sapere con certezza di quali intrugli sia fatto il cervello dei selvaggi.

Blaise lo fissò in silenzio e  poi notò che assunse un’espressione smarrita e ventosa.

Capendo perfettamente quell’aria annegata e svolazzante fece:

-          Nootau somiglia molto a Etienne.

 L’amico sospirò disperdendo una pallida ombra di assenso.

Non era stato facile contrattare con i nativi che portavano piume tra le chiome lunghe, mefistofelici amuleti, strani abbigliamenti di pelle conciata, credenze di spiriti enigmatici...Rappresentavano veramente un’altra dimensione che conosceva una natura di caccia, rituali e sopravvivenza di rude solennità. François, come gli altri militari, aveva pensato che quegli uomini , dai visi terrosi e dai linguaggi cavernosi , fossero esseri regressi e lontani dalla vera realtà...Eppure mai si sarebbe aspettato di trovare dall’altra parte del pianeta una persona che potesse reincarnare  una parte di famiglia.

-          Sì, purtroppo. Anche io come de Vielliers vorrei diventare un ghiaccio in mezzo agli incubi.

 Si allontanò bruscamente dalla sponda ripiombando nel mutismo scrosciante d’acqua plumbea e rami secchi .

Si tastò lo sterno quasi fosse un gesto di poco conto per aggiustarsi il gilet.
In realtà sotto le stoffe nascondeva una medaglietta di fine oro prezioso che rappresentava la Santa Vergine Maria.
Apparteneva alla moglie fin da bambina ma lei gliela aveva regalata prima della partenza per l’America…
Gliel’aveva regalata nonostante lui avesse litigato e lasciato nella sua villa valanghe irrisolte che ostruivano parecchi passaggi di luce.  

“ Judith…so che non sono stato il migliore dei mariti in questi ultimi anni…avrei dovuto baciarti molti minuti prima di salutarti a Le Heavre. Non sono riuscito a farlo ma ti prego…aiutami….continua ad aiutarmi.  Ti ho sempre promesso che , qualunque cosa possa capitare, continueremo insieme. C’è la morte dappertutto che   separa  e l’unica madonna che conosco sei tu… L’unico sogno che mi resta per davvero. 

 

 

***§***

 

 

Cimitero di Saint Paul de Champs, Parigi

 

Un’altra piccola  croce di fiori bianchi.

La quinta testimonianza di una voce smorzata nell’appestata tenebra polmonare.
Pareva l’ultimo pezzo prezioso di un’opaca collezione esangue di farfalle mai cresciute.
Era la settima volta in quel mese che Judith, accompagnata da François, visitava la tomba di Josephine , stroncata a cinque anni da una violenta bronchite.
Dopo il funerale, avvenuto alla fine dello scorso febbraio, la donna si recava al cimitero in una compulsiva e tacita incredulità   per capire se stesse viaggiando in uno sconfinato incubo oppure no.
Cercava di credere che fosse un errore assurdo, che era impossibile che anche la sua ultima bambina si trovasse lontano da lei e dal marito in un mondo deforme e inaccessibile…
Non poteva dormire sottoterra, tra segnacoli di marmo rugginoso e ossa sconquassate dall’oblio,  se il suo posto era nella cameretta accanto a quella dei genitori….

Una febbre si poteva curare e quella cavità digeriva lenta e inesorabile solo una cassa  vuota.

Prima che avesse potuto vedere i necrofori deporre il corpicino della figlia nella bara, era svenuta tra le braccia raggelate di François.
Josephine portava ancora la camicetta da notte ricamata e la cuffia coi merletti che lasciava zampillare teneramente i suoi riccioli castani.
Quella che era stata riposta nel feretro ligneo doveva essere una bambola di porcellana biancastra che le somigliava tanto.
 

-          Cos’è Judith? Ancora non ti svegli? – la interpellò con arida ruvidezza il marito.


La donna lo guardò in silenzio sentendosi forare il petto dal vento freddo dei suoi occhi blu…
Voleva trovare un conforto sanguinante ma almeno caldo nell’uomo che amava e con il quale stavano condividendo il desiderio disperato di allargare la famiglia.
Da molto tempo lui era  desertificato da un dolore che mangiava le lacrime prima che potessero scorticare il viso. Ormai s’isolava in una notte cavernosa piena di coltri nevose.

-          L-la nostra Josephine – balbettò la moglie – ci aspetta a casa, vero? In questi giorni si sarà nascosta sotto il suo letto, per non farci vedere che ha la febbre…non vuole dare preoccupazioni ma noi la guariremo…

Il Conte socchiuse le palpebre quasi volesse filtrale e depurare quell’ aria primaverile che  cercava  di artigliargli il pianto assopito negli occhi.

-          Josephine – rispose roco - è sotto quella croce.

-          Dio…non può commettere ancora una cosa simile…


L’uomo deglutì avvertendo le pareti della gola che si sfregavano infiammandosi.  

-          Judith. Nostra figlia è solo un corpo vuoto in una cassa vuota. Una vuotezza dentro l’altra…un nulla che è finito in una buca che produce altro nulla.

-          E' così allora?! Consideri ciò che abbiamo messo al mondo una vuotezza?


Lo sposo le si accostò  al viso per chiuderle col proprio afflato ogni poro di pelle che osasse respirare  malsana speranza.

-          Dare nomi e battesimi basta per ritenere vite, anime che durano un battito di ciglia?Femmine malate che muoiono subito! L’unico miserabile progresso è stata Josephine…Gran bella consolazione!

 Judith, all’improvviso si paralizzò smorta e allucinata .

Lesse avidamente sulle lapidi  i nomi delle sue bambine per cercare di sentire in bocca un minimo sapore di delicatezza…

Danielle…Madelene…Orthénse…Josephine…

Una dolcezza che lasciava spazio a una cruenta insipidità…un retrogusto orribile  d’irrealtà come se quelle piccine non fossero esistite.

François era stato atrocemente sincero…

L’essenza di quei nomi aveva avuto una luce talmente breve da essersi rivelarsi illogica.
La prima, morta per aborto spontaneo, non aveva nome…Le due gemelle Danielle e Madelene erano decedute al quarto mese di vita per una complicazione cardiaca mentre Orthènse , affetta da spina bifida,  spirò a due anni.

Una successione di tragici  quadri che luccicavano d’ironia assassina.

Judith sentì i nervi frantumarsi e  piombò in  ginocchio sull’erba, gonfiando la pesante gonna scura del vestito che appassì le pieghe simile ad un fiore moribondo. .
Pianse squarciata fin nelle vene coprendosi il viso con le mani, solleticate da ciocche isteriche di capelli che si scompigliavano dalla crocchia.  
 

-     Ognuna di quelle creature malate mi è cresciuta nel ventre!- esclamò arrochita di singulti -   È insensato sentire le loro anime parte di me? Ho sbagliato?!  Ho sbagliato a far crescere ciò che abbiamo fatto insieme?!


François , straziato da quei gemiti,  sollevò la moglie alla maniera di una condannata che stava per essere condotta in una cella buia e appestata.
 

-          Judith! -  la scosse - forza! Andiamocene!


La donna lo respinse con adirato panico  svincolandosi dalla soffocante stretta.
Tornò chinata vicino alle figlie.
Il conte la ghermì per un braccio e la rialzò sbattendole a momenti  il viso contro il suo.

-          È inutile ! - sibilò - Hai capito? Basta.


La trascinò via ma lei si scostò ancora una volta bruscamente. Chiudendosi nella sua mantellina di lana.

-          Riesco a camminare anche da sola.


I due uscirono dal cimitero, uno accanto all’altra senza sfiorarsi, guardarsi….
Le loro ombre, separate da uno strinante raggio di sole., erano sagome di nomadi che incedevano su vie diverse annaffiate da una  pioggia che defluiva tra respiri fatiscenti e parole mai consumate .   

 

-          Non trovi che queste violette siano splendide  ?


Judith tornò al presente illuminata gentilmente dalla voce di Oriane. 
Sentì di nuovo l’asprigno e soffice odore dei boccioli sulle tombe e la presenza accalorante della sorella maggiore…
Il sole del tardo pomeriggio avvampava di riflessi miele le foglie degli alberi che diventavano trasparenti , mostrando le vetrose venature sottopelle.

-    Sì… hai  avuto una bella idea, Oriane. Il bianco dei gigli e dei crisantemi è lucente ma è troppo infreddolito…le tonalità delle violette sono pietre preziose e donano un po’ di linfa colorata.

-          Questi fiori sono bellissimi eppure nascondono la loro purezza tra l’erba alta, crescono silenziosamente senza pretese, senza farsi notare e poi , quando vengono raccolti,  colmano il cuore di un profumo serale e gioioso…Tali sono le speranze nei momenti più oscuri. Sbocciano lentamente e magari uno non se ne accorge.

Judith si chinò ad accarezzare delicatamente un fiore indaco che abbassò la corolla come un uccellino timido.

-          Ricordo che a Josephine piaceva tanto quando raccontavo che davanti la casa delle Madonna, dopo l’annunciazione di Gabriele, erano spuntate tante belle violette.

 Oriane le posò affettuosamente la mano sulla spalla.

-          Tutte le tue bambine desidereranno che tu faccia sbocciare le viole… hai ancora tanti anni da vivere anche se so che questa lunghezza che ti si protrae verso un orizzonte invisibile crea paura.

-          È così…Dopo ciò che è successo , alcune volte credo di non riuscire ad alzarmi dalla cenere…è sempre come se avessi addosso detriti inamovibili. E François…François è in America nel momento in cui ho bisogno di parlargli…di riunirmi a lui…tornare all’origine del nostro legame.

La contessa tacque un breve attimo e , scrollando la testa con amara ironia, riprese: 

-          Ma alla fin fine il nostro matrimonio pare un microcosmo smarrito, una bolla trasparente che galleggia  pallidissima fra gli enormi trambusti del mondo…François ha dovuto risollevare le nostre finanze proponendosi per una missione militare d’oltreoceano…E infatti è stato convocato il novembre dell’anno scorso dallo stato maggiore per il Canada. Non ha esitato a partire…dalle lettere che mi manda non mi ha ancora riferito con precisione quando tornerà in Francia…forse addirittura il prossimo anno. Non sai che dolore, Oriane. Peggio della battaglia in Baviera.


La sorella sospirò ma sorrise ardente e seriosa.
Era una donna avvenente di trentacinque anni, dai lisci capelli color caffè che emanavano un odore liquido e dissetante. Portava due trecce laterali che salivano sul capo per legare una parte della chioma che lasciava liberi dei ciuffi alla moda greca. I tratti del viso erano vellutati ma più quadrati rispetto a quelli affusolati di Judith…le sopracciglia scure erano spesse e gli occhi brillanti possedevano striature grigio cupo e argento mentre la bocca pulsava decisa e vermiglia sulla carnagione rosea e chiara.

-          Come mi racconti sempre, Judith, tuo marito è un militare ed è ancorato a un assillante senso del dovere ma sa che non può vivere privato di un rifugio sicuro…un rifugio che non è soltanto un’accomodante quotidianità. Tu sei sua moglie e non puoi essere calma monotonia. Voi due mandate avanti assieme la casa ma concepite diversamente il dolore …più che altro modi di agire che vi hanno portato a prendere le distanze l’uno dall’altra. François ti sarà potuto apparire incomprensibile e arido…Con la testa accaldata, mi avrebbe fatto infuriare e quando leggevo le tue lettere ci restavo male…tuttavia credo di aver capito che lui erige una diga poiché porta l’acqua di un fiume immenso che se non riesce a controllare rischia di devastare tutto…Tuo marito non vuole travolgerti con le sue sofferenze.

-          Stando in silenzio, Oriane , lo ha fatto comunque. È dannatamente orgoglioso e testardo, ha paura che aprendosi cada in un baratro. Non mi vuole mostrare le lacrime! Non capisce che sono disposta ad accogliere qualunque suo tormento! Ci siamo conosciuti, abbiamo avuto la fortuna di sposarci liberamente…Lui all’inizio si era messo in gioco criticando se stesso e ora…negli ultimi anni…ha fatto passi indietro mentre io mi ponevo avanti.


Oriane inarcò con inquisitrice ironia le sopracciglia, storcendo di lato la bocca in un’arricciatura teneramente superba.

-          Ne sei sicura?

-          Ho dato e sto dando tutta l’anima a François.

-    Non ne dubito, sorella, ma…anche tu cammini all’indietro come tuo marito…Hai paura di tirare fuori veramente le armi. Non puoi vivere di triste diplomazia…Un dialogo è fatto anche di scontri, persuadere l’avversario per portarlo sulle tue stesse teorie.


Judith aggrottò la fronte tentando di arrestare le sentenze dell’avversaria:

-          Ma non posso cambiare l’indole di François! L’ho sempre saputo che ha un carattere particolare…


L’altra donna le picchiettò  una guancia, allo stesso modo di quando era ragazzina e la scrollava con dispettosa amabilità dai piagnistei e dalle paure del buio.
 

-           È proprio perché non puoi cambiare questo carattere che devi affrontarlo per difendere te stessa e anche lui…Arrabbiati più spesso. Non dico di atteggiarti  da scatenata nevrastenica ma al momento giusto bisogna che tu sfoderi le armi giuste. Tuo marito non ti sarà solo complice ma anche antagonista. I vostri cuori sono uniti ma hanno ritmi sanguigni differenti…


La contessa sbilanciò un sorriso confuso di lacrime.
 

-      Da ragazzi…quando…stavamo da soli, tranquilli in una bella notte…a me sembrava che i nostri cuori battessero come fossero meravigliosamente scossi da uno stesso sangue…però non riusciamo più ad avere figli da due anni.


La sorella l’abbracciò accarezzandole protettiva le spalle ed ella si sentì ridicolmente e felicemente bambina come nei momenti in cui giocavano a mamma e figlia. 
 

-          Alcune volte l’amore Judith è un cantiere perennemente in costruzione…si alzano palazzi e se ne abbattono altri che non vanno bene…non c’è  un piano architettonico definito dal principio alla fine…L’unica tua certezza è procurarti di volta in volta i materiali adatti per plasmare solide fondamenta…Torna a restaurare quello che hai  edificato con François. Un bel palazzo può rovinarsi, ma può tornare al suo antico e autentico splendore.   

Inutile. Quell’amica  non si smentiva. Da adulta aveva razionalizzato in parte il carattere irruento e passionale, ma la sostanza era rimasta immutata. Si rivelava in famiglia quella dall’animo schietto e intrepido talvolta anche imprudente. La sorella minore rimembrava quanto fossero  state distanti da piccole in materia d’abitudini. Erano cresciute nella stessa casa, erano state mandate a studiare nello stesso convento e nondimeno avevano maturato attitudini opposte. Una più dedita allo studio, alla musica e al riserbo, l’altra sveglia , estroversa e proiettata verso una mondanità in cui aveva difeso i propri pregi e assecondato i corteggiamenti dei giovani.

Judith sapeva , comunque, che Oriane era sempre stata in realtà lontano dai cuori frivoli e spregiudicati di certe cortigiane che  ne avevano descritto  meschinamente cattive e false immagini.

Non  sapevano quanto lei possedesse mani profonde per accogliere burrascosi atterraggi.

-          Oh- si accorse – stanno arrivando, finalmente.


Da un viale di lapidi irrorate di sole si avvicinò un uomo magro e alto con  un bimbo di tre anni che gli teneva la mano.
Il primo portava un fascio di fiori colorati, il secondo teneva un tumido  germoglio bianco.

Cosimo Ludovico di Nardo era sposato da quasi diciotto anni con Oriane.

Aveva quarantatre anni, un corpo longilineo dal collo lungo e le spalle spigolose e una camminata ponderata e rassicurante da anziano.  Era vestito di un semplice completo grigio
Originario di Napoli, gestiva una ditta commerciale navale che aveva numerosi affari in Francia. Non proveniva da una stirpe nobile ma la sua famiglia aveva accumulato faticosamente così tanti successi,da essere stata elevata a grado di baroni dai Borboni del Regno di Sicilia. 
Il piccolo Samuele  era l’adorato figlio che tuttavia non possedeva alcun legame biologico coi genitori…

-          Chiedo venia , mie signore, se abbiamo tardato…- s’inchinò l’imprenditore parlando con fine e delicato accento partenopeo.


Judith fissò profondamente contenta quella coppia.
Sapeva che durante l’adolescenza Oriane ebbe due relazioni tempestose finite male che le causarono sofferenza da parte dei nobili. Fu ritenuto scandaloso che una delle figlie dei conti de La Seigne  avesse consumato la propria illibatezza prima del matrimonio aggiudicandosi la nomea di fanciulla dai facili costumi. Ovviamente furono tutte notizie diffamatorie ma la compromisero in modo serio.
L’unico che non osò giudicarla accettandola così com’era fu Cosimo che avanzò la sincera proposta di condurla all’altare. Oriane non si mostrò entusiasmata da quell’uomo che all’inizio le pareva troppo tranquillo e noioso…tuttavia fu costretta piano piano a cambiare idea…
Si trovò vincolata a lui da un sentimento lento e calmo, discordante dagli infuocati amori passati ma più profondo e incredibile che l’aveva portata a stabilirsi in Italia.  
Quel commerciante brillava d’intelligenza e intuito negli affari ma non possedeva maligna furbizia. Era una persona onesta, dai placidi occhi neri cesellati da fini rughe,  dalla voce calorosa e paterna che non tremava e s’inacidiva d’ira. Sembrava quasi il canto di un pastore che camminava sicuro su  ripidi declivi.

-           Su Samuele – lo incitò dolcemente - impara che non dobbiamo far attendere le dame.

Oriane prese il piccolo in braccio , aggiustandogli premurosamente il gilet e la camicetta scomposti. Aveva un visetto diffidente e affascinato dall’universo immobile e gorgogliante delle lapidi.

-          Vieni piccolo…spero che tu abbia fatto il bravo.


Non era propriamente un bel bambino visto che possedeva una fronte pronunciata che stonava con le guance paffute e il mento basso,  ma i grandi occhi castano verde vispi e tremuli come quelli di un gattino curioso e i folti capelli rosso irlandese lo rendevano grazioso e buffo.
I genitori stravedevano per lui.
Per molti anni non erano riusciti ad avere figli e così avevano adottato un neonato che era stato abbandonato dinanzi al sagrato di una chiesa.

-          Abbiamo trovato margherite arancioni, Madame Judith – disse il cognato porgendole il fresco mazzo che espanse un aroma agrodolce-  Spero che possano aggiungere un po’ d’allegrezza a queste belle corone. Si sa che questi fiorellini spuntano dappertutto e non conoscono momenti precisi per riempire prati.

-          Sì, Cosimo…hai ragione – soggiunse sorridendo Oriane - Non ci avevo pensato… adesso il bouquet è completo e pare sorrida di più.  

-          Vi ringrazio….è una nuvola carica che non perde di leggerezza.


La donna , nel suo periodo buio, si sentiva scaldata dalla presenza di quei parenti che erano venuti dall’Italia e  le avevano sollevato il morale nel lungo periodo di assenza del marito.
 

-          Dato che l’ora del tramonto si avvicina – propose Cosimo - potremmo avviarci verso la chiesa di San Paolo per recitare i Vespri.

-          L’aria è ancora dolce, Judith…il freddo della sera non è ancora calato.

-          Certo, andiamo.

-          Zia…zia…


Il nipotino allungò la vivace mano verso Judith che gli rispose dolcemente:

-          Che c’è , tesoro?

-          Per te.

La contessa prese tra le dita il candido camma. 

-          Oh…che bella rosa bianca!


Il cognato si accostò alla moglie accarezzando i capelli fiammati del figlio.

-           Il piccolo Samuele ci teneva a regalarvela…è difficile trovare un simile bocciolo a luglio…chissà…avrà desiderato tardare per donarvi qualche sorpresa.

 Judith, s’indirizzò assieme  a Oriane, al cognato e al nipotino, verso la vecchia basilica…

Tra mausolei cubici, statue crespate di angeli e lapidi che fluidificavano le loro ombre, il pensiero le andò a Etienne.
Etienne che riposava illecitamente sotto i cipressi di spine tumultuose.
Lo aveva promesso a François.
Avrebbe pregato anche per lui che faticava a trovare il paradiso tra nebbie incenerite.
Contemplò la rosa sospirando sulla corolla mezza dischiusa di tenera e freddolosa incertezza.

 

***§***

 

 

 Luglio,

Fort  Necessity, Great Meadows

 

 

La pioggia cantava filigrane di vetri spaccati.

L’orchestra levava e calava i fumi delle sue note.
Gli alberi , che imperterriti assorbivano tra le frasche  la sublime tossicità del pulviscolo,  erano martiri fumatori istupiditi d’oppio.

La pioggia cantava scalpiccii d’insetti cristallini che schiantavano il loro volo sull’erba melmosa…

Grandi fiumi di sporco e triste terrore si espandevano nella verde vallata…

I musicisti da dietro i tronchi, coi volti semicoperti da fazzoletti simili a banditi o fabbri febbricitanti, suonavano i loro flauti e oboi neri seguendo il direttore...
Il direttore che modulava armonie rintronanti o singhiozzi di cacofonia pachidermica.
Tutti lo seguivano, chi elettrizzato, chi ricolmo di impaurita adrenalina.

François arrampicato su un masso e riparato da un albero scandiva a voce alta ordini scostandosi e ricoprendosi la bocca con una bandana bigia. Teneva il cavallo dello schioppo posato sul petto, una mano incollata al grilletto e una che sorreggeva la canna. Si inginocchiava sul sasso e si rialzava in una ginnastica inquieta e potente che metteva a dura prova i tendini e i muscoli delle gambe.

Conducendo da una posizione innalzata l’attacco di centosessantasei soldati, tentava di avere una visuale  decente della muraglia di legno di Fort Necessity ma la fuliggine gelida che emetteva lo schianto dell’acquazzone e la  polvere da sparo costituivano un nefando connubio. 
Le fronde del bosco riparavano i fucilieri così che le pietre focaie degli archibugi potessero far esplodere efficacemente le cariche. Tutta la coltre appannava  le piante che si annerivano  trasformandosi in una zolfara che propagava moscerini di carbone che parevano pinzare lo sguardo e infiltrarsi nella gola e nei bronchi.
Di certo le gocce d’acqua attutivano l’effetto soffocante degli spari, ma il contingente franco-canadese aveva iniziato ad attaccare il fortilizio di Washington dopo le undici di mattina.
Pioveva  dalle tre di pomeriggio ma da quasi quattro ore alternate d’offensive, pause e offensive, soldati e ufficiali inalavano nei polmoni salnitro e monossido di carbonio.

Il generale de Jarjayes era abituato ad adoperare  moschetto e carabina ma lo aveva sempre fatto nella cavalleria leggera e nel corpo delle guardie urbane di Parigi. Da quando si era proposto volontario per andare in America , lo avevano preposto proprio a uno degli squadroni di artiglieria.

Nonostante l’abile e burbero spirito di adattamento, trovarsi nel bel mezzo di una fucina vomita fumo era diverso che combattere a cavallo o piedi. Cavalieri o fanti la polvere bisognava sempre affrontarla ma stanziarsi dietro cannoni o fucili non consentiva di galoppare o correre  seminando nugoli riarsi.

“ Maledizione!
“ inveiva dentro di sé l’ufficiale francese “ quegli americani stanno affogando come topi in una fogna e ancora vogliono resistere ?! “

Le trincee di Fort Necessity si erano trasformate in ruscelli oleosi e parte dei miliziani britannici e virginiani tentavano di uscire da quei gorghi fetidi, mentre altri , scheggiati dal diluvio, rispondevano disperatamente al fuoco dei nemici.
La vallata era talmente deturpata dal fango che l’erba pareva essersi diradata a isolette di ciuffi verdi che sporgevano simili a bubboni ispidi e viscidi.    

George Washington , circondato completamente dalle truppe francesi, non aveva via di scampo: le munizioni dei suoi uomini stavano per esaurire, la polvere da sparo rimasta era inutilizzabile e per altro si rifiutava di armonizzarsi con il capitano inglese James Mackay. Quest’ultimo era stato mandato tre giorni fa da Fort Cumberland per dargli manforte ma la convivenza , più che saldare validi aiuti, aveva fatto scaturire dissidi e incomprensioni cosicché l’esercito si trovava diviso in due deboli compagini.


“ Patetici….”
rifletteva François “ cosa credono di  combinare? Sono talmente scoordinati che non so se ridere o piangere…”

- Generale de Jarjayes!   

 


L’uomo si voltò  dietro accorgendosi che era arrivato un messaggero di Vielliers : capì che era giunto il momento cruciale della battaglia.

-          Il capitano inizia l’ultima fase d’attacco? – chiese.

-          Sì, signore. Preparate l’artiglieria da campo.


François ordinò:

-          Fuori batteria ! Avanguardie retrocedere!


Gli artificieri rimasti nascosti obbedirono celermente trascinando avanti due massicci cannoni neri trasportati su carri a ruote. Immediatamente  caricarono le palle dentro la lunga bocca da trenta calibri e innescarono la polvere da sparo nella camera della mina. Infiammarono le teste degli accenditoi.

-          Mirate a ore dodici…Uno!Due! Tre! Fuoco!


I mortai ruggirono sfere cocenti che demolirono, come fossero rachitiche falangi di scheletro,  le palizzate di Fort Necessity.
Le squadre di Vielliers e Blaise attaccarono una dopo l’altra facendo eruttare l’artiglieria pesante che devastò in tante parabole di boati  il fradicio accampamento dei nemici.

Gli americani non contemplavano più l’opportunità di rivolgersi alla divina Provvidenza.

Infinite porte d’inferno avevano aperto squarci tra il temporale e  lagune divoratrici.

***§***

 

Oramai il sole s’era dileguato invisibile tra le svuotate nubi temporalesche tale a quale ad uno sfrattato che vergognoso raccoglie i suoi stracci scomparendo in una nebbia protettiva.

Le bocche dei cannoni francesi spente e fumose erano diventate musi di placidi formichieri che avevano distolto lo sguardo dagli insetti  prede.
L’avvento della sera non quietò il giovane Washington che aveva perso irrimediabilmente il controllo  dei superstiti che , spompati dall’esaurimento,  si erano saturati i fegati col rum finendone ogni scorta.
Dagli ossami di Fort Necessity , alcune misere tende si drizzavano simili a cappelli marci dalle quali provenivano bestemmie, imprecazioni , ordini stremati e screzi.
Le milizie franco canadesi avevano catturato centonovantadue soldati che giacevano seduti l’uno affianco all’altro legati per i polsi sorvegliati da wyandot. Avrebbero trascorso un’infausta notte fuori l’accampamento provvisorio di Vielliers , sozzi  da capo a piedi col fango che si sarebbe rappreso tra i capelli e  sulle divise. L’umidità calda avrebbe presto fatto sentire il brulicare stordente di germi e setticemie febbrili .

-          Le truppe virginiane e britanniche sono state ormai annientate – ricapitolò Vielliers ai suoi ufficiali – centonovantadue prigionieri e trentuno morti. Su un  totale iniziale di duecentonovantatre uomini, a Washington e Mackay ne restano settanta e per giunta feriti.  Noi abbiamo  avuto soltanto tre deceduti e diciannove infortunati. Perdite davvero minime. Il nostro battaglione è quasi intatto.

-          Signore – intervenne François –  non converrebbe domattina arrestare il resto degli americani e giustiziare Washington al cospetto del nostro tribunale militare?


Louis Coulon de Vielliers lo guardò annuendo con aria grinzosa e al contempo negando combattuto e razionale:

-          Generale de Jarjayes . Sono terribilmente tentato di condannare a morte Washington, ora che non ha vie di fuga….tuttavia dobbiamo tener conto d’importantissime e delicati equilibri tra la nostra Francia  e l’Inghilterra. Vi rammento che siamo in tempo di pace.

-        Pace? Non confondiamo la formalità con la verità dei fatti! Tra noi e i britannici non c’è mai stata una pacifica condivisione dei territori e inoltre il grave crimine di cui è responsabile Washington è al di là di questioni meramente nazionali! Qualunque militare di qualunque stato deve essere condannato a morte per aver massacrato un contingente diplomatico!

-     Generale! – esclamò inasprito  di tristezza di Vielliers – credete sia facile per me accettare una simile situazione? I lutti privati appartengono al nostro piccolo mondo ! Gli stati sono più grandi e noi serviamo la Francia. Abbiamo agito nella legittimità di difendere e accrescere la nostra potenza economica e bellica ma se uccidessimo Washington e il resto dell'’esercito decreteremmo una guerra contro l’Inghilterra e le potenze a essa alleate! Mineremmo equilibri già abbastanza precari. Ci siamo spinti rischiosamente lontano con questa battaglia.


Blaise soggiunse rammaricato e grave:
 

-          François, il comandante ha ragione. È meglio che restituiamo i prigionieri e concediamo a Washington la possibilità di resa. Lui e suoi sono stremati ed è impossibile per loro sostenere un altro assalto. Inoltre  le nostre munizioni sono scarse e le nostre provviste iniziano piano piano a diminuire. Se arrivassero altri rinforzi dai virginiani saremmo noi a soccombere disastrosamente. Concludiamo la faccenda qui. Gli americani hanno subito ingenti perdite e il controllo del fiume Ohio è in mano della Francia.

-          Quindi…- si crucciò il generale guardando la lanterna infreddolita della tenda- non ci resta che passare alle trattative…Bene. In che modo potremmo sperare di contrattare se noi non capiamo l’inglese e gli inglesi non capiscono il francese?

-          Alcuni prigionieri hanno informato che tra gli americani c’è un olandese che se la cava con entrambe le lingue – rivelò l’amico – lo faremo giungere qui tra qualche ora .  

 


De Vielliers si avvicinò a un rudimentale scrittoio di legno, prese alcuni fogli di carta ingiallita e una penna che intrise in una boccetta d’inchiostro e iniziò a scrivere.

-          In questo documento – spiegò il veterano – verrà concessa agli inglesi la condizione di ritirarsi con le loro armi, bandiere e proprietà  personali e la garanzia di vedere rimpatriati i compagni imprigionati. In cambio non dovranno per un anno più mettere piede nell’Ohio o altrimenti saranno distrutti. Naturalmente a Washington verrà attribuita la responsabilità dell’assassinio di mio fratello Joseph e degli altri defunti . Non posso fare altro.


François si rassegnò constatando che il ragionamento dei colleghi non faceva una piega. Osservò con acre rispetto e mestizia de Vielliers col cranio bianco cosparso di rughe incerate che parevano bruciarsi di gelo al barlume delle lucerne.

-          Perdonatemi, signore – s’inchinò mortificato – prima mi sono lasciato andare in modo poco conveniente. Non dovrei comportarmi così. Ho superato l’età dei bollori adolescenziali.


Il comandante canadese fece un sorriso smunto ma pieno di gratitudine.

-          Non è necessario che vi scusiate, generale …purtroppo la vendetta è una fasulla soddisfazione che genera una voragine d’infinti crimini. Mi basta già quel pezzo di famiglia che non esiste e non mi parla più. Sentirò freddo in ogni stagione.

 

***§***

 

 Dopo la mezzanotte del quattro luglio, George Washington  fu costretto a firmare il patto di resa redatto da Louis Coulon de Vielliers. 

Da un cielo nero, grosso di farinosi nembi, che s’appiccicavano sopra le stelle spegnendone ogni fiammella, riprese a piovigginare.
L’olandese di nome Van Braam , portò il documento di capitolazione al suo comandante che lo firmò vacillante in una veglia assonnata e tesa, quella strana stanchezza che fa appesantire gli occhi ma non concede alcuna rassicurante posizione di addormentamento.
 
Mentre gli americani si accingevano miserevolmente a far fagotto dei loro tendaggi sotto il cielo bluastro di un’aurora sudicia di torba , François passeggiava lungo il perimetro dell'accampamento franco-canadese.
Non vedeva l’ora di andarsene da quella specie di palude corrugata della Pennsylvania e potersi finalmente lavare nel quartiere militare di Fort Duquense. Un bel bagno bollente lo avrebbe aiutato a prevenire cervicali, precoci indolenzimenti d’ossa e letali malori causati dall’umidità perforante che s’attaccava in una canicola artica, simile al ghiaccio che si strofina sulla pelle scottata.
Si sentiva puzzare dappertutto. Il cappello nero era pregno dell'agre odore metallico della pioggia, la giacca della divisa si appesantiva di raffreddato stantio , i pantaloni e gli stivali mostravano maculature sbavate di fango.

Voleva davvero andarsene.
Da Great Meadows.

Dall’America.

Far ritorno in Francia da Judith….da lei…Voleva soltanto lei e nessun epico e dorato riconoscimento. Aveva lasciato in sospeso troppe cose. Si era chiuso, lasciato costellare da una dolorosissima abulia…un rintronamento furente che gli aveva avvizzito calore e interesse. Le morti delle cinque bimbe erano state intollerabili e soprattutto il giorno in cui si spense Josephine fu lancinante.

Quel tardo pomeriggio, periodo in cui si trovava ancora al  comandando delle Guardie Urbane di Parigi, aveva organizzato prontamente un’operazione di soccorso per contrastare un incendio esploso in uno dei quartieri più poveri della città. 
Durante un’evacuazione da un’abitazione, riuscì assieme ai suoi uomini a salvare un’anziana e una donna. Quest’ultima urlò che i suoi due figli erano rimasti intrappolati da alcune travi di legno.
Senza pensarci due volte François si lasciò trangugiare dalle fiamme ed estrasse da assi, spine dorsali imputridite e acuminate, i bambini  della giovane madre. Tenendoli ben stretti tra le braccia uscì assieme a loro , col respiro granulato di carbone e la divisa e la pelle bruciacchiate.
Tutti lo acclamarono con ardente ammirazione ritenendolo un eroe ma quando tornò a casa e la moglie, tremante e asmatica,  riferì che Josephine non si muoveva più, si scordò di ogni encomio e successo.
Da quel momento la situazione sprofondò sempre più giù fino a che non si deteriorò anche l’intimità coniugale. Se prima fare l’amore rappresentava un preziosissimo ritaglio di complicità, di riappacificazione e conforto intensi divenne un terribile atto meccanico.
Judith era troppo triste e angosciata e lui si deformò talmente polare e tetro da non riuscire più ad accarezzare e baciare. Il piacere fisico gli parve soltanto una scintilla immensa, ustionante e inutile. La sposa provava sofferenza a concedersi  e questo fu  umiliante e frustrante.
François venne travolto da sensi di colpa che restarono a macerare come aceto nel cuore e si lasciò investire da una macabra frigidezza che contagiò anche l’amata Judith. Quella malattia lo aggrovigliava più disintegrante di qualunque sifilide: il disgusto verso se stesso.    
Si sarebbe dislocato in quell’istante per ritrovarsi a casa e recuperare il tempo perduto, calpestato, fuso in silenzi d’uragani.
L’unica consolazione e l’unico contatto d’amore con Judith erano le lettere , quei bellissimi fogli stesi con la sua calligrafia ricercata, danzante di tenera mestizia. Potevano essere custodite le frasi più dure e massicce ma l’odore di leggera menta argillosa della carta, l’inchiostro nero che effigiava ricami di aspri rimproveri, aneli di rabbia incarnavano una voce e una pelle uniche, insostituibili…Le parti di luce che albergavano da anni nello spirito. Ogni volta che riceveva una lettera dalla sposa , il Conte avvertiva una fiamma oceanica irradiare gli acquedotti  intirizziti del cuore.

Il mese scorso le aveva inviato la risposta, un manoscritto lungo, una delle più piovigginose che avesse mai stilato…

Attendeva con trasudata trepidazione cosa gli avrebbe ribattuto, rivelato…
Tanti sogni e incubi aveva plasmato con fango, sale e oro liquefatto…

Fintanto che  si arrovellava, sentendosi un pesce strappato dal mare che si dimena ansando sul crudo legno di una barca, si avvicinò ad un gruppo di pellerossa che parlottavano tra loro.

Alcuni avevano i fucili posati sul terreno, alcuni si abbeveravano a borracce di pelle, altri pulivano le armi o controllavano le munizioni .


Nootau , tra di loro, stava cambiando le cariche alla carabina.

Era un gesto che non aveva nulla di strano ma François restò col cuore schiacciato come se qualcuno glielo avesse strizzato per fargli colare tutto il sangue.

L’indiano era mancino.
Come Etienne.
Aveva una pistola in mano.
Come Etienne il giorno della sua morte.
 

-          Washington, sta per lasciare Great Meadows.


Blaise, che lo aveva raggiunto con discrezione,  lo trasse in salvo da  un breve ma brutale bagno in una vasca di pece.

-          Allora consegnerà il documento redatto a De Vielliers? – domandò secco.

-          Sì…eccolo che sta per arrivare.

Il giovane ufficiale virginiano, seguito da un taciturno e rancoroso MacKay, raggiunse . con passo estenuato, incrostato di fango e le insegne sfatte, i limiti dell'’accampamento nemico.


Louis Coulon lo accolse tale e quale ad una statua di pietra templare che poteva ritrarre un inviolabile guardiano.

Il generale si avvicinò  assieme all’amico, incuriosito cupamente dall’aspetto del comandante avversario.
Poteva essere un ragazzo di ventidue anni… la stessa età di quando lui perdette parte delle proprie milizie in Baviera.
Viso imperfetto dalle quadrature sassose e stanche quasi fossero impastate di gesso secco e opaco, naso grosso da avvilito uccello marino che dalle narici lasciava cadere una lunga e fragile scanalatura che distanziava la bocca già di sottile vecchiezza...tuttavia era illuminato dalla medesima vergogna guerriera che vestì il Conte l’estate del 1743.
La battaglia di Dettingen fu una sua forzata medaglia di consolazione per aver accompagnato  la Francia nel fallimento. L’esercito di Giorgio II uscì vincitore e, sebbene avesse stracciato il proprio anelo e il proprio corpo, tornò con la divisa lacera, la baionetta scarica e la sciabola irrimediabilmente insozzata di sangue e sterile arena.

Gli saettarono nella mente frecce di ricordi ad una velocità paradossale e lenta….il ritratto che gli fece Deronne, il medico grezzo e acuto dell'’esercito capace di fare una diagnosi certa senza bisogno di una visita:
“ Ti stai affilando come un uomo con dedizione e imprudenza…Provi a fare invecchiare gli occhi ma sei un bambino che vorrebbe scendere dall’albero sul quale si è arrampicato…L’ancora del tuo vascello è stata appena levata. Hai vissuto nel baccano di un porto che ti ha schiaffeggiato per buttarti all’orizzonte” 
Le accuse sarcastiche e corrosive di Frederic Claude de Girodel.
 Il senso dell'onore è encomiabile ma inutile, valoroso de’ Jarjayes… ho solo visto il vostro stendardo bruciarsi al suolo.”

Il verdetto finale del Duca de Noailles : “Per aver trasgredito gli ordini del vostro comandante supremo, vi requisisco i gradi di tenente.”

In quel momento, impantanato in una vallata  limacciosa della Pennsylvania, guardò un riflesso di se stesso remoto che parlava un inglese sferzante e ferroso contro un melodico e irruvidito francese che tentava di contrastarlo.

Coulon rispettò le condizioni del patto e liberò i soldati anglo americani presi prigionieri.

François avrebbe volentieri piantato un proiettile nel petto di Washington. Si convinse che costui lo avesse offeso mostrandosi in qualità di un sosia perdente che dimorava invitto nella coscienza.

Quando costui diede le spalle, si domandò se l’olandese avesse parafrasato precisamente il documento di resa…

I suoi sospetti non gli vennero mai confermati ma in effetti ebbe veramente ragione a dubitare.
Washington non comprese mai di essere stato accusato di assassinio e de Vielliers non seppe mai che il  virginiano aveva firmato la capitolazione ascoltando la traduzione stentata e malmessa del militare olandese.

I termini di piombo che lo incriminavano assunsero il pallore  tisico  di un’emaciata foschia:

  responsable de l’assassiner du comandant Joseph Coulon de Jumonville  «


Dopo le otto di mattina, Fort Duquense venne data alle fiamme che depurarono inesorabili ciascun carcame che osasse ancora sopravvivere di futile malinconia.

 

***§***

 

 

 

ottobre

Versailles, Parigi

Nonostante l’autunno stesse iniziando a depredare dolcemente gli alberi da foglie di smorto smeraldo e inibito oro, persisteva  un aroma d’acidità afosa…

Un’ombra di sterpaglie che sgretolava lentamente ticchettando scalpiccii brucianti.

Tutti erano ormai convinti che tra padre e figlio vi fosse un ponte in rovina sorretto dai loro occhi ancora più spalmati d’olio combustibile.

In quell’assolato pomeriggio di residue brine estive, i militari guardavano sorpresi Luigi XV presiedere l’Alto Consiglio di Stato assieme al Delfino Luigi Ferdinando.

Nel salone , di lusso austero e spigoloso , sedevano tutti attorno ad un rettangolare tavolo in massiccio stile rococò, imperioso residuo archeologico di Re Sole, una deposizione  di mortifera vitalità.
I due reali si fronteggiavano l’uno assiso sul versante di levante l’altro sul versante di ponente.  A separali una pianura levigata di gelo castagno cosparsa di missive che parevano cedere il posto rispettosamente ad una grossa e renosa mappa dell'America del Nord.

-          La valle dell'Ohio è finalmente sotto il controllo della Francia – pronunciò il sovrano come un valoroso atleta che avesse terminato una maratona-  Dopo estenuanti scontri abbiamo pieno potere sui commerci con Fort Pontchartrain du Detroit * e La Baie des Puants* : con gli scambi tra il Québec e le città della Louisiana guadagneremo notevole vantaggio sulla Gran Bretagna. Si è registrato un ingente aumento delle entrate e la Virginia ha assistito a una critica contrazione dei suoi proventi…tuttavia la notizia della sconfitta di Washington a Fort Necessity sta infiammando il torpore del Duca di New Castle. A quanto pare si sta mobilitando per organizzare un contrattacco.  Confermate dunque tali notizie,  Generale de Girodel?

Il conte  sedeva alla destra del re, simile a un Cristo di glaciale minacciosità.

A quarantaquattro anni i capelli neri, che gli arrivavano sulle spalle , erano filamentosi di grigio:  di rado portava la parrucca proprio perché ci teneva a palesare la sua santità profana e tronfia.
 Il fisico di arcigna snellezza somigliava ai cipressi che verdeggiano cupi e sprezzanti e gli occhi seghettavano con un tono acquamarina chiaro e laminato.
Il volto tagliente , in parte butterato da cicatrici d’ustione, carburava mitezza inquietante e il sorriso espandeva un pulviscolo di fraudolenta modestia.
 

-          Sì, vostra Altezza – rispose con tono greve simile a uno strato di neve -  Ora che Thomas Pelham-Holles è diventato Primo Ministro, sta rivedendo i suoi assetti diplomatici. La situazione per le loro colonie può declinare ancora più e perciò si sta programmando una forte spedizione contro i nostri territori. È confermato che i rinforzi britannici partiranno l’anno prossimo. Non si conosce con assoluta certezza chi sarà il generale al comando. La stragrande maggioranza caldeggia la nomina di Edward Braddock. È un veterano temibile e potrebbe creare notevoli problemi. Nonostante la nostra vittoria è necessario chiamare in patria i francesi che hanno combattuto in Pennsylvania e spedire nuove milizie. Dobbiamo disporre di efficaci forze in campo. Questo è l’inizio di una guerra contro re Giorgio.

Il re congiunse le mani davanti al viso meditabondo. Cercava di apparire autorevole e ponderato ma chi lo conosceva molto bene riusciva a cogliere in quel gesto un’insicurezza imbarazzata che veniva respinta dentro dagli avambracci chiusi. Alcune volte si aveva l’impressione di vedere un corridore che prima partiva veloce e deciso e dopo rallentava guardandosi dietro per la paura di aver perso o di perdere qualcosa.

 

-          In teoria – considerò schiarendosi la gola -  non siamo in tempo di conflitto e non possiamo definire grandi battaglie piccole lotte per estendere l’egemonia degli empori. È difficile, nondimeno, stabilire quanto possa convenire uno scontro definitivo per affermare pienamente la nostra supremazia in America Settentrionale. I nostri fondi si reggono su pilastri non ancora solidi al cento per cento…però…se riuscissimo a conquistare tutte le colonie inglesi , la Francia arriverebbe a possedere i tre quarti delle rotte marittime e ciò decreterebbe un’autentica apoteosi: la trasformazione nel più grande impero mondiale che sia mai esistito.

Frederic si compiaceva degli sguardi di Luigi XV che lo interrogavano con trepida mansuetudine. Da dopo la Battaglia di Dettingen  era riuscito a farsi abilmente strada tra i pochi fidati consiglieri reali. Apparteneva all’associazione silenziosa del Secret du Roi. Il parlamento aveva ricevuto una così grave restrizione di poteri che non vi erano più primi ministri da sette anni. Tanti funzionari covavano odio verso la corona e il monarca, avvelenato dalla paura e dalla diffidenza, era giunto per avvalersi di una sotterranea rete di spie-dirigenti .  

-          È quello che penso anche io, Sire – accondiscese Girodel -  Quanto tempo potrà reggere questa ridicola tregua che esiste solo su carta? Tra l’altro, sottolineo  i resoconti dell'ambasciatore  Von Kaunitz. Sarà pure un rapace degli Asburgo, ma la nostra rete di spionaggio gli dà ragione. C’è un motivo per cui i viennesi hanno soprannominato Federico di Hohenzollern  “ il brigante di Postdam”. I suoi rapporti diplomatici con re Giorgio  diventano sempre più sospetti e se non sferriamo un attacco drastico  all’Inghilterra ci troveremmo stritolati in una morsa letale . Se un gigante viene ferito alle gambe non riuscirà mai più a correre. Gli austriaci potrebbero sta volta rivelarsi utili…

 Si alzò il Delfino di Francia, un giovane di ventisei anni un po’ corpulento ma terribilmente solido e dotato di un’ammirevole e religiosa eleganza. Lineamenti regolari, di morbidezza autorevole e per nulla flaccida e pigra. Colpivano i suoi occhi neri, d’intelligenza amara, viva e indagatrice. Non abusava di falsi sorrisi e baldanzose cortesie. Non camminava mai curvo e aveva il volto perennemente in alto non come emblema di boriosità ma con acutezza di  falco guardiano.

Non amava Girodel e non amava i segreti del padre che tentava di forzare con una pertinace spranga di ferro.  
 

-          Vorrei poter condividere il vostro entusiasmo Generale de Girodel  - lo appellò con burbero contegno - poiché all’inizio anche io ero tentato di muovere guerra ai britanni ma  ho avuto modo di riflettere più accortamente su alcune  questioni per nulla trascurabili: la nostra vacillante economia. Le guerre espansionistiche di re Sole misero a nudo l’inefficienza  del suo sistema fiscale in cui i funzionari appaltatori prelevavano in modo eterogeneo e disorganizzato, frenando attività e arricchendo solo le loro casse. Piaga che è caduta su Filippo D’Orleans che ha tentato di far rinsaldare la situazione con l’emissione di carta moneta, una soluzione illusoriamente risanatrice…Si è vista poi l’inflazione e la svalutazione stessa della moneta! Si è visto poi come annaspavano le banche!

Gli altri generali  borbottarono tra loro lamentando la rigida diligenza del principe. Speravano che i contrasti in famiglia andassero avanti affinché costui non potesse  rimirare il trono neppure col binocolo.

Era indubbiamente comodo che Luigi XV dispensasse loro fiducia visto che era di continuo irresoluto ed era indubbiamente doloroso che il figlio un giorno sarebbe potuto divenire re.
 

-          Siamo riusciti a raggiungere il pareggio di bilancio sedici anni fa , grazie ai piani diligenti del Cardinale de Fleury…- silenziò tutti il Re - L’economia è già in ripresa! E direi che ci occorra una svolta, figlio mio!

-          L’ottimismo non vi deve ottenebrare la ragione, padre!  Se siete devoto alla buon’anima del Cardinale de Fleury che vi ha guidato e insegnato ,  preservate la sicurezza del nostro Stato! L’economia si è avviata ma ha ancora un respiro irregolare e cagionevole! Se ci buttassimo nel vortice di una guerra firmeremmo la nostra condanna a morte!

Luigi Ferdinando, da fervente cattolico che non confessava i sensi di colpa a chi non fosse sacerdote,   ribatteva evitando di sollevare un altro problema pungente: la migrazione degli ugonotti dalla Francia avvenuta due anni orsono inseguito a cruente repressioni che duravano dal sedicesimo secolo. Tale ondata di volontari esuli aveva sottratto al regno una cospicua  parte di commercianti , artigiani e operai determinando un forte indebolimento nello sviluppo delle attività.

-          Principe – cercò di conciliarsi Frederic più per convenienza che per franchezza-  La vostra lodevole ponderatezza, è comprensibile ma come si vuol dire se la migliore difesa è l’attacco è doveroso soppesare i rischi e analizzare i nostri punti di debolezza e forza. È vero che dobbiamo ancora ristabilirci però non possiamo ristagnare e regredire. Un ‘espansione bellica ben organizzata porterebbe sotto i nostri piedi le nazioni rivali. L’esercito è ben controllato.

 Il giovane e si risidette e serrò le mandibole cercando di contenersi: ovvio, per il conte Girodel era normale evidenziare sempre che anche lui possedeva lo scettro del comando.

Aveva aderito con successo a molte operazioni di guerriglia nelle colonie americane, assoggettando indigeni in maniera più o meno valida. Deteneva parecchi affari di cui, quasi al novanta per cento, non si riusciva a capire quanti fossero leciti e no. Tra l’altro  la Compagnia delle Indie Occidentali contava sui suoi finanziamenti tenendolo in grande considerazione e fornendogli lealmente supporto.
Il principe giurava a se stesso che , una volta salito al trono, avrebbe approfondito ancora meglio le indagini sul suo conto.

-           So a chi affidare determinati incarichi, figlio mio…- redarguì  il Re - bisogna circondarsi di pochi ma buoni servitori.

-          La vostre misure precauzionali hanno lasciato perplessi me e le mie sorelle, padre…Certo, è degno d’interesse il come esercitiate appassionata filantropia a commedianti teatrali che siedono su troni e vi rintronano il senno con irresistibili profumi!

Ecco che cominciava il duello tanto atteso.

Girodel fissava tacitamente allietato il confronto tra padre e figlio: si sapeva che il primo, finalmente libero dall’ombra moralista di Fleury,  aveva abbandonato da tempo la fedeltà coniugale cercando deliziose amanti e iniziando a guadagnarsi, lentamente in politica, la nomea di fannullone .
Il reggente , al contrario, era ritenuto un lodevole esempio di morigeratezza e razionalità, un nobile legato sinceramente alla consorte e ai suoi piccoli figli. Era stato reduce da un primo lutto matrimoniale da adolescente che l’aveva ferito in modo profondo e successivamente si era dovuto risposare con la principessa Maria Josephina con la quale aveva instaurato un vero affetto.

-          Caro figlio, potresti essere anche un giudice mandato dal Creatore in persona, ma sono io padrone della mia volontà! E io discerno l’intelligenza nefanda da quella brillante!

-          Con quale mossa strabiliante voi e la vostra musa ci porterete sul lastrico?

-          Ti rammento, Luigi Ferdinando, che sul trono ci sono ancora io.


Quando si osava alludere in modo velenoso all’amata Madame Pompadour , il sovrano s’incolleriva. Sapeva bene che il delfino e le figlie la detestavano cercando di trovare crepe che potessero far crollare il raffinato edificio delle sue qualità. Trovavano inconcepibile che avesse ricevuto il titolo di amante ufficiale.
Luigi Ferdinando temeva aggressivamente la sua influenza e desiderava esiliarla da Versailles non appena avesse ottenuto i pieni poteri governativi.
Il Duca di Noailles che fin a quel momento era rimasto in un mutismo  riservato, ritenne opportuno dileguare la coltre elettrica di burrasca:

-          Maestà. Io sostengo le preoccupazioni del Principe così come comprendo la ferrea determinazione del Generale Girodel. Espanderci potrebbe accrescere la nostra potenza ma al contempo un regno con ampissimi confini aumenterebbe pericolosamente la vulnerabilità. Bisogna prendere insegnamento dalla storia. I grandi imperi non hanno retto il peso di regioni spropositatamente allargate. Le membra che si allungano perdono compattezza muscolare. Anche Ottaviano Augusto raccomandò ai propri eredi di custodire gli antichi e ampi limes di Roma e di non lanciarsi in dissennate conquiste. Il mio suggerimento è, come ha detto Girodel, mobilitare altre truppe in Canada ma restare sulla difensiva e non emettere alcun ultimatum contro l’Inghilterra.


I generali esposero alcune obiezioni ma non osarono dilungarsi più di tanto perché quell’uomo, anche se ormai a cinquantanove anni stava per concludere il servizio militare, trasmetteva una regalità cesarea e autentica che scorreva nei canali di fresca antichità delle sue rughe, nei suoi lineamenti fieri ed eroici tali e quali a quelli di un grifone dal volto spesso d’aquila, dal torso leonino e dalle invisibili ali rocciose.
Il re non poteva dargli torto perché lo stimava allo stesso modo di Girodel e in fondo, con autentico amore e vergognosa colpevolezza, non voleva distanziarsi ancora di più dal figlio per il quale aveva sperato nell’infanzia e nell’adolescenza e lo riteneva, in un clima anche deteriorato, una parte della sua anima generata dal proprio anelo vitale.

Fissò il principe che distese un po’ più dolcemente lo sguardo anche se manteneva negli occhi un telo di offesa severità.
Tornò a volgersi verso il Duca:

-          Capisco…condivido il vostro pensiero però temo che restare sulla difensiva significherebbe offrire vantaggio a re Giorgio.

-     No, Altezza. Si tratta di tenere al sicuro le ricche regioni che già sfruttiamo e incentivare di più il loro sviluppo…Piuttosto che una guerra infinita , bisognerebbe proporre una volta per tutte una spartizione equa delle colonie di America.


Sta volta Frederic era preso in contropiede: non voleva rinunciare orgogliosamente alla sua facoltà di obiettare ma neppure desiderava contrastare uno dei pochissimi uomini che temeva e rispettava con franchezza.
Certo Noailles, avrebbe potuto benissimo lasciare il maggiore Rochebrune a dirigere i corpi di polizia delle frontiere e  soprattutto imprigionare De Jarjayes nella caserma delle Guardie Urbane di Parigi a contatto coi microbi  della plebaglia.
 

-    Ahimè, Duca di Noailles i patti di questo genere non giovano tanto…- tentò di imporsi con  gentile prepotenza- pensate a cosa è accaduto durante le trattative di Aquisgrana. Il Regno di Savoia e la Prussia hanno divorato la maggior parte delle pietanze del banchetto lasciando le briciole all’Austria e a tutte le altre nazioni.


Il valoroso veterano, colmo d’integerrima e pietrosa serenità , rimandò:

-          Avete ragione Generale de’Girodel ma occorre pensare al meglio e fare decisamente di meglio. Siamo ancora in tempo per prevenire irreparabili disastri. Non sono state stipulate ancora nuove e decisive trattative e il Primo Ministro di Inghilterra non credo sia entusiasta di allestire un dispendioso diluvio bellico. Penso che neppure la Prussia desideri un conflitto…essa vuole garantirsi protezione e non ha esternato dannose ostilità verso di noi.


Il delfino, anche lui convinto patrocinatore di Noailles, indirizzò al re un’occhiata bruciante d’implorazione:

-       Padre. Lasciamo che l’Austria risolva da sé i suoi screzi con gli Hohenzollern! Prendiamoci cura e arricchiamo le colonie che già possediamo. Se originiamo un’altra guerra ci incancreniremo causando l’amputazione di buona parte dei nostri arti.

Il monarca fissò un antico mappamondo che troneggiava nel letargo di una ringhiante mitezza da orso bruno….

Così serico e perfetto, così fintamente piccolo che ci si scordava che tenerlo in mano rappresentava sorreggere l’ opprimente ossigeno di mari e monti.  
 

-          D’accordo – si decise più fermo -  Non avanzeremo alcuna dichiarazione di guerra…per adesso. Siccome tutto è in divenire ed è incerto, valuteremmo in che modo avanzare volta per volta. Duca di Noailles e  Conte Girodel , da domani inizierete i preparativi per reclutare le milizie d’America.

 

Frederic si dovette accontentare amaramente di quel mezzo trionfo…De Noailles era un monolite difficile da gettare a terra. Il fatto che François fosse ritornato nella Maison du Roi ,  non l’aveva digerito bene.
L’ odio comunque non lo portava ad anelare la sua morte…non gli augurava  di finire massacrato dai pellerossa o annegare in una palude della Louisiana.
Conveniva più che altro  nutrire accuratamente il proprio ego, vedendo il rivale  arrampicarsi ai vertici della carriera similare a una scimmia zoppa che tenta di raggiungere i cocchi di un'altissima palma. Se coi compensi ricevuti per la sua missione di volontario, avesse risanato la precarietà dei latifondi di famiglia sarebbe rimasto un erede senza eredi.

I Girodel avevano un figlio di cinque anni, i de Jarjayes bambine finite all’altro mondo.


François non era un uomo povero, ma un pover’uomo.
Un Sisifo condannato a portare sulla montagna un macigno che, raggiunta la vetta,  gli sarebbe sempre scivolato lungo un pendio di strozzanti rovi.

 

 

***§***

 

 

novembre

Nouvelle Orleans, Louisiana

 

 

Quella sentenza gli rimbombava nella testa come una nenia funebre di metallico incenso.

“ Mai chiedere perdono in guerra. Il Signore lo sa che hai una sciabola e una baionetta. Non puoi perdere tempo a estrarre proiettili da cadaveri nemici. I romani sono tornati a raccogliere in lacrime il sale sparso su Cartagine distrutta? “

François  credeva di udire le spettrali raccomandazioni del padre Jean Antoine quasi fosse sorvegliato  dall’alone di un nero angelo custode.
Sta volta non c’era nulla di cui umiliarsi e infatti stava con la schiena eretta  introiettato verso l’azzurro del levante cosparso di nebbiolina dormiente.

Bisognava recitare inni di gloria, eppure non riusciva temendo di stonare in modo misero e tragico.

Lui… Lui che finalmente tornava trionfante e che aveva contribuito a fortificare la grandezza del Regno di Francia.

Conosceva bene la legge dell'infido splendore.

L’aurora somigliava al crepuscolo, il crepuscolo all’aurora.
Niente di più certo. Inevitabile. Confuso.
Nascita e appassimento costituivano un armonioso codice binario o forse erano riflessi di uno stesso numero primo cui la mente stremata attribuiva multipli inesistenti di possibilità.

Il Mississippi dominava plumbeo e meditabondo le lande della Louisiana, infiltrandosi con ieratica arroganza tra vecchie montagne, tra opache rive di boschi pianeggianti, tra melmose  isolette che sporgevano come dorsi di caimani o incuriosite teste di anfibi.
Le nuvole , che lievitano all’orizzonte della foce, prendevano le sembianze di  scogli ruvidi e cremosi e rivelavano che il mare terminava  versandosi in un limbo senza giorno e notte.

François , compiuta la missione a Fort Necessity,  si accingeva a raggiungere Nouvelle Orleans in attesa di altre direttive .

Affacciato alla prua del battello Lys Blanc , non condivideva l’esausta serenità dei soldati…Non riusciva a scambiare qualche effimera cordialità col timoniere, non sorrideva ai borbottii irritati degli sconfitti a carte, non si confrontava o congratulava coi propri sottoufficiali. 
Quel fiume , sul quale navigavano, gli pareva una sciarpa infeltrita che si scuciva all’estremità annegando in una distesa di vernice blu e informe.

Neppure il neonato mattino servì a dorare la cenere dei pensieri…

Tutto si bruciava dopo il silenzio acquatico dell'aurora e anche la pallida ombra della Luna veniva incenerita da fiamme inesorabili.

Il sole si accingeva a levare gli ormeggi e a viaggiare nella volta celeste con una corazza di recrudescenza splendente.

Da tempo il generale diffidava di quella malevola castità che carezzava e scuoiava città, campagne e progetti.
Era una colata di fasullo oro zecchino, utile a impreziosire la permanenza del buio che non scompariva dagli angoli delle strade, dagli ombelichi screpolati dei tronchi, da sotto i nidi delle rondini che migravano altrove.

“ Ma niente è più dolce che occupare i sublimi templi sereni, saldamente muniti dalla dottrina dei saggi, donde si possa abbassare lo sguardo sugli altri e vederli errare qua e là e cercare, aggirandosi senza criterio, la via della vita. “

François adorava Lucrezio* e da adolescente lo leggeva all’insaputa del padre che da cattolico praticante e aristocratico catoniano, deprecava le teorie sull’assenza di Dio e sul rifiuto dell’obbligo civile e militare. 

Il De rerum natura, riprendendo i precetti del filosofo greco Epicuro, mostrava la casualità del moto degli atomi che dà origine ai corpi, l’aggregazione e la disgregazione a cui sono soggetti gli esseri viventi, la confutazione della religione tradizionale, l’esaltazione della vita appartata lontana dai tumulti politici…

Cose  inconcepibili per un bravo cristiano e un nobile servitore della corona…

Guardando verso l’alto, il Generale invidiava i gabbiani che sorvolavano i  rombi delle cannonate terrestri…

Quegli uccelli s’interessavano a Maria Teresa che aveva rivendicato la Slesia perduta a causa dei prussiani?
Sostenevano la Francia ? Decidevano di arruolarsi in un esercito e servire uno Stato?!

L’unica constatazione, ironica e vendicativa, era pensare che anche gli uccelli più bianchi atterravano al suolo per cibarsi di pesci morti e spazzatura.

Làthe biòsas” , diceva Epicuro “ vivi in disparte”…Fosse stato semplice!

Non sia mai  Jean Antoine udisse che la fede opprimeva gli uomini “ dalle sue regioni celesti” , che “ la natura non è preparata dal dovere divino”  , che la saggezza consiste nel rinnegare la ragion di stato e nello  starsene bellamente in disparte nella contemplazione!

I moti dell’universo erano troppo logici e perfetti per non essere stati creati da Dio, gli uomini si erano evoluti e si erano organizzati in società dandosi leggi e obblighi da rispettare e così ,  come il Sacro monoteismo aveva distrutto gli dei pagani, la Monarchia aveva oppresso con un unico scettro le brame dei feudatari.

François ricordava che il padre conciliasse i pensieri dei repubblicani  Catone il Censore  e Cicerone con la devozione verso il re. Non esistevano contraddizioni e l’ “Exemplum” dell’Antica Roma ben fungeva da pilastro per una più che rispettabile carriera pubblica. La filosofia non doveva possedere fini estetici ma pratici e le teorie pericolosamente razionali o edonistiche erano proibite e corrompenti.

Il generale si domandava, tuttavia, come fosse possibile credere in Dio e avere una visione imperialisticamente pragmatica del creato...
Si domandava in che modo si poteva andare in chiesa , incapaci di comprendere l’anima: il cuore si deformava simile ad uno specchio d’acqua infilzato da un dito ed egli ancora non fermava gli archi vibratori delle scosse.

 

Erano le undici di sera nella dimora de Jarjayes ma la routine pareva inghiottita da un’atemporalità di claudicante bufera.
Da più di sei ore i medici chiamati da Jean Antoine non uscivano dalla camera di Philippe…
Qualche candelabro rischiarava , come l’aureola di un piccolo santo avvizzito, il grande blu dell'’oscurità. Alcuni servi , reggendo candele, facevano avanti e indietro seguendo gli ordini irrequieti del conte. Lasciavano magri serpentelli di luce che svanivano subito in liquescente polvere.
Il piccolo François, col cuore palpitante di angoscia, aveva smesso di giocare quella mattina, da quando nel giardino della villa suo padre era giunto sconvolto portando in braccio il figlio maggiore svenuto e terreo.
I servi avevano riferito che, durante la battuta di caccia, il ragazzo era caduto rovinosamente da cavallo sbattendo la schiena e la testa.

Vennero chiamati fatti chiamare due chirurgi e un farmacista perché la situazione si rivelava più grave del previsto.

Il bambino era stato confinato nella sua stanza assieme alla balia e  adesso, esasperato da quella tensione che bolliva devastazioni sottocoperta,  volle uscire.


Poiché la nutrice si era addormentata, ne approfittò per sgattaiolare fuori e immergersi nell’oscurità dei piani superiori della villa.

A cinque anni tutto  pareva gigantesco.

I riccioli erano una fontana incontrollabile che gli inondava la fronte e le guance di tondo e freddoloso zucchero, la morbida camiciola da notte stava larga e i piedi, piccini e paffuti, faticavano a calpestare per intero le grandi mattonelle di marmo.
Il corridoio che conduceva alla camera del fratello grande si elevava con gelide volte a botte che sembravano spettrali colli di giraffa che si congiungevano in un lontanissimo buio.

Molte finestre erano coperte dalle tende e soltanto una lasciava intravedere uno spiffero d’alito lunare.


Nonostante fosse impaurito dal buio e dalle geometriche armature medioevali che sembrava dovessero scattare da un istante all’altro, François affrettò il passo per avvicinarsi alla porta di Philippe.

Mentre ormai era molto vicino,  l’uscio si aprì facendo fuoriuscire una rovente luce arancione.

Immediatamente si nascose dietro la tenda broccata di una finestra.
Riuscì a distinguere la voce del fratello che si dimenava lacera:

-          Perché…non mi sento le gambe? V- voglio rialzarmi…

-          Philippe – raccomandò il conte stritolato – non ti agitare.

-          P-padre…che sta s-succen-do…?


Jean Antoine, senza aggiungere risposta, uscì dalla camera seguito dal più anziano dei medici.

-          Dottore, com’è la situazione di mio figlio? È  un trauma momentaneo? Quanti giorni deve impiegare per riabilitarsi?

Ci fu un silenzio vergognoso e tristemente agghiacciante.

Dopo un po’ il chirurgo, sforzandosi di apparire  più misurato possibile,  rivelò:

-          Signore, vostro figlio è stato fortunato a non aver subito un’emorragia interna al cranio e una febbre infettiva…tuttavia…le tre fratture  riportate alla colonna vertebrale sono gravissime.

-          Che…che intendete dire? Dovrà stare a letto lunghissimo tempo?

Il medico desiderò svanire come aria ma alla fine dovette completare l’orrenda diagnosi:

-       Io e miei colleghi siamo mortificati, nonostante abbiamo tentato di raddrizzare le giunture cartilaginee dei dischi vertebrali, i nervi che collegano e controllano le gambe  sono irrimediabilmente danneggiati.          

-          No…non capisco – rispose con tono smorzato e moribondo l’uomo.

-          Il sistema nervoso parte dal cervello e si propaga lungo le braccia, la spina dorsale e le gambe…è un meccanismo delicatissimo. Se si lede una di queste componenti non esiste guarigione.

-          Non ditemi che Philippe…

-          Purtroppo , signore, il ragazzo non camminerà più.

Da dietro la tenda, François affacciò attonito il capo.

Sentì il cuore del padre comprimersi brutalmente nelle penombre cavernose.
Mentre ancora gli sfuggiva di mano la consistenza di quella verità, il bambino posò gli occhi su una sciabola dall’elsa dorata appesa alla parete di fronte…

Da lontano luccicava simile a una reliquia  fatua e lo teneva d’occhio svelando  la lama affilata pronta a fischiare spietata.
Aspettando torrenti di piogge.
Aspettando il mattino.

 Il Generale esibiva un regolare e avvenente connubio tra l’eleganza della madre, che echeggiava negli ondosi occhi blu,  e le severe ombreggiature dei lineamenti del conte. Alto, maestoso e severo trasmetteva ammirazione, soggezione e gelida diffidenza.

Tuttavia, troppe volte, si sentiva il viso granitico tenero e frangibile analogo a quello di un bimbetto. Quando si radeva gli capitava di tagliarsi una guancia che si striava di rosso impallidita da una goffaggine adolescenziale…

Rabbrividiva se pensava di essersi addossato il destino del primogenito Philippe…

Cosa sarebbe successo se non fosse avvenuto quel tragico incidente a cavallo? Da figlio cadetto avrebbe perseguito un’altra carriera? Quella di ministro? Quella di cardinale? Una vita più comoda  lubrificata dal privilegio di dedicarsi agli  studi ?

Meglio non elaborare ipotesi irreali…

Il Cielo aveva desiderato in tal modo il corso degli eventi e lui era stato costretto ad appropriarsi , fin dall’infanzia, del dovere di un altro…Un dovere trasformatosi, dopo lungo tempo, in linfa vitale.
Aveva raggiunto la vetta dei gradi inseguito a una lunga scalata: per quasi sei anni era stato sergente, maggiore e capitano nelle Guardie Urbane di Parigi e, grazie all’abilità e alla fermezza, si era guadagnato una rinnovata ammissione nella Maison du Roi grazie al Duca di Noailles, proseguendo l’avanzata e attuando missioni difensive sulle frontiere della Francia e persino nelle colonie d’Oltreoceano.
Infiniti mesi di arrampicata scansando gelide valanghe che crollavano alla più piccola aurea di lamento e in che maniera Jean Antoine aveva reagito? Con sguardi di solenne e magnanima sufficienza quasi si rassegnasse a non redigere il testamento a un erede semidio.
François, tristemente astioso, comprendeva in parte quella diffidenza genitoriale: anche dall’Aldilà  avvertiva l’ombra di un’ arcata sopraccigliare raggelare ogni raggio di calore...

-          Nessuna pioggia spegnerà Sole di oggi.

-          Etienne!

Il giovane, che l’aveva raggiunto a prua,  scherzò perplesso:

-          Signore! Piace tanto chiamarmi con quel nome! Il mio è così brutto?

 Il generale guizzò leggermente il capo e rispose:

-          Perdonami... E’ da un pò di giorni che non riesco a dormire...L’insonnia fa strani scherzi, Nootau.

 L’abenachi appoggiò le mani sul corrimano di prua ispirando  l’aria fresca e nebbiosa del mattino.

-          Insonnia non del tutto cattiva – ammise con riflessiva semplicità – fa sentire bene le parole senza suoni...quelle che non nascono mai da bocca ma che restano acqua scura che si unisce a sangue e che non si possono prendere.

 Infastidito dalle pieghe che si sarebbero potute evolvere, il Conte tagliò seccamente: 

-          Lascia luccicare queste perle di saggezza nella tua testa e dì ai tuoi uomini che tra mezz’ora approdiamo a Nouvelle Orleans.

-          Sì, Generale.


L’uomo si rammaricò di licenziare il migliore dei suoi sottoposti alleati.
A mano a mano che l’imbarcazione si avvicinava al litorale di Nouvelle Orleans , prese a organizzare zelantemente le operazioni d’attracco aiutato dai comandanti di marina.

Cercò di non sentire la voce dorata del pellerossa che tanto rassomigliava al tono agreste e cesellato di Etienne…

Sebbene le considerevoli differenze caratteriali tra i due, entrambi risplendevano di un’energica positività...
Quella positività ingenua e sfrontata che egli si spossava di trovare oltre le nuvole.
Nell’attimo in cui il naviglio stava preparando la passerella che si sarebbe adagiata sulla banchina del porto,  chiamò:

-          Nootau.


L’indiano gli si affiancò reverenziale e interrogativo.

-          Dopo che avremo attraccato  - proseguì il superiore – immagino che tu e tuoi uomini ritornerete dalle vostre famiglie.

-          Certo, Generale…ho moglie e tre bambini che domandano se io stato divorato da spiriti maligni!

François abbozzò un sorriso abbattuto.

La visione del volto di Judith lo destabilizzava…
Il millesettecento quarantatré era stato il principio dei suoi annegamenti famigliari…il principio di una maledizione scaturita proprio quando si era appena sposato imparando a distendere speranze.
 

-          Capisco- rispose accantonando a fatica le proprie angosce – prima che ci separiamo, vorrei ringraziarti nel migliore dei modi...

-          Per me è stato onore servirvi...Vostra tempesta è nobile, Generale...anche se forse sembra che viaggia perdendo molti fulmini.


Il militare fissò il mare fustellato di resina arancione e azzurra e tornò a guardare il guerriero con sincera ed estenuata limpidezza.

-          Sai, Nootau...Etienne...era mio fratello. Il migliore che  abbia mai avuto.

 

 

 

 

 

 

Note storiche:

 

-          Guerra di successione Polacca ( 1733-1735) : conflitto che scaturì in Polonia inseguito alla morte del Re Federico Augusto II : l’Austria e la Russia sostennero il figlio Federico Augusto III mentre la Francia , la Spagna e il Ducato di Savoia Stanislao Leszczynski, suocero di Luigi XV.

 

-          Uroni : popolazioni indigene del Nord America, più propriamente “ wyandot ”  ( di cui fa parte anche la tribù degli abenachi ). Il termine “ urone” ( detto huron in francese ) , all’inizio usato dagli esploratori in modo  dispregiativo,  significava “ burbero” e “ arrogante”   ,  oppure hure “ testa di cinghiale” , per indicare la particolare capigliatura degli indigeni che ricordava la peluria.

Voltaire, per esempio, nel libro “ l’ingenuo” , adopera il termine “ urone” per denotare semplicemente la provenienza esotica del suo protagonista che è appunto un pellerossa.

 

- Lucrezio : o Tito Lucrezio Caro ( Pompei o Ercolano 94 a.C – Roma 50 a.C )  poeta e filosofo romano seguace dell'epicureismo che influenzerà molto l’esistenzialismo moderno con temi riguardanti l’angoscia  e il pessimismo.

 

( personaggi realmente esistiti)

 

-          Venzel Anton Von Kaunitz ( 1711- 1794) : influente diplomatico e politico austriaco laureato in legge, sostenne il dispotismo illuminato e molte riforme nazionali dapprima sotto la regina Maria Teresa ( che gli concesse ampio potere) e successivamente durante il governo di Giuseppe II, Leopoldo II e Francesco II. Divenne il primo vero fondatore del Consiglio di Stato Austriaco e , in veste di cancelliere fu responsabile, in politica estera, delle trattative con la Francia durante la Guerra dei Sette Anni. Venne inviato infatti a Parigi nel 1750, dove rimase per due anni al fine di convincere Luigi XV a sostenere la causa degli Asburgo contro la Prussia. All’inizio non fu facile persuadere il sovrano  ma l’ambasciatore riuscì a piegarlo , avvalendosi di Madame Pompaduor che lo indurrà a stipulare l’alleanza con l’Austria [ questo si vedrà più avanti nella storia]

 

-          Claude Pierre- Pécaudy de Contrecoeur e Louis Coulon de Vielliers :  entrambi ufficiali  canadesi, ebbero un ruolo molto importante nella difesa e nella gestione delle colonie francesi in America. Il primo espulse le truppe inglesi del comandante Ward da Fort Prince George che fu abbattuto e ricostruito con il nome di Fort Duquense ( in onore del Marchese Duquense, allora governatore della Nuova Francia ) . Il secondo, fratello maggiore di Joseph Coulon de Jumoville , sconfisse Washington a Fort Necessity e redasse il documento di resa.

 

 

[ per il Duca di Noailles , potete rivedere le note del CAP 1 ]

 

 

I problematici resoconti sull’imboscata di Jumoville prima della Battaglia di Fort Necessity:

 

nonostante assuma una prospettiva da narratore onnisciente, ho riportato il punto di vista solo dei franco-canadesi ( per non allontanarmi  dal palcoscenico del protagonista ) ...

Mi pare opportuno e corretto , quindi, esporre le versioni che sono state date di quest’imboscata in un’ottica più ampia possibile.

Esistono parecchi dibattiti al riguardo , perché le fonti studiate concordano su molti fatti e discordano su altri. Tutte però sostengono che lo scontro durò quindici minuti e Jumoville fu ucciso e una buona parte dei suoi uomini freddata o fatta prigioniera. Ho consultato sia wikipedia che un altro sito di battaglie coloniali poiché i miei libri di storia non si dilungavano dettagliatamente prima della guerra dei sette anni e sulle guerre franco-indiane.

 

Le versioni che Washington scrisse coincidono tutte tranne che per dei particolari. In un suo diario affermò riguardo alle sue truppe, che “  "eravamo appostati molto vicini a loro... quando ci scoprirono; dopodiché ordinai alla mia compagnia di aprire il fuoco... La compagnia... ricevette tutto il fuoco dei francesi, durante gran parte dello scontro, che durò solo un quarto d'ora, prima che il nemico fosse sconfitto. Uccidemmo Mr. de Jumonville, il comandante... ed altri nove; ne ferimmo uno, e facemmo ventuno prigionieri".

 

Durante il dialogo della seconda scena Contrecouer riporta i rendiconti fatti da un Canadese scampato e un irochese disertore appartenente al contingente di Washington. Entrambi sostennero che furono gli inglesi a far fuoco sui francesi e specialmente l’indiano disse che il suo popolo cercò d’impedire agli inglesi di massacrare i francesi.Nella mia fan-fic ho desiderato tuttavia mostrare maggiormente  lo scetticismo di Contrecouer e attribuire l’assassinio del contingente diplomatico sia agli inglesi che agli irochesi. Infatti è stato de Jarjayes a verificare sul campo la modalità d’uccisione di Jumoville e dei coloni.

 Una terza fonte, ritenuta da diversi storici come la più corretta e precisa, proviene da John Shaw,  un soldato appartenente al contingente di Washington che non prese parte diretta allo scontro ma raccolse accuratamente le testimonianze dei propri compagni mettendo in luce la terribile azione di un capo irochese di nome Tenachrisson, conosciuto dagli inglesi come “ Half king” poiché aveva radunato diverse tribù sotto il suo comando.

La cosiddetta imboscata accadde di notte, e i virginiani colsero di sorpresa i francesi che dormivano e uno di loro perciò: "sparò un colpo dopodiché il colonnello Washington diede l'ordine di sparare. Molti d loro furono uccisi, il resto fuggì, ma i nostri indiani li avevano accerchiati... tornarono dagli inglesi deponendo le armi... Qualche tempo dopo [,] gli indiani giunsero[,] il Mezzo Re prese il suo Tomahawk e spaccò la testa del capitano francese, dopo avergli chiesto se fosse inglese ed aver ricevuto risposta negativa. Ne prese quindi il cervello e se ne lavò le mani prima di togliergli lo scalpo".

Anche un altro disertore anglo indiano confermò il resoconto sostanzialmente corretto di Shaw: “nonostante la scarica di moschetti che [Washington] fece su di lui, egli [Washington] intendeva leggere [l'invito] e si era ritirato tra i suoi uomini, a cui in precedenza era stato ordinato di sparare ai francesi[. T]ale [Tanacharison], un selvaggio, giunse [dal ferito Jumonville] e disse, Tu non sei ancora morto, padre mio, e colpì ripetutamente con l'ascia uccidendolo" . Tale versione è stata documentata dallo storico Fred Anderson che interpreta il massacro da parte degli indiani come un sacrificio rituale e riporta i dati dei morti francesi a 13 o 14.

Riportati questi dati,  il giovane Washington ha avuto gravi responsabilità e difatti nessuno contesta il fatto di attribuirgli la morte di Jumoville.

 Tuttavia, leggendo anche il sito sulle battaglie del farwest ( che conferma anch’esso le fonti di wikipedia) , ho riscontrato e condiviso un’interpretazione “ umana”  di Washington e dei suoi errori. Lo scontro con Jumoville è avvenuto, come ho riportato prima , di notte  ma a quanto pare vi è stata una certa confusione iniziale : “dopo una notte di pioggia fitta, Washington, confuso e mezzo perso tra i boschi con una quarantina di miliziani, aveva seguito Tanaghrisson, l’Half King, fino al luogo dove era accampata la pattuglia francese, ora chiamato Jumonville Glen, ed era quasi inciampato addosso ai soldati francesi ancora intontiti dal sonno che si preparavano a far colazione ai piedi di un roccione. Non è chiaro se un Francese avesse dato l’allarme o un Virginiano avesse sparato subito per il panico, comunque i Virginiani lanciarono due salve di fucilate, mentre i Francesi ricambiavano qualche colpo sparso e si ritiravano tra gli alberi, dove però i Mingo di Tanaghrisson bloccavano loro la ritirata. Un ufficiale francese chiese il cessate il fuoco, dichiarando che l’alfiere Jumonville e altri 14 francesi erano feriti, uno era morto e cercando di far capire, tramite un interprete, che i Francesi venivano in pace a portare un messaggio scritto per gli Inglesi in cui si ingiungeva loro di ritirarsi dai possedimenti di re Luigi XV di Francia. Washington disse che avrebbe letto la lettera tramite il suo interprete e si apprestò a farlo. Intanto Tanaghrisson si avvicinò a Jumonville ferito, si accertò che non fosse inglese e […]  poi alzò l’accetta, lo colpì alla testa finché non si spaccò[…]. Mentre Washington restava paralizzato dallo shock, i Mingo si precipitarono a massacrare i Francesi feriti, finché Washington riuscì a riprendersi e a far formare dai Virginiani un cordone protettivo attorno ai 21 superstiti. Solo uno dei feriti fu salvato, mentre gli indiani scotennavano i 13 cadaveri, li denudavano, ne decapitavano uno, impalandone la testa su un bastone, e se ne andavano con il bottino.”

 

Washington,  scosso e debole a causa della poca esperienza, volle proteggere la sua vacillante reputazione redigendo nel suo diario che aveva ucciso i francesi di Jumoville in quanto spie…naturalmente senza mai confessare che si trattava di un contingente diplomatico. Perdonate questo papiello XD ma anche a costo di essere noiosa è necessario ribadire che la storia è fatta di interpretazioni e non è sempre facile capire al cento per cento quale possa essere la più corretta…

 

Note personali:

ecco l’angolo degli sfoghi! XD finalmente posso dirvi perché ci ho impiegato tantissimo per aggiornare ( università e disegni a parte ) …

dunque, ho avuto dei problemi di salute che mi hanno rallentato e tra l'altro ho dovuto finire un altro capitolo macigno in Saint Seiya ( i cavalieri dello zodiaco) e sono tornata su Lady Oscar. Bene. Ero partita abbastanza tranquilla perché credevo e M’ILLUDEVO di avere il capitolo 2 completo ad un 60% dove doveva all’inizio esserci la nascita di Oscar…mi sono resa conto che la situazione era più tragica del previsto perché, avendo in mente di parlare approfonditamente di François e Judith ( sì, ho lasciato il nome di Judith aggiungendo “ Marguerite” come nome secondario ) , non potevo trascurare una cospicua quantità di vicissitudini sul loro passato. Oltre però il fattore psicologico e intimo c’era anche l’antefatto della Guerra dei Sette Anni , o meglio la battaglia di Fort Necessity su cui mi sono dilungata abbastanza.

Passiamo ai personaggi. Ho desiderato fare questo grande salto temporale di dodici anni dal primo capitolo poiché credo che una narrazione lineare sarebbe stata eccessiva e pesante  invece una un po’ più frammentata da flashback avrebbe trasmesso più  mistero e  concesso gradualità conoscitiva alla figura di François. Ho lasciato capire il drammatico periodo di crisi con la moglie e ho anche introdotto il nome di un importantissimo personaggio : Etienne, il fratello minore del protagonista.

Non posso anticiparvi null’altro su costui perché il prossimo aggiornamento gli sarà dedicato quasi interamente  ;)  e sarà una figura importante per tutta la storia specialmente per quanto riguarderà Oscar e André .
Ovviamente ho anche mostrato la sorella maggiore di Judith, Oriane, il cognato Cosimo e il nipotino Samuele ( futuro cugino di Oscar) …Saranno personaggi “ secondari” ma continueranno ad apparire , soprattutto Samuele.
È stata un’occasione per mettere in luce il carattere sensibile e buono della contessa , fragile e forte e comunque non esente da incomprensioni verso il marito che come afferma Oriane, reagisce in modo diverso nel dolore…Nel flashback del cimitero i due sposi sono uniti nel lutto ma tristemente separati da lacrime che escono e lacrime celate…

Altro aspetto importante in questo capitolo è stato il rapporto tra Luigi XV e il delfino Luigi Ferdinando ( attinto dalla realtà storica ma reinterpretato ) che oltre a far emergere la situazione d’incertezza politica della Francia ( la crisi economica, la persecuzione degli ugonotti, l’assenza di un parlamento autorevole) cerca d’offrire un ritratto umano di due reali, padre e figlio, distanziati dai loro contrasti e le differenze caratteriali e uniti in fondo da un affetto sofferto.

Per ricostruire il carattere di Luigi XV ho consultato la mia enciclopedia, il mio manuale di storia, wikipedia e un altro libro che concordavano tutti sul delinearlo come uno dei Borbone più colti, un re legato molto alle figlie ma dotato di una personalità insicura che l’aveva condotto a essere aggressivo verso i parlamentari e soggetto e influenzato dal Secret du Roi e dalle sue donne specialmente Madame Pompadour.

Ho riportato di nuovo il simpatico e amabile Frederic-Claude de Girodel che ha già avuto Victor di cui parlerò nell’ultima parte del Cap 2 ( assieme ad un piccolo André X3 )….lui è il personaggio molesto che deve per forza guastare  le feste…è accresciuto in furbizia e spregiudicatezza e non manca di delineare in termini compassionevoli e spregiativi François…

Chiudendo tutto , vi do appuntamento bisettimanale con i prossimi aggiornamenti! ^^

Un ringraziamento colossale e affettuoso a chi mi segue e un ringraziamento speciale a Lady Dreamer!! :*  

p.s : purtroppo Oscar nascerà nel cap 3 XD dovrete penare un po’….  


 

  

 

 

   
 
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