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e
state leggendo questo, significa che siete sopravvissuti.
Significa
che l'errore più imperdonabile nella storia dell'umanità può ancora essere
riparato.
Ho
visto cose che non avrei mai creduto. Una civiltà intera
spazzata via nel giro di una notte, un mondo ridotto in macerie, gli uomini
diventare bestie, le bestie farsi umane.
Eppure,
io credevo in ciò che facevo, e confidavo con tutto me stesso che quello
strumento così antico quanto misterioso potesse
davvero salvare la nostra specie dal cammino di distruzione che aveva percorso.
La
mia fede nel potere della scienza mi ha accecato. O forse, è stata solo la mia
ingenuità; il mio essermi auto-convinto che fosse alla nostra portata il
riuscire a dominare una conoscenza e un potere di cui nemmeno conoscevamo
l’origine.
L'assurda,
inarrivabile follia umana ha infine segnato il suo destino.
Ma forse, c'è ancora
speranza.
Io
sono qui.
Io
sono vivo.
Dovete
sapere.
Dovete
conoscere la verità.
Sapere
quello che è stato.
Pietà
per l'Uomo, e per i suoi peccati.
La torre, bianchissima, emergeva come una punta di
ghiaccio al centro del cratere, progressivamente aperto dagli archeologi nel
corso degli anni per liberarla dalla terra che l’aveva ricoperta per millenni.
Era
quasi incredibile che una qualunque mente mortale fosse stata capace di
progettare qualcosa di simile; neppure gli stregoni, che pure avevano un bagaglio culturale e storico assai più sviluppato di quello
degli esseri umani, sapevano con certezza di che cosa dovesse trattarsi.
Per
alcuni era un rudere risalente alla Prima Civiltà, un insieme di città stato
dei praticanti della stregoneria culturalmente e scientificamente già molto
avanzare quando gli esseri umani ancora vivevano nelle caverne, secondo altri
invece poteva essere ancora più antica, il che gettava
una luce incredibile, e per certi versi inquietante, sulla storia del pianeta
Terra.
Una cosa
però era certa.
Quella
torre era sia un dispensatore di vita sia, se usato nel modo sbagliato, il più
terrificante portatore di morte mai concepito.
In un mondo
governato dalla magia, il cui nucleo proveniva direttamente dalle viscere del
pianeta come un immenso, inesauribile fiume di energia, stando agli scritti che
era stato possibile decifrare tale torre aveva in sé il potere per agire su
tale flusso come nessun altro strumento mai concepito, in una sorta di connubio
tra una centrale di estrazione e un colossale bastone magico.
Poteva
tramutare un deserto in una foresta rigogliosa, portare la distruzione ed
essere al tempo stesso la fonte della creazione.
E di una
nuova creazione, in quel momento, il mondo aveva un disperato bisogno.
Ormai
era inutile negarlo.
La Terra
stava morendo.
La
guerra decennale che aveva spaccato il mondo in due, e di cui quasi non si
ricordava più neppure l’origine, stava gradualmente tramutando la superficie in
una landa desolata.
Intere
nazioni, intere porzioni di terre emerse, erano state
spazzate via, o sottoposte a drammatici sconvolgimenti energetici avevano
mutato drasticamente il loro aspetto, diventando sterili e inabitabili.
La magia
avrebbe dovuto rendere l’umanità migliore, invece ne stava diventando la
condanna, poiché nelle mani sbagliate poteva dimostrare un potere infinitamente
superiore a quello di qualunque altro strumento di distruzione concepito dall’Uomo.
La Torre
di Babele era l’ultima speranza.
Era
stata rinvenuta per caso, in uno dei pochi siti archeologici del Medio Oriente
sotto il controllo della fazione occidentale, e nel momento in cui se ne era
compresa la funzione era emerso agli occhi dei potenti
che, se opportunamente usata, poteva determinare da sola le sorti del
conflitto.
Per
questo, la sua esistenza era stata tenuta segreta con ogni mezzo, nell’attesa
di riuscire a capirne per intero il funzionamento, ma ormai, a quasi tre anni
di distanza, il tempo si era esaurito.
La
fazione orientale, in qualche modo, era venuta a conoscenza
dell’esistenza sito e delle sue capacità, e in quello stesso momento un enorme
esercito stava avanzando da tutte le direzioni nel tentativo di appropriarsene.
Il
dottor Coleman cercò nella tasca il proprio, inseparabile rosario, facendo
scorrere non visto i grani tra le dita fino a raggiungere la croce d’argento
mentre nella sua testa si agitavano foschi pensieri; in cuor suo sapeva che
quel giorno, alla fine, sarebbe inevitabilmente giunto, ma aveva sperato di
arrivarci con maggiori certezze.
Aveva
dedicato la sua intera carriera accademica a cercare di svelare il mistero
celato dietro le molte, misteriose rovine dell’Antico Popolo, come era stato ribattezzato, che la guerra aveva
dissotterrato a forza dalle viscere della Terra, e la torre in particolar modo
era stata per lui una vera ossessione.
Perché
era stata costruita? Era una micidiale arma creata per distruggere un qualunque
nemico, o forse lo strumento con cui quell’antica civiltà era riuscita a
cambiare il volto della Terra, tramutandola da mondo arido e inospitale in un
giardino dell’eden da riempire dei propri discendenti?
Ma al dottore
questo, al momento, importava relativamente: ciò che contava nell’immediato era
salvare quanto restava della Terra e della civiltà umana.
In una
notte illuminata a giorno dalle esplosioni, che riflettendosi sulla sabbia del
deserto raggiungevano con la loro luce lo spazio infinito, l’elicottero
militare che trasportava il dottore decollato in tutta fretta da Gerusalemme
poco prima della sua caduta era ormai giunto in prossimità della torre,
sorvolando prima del suo arrivo una interminabile
distesa di carri armati, soldati e macchine umanoidi da battaglia, schierati in
formazione di guerra e pronti a combattere fino all’ultimo uomo per difendere
l’impianto.
Varcato
il perimetro, il mezzo atterrò al centro della piccola cittadina di tende,
prefabbricati e impianti di ricerca alla base dell’edificio, ed
il dottore, discesone, si diresse velocemente verso la baracca che nei molti
mesi ed anni trascorsi lì aveva riconvertito a proprio studio, dotandola di
quei piccoli comfort che un luogo tanto lontano da qualunque traccia di civiltà
poteva garantire, come un letto comodo, una scrivania e una piccola,
selezionata biblioteca che potesse aiutarlo nel suo lavoro quotidiano.
Era
talmente preso nei suoi pensieri da non accorgersi di una debole luce che,
illuminando fiocamente gli interni, giungeva attraverso le finestrelle chiuse;
così, quando aprì la porta, trovandosi al cospetto del Generale Fraser, per un
attimo ebbe un sobbalzo.
Il
Generale metteva una certa soggezione, non fosse altro per i suoi leggendari
trascorsi sul campo di battaglia, con quel volto scavato, quelle tempie rigate,
le mani ossute ma vigorose, gli occhi piccoli e azzurri che trafiggevano come
lame, e quella rada capigliatura color ruggine che il vento secco e sabbioso
del deserto, malgrado tutte le cure e le attenzioni del caso, si divertiva a scompigliare.
Rinchiuso
nella sua divisa verde militare, con i gradi e le innumerevoli medaglie a fare
bella mostra di sé riflettendo la luce delle lampadine tremolanti, il Generale
sedeva al lato opposto della scrivania, le gambe accavallate sotto il tavolo,
una sigaretta in una mano e un vecchio, logoro volume aperto su di un
segnalibro nell’altra.
I due si
guardarono; quindi, preso un breve respiro, Fraser iniziò a leggere a bassa
voce, come recitando un salmo.
«Ed ella disse: “Guardati
dalla mia ira, poiché io mi nutrirò della carne dei tuoi figli, berrò il sangue
dei tuoi animali, riderò delle tue sventure e piangerò delle tue gioie. Porterò
il buio del mondo alla tua porta, maledirò il sole che illuminerà la tua casa,
verserò lacrime di gioia per i tuoi lutti, e guarderò negli occhi la fine della
tua discendenza.
Maledici il giorno in cui mi scacciasti
dalla tua casa, perché quello è il giorno in cui hai segnato il destino
dell'Uomo.”
Che
cos’è, dottore?»
«È un
antico testo ebraico» rispose Coleman togliendosi la giacca da viaggio per
sostituirla con l’uniforme. «Che parla di Lilith.»
«Lilith?»
ripeté il Generale con uno strano sorriso
«La prima
moglie di Adamo. Che venne da questi scacciata, e che
per questo maledisse il marito, mutandosi in demone e giurando che avrebbe
distrutto i suoi discendenti.»
«Molto affine
al periodo, se mi posso permettere.
Comunque
sono stupito. Non avrei mai creduto che un uomo come Lei, che regge nelle sue
mani il futuro dell’umanità, potesse avere un interesse segreto per testi
riguardanti la religione e l’apocalisse.»
«Se
fosse stato un interesse segreto non lo avrei mai
portato qui» rispose il dottore quasi stizzito. «Avevamo
fatto un accordo, mi sembra. Niente politici e militari entro il perimetro
della torre. Che ci fanno tutti questi soldati all’interno del mio campo?»
«Le priorità
sono cambiate, dottore. Il Presidente e il Consiglio di Sicurezza hanno
deliberato nuovi ordini.
Con la
caduta di Gerusalemme abbiamo perso il nostro ultimo avamposto in Medio
Oriente.
Tutti i
comandi, le divisioni operative e gli Stati Maggiori hanno ricevuto l’ordine di
ripiegare verso Creta ed Istanbul.
In altre
parole, siamo tagliati fuori, e in questo stesso momento metà dell’esercito
orientale sta pressando contro le nostre ultime linee per raggiungere questo
posto.»
Quindi,
il Generale si alzò dalla sedia e guardò il dottore, gelido, dritto negl’occhi.
«O la
Torre viene azionata stanotte, o domani mattina
duecento chili di ordigni magici alla testata d’argento ne faranno un cumulo di
cenere.»
«Lei sa
bene quanto me che non siamo ancora pronti» rispose il
dottore, apparentemente impassibile. «Abbiamo eseguito
solo quattro test di collaudo della torre, e nessuno oltre il quaranta per
cento della potenza necessaria.
Per
quanto ne sappiamo, i nostri strumenti di controllo e gestione del potere
potrebbero non risultare sufficienti a gestire una
energia di questa portata.»
«Per
questo abbiamo preso provvedimenti» replicò quasi beffardo il Generale
sventolandogli una memory card davanti agli occhi. «Si senta libero di consultarla. Ci vediamo al briefing tra
un’ora.» e detto questo se ne andò, lasciando Coleman
da solo con i suoi dubbi, e una sensazione di ansia fin troppo famigliare.
Oltre al Generale e al
resto dello Stato Maggiore della difesa, presenti in quel momento all’interno
dell’installazione, a presiedere all’ultimo briefing nel bunker di comando ai
piedi della torre vi erano anche il Presidente degli Stati Uniti e il
Segretario Generale delle Nazioni Unite, o di quello che ne rimaneva, collegati
in via telematica dalle rispettive sedi.
«Come
tutti sapete» spiegò il dottore azionando il
proiettore olografico. «L’energia che scorre
attraverso tutto il nostro pianeta, da noi chiamata comunemente magia, ha il
suo punto d’origine all’interno del nucleo.
Nel
corso del suo viaggio verso la superficie, essa passa attraverso particolari
noduli energetici collocati in prossimità della crosta terrestre, che
funzionando come delle stazioni di scambio assorbono e reindirizzano questa
energia in un collegamento a rete che abbraccia tutta la Terra.
Secondo
la nostra teoria, lo scopo originario della torre era di interagire con uno
qualsiasi di questi noduli e il relativo scorrimento dell’energia,
controllandone il flusso sì da reindirizzarlo a proprio piacimento attraverso
la rete.»
«Per
quale motivo sarebbe stata creata una cosa del genere?» domandò il Segretario Generale
«La magia è
la fonte della vita. Ogni cosa esiste grazie ad essa, e più ne scorre
all’interno di una determinata area più questa risulterà
fertile.
Manipolando
il flusso, sarebbe virtualmente possibile influenzare pesantemente la
conformazione fisica di un territorio, privandolo dell’apporto di energia.»
Tutti i
presenti ammutolirono, e molti guardarono in basso strofinandosi gli occhi o le
tempie.
«Da due
secoli a questa parte» proseguì Coleman. «La nostra
tecnologia si basa sullo sfruttamento di questa energia. La magia è il pilastro
su cui poggia la nostra società, e muove i motori di questa guerra.
Senza il
giusto afflusso di potere magico la nostra tecnologia si fermerebbe, per non
parlare delle conseguenze a livello ambientale.»
«Di
preciso, di che conseguenze stiamo parlando?» chiese il Presidente quasi con timore
«Dipende da
quanto si decide di chiudere i rubinetti. Un territorio necessita
di duemila rune* per poter sostenere adeguatamente la vita, di quattromila
per garantire un ecosistema fiorente. Se per ipotesi noi portassimo l’afflusso
di magia a millecinquecento rune in un’area che ne possiede abitualmente cinquemila,
tutti i supporti tecnologici legati all’M-Technology
si fermerebbero di sicuro, e avremmo delle conseguenze nel breve e medio
termine anche sulla popolazione.»
Di nuovo
vi fu silenzio, stavolta molto più teso, ed anche il dottore, non visto, portò nuovamente
la mano sul rosario, ora avvolto come un bracciale attorno al polso destro.
«E Lei
ritiene che sarebbe possibile sfruttare la torre per questo scopo?» chiese il Generale
«È quello che
abbiamo cercato di fare per tutto questo tempo. I test condotti fino ad ora ci
hanno permesso di interagire in maniera soddisfacente all’interno della rete,
sì da permetterci di togliere o aggiungere quantitativi minimi di energia
all’interno di aree ristrette.
È ovvio
che per servircene su scala globale o quasi servirebbe
un intervento di gran lunga più massiccio, senza contare l’enorme quantità di
potere che dovremmo ridistribuire.
Le
nostre strumentazioni dovrebbero poter fornire il supporto energetico
necessario, per quanto questa torre possieda in sé conoscenze che noi al
momento non saremmo neppure in grado di concepire.
Tuttavia…»
«Tuttavia?»
incalzò di nuovo il Generale
«Tuttavia
c’è la possibilità che un intervento invasivo di questa portata, condotto senza
le necessarie precauzioni, rischierebbe di danneggiare seriamente la rete
energetica, con conseguenze imprevedibili per l’intero pianeta.»
I membri
dello Stato Maggiore bisbigliarono tra loro, e anche il Presidente e il
Segretario sembravano molto turbati.
«Vi invito alla calma, signori» intervenne il Generale,
l’unico i cui occhi non trasmettessero insicurezza. «Nessuno
qui sta pensando di affrontare questa impresa a cuor leggero.
Abbiamo
investito oltre quaranta miliardi di dollari nelle ricerche sulla torre, e più
del doppio per la sua difesa. Migliaia di giovani vite
sono state sacrificate per mantenere al sicuro questa struttura, e non è nostra
intenzione rischiarne altre giocando con poteri molto più grandi di quelli fino
ad oggi conosciuti.
Pertanto,
per l’occasione, abbiamo riunito un’equipe di stregoni e dottori di magia senza
precedenti. Il meglio della conoscenza arcana è riunito qui in questa base.
Persino
il Consiglio dei Maghi ha dato il proprio benestare, fornendo studiosi e
apparecchiature, oltre ad aiutarci nella decifrazione dei codici necessari a
capire il funzionamento della torre.
Io vi
posso assicurare, e sono pronto a prendermi la
responsabilità di queste parole, che non sussistono pericoli di sorta.»
Il
pessimismo sembrava ben lungi dallo scomparire, eppure le affermazioni del
generale sembrarono scacciare in parte i fantasmi di vecchie sciagure che
nessuno voleva rivivere.
Dalla
Tragedia di Neptunia al Volo Moonlight
123, erano molte le vite spezzatesi nel corso dei decenni a causa di una magia
andata improvvisamente fuori controllo; ma ora si trattava del destino
dell’umanità.
Ora
c’era da salvare quando restava di una civiltà.
Se la
fazione orientale avesse vinto, o peggio ancora se fosse riuscita a mettere le
mani sulla torre, nessuno era in grado di dire che cosa sarebbe potuto accadere,
senza contare che più realisticamente quel conflitto decennale era destinato,
se lasciato proseguire, a portare all’estinzione la razza umana ben prima di
una qualsiasi conclusione pacifica.
Da parte
sua, nonostante tutto, anche il Dottore la pensava allo stesso modo.
Bisognava
far terminare quella follia, e bisognava farlo subito,
anche a costo di prendersi qualche rischio.
Se dall’esterno la torre
appariva già immensa, l’interno dava un’idea ancora più incredibile delle sue
reali dimensioni, ma soprattutto dell’incalcolabile sapere magico e scientifico
che doveva esserne all’origine.
A
distanza di tanto tempo ancora ci si domandava come fosse possibile che una
struttura tanto imponente, che altro non era se non un gigantesco cono
completamente cavo al suo interno, fatta eccezione per una lunga scala a
chiocciola che collegava tra di loro i vari terrazzamenti disposti a distanza
regolare, potesse reggersi su delle fondamenta tanto sottili.
Le
terrazze funzionavano come dei filtri, generando ognuna una barriera che
conteneva, e allo stesso tempo sublimava, il potere magico richiamato
direttamente dalle viscere della terra tramite il circolo magico, il più grande
mai visto, tracciato lungo tutto il pavimento.
L’antenna
in cima completava il tutto, irradiando di magia la zona circostante, sì da
mettere in funzione gli innumerevoli altri circoli disseminati tutto attorno,
dalla forza congiunta dei quali era possibile
esercitare il controllo sulla rete dei noduli.
Poco
sotto la prima terrazza, ad una ventina di metri dal
suolo, e in una posizione di assoluta sicurezza, era stato allestito un centro
di comando panoramico, ed era da qui che, allo scoccare delle tre, con la
battaglia per il controllo della torre fattasi talmente vicina da poterne udire
i fragori, prese il via il primo, vero tentativo di controllo della magia della
storia dell’umanità.
I più
esperti stregoni del mondo erano lì, radunati attorno al cerchio, le mantelle
cerimoniali a cingerne le figure ed in mano i bastoni
magici più potenti in circolazione.
Il
Generale si accese l’ennesima sigaretta, osservato con occhio obliquo, quasi
indagatore, dal dottore.
«Signori»
disse liberando una nuvola di fumo e aprendo
l’altoparlante. «Oggi facciamo la storia. La più
grande guerra mai combattuta dall’Uomo finisce stasera.
Mi
aspetto che tutti facciate il vostro dovere.
Cominciamo.»
Il
dottore sembrò tergiversare un’ultima volta, ma alla fine, quasi avvinto, ordinò.
«Abbiamo
luce verde» disse l’operatore. «Disinserire blocchi di
sicurezza. Avviare l’afflusso di energia.»
Gli
stregoni, abbassati gli occhi, iniziarono a pregare, recitando come un mantra le formule apprese nello studio delle rovine, e
facendo rintoccare nel contempo i propri bastoni, mentre il cerchio sotto i
loro piedi iniziava a riempirsi di un sempre più forte bagliore color smeraldo.
Poiché
non era stato possibile ripristinare in toto i sistemi di alimentazione
principali, il grosso del lavoro per quanto riguardava l’approvvigionamento di
energia era svolto da due giganteschi generatori posizionati
all’esterno della struttura, a loro volta alimentati da un’antenna
personalizzata che fin dalle prime battute iniziò a lavorare a pieno regime, a
dimostrazione di quanto incredibilmente grande fosse il potere magico
necessario a far funzionare la costruzione.
I
secondi si tramutarono in minuti, minuti tesi in cui nessuno aprì bocca, con il
classico ronzio prodotto dai circoli magici a fare da solo accompagnamento al
tintinnare dei bastoni e alle voci degli stregoni.
«Potenza
erogata al venticinque percento.» disse l’operatore
Una
colonna di luce si sollevò dal centro del cerchio, e le barriere di
contenimento, sottili e trasparenti come lastre di vetro, si attivarono
automaticamente; la luce, toccandole, si irradiava,
producendo un bagliore discontinuo e molto forte che inondava l’intera torre.
Il
Dottore si ritrovò a stringere di nuovo con forza il suo rosario.
«Potenza
erogata al cinquantasette percento.»
Barriera
dopo barriera, la colonna raggiunse la cima della
torre, e a quel punto tutti i soldati, i ricercatori e l’altro personale presente
all’esterno poterono vedere il vertice appuntito della struttura accendersi
come una stella, irradiando tutta la zona di una luce sempre più forte e
maestosa che squarciava la notte con inaudita potenza.
«Potenza
erogata al centoquindici percento! Massa critica in avvicinamento!»
«Attivare
i recettori energetici» ordinò il dottore. «Azionare
il resto dell’impianto.»
Come una
pioggia benedetta, la scintilla in cima alla torre si mutò in pulviscolo
luminoso, ricadendo tutto attorno in una cascata di gocce argentate che, al
contatto con la superficie, materializzarono un vero e proprio labirinto di
altri cerchi, fino a che tutta l’area in un raggio di due chilometri dalla
torre divenne un dedalo di linee, simboli e lettere arcane, mentre l’aria si
caricava di un potere talmente grande da dare vita a
ombre luminose simili a fantasmi, visibili anche a chi non era dotato di poteri
magici.
I
generatori e l’antenna lavoravano al massimo, e già qualcuno iniziava a temere
che si sarebbero presto fusi, ma incredibilmente, dopo qualche altro attimo di
forte sollecitazione, tutto parve acquietarsi, e nell’esatto momento in cui la
pianta dei pentacoli fu completamente attiva la situazione
si acquietò di colpo, in modo quasi irreale.
All’interno,
il cerchio magico rifulgeva in tutto il suo splendore, e ai maghi radunati
tutto attorno ad esso sembrava quasi di essere immersi in un oceano senz’acqua,
tanta era l’energia che si muoveva attorno a loro, ondeggiando le vesti e
facendole come galleggiare nel vuoto.
«Torre operativa,
Dottore.»
«Tutti i
cerchi sono attivi» disse un operatore. «Controllo sulla rete magica
confermato.»
Coleman
e Fraser si guardarono, scambiandosi una rapida e fugace occhiata, e ancora una
volta il dottore serrò le mani attorno alla croce.
«Procedete
con l’Operazione Horizzont.»
«Sì, dottore.
Procedura Horizzont in attivazione.»
«Nodulo alfa
localizzato. Obiettivo Xiangyan, ex Repubblica della
Cina del Sud.»
«Dare
inizio alle operazioni di assorbimento» ordinò il dottore. «Riconvogliare
l’energia di alfa sul nodulo P23XPA.»
«Nodulo
P23XPA inquadrato. Inizio ridistribuzione magica in tre… due… uno…»
La
colonna di luce, con la stessa velocità con cui era nata, riprese
vigore, così come riprese la pioggia luminosa dall’antenna sulla cima.
Occorsero
solo pochi minuti per rendersi conto che, a prima vista, tutto stava andando
per il verso giusto.
Gli
agenti e gli informatori in collegamento dal cuore dei territori orientali, contattati attraverso dei canali speciali via satellite,
confermarono che con il passare dei secondi l’oriente stava andando sempre più
in tilt, vedendo spegnersi uno dopo l’altro tutte le sue principali fonti di
energia senza un’apparente ragione, mentre di contro nel bel mezzo dell’Oceano
Atlantico i captatori stavano registrando un aumento vertiginoso dell’energia
all’interno del nodulo scelto per la ricollocazione del potere.
E
allora, per la prima volta da che l’esperimento aveva avuto inizio, anche il
dottore sembrò distendere il volto, abbandonando l’espressione ansiosa per una notevolmente
più rilassata.
«A
quanto siamo di energia?» domandò
«Livello
attuale del nodulo alfa, tremiladuecento rune.»
«Di
più.»
Più la
quantità di energia all’interno del nodulo scendeva, più gli agenti in missione
riportavano di danni e malfunzionamenti generalizzati su tutta la rete
energetica dell’oriente, e ormai persino il canale privilegiato, per quanto
settato in modo particolare, andava esaurendosi.
«Culla,
mi sentite?» domandò l’agente in collegamento da Beijing,
il cui volto era a malapena riconoscibile per le continue interferenze. «Sono a Piazza Tienanmen. Qui la gente comincia a sentirsi
male. Segnalano svenimenti e danni collaterali in tutta la città.»
I due
operatori girarono gli occhi verso il dottore, cercandolo tra le nuvole di fumo
sollevate dal Generale, che dall’inizio dell’esperimento doveva aver già fumato
quasi un intero pacchetto.
«Stato
attuale?» chiese Coleman
«Duemilaseicento
rune.»
«Basta
così.»
«Ora
sappiamo che funziona» disse il Generale con un sorriso. «Passiamo al prossimo
nodulo.»
«Generale,
questo era solo un test. Forse dovremmo aspettare…»
«Ascolti»
replicò seccato Fraser «Le sente le esplosioni?
Continuiamo, ho detto.»
Il
dottore, quindi, non ebbe altra scelta che obbedire, ed
su sua indicazione il bersaglio della torre passò al nodulo energetico P25,
localizzato al di sotto della impenetrabile Pyongyang.
Ancora
una volta, non servirono che pochi minuti perché la potenza del nodulo
cominciasse a scendere.
«Alla
faccia di voi scienziati da scrivania.» gonfiò il petto il
Generale constatando che tutto stava procedendo a meraviglia.
Poi,
accadde l’irreparabile.
D’improvviso,
il contatore di energia che misurava la potenza del nodulo cominciò a scendere
in modo troppo repentino, continuando a calare anche dopo il raggiungimento
della soglia concordata di duemilaseicento rune.
«Che sta
succedendo!?» domandò Coleman
«Non lo
so dottore, il risucchio di energia non si arresta.»
«Sta
scendendo troppo. Usate i blocchi di emergenza.»
«Ci
stiamo già provando, ma la torre non obbedisce ai comandi.»
Quando
poi il contatore scese sotto le duemila rune, una serie di allarmi presero a rimbombare all’interno della stanza.
«Siamo al di sotto della soglia di sicurezza! Punto critico di
millecinquecento rune in rapido avvicinamento!»
Un
canale audio si aprì su uno dei monitor, ma era talmente disturbato che quasi
non si capiva nulla.
«Ma che
diavolo sta succedendo! Qui a Pyongyang la gente sta morendo per la strada!
Fermate subito l’esperimento! Ripeto, fermate…»
Poi si
sentì un urto, seguito da un gracchiare nebbioso, e sul sottofondo di un
lugubre coro di lamenti di dolore la comunicazione si
spense.
«Dottore,
l’energia del nodulo P21 di Seoul sta iniziando a scendere!» disse un operatore
«Anche
quella del P34!» disse un altro. «E il P30! Il P52! Il
P65! Stanno collassando uno dietro l’altro!»
«Che significa, dottore?» tuonò Fraser
«Gliel’avevo detto che era pericoloso agire su due noduli così
vicini nello stesso momento! Ora la rete sta andando fuori controllo!» quindi diede i suoi ordini. «Presto, incanalare tutta l’energia a
nostra disposizione all’interno dei noduli più vicini a quelli già colpiti!»
«Che
cosa vuole fare?»
«Formeremo un
muro! È l’unico modo che abbiamo per impedire che il danno si diffonda!»
Il
dottore sapeva bene che questo voleva dire sacrificare ogni forma di vita che
si fosse trovata dall’altra parte della barriera, ma non c’era altra soluzione
se si voleva evitare un evento di potenziale livello estintivo.
E
all’inizio il piano parve funzionare; caricati al massimo di tutto il potere
magico disponibile, i noduli più vicini a quelli già colpiti si rivelarono
troppo potenti per subire a loro volta l’effetto
domino, il quale, passato il momento critico, cominciò ad arrestarsi.
L’energia
che veniva assorbita in modo incontrollato veniva
incanalata all’interno della torre, che a sua volta la ridistribuiva per quanto
possibile all’interno della rete; ma per quanto la torre fosse stata costruita
per sopportare apparentemente sforzi ben maggiori, non tutto il suo potere era
stato completamene ridestato, e le apparecchiature installate per sopperire a
tale mancanza non potevano certo vantare la medesima resistenza.
Proprio
quando sembrava che la crisi fosse sul punto di risolversi la colonna di luce
che ancora si elevava al centro della stanza aumentò di colpo la sua
luminosità, diventando a tal punto abbagliante da bruciare gli occhi di alcuni
degli stregoni radunati tutto attorno.
«Dottore, i
generatori non riescono più a gestire l’energia! Stiamo perdendo di nuovo il
controllo!»
Un
ologramma lampeggiante si accese al centro della stanza di controllo, e nel
vederlo il dottore ed i suoi collaboratori si
sentirono gelare il sangue nelle vene.
«La
percentuale magica della torre ha raggiunto quota ottomila!»
«Non
riusciamo a disperdere l’energia assorbita dai noduli! Si sta concentrando
tutta qui! Stiamo raggiungendo la massa critica!»
Gli
stregoni ancora capaci di camminare cercarono di mettersi in salvo, ma i
blocchi di emergenza appositamente installati erano già entrati in funzione
bloccando tutte le uscite, così Coleman e gli altri non poterono fare altro che
guardare quegli sventurati tramutarsi in EDA** dinnanzi
ai loro occhi per poi morire nel giro di pochi minuti, schiacciati da un tale e
tremendo potere magico da risultare insopportabile per qualunque organismo
vivente.
Anche
all’esterno la situazione non appariva migliore, ed era sufficiente guardare le
dimensioni raggiunte dalla stella in cima alla torre per capire che le cose non
stavano andando per il verso giusto.
«Siamo a
oltre dodicimila rune! I generatori stanno collassando!»
«Per Dio
fate qualcosa!» continuava a urlare il Generale. «Spegnete questo maledetto
affare!»
«È colpa
del cerchio magico» spalancò gli occhi Coleman. «Sta assimilando tutta
l’energia che non riusciamo a disperdere.»
Alla
fine, inevitabilmente, uno dei generatori esterni esplose, provocando una
drammatica reazione a catena che distrusse tutti gli altri, generando
un’esplosione tale da tramutare l’intero accampamento in un mare di fiamme
rosse e azzurre che in pochi attimi consumarono ogni cosa.
La
torre, scossa violentemente, cominciò a tremare, e complice l’energia ormai
inevitabilmente imprigionata al suo interno la sua intera struttura prese a
mostrare delle inquietanti crepe.
I primi
a scappare furono gli operatori, ma non fecero in tempo ad aprire la porta che
il crollo di una parte del soffitto li travolse in pieno, uccidendoli ed ostruendo al tempo stesso l’uscita.
Non che
provare a scappare avesse molto senso.
Coleman
ormai lo aveva capito.
Avevano
fatto qualcosa di irreparabile. E ora, solo il cielo
sapeva quali ne sarebbero state le conseguenze.
Toltisi
gli occhiali, e baciato delicatamente il rosario, si girò verso Fraser, che osservata
un’ultima volta quell’enorme colonna di luce diventare sempre più grande si infilò in bocca la propria pistola, mentre l’intera
parete della stanza andava ricoprendosi di simboli luminosi.
«E io dico, non sarà Dio o il Demone ad
uccidere l’Uomo» disse citando l’ultimo passo di quel testo. «Sarà l’Uomo ad
uccidere l’Uomo.»
La
colonna si ingigantì di colpo, inondando di luce ogni
cosa, e un attimo dopo la stessa luce, come un fiume in piena, si propagò in
ogni direzione sia in cielo che nelle viscere della Terra, mentre una
spaventosa onda d’urto si propagava dal cuore dell’installazione travolgendo tutto
per centinaia di miglia, a cominciare dagli eserciti ancora impegnati in
battaglia.
E per un
attimo, in tutta la Terra, ogni cosa parve fermarsi, cristallizzata in quella
luce.
Poi,
tutto divenne tenebra.
Q |
uesto
è quello che accadde.
Questa è la storia di come tutto sia finito.
Un’intera civiltà cancellata in pochi minuti.
Quando mi ripresi, attorno a me non era rimasto
più nulla. Non so ancora per quale motivo riuscii a sopravvivere.
Forse era merito della stanza schermata, o forse
il mio non essere uno stregone aveva impedito all’onda magica di intaccare il
mio corpo; o ancora, forse è stato come trovarsi
nell’occhio di un ciclone.
Quale che fosse la verità, quando dopo molti
giorni riuscii ad uscire alla luce del sole, quello
che vidi mi fece rimpiangere di essere sopravvissuto.
Io, che avevo dedicato ogni mio sforzo a
proteggere l’Umanità, ero stato l’artefice della sua rovina.
L’Uomo, quella piccola, insignificante creatura
che abitava da millenni questo minuscolo pianeta, aveva pagato fino all’ultima
briciola la sua folle ricerca del potere assoluto.
Come una nuvola di morte, l’onda aveva solcato i
cieli e la terra in lungo e in largo, spazzando via intere città, interi continenti, e cambiando per sempre il volto del
pianeta.
E gli uomini?
Per molto tempo pensai di essere rimasto solo,
l’ultimo di una millenaria generazione di stolti, ma non occorse molto tempo
per accorgermi che non era così.
Quando una civiltà, quando un mondo intero
scompare, è destino che qualcosa debba rimanere, perché dalle ceneri del
vecchio possa sorgere qualcosa di nuovo.
Forse era la punizione più giusta.
L’Uomo, che aveva cercato di elevare al massimo
la propria civiltà, l’aveva vista scomparire in un colpo solo, assieme a
qualunque ricordo ad essa legato.
Ho visto con i miei occhi esseri umani mangiare
le cortecce degli alberi, dormire nelle caverne, e mugugnare versi
incomprensibili.
Ma tutto sommato, la sorte di questi poveri
sventurati può considerarsi la più benevola.
Quello che la nube non ha distrutto dall’esterno,
l’ha inevitabilmente deteriorato dall’interno.
Mostri.
La Terra ora non è altro che una distesa informe
di creature mostruose.
Ci ho messo un po’ a rendermi conto di cosa il
nostro mondo fosse diventato, ma ora che ho potuto vedere
mi rendo conto di cosa la nostra, la mia ossessiva ricerca ha comportato.
Io sono stato l’artefice della fine di un’era. No.
Di un’intera civiltà.
E questo è un peccato da cui non mi potrò mai
liberare, da qui all’eternità.
Ma forse, non tutto è perduto.
Per quanto svuotati della loro conoscenza, della
loro memoria, l’intelligenza propria degli esseri umani non è andata perduta:
non del tutto, almeno.
Non sarà una cosa breve, né posso essere sicuro
del fatto che accadrà, ma forse, con molta pazienza e molto lavoro, quei pochi che
sono riusciti a sopravvivere alle mutazioni saranno in grado di ricostruire
quello che è andato perduto.
Quanto a me, intendo sparire per sempre.
Più di una volta ho cercato di porre fine al mio
tormento, soprattutto dopo essermi reso conto che l’esposizione prolungata a
tutta quell’energia aveva quasi raddoppiato il tempo che mi restava da vivere;
ma poi, ho capito che prima di lasciare questo mondo dovevo incidere la mia
memoria sulla carta e il mio nome nell’ignominia, a eterno ricordo dei miei
peccati.
E tu, che starai posando i tuoi occhi increduli e
scettici su queste pagine, credi alle mie parole: tutto ciò che hai letto, tutto
ciò che ti ho raccontato, corrisponde a verità.
Forse ti chiederai perché io abbia voluto
accusarmi apertamente del più grave crimine che la
mente umana sia mai stata capace di concepire.
Per il futuro.
Perché una cosa del genere non possa mai più accadere.
Chiunque tu sia, non permettere mai al cinismo e
alla ragione di prevalere sulla coscienza.
Non commettere i nostri… i miei errori.
Janet chiuse il vecchio
volume, liberando una nuvola di polvere che disperdendosi tutto attorno andò a
rendere ancor più pesante un’aria già insalubre.
Un
sorriso le comparve sulle labbra.
Quando,
su consiglio del suo vecchio maestro, si era recata fin laggiù alla ricerca di informazioni che potessero colmare la sua sete di
conoscenza si aspettava di trovare qualcosa di inverosimile, ma quello era
perfino troppo.
Chi mai
in tutto il Regno di Perth poteva aver ideato una simile storia? Neanche lo
scrittore o il menestrello più fantasiosi sarebbero mai stati in grado di
creare una tale accozzaglia di nomi, situazioni e termini pseudoscientifici
così astrusi, ma allo stesso tempo così apparentemente realistici.
D’accordo
che buona parte delle informazioni inerenti alla Prima e alla Seconda Civiltà erano scomparse ormai da tempo, ma a tutto c’era un limite;
di sicuro era opera di qualche nano in vena di scherzi, perché solo quei
microcefali dalla sbronza facile avevano le conoscenze necessarie per
realizzare un falso di quella fattura.
La
giovane maga si lasciò un momento prendere dalla tristezza; era un vero peccato
che tanta fatica fosse andata sprecata.
E
pensare che si era sentita così felice, così
incredibilmente fortunata quando, nel mezzo di quella inestricabile massa di vecchi
volumi delle più diverse epoche storiche, il destino aveva voluto mettere sulla
sua strada nientemeno che il leggendario Codice Coleman, probabilmente il più
antico e dettagliato resoconto sulla fine della Seconda Civiltà, e il pensiero
di vedere i propri sogni frantumarsi di fronte alla trovata di qualche
buontempone le faceva salire il sangue alla testa.
Se non
altro, pensò nel tentativo di consolarsi, il falsario doveva essere stato
qualcuno davvero molto in gamba, perché a ben guardarlo quel codice sembrava
davvero abbastanza antico e logoro da risalire a quell’epoca lontana di
magnificenza e imponenza di cui tanto si favoleggiava.
Alzati
gli occhi, Janet si perse per qualche attimo nell’immensità sconfinata della infinity library,
portando distrattamente gli occhi verso questa o quell’altra pila di libri, e
domandandosi per quale motivo un luogo così importante, così carico di storia e
di cultura, fosse stato abbandonato al suo destino, vittima inesorabile
dell’incuria e del degrado.
I
saccheggi, i topi e la muffa avevano già distrutto buona parte dei manoscritti,
e gli incendi occasionali uniti all’inevitabile usura del tempo avevano
completato il lavoro; ormai, di quella che un tempo si vantava di essere la più
grande culla del sapere di tutto il continente restava solo un edificio in
rovina, destinato probabilmente a scomparire del tutto nello spazio di poche
generazioni.
Nella
sua mente le venne da chiedersi se vi fosse ancora qualcosa, qualunque cosa in
grado di fugare le sue molte domande sui misteri del passato, immaginandosi
nuovamente alla ricerca di qualche codice, qualche pergamena,
ma dato quello che le era appena successo la verità era che non si
sentiva più sicura di ciò che avrebbe potuto trovare lì dentro.
Un
pensiero le si accese nella mente.
Probabilmente
era anche per questo che la biblioteca era stata abbandonata, senza che coloro
che per secoli l’avevano tenuta in perfetta efficienza si fossero presi il
disturbo di salvare il salvabile.
Forse la
supposta conoscenza racchiusa lì dentro era solo un’esca, uno specchietto per
le allodole, sì da impedire a chi non si fosse mostrato davvero degno di
scoprire più del dovuto.
In
effetti, aveva un senso. Gli elfi erano sempre stati oltremodo gelosi dei loro
segreti, e forse quella piccola, ma così apparentemente importante apertura al
mondo esterno non era altro che una gigantesca bugia, un modo per riempire la
testa degli umani di storie fantasiose sì da impedire loro di scoprire la
verità su quella Civiltà di cui, e non era un segreto, si vantavano
di essere gli ultimi esponenti.
Chissà
quanto altro falso sapere elfico che da tempo girava
tra i maghi e i saggi del continente era frutto in realtà della mente distorta
e annebbiata dal troppo fumo di qualche nano dalle abili mani di falsario.
«L’unica
cosa in puoi credere, è che non puoi credere in nulla»
disse tra sé la ragazza rievocando le parole dell’abate anziano, che in quel
momento suonavano così terribilmente beffarde.
Eppure,
nonostante ciò, Janet sentiva di dover salvare almeno qualcosa. Forse, con un
po’ di pazienza e molto studio, sarebbe stata capace di separare la verità dalla
bugia, e ricostruire almeno un parte la storia, la
vera storia, dei loro antenati.
Ormai il
sole andava calando, così la giovane, aperto il proprio sacco da viaggio, vi infilò dentro tutti i testi a suo giudizio più
significativi e degni di nota, consapevole del fatto che, tra la guerra alle
porte e l’estrema lontananza di quel luogo da qualunque forma di civiltà,
l’occasione per una nuova visita non si sarebbe ripresentata tanto presto.
Prima di
andarsene rivolse un’ultima occhiata al grosso tomo chiuso sul vecchio e
scolorito leggio di quercia rossa al centro della stanza, dandosi per
l’ennesima volta della credulona mentre, appesantita dal suo voluminoso
fardello, ripercorreva i propri passi fino all’uscita.
Il vento
arido del deserto le solcò la faccia, scompigliandole i corti capelli rosso
fuoco, ma era solo una questione di tempo prima che quella distesa di rocce e
sabbia persa nel nulla, da caldo come l’inferno, si tramutasse in una tundra
gelida alla comparsa della luna; una delle tante cose che rendevano il deserto
di Kukatja, o Bocca del Gigante, un posto a dir poco
letale per chi non sapeva come affrontarlo.
Legato
saldamente ad una colonna diroccata di quello che un
tempo doveva essere stato lo sfarzoso porticato d’accesso alla biblioteca, Pixiv brucava vorace le poche sterpaglie in grado di
crescere in quella terra inospitale, sollevando subito lo sguardo verso il
padrone come lo vide riemergere dal buio oltre il portone e farglisi incontro.
«Lo so
che è pesante, ma cerca di resistere» gli disse
amorevolmente Janet caricandogli in groppa il sacco di libri. «Ti prometto che
alla prima sosta avrai il miglior fieno a disposizione.»
Un
attimo prima di montare a sua volta in sella, poi, alla giovane maga cadde
quasi per caso l’attenzione sulla specie di cartello che emergeva malamente dal
terreno roccioso, al limitare del gigantesco cratere che dava
il nome a quella regione. Uno dei tanti ruderi della Seconda Civiltà che
emergevano di quando in quando dalle profondità della Terra, silenziosi e
spesso incomprensibili testimoni di un’epoca scomparsa da
tempo, e cui Janet aveva tutta l’intenzione di dedicare la propria vita.
Lo
sapeva, era sicura che dallo studio del passato potessero venire le risposte per
comprendere meglio, e se possibile migliorare, il presente in cui viveva, e
anche se quel primo tentativo si era concluso con un
parziale buco nell’acqua era determinata a non perdersi d’animo, forte della
convinzione che un giorno i suoi sforzi sarebbero stati premiati.
Quando i
primi brividi di freddo cominciarono a percorrerle il corpo, capì che era
davvero giunta l’ora di andare, e spronato il cavallo
lo lanciò al galoppo in direzione del tramonto.