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Autore: suni    01/03/2009    8 recensioni
“Cosa cavolo credi di fare, eh?” ringhia Naruto furioso, sbattendo il genio contro il muro. Sasuke emette appena un respiro un po’ più rumoroso, rimane fermo con la schiena aderente alla parete e gli occhi fissi, un po’ sgranati e quasi confusi.
Naruto tira un pugno con forza al muro, per non darglielo in faccia e spaccargli il naso. Appoggia la testa alla parete e una mano dall’altro lato del capo di Sasuke.
“Cos’è, ti vuoi ammazzare?” rumina, inviperito.
BUON COMPLEANNO, MAURA.
[Legata a Konoha, mattina.]
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Konoha, mattina' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Ahm. Andiamo con ordine.

 

BUON COMPLEANNO, MAURETTA!

^__^

 

Allora, cosa posso dire. Questa storia non c’entra niente col regalo che avresti voluto e non ti piacerà e mi odierai tantissimo. Mi dispiace, sul serio.

Ma è l’unica cosa che mi sia riuscito di fare, non so proprio che altro dire. Se ti può in qualche modo consolare, per me questa storia è molto importante, perché è l’inizio di Konoha, mattina così come l’ho sempre pensato. Quindi, se non altro, ti sto regalando qualcosa a cui tengo moltissimo.

Sì, lo so, è una magra scusa. Ma tant’è.

Gli auguri sono sinceri, ecco.

 

Per tutti gli altri, appunto, questo è l’inizio cronologico della mia raccolta su Sasuke e Naruto iniziata con Konoha, mattina e continuata con un tot di altre storie più o meno deprecabili. È una one-shot, è stata scritta come tale, ma essendo piuttosto lunga e non molto leggera ho pensato fosse più scorrevole se divisa in due. La seconda parte la posterò in giornata, perché il 1 marzo è oggi e questa storia è per oggi.

 

Buona lettura, dunque.

 

suni

 

 

 

 

 

 

_______________________________________________________

 

 

 

 

 

 

L’impressione è di nuovo la stessa di ieri. E del giorno prima, e di quello prima ancora.

La porta si apre su un viso cadaverico, su occhi neri e fissi che non sembrano riconoscerlo e lo guardano inespressivi. Ma non è l’indifferenza simulata di un tempo a rilucere in quelle pupille, perché non vi riluce assolutamente nulla. Quello sguardo non esprime niente, né fastidio, né sprezzo, né tantomeno contentezza. Naruto una volta, all’inizio di tutto, pensava di essere indifferente agli occhi di Sasuke. Ma è soltanto adesso che ha capito cosa significhi essere veramente invisibile per qualcuno, e non c’entra il fatto che il genio ci veda male.

“Ti ho portato delle provviste.”

La mano bianca di Sasuke lascia la porta, il suo busto si volta e la sua schiena esile si sposta verso l’interno della casa, senza una parola. Ma Naruto non si aspetta né un grazie né una frase di cortesia, non è per questo che si ostina, ogni due giorni, a portare un po’ di spesa a Sasuke. Lo fa perché sa che altrimenti, forse, si lascerebbe semplicemente morire di fame.

La vecchia Tsunade è stata chiara, dopo il fatto del tetto: tendenze preoccupanti. Sì, forse si sono sbagliati e hanno equivocato, sono arrivati lì e in fin dei conti non è successo assolutamente niente, eppure se ci ripensa lui lo vede ancora, Sasuke, con i piedi nudi mezzi sporti oltre il limite del tetto dell’ospedale; il suo viso chinato a osservare il terreno, almeno venticinque metri più in basso, e gli occhi – dei, i suoi occhi in quell’istante, Naruto li ricorderà sempre – così infinitamente neri e spenti e privi di ogni vita. Colorati con’unica mano di inchiostro opaco, piatti e completamente disperati.

Nemmeno Tsunade sapeva bene cosa dire, quel giorno. Tendenze preoccupanti.

“Ti ho preso…beh, del ramen istantaneo.” E ridacchia scioccamente, sollevando verso l’alto i sacchetti come se volesse mostrarglieli, sebbene Sasuke sia già entrato in cucina e non lo possa vedere comunque. “Poi c’è della verdura e ho trovato dell’ottimo riso nero. Ti ho comprato delle bistecche. Con l’osso.”

Parla a vuoto. Ma è meno insopportabile questo del silenzio.

Deglutisce l’amarezza, decidendosi a raggiungere l’amico. Sasuke è fermo accanto al tavolo, ha lo sguardo fisso sulla parete e una mano appoggiata alla spalliera d’una sedia.

“Non ci sono dolci,” aggiunge ancora Naruto, più tenace del solito. “Finora non te li ho mai presi perché una volta non li mangiavi, ma non so, magari in questi anni hai cambiato abitu…”

“Non mi piacciono i dolci,” lo interrompe Sasuke, atono. “Lo sai.”

Lo so?, si chiede Naruto rabbiosamente. C’è qualcosa di te che so? Chi sei, tu? Dov’è lui?

Inghiotte la bile, annuisce brevemente.

“Infatti. Ma ho pensato che magari…”

“Non è cambiato. Questo non è cambiato.”

E mentre annuisce di nuovo Naruto pensa che faccia bene a precisarlo: questo non è cambiato, soltanto questo. Tutto il resto è così diverso che lo fa sentire perso. Vorrebbe sapere cosa fare, vorrebbe essere ancora capace di dire qualcosa capace di far perdere le staffe a Sasuke o di esasperarlo, come quando erano ragazzini. Saper scatenare una reazione, una qualunque. Ma non gli riesce più, forse sono tutti e due cambiati troppo, forse c’è davvero un abisso troppo grande, adesso, che non si può colmare più.

Forse tutto quel che potrà fare è restare a guardare Sasuke che si annega nei rimorsi, nel dolore e nel fallimento. Eppure nel momento stesso in cui formula il pensiero sa che non lo farà, non accetterà mai di essere un semplice testimone.

Però è lo stesso tutto così difficile, e fa male.

I giorni si susseguono lenti, uno dopo l’altro. Sono pesanti come tutte le montagne del mondo, spigolosi e appuntiti come lame che scorrono sulla pelle e, uno dopo l’altro, incidono lievi ferite destinate forse a non rimarginarsi mai. Vengono accumulati nell’immobilità assoluta; non succede mai niente di diverso da ieri, da uno ieri sempre uguale: Sasuke soffre il suo dolore di sopravvissuto ancora una volta, ancora più a fondo, e lui lo guarda. Lo guarda morire dentro poco a poco, determinato come sempre ad arrivare fino all’estremo.

Forse, pensa Naruto, è la storia più vecchia del mondo, una storia che conosce bene: quando c’è da scegliere tra odio ed amore, tra sofferenza e speranza, vita e morte, la scelta è sempre la peggiore.

Soprattutto quando a compierla è Sasuke.

Ma almeno questa volta gli piacerebbe saperlo fermare, solo che sembra ancora più difficile di quanto potesse esserlo cercare di trattenerlo quando è partito per Oto o qualunque altra volta; non c’è più Orochimaru, non c’è più Itachi, non c’è nemmeno più Madara. C’è soltanto Sasuke, e Naruto comincia a sospettare che sia proprio lui l’avversario più temibile. Un avversario che non conosce più, la cui unica arma, letale, è una cieca volontà di annullamento di sé.

Chissà se da qualche parte, dentro quel corpo magro e infiacchito, la fiamma abbacinante della forza morale di Sasuke è ancora accesa e chissà come si fa a ravvivarla.

È una domanda che fa paura, ma nessuna potrebbe mai essere più importante.

 

 

 

UNO DOPO L’ALTRO

 

Life is bigger,
it’s bigger than you.
And you are not me,
the lengths that I will go to,
the distance in your eyes.
Oh no, I’ve said too much.
I set it up.

That’s me in the corner,
that’s me in the spotlight
losing my religion,
trying to keep up with you.
And I don’t know if I can do it.
Oh no, I’ve said too much.
I haven’t said enough.

 

___________________

 

 

 

Una volta pensava che quando Sasuke fosse tornato a Konoha le cose sarebbero state sistemate e avrebbe potuto dichiararsi finalmente per davvero a Sakura, e che andasse come doveva andare. Tutto avrebbe ripreso un corso normale e la sua vita, insieme a quelle dei suoi amici, sarebbe ritornata a scorrere dentro argini confortevoli, rassicuranti. Adesso gli è difficile ricordarsi che una cosa del genere possa mai aver rivestito tanta importanza o che fosse possibile crederci, che cose così banali gli sembrassero importanti.

Certe volte ha quasi paura di se stesso: quando arriva nella casa degli Uchiha e si trova davanti Sasuke, infilato in una delle casacche con lo stemma che ormai lo inghiottono per quant’è magro, l’unica cosa che vorrebbe fare è toccarlo, semplicemente toccarlo per essere sicuro che ci sia ancora, che sia ancora reale e vivo e presente, e stringerlo finché tutto quell’orrore non sarà soffocato. Annusarlo, per verificare se almeno l’odore che ha è ancora lo stesso che lui ricorda, respirarlo perché il suo ossigeno restituisca a Sasuke un po’ di vita.

Una volta era facile opporsi a lui: Sasuke aveva un obiettivo, aveva progetti e idee chiare, sebbene stupide e sbagliate. Adesso non c’è più niente a cui fare fronte, soltanto una carcassa svuotata. Naruto passa la maggior parte del suo tempo a lambiccarsi su cosa potrebbe fare per fermarlo, per ritirarlo su, ed è angosciante: perché non trova una soluzione. Muoversi intorno a Sasuke è come camminare su una superficie di cristallo fragilissima, l’impressione è che basti un movimento appena più brusco perché vada tutto in frantumi.

“Terra chiama Naruto,” lo riscuote la voce annoiata di Shikamaru. “Se non intendi ascoltarmi dillo, non ho voglia di sprecare fiato.”

Lui scuote la testa, sorride con imbarazzo.

“Scusami. Pensavo…ad altro,” borbotta con aria allegra. Spera.

Shikamaru lo osserva, penetrante.

“Già,” commenta unicamente.

Nel silenzio successivo Naruto vede soltanto la discrezione di chi sa e non osa chiedere. Allarga il proprio sorriso, sentendosi goffo più che mai.

“Stavi dicendo?” chiede nervosamente.

Shikamaru sbuffa, noncurante.

“Niente di importante. Piuttosto,” inizia, con aria molto riluttante, “io ti conosco, e non sei il tipo che si nasconde dietro alle paure. Hai sempre affrontato le cose di petto, schiettamente. Forse dovresti farlo anche adesso. Magari sarà ancora peggio, ma almeno smetterai di avere tutto il tempo questa maledetta paranoia che non ti si addice. Magari ricomincerai a dormire, Naruto.”

Lui abbassa la testa, nascondendo il viso alla vista dell’amico. Anche volendo non potrebbe rispondere, non con quel groppo in gola che gli ostruisce persino il respiro. Quando Shikamaru gli batte la mano sulla spalla, prima di allontanarsi, l’unica cosa che vorrebbe è rispondere è questa volta ho paura, perché non so cosa devo fare.

 

 

L’insonnia è iniziata quando si è reso conto che Sasuke non dormiva quasi. È successo qualche settimana dopo il suo rilascio, improvvisamente e senza indizi: o meglio, gli indizi li ha visti tutti insieme, d’un colpo. Erano passati da Sasuke per vedere come stava, per controllare i progressi dei suoi occhi. Sakura lo stava visitando, gli stava mostrando un tabellone con su disegnati dei kanji per capire quanto progredisse, e Naruto l’ha guardato e li ha scoperti: le borse nere sotto gli occhi incavati, le mani tremanti, il pallore malsano e la tensione innaturale del viso.

Ha cominciato a non poter dormire più bene nemmeno lui. Si è reso conto coscientemente soltanto così dell’effetto devastante, assolutizzante che Sasuke ha sempre avuto su di lui. La consapevolezza l’ha spaventato, non ne ha capito esattamente il significato ma l’ha trovata inquietante, anormale.

Spesso trascorre buona parte della notte sdraiato sul letto, chiedendosi cosa stia facendo Sasuke in quello stesso momento. Ed è terrificante pensarlo nel buio notturno di quella casa che recentemente Naruto ha iniziato a vedere in un altro modo: una casa che ha pareti cupe, sporche di sangue. Ce n’è dappertutto, gronda da ogni anfratto e impregna il suolo, gli abiti, il respiro. Tutto quel quartiere puzza di morte e risuona di vecchie grida di dolore, ed è lì che si è rinchiuso Sasuke, in una prigione colma di fantasmi feriti a morte.

O forse sono follie e sta diventando pazzo anche lui. Forse la zona buia che c’è dentro Sasuke l’ha contagiato e gli ha tolto il senso della realtà. Una sera della settimana scorsa, andando via dal quartiere degli Uchiha, gli è sembrato di vedere un’ombra, una sagoma che si accasciava a terra. Un rivolo di sudore gelido gli è sceso lungo la schiena e ha dovuto esercitare uno sforzo di volontà enorme su se stesso per costringersi ad avvicinarsi e vedere che in quell’angolo della strada non c’era assolutamente nessuno, tantomeno un cadavere fresco.

Poi ha parlato in privata sede con Sai del fatto di avere problemi a dormire e l’ANBU, casualmente, gli ha accennato di aver letto che può capitare di avere leggere allucinazioni quando non si dorme a sufficienza per lunghi periodi. Non sapeva se fosse una buona o una cattiva notizia ma ne è stato comunque sollevato.

Ma poi ci ha pensato su e un nuovo tarlo l’ha agghiacciato: Sasuke dorme poco, a sua volta. Cosa vede, lui, quando si volta di scatto? Cosa scorge negli angoli in penombra di quella casa maledetta, che urla lo sterminio ingiusto di una genia intera, che piange l’amore sacrificale di un fratello?

Le domande si accavallano e gli tolgono il sonno. Ha pensato di andare a trovarlo anche in piena notte – tanto se sono svegli entrambi è come se fosse giorno – ma si è rese conto che Sasuke non l’avrebbe accettato. Né saprebbe cosa dire, come spiegare le irrazionalità dei suoi timori. Non ha più la familiarità di un tempo, il gioco del migliore amico non funziona come dovrebbe.

Sul più bello, quando occorrerebbe più che mai non cedere, Naruto si è scoperto vigliacco. Impaurito.

Impaurito dalla prospettiva di perdere Sasuke un’altra volta, di vederlo andare via come ha già fatto, scivolando tra le ombre senza un parola, o di vederlo cadere, morire. Di non saper essere la mano che si tende a salvare, quando è invece tutto quel che vorrebbe.

Certe volte sta tranquillamente mangiando, e tutt’a un tratto si ferma col braccio a mezz’aria, la bocca già aperta per afferrare il boccone, e può soltanto sgranare gli occhi mentre la sua mente si domanda da sola se Sasuke abbia mangiato qualcosa. Se abbia preso almeno qualche boccone del suo riso, di tagliolini, se quelle polpette della mamma di Sakura che gli ha portato le abbia, se non altro, assaggiate.

Sa che consuma soltanto una parte delle provviste che gli fa avere. Per questo gliele porta almeno già pronte: bistecche, primi, verdure cotte. È pronto a giurare che Sasuke mandi giù tutto così, freddo e raddensato senza riscaldarlo, ma se non altro è qualcosa.

Ogni tanto guarda nella spazzatura per essere sicuro che non butti via tutto; ma forse getta le cose da un’altra parte. Forse nasconde sacchi di cibo ormai avariato alla sua vista, perché lui non si renda conto. Forse, forse, forse. Decine di tarli. Forse non mangia. Forse non dorme mai. Forse se ne andrà di nuovo di nascosto, forse si butterà davvero da un tetto.

È come impazzire.

Sono passati quattro mesi dal rilascio e in quattro mesi l’idea di Naruto che le cose si sarebbero sistemate si è schiantata contro la realtà. Sakura sembra un fiorellino appassito, Sasuke sta morendo senza fretta e persino Kakashi dà l’idea di non avere la più pallida idea di quale mossa dovrebbe compiere in qualità di sensei o quello che è. Ci va anche lui, da Sasuke, ma da quel che ha capito Naruto non si parlano quasi.

“Il sensei mi ha detto,” gli ha sussurrato una volta Sakura esitante, dietro la ceramica di una tazza di tè caldo tra un giro in corsia e un’operazione chirurgica, “che l’unica cosa sensata che gli ha cavato è ti chiedo scusa, Kakashi.”

A Naruto è sembrato enorme. Troppo enorme per Sasuke, con l’orgoglio che si ritrova: come se nemmeno quello importasse, se tutto fosse ormai perduto.

Il giorno dopo c’è stato l’episodio del tetto.

Sasuke doveva essere nella sua camera provvisoria ad aspettare di fare l’esame riflessologico, dopo le altre visite di routine. Lui lo aveva accompagnato, stava aspettando nel corridoio. In seguito non ha saputo capire perché, ma d’un tratto ha provato l’impellenza improvvisa di sapere a che punto fosse Sasuke con le sue analisi, ma quand’è entrato nella stanza lui non c’era. Ha chiamato Sakura, è arrivata anche Ino, si sono dispersi nel corridoio e solo dopo qualche slalom tra i pazienti gli è venuto quel pensiero.

“Il tetto!” ha urlato.

Sasuke non si era nemmeno del tutto rivestito. Aveva una casacca chiara, slacciata, i cui lembi svolazzavano leggeri , ed era in equilibrio sui soli talloni. Le punte dei suoi piedi sporgevano nel vuoto.

Naruto è rimasto pietrificato sulla porta affacciata all’esterno e ha sentito la mano di Sakura che si aggrappava alla sua spalla con tutte le forze, come se lasciandolo sarebbe precipitata. La ragazza ha lanciato una specie di grido, chiamando Sasuke.

Lui aveva le braccia leggermente allontanante dal busto, quasi fosse stato sul punto di spiccare il volo, e sentendola non ha reagito. Era di profilo e sul suo viso, negli occhi, si intravedeva quello sguardo febbrile eppure morto.

S-sas’ke…” ha iniziato Naruto con un risolino quasi isterico. “Ti stavamo cercando, s-scendi.”

Il genio ha sollevato leggermente la testa, con espressione del tutto abulica.

“Ti ricordi,” ha detto, piano, senza intonazione, pronunciando forse la prima frase spontanea da giorni. “Eravamo qui. Io il chidori, tu il rasengan.”

Naruto ha deglutito pesantemente. Si ricordava, certo: come se fosse appena successo, era per quello che gli era venuto in mente che Sasuke potesse essere di nuovo lì. Ma non credeva se lo ricordasse anche lui, o forse non osava più sperarlo.

“Sì, mi ricordo,” ha confermato, riacquistando sicurezza. “Dai, vieni giù, dobbiamo finire i tuoi esami.”

Sasuke è rimasto immobile per qualche secondo, con perfetta impenetrabilità. Poi, lentamente, ha portato una gamba indietro – Naruto si è sentito sul punto di urlare per l’ansia, durante tutti i secondi in cui si è articolato quel movimento – e infine ha spostato anche il peso, ritornando a poggiarsi stabilmente sul pavimento.

“Cosa faresti…?” ha mormorato, quasi tra sé.

Naruto ha saputo che parlava con lui. E, raggelato, ha creduto anche di comprendere perfettamente la domanda.

Cosa farei? Così su due piedi mi butterei giù anch’io, credo.

 

 

Il giorno del processo Sasuke voleva morire. Lo aveva anche detto a Kakashi senza troppi giri di parole, durante gli interrogatori preliminari. A Naruto è tornato in mente dopo la faccenda del tetto e non riesce più a smettere di pensarci.

Ha continuato a negare fino all’ultimo la realtà su quella notte finale di battaglia, a dire che non ha fermato lui Kyuubi, che non si è opposto a Madara, che voleva distruggere Konoha e sterminare tutti i suoi abitanti, dal primo all’ultimo. Sapeva perfettamente che almeno lui, Naruto, non gli avrebbe creduto, perché lui sa quali sono gli occhi che hanno trattenuto la volpe, ma Sasuke non gli dava retta. Ha continuato ad affermare che li odiava, dal primo all’ultimo, che li voleva vedere tutti morti. Lo ha ripetuto a Tsunade, al Consiglio, persino al sensei.  

Naruto si ricorda di aver origliato una parte della loro prima conversazione, nell’ospedale, sotto la sorveglianza di un chunin.

“…Niente da dire. Ho agito in piena coscienza e con totale convinzione, dal momento in cui sono partito per Oto a quello in cui ho mosso su Konoha per distruggerla. Non ti devo nessuna spiegazione,” diceva Sasuke, apatico e indifferente.

 “E’ tutto?”

La voce pacata di Kakashi, atona e tranquilla.

“Konoha ha distrutto il mio clan. Siete tutti colpevoli. Tutti.”

Quella inespressiva e fredda di Sasuke, che scivolava grave sui muri come una stoffa lanciandosi in affermazioni incomprensibili.

“Non ha senso. E in questo modo stai firmando la tua condanna, Sas’ke,” ha risposto placido il sensei, senza particolare accoramento.

“Mi è del tutto indifferente.”

Kakashi ha sbuffato, a quel punto.

“Capisco.”

Un rumore di sedia smossa sul pavimento, poi i passi ritmati di Kakashi che tornavano verso la porta per interrompersi a mezza via.

“Quel che non capisco invece è cosa tu creda di dimostrare, agendo così,” ha osservato il ninja copia cupo, quasi solenne. “Sappiamo, anche se neghi, che hai trattenuto Kyu…”

“Non ho niente da dimostrare. Non c’è niente da capire. Ho già detto tutto quel che avevo da dire.”

“Come vuoi. Se le cose stanno così non spenderò una parola in tua difesa, è bene che tu lo sappia subito.”

“Non ti ho chiesto di farlo.”

“Non è una cosa da chiedere. È una cosa che farei se solo tu me ne fornissi l’occasione, Sas’ke.”

Naruto in quel momento si è reso conto che c’era qualcosa di molto strano, che incolpare l’intera Konoha delle azioni di Itachi non aveva assolutamente il minimo senso.

A meno che non ci fosse stato qualche particolare di cui nessuno era a conoscenza.

La verità l’ha scoperta così, mezza per caso. Ha strappato a Sasuke una confessione quasi con la violenza, lo ha tenuto inchiodato al letto in cui era ricoverato, schiacciandogli le spalle contro il materasso a spintoni e giurando che se lui non avesse parlato avrebbe detto all’Hokage di Kyuubi – lo avrebbe fatto in ogni caso, ma questo Sasuke non lo poteva sapere - e se anche il genio non avesse confermato, Tsunade non avrebbe potuto non tenere in considerazione quanto sostenuto ufficialmente dal jinchuuriki che ospita il bijuu. Perché Naruto ha sempre saputo che è stato Sasuke a fermarlo, con lo sharingan, e lo sa Sakura e lo sa il sensei: è il motivo per cui ha quasi perso la vista e per cui sono ancora tutti vivi. Per quanto Sasuke abbia da subito negato fermamente, Naruto non gli ha creduto.

Per sapere, in ogni modo, ha comunque dovuto giurare il silenzio assoluto.

La storia, Sasuke gliel’ha raccontata senza la minima espressività. La sua voce rimaneva monocorde, piana e distaccata mentre spiegava di un’infamia nazionale, di un ragazzo di tredici anni costretto a sterminare la sua famiglia, dell’amore assoluto di un fratello per l’altro e di un fratricidio che gli pesa sulle spalle con troppo rimorso. Sembrava che parlasse di qualcosa che non lo riguardava neanche lontanamente, di un fatto privo del minimo interesse. Raccontava del Falco, di Madara e dei suoi maneggi come se non lo avessero visto come arma inconsapevole, con lo sguardo fisso davanti a sé.

E alla fine, quando ha smesso di parlare e il silenzio ha risuonato nelle orecchie di Naruto come un urlo di dolore, ha guardato lui per brevissimo istante e ha parlato con profonda passività.

“Sì, Kyuubi l’ho fermato io. È che alla fine ho capito che lui non avrebbe mai voluto vedere Konoha distrutta.”

Kyuubi l’ho fermato io.

I suoi occhi restavano aggrottati tutto il tempo nello sforzo di vedere. Naruto ha pensato che doveva fare qualcosa per forza. Sasuke forse voleva davvero morire, ma lui non gliel’avrebbe permesso.

 

 

Quando Naruto si è seduto al banco dei testimoni chiedendo un permesso straordinario al momento dell’emissione della sentenza, davanti a tutta Konoha, e ha pronunciato il nome di Danzo, è stata la prima volta da quand’è ritornato che gli occhi di Sasuke si sono accesi. Di sorpresa e indignazione, ma erano vivi e illuminati, anche se minacciavano morte.

Naruto aveva giurato il silenzio, l’aveva promesso sulla loro amicizia assicurando che mai, per nessuna ragione, avrebbe detto una parola ad anima viva. E invece lì, seduto davanti all’intero tribunale cittadino, ha ingoiato i suoi principi, ha dolorosamente accantonato la lealtà e ha raccontato, a testa alta e guardando Tsunade dritta in faccia, la vera storia del clan Uchiha usando le stesse, esatte parole con cui Sasuke pochi giorni prima l’aveva narrata a lui. Man mano che l’eroe di Konoha parlava un brusio si diffondeva tra i concittadini, mentre Sasuke diventava sempre più pallido e le sue labbra si serravano con rabbia tanto da sparire. Naruto l’ha visto e si incoerentemente si è sentito bene, ha percepito ad ogni istante di più la sensazione indubbia di stare facendo la cosa giusta. Era quasi galvanizzante.

Poi qualcuno ha urlato alla menzogna, la situazione si è surriscaldata e parecchie persone hanno iniziato ad alzarsi e parlare tutte insieme: a quel punto Kakashi si è messo in mezzo. Quello che ha detto ha sprofondato la platea nel silenzio assoluto.

“Io lo sapevo. Sarutobi sama me ne aveva parlato, facendomi garantire il silenzio.”

Nemmeno un suono, per così tanti secondi che lo si sarebbe detto un blocco temporale.

“Cos..?” ha sfiatato Naruto, esterrefatto. Sasuke, laggiù al banco dell’imputato, sembrava così bianco da essere morto da giorni.

“Uchiha Sas’ke nutre un rancore marcato verso Konoha, e a ragione. Eppure pochi giorni fa, senza il suo intervento, forse saremmo morti tutti. I suoi occhi sono la nostra garanzia su Kyuubi,” ha continuato Kakashi con sicurezza.

Stava esagerando e lo sapeva sicuramente anche lui.  Ma ha funzionato.

Sasuke ha ottenuto la grazia e la riammissione a Konoha, previa emissione di un mandato di sorveglianza a durata da definirsi. Naruto l’ha visto uscire dalla sala tra due chunin, ancora debole, fiacco e disorientato, con le palpebre socchiuse a proteggere gli occhi feriti dalla luce del sole. Kakashi l’ha avvicinato sgusciando tra la folla e Naruto ha pensato, guardandoli, che Sasuke l’avrebbe assalito su due piedi; invece il sensei si è chinato in fretta in avanti e gli ha sussurrato qualcosa in un orecchio: il genio è rimasto immobile, con gli occhi leggermente sgranati. Poi ha avuto un cedimento quasi impercettibile, che lui però ha registrato: si è piegato delicatamente sulle ginocchia e ha appoggiato la testa contro la spalla del sensei per una frazione di secondo, prima di ritornare rigido e chiuso nel suo impenetrabile guscio di dolore.

Quando Naruto l’ha interrogato in merito, ore dopo, Kakashi ha sorriso.

“Ho mentito,” ha mormorato candidamente. “Non sapevo assolutamente nulla e Sarutobi sama non me ne ha mai parlato, altrimenti non me ne sarei certo rimasto con le mani in mano davanti a un massacro organizzato a tavolino. Ma chi metterebbe in dubbio la parola del numero uno di Konoha?”

E Naruto ha saputo che non avrebbero mai potuto avere un sensei migliore.

 

 

Da allora, Sasuke ha continuato a non vivere. Naruto era convinto che fosse furioso, che l’avrebbe preso a pugni per aver mancato alla parola data tradendo il suo segreto, svelando l’onta familiare che Itachi aveva tanto voluto celare. Una volta, per una cosa del genere, Sasuke sarebbe stato tranquillamente capace di ammazzarlo in modi orrendi, o almeno di provarci seriamente. Naruto ci sperava quasi, perché sarebbe stata un’azione consapevole e volontaria, un gesto concreto nei confronti di un altro esser umano. Invece il genio si è limitato ad ignorare la sua presenza, fingendo di non vederlo, di non sentire la sua voce né avvertire i suoi strattoni. Era come avere davanti un muro di gomma che lo rimbalzava indietro e Naruto non si è mai sentito tanto frustrato.

Poi, un pomeriggio, lui è arrivato e Sasuke gli è venuto ad aprire la porta, anticipando il chunin di guardia che lo riceveva sempre mentre il suo migliore amico fingeva che lui non esistesse.

“E’ vero che sono egoista,” ha annunciato, noncurante, “ma tu lo sei di più, Naruto. Sei la persona più egoista che ho mai conosciuto.”

Da quel momento ha preso a comportarsi come se lui fosse una persona qualunque, che non ha un significato particolare. A quanto pare nemmeno arrabbiarsi gli interessa più.

Naruto ci ha messo un po’ a capire quella frase e quando l’ha fatto non si è sentito del tutto in diritto di dargli torto. Per tenersi Sasuke vicino sarebbe disposto a calpestare chiunque, Sasuke compreso. Ma non si è nemmeno sentito colpevole, perché il genio non merita di morire né di essere bollato come nukekin e scacciato dalla nazione. Forse l’ha aiutato anche per se stesso, ma di sicuro l’ha tradito per salvarlo.

Ha pensato che un giorno Sasuke lo ringrazierà, magari non a parole, magari solo dentro di sé, ma lo farà. Adesso, però, comincia a pensare che se quel giorno non arriva in fretta diventeranno pazzi entrambi.

Sempre che non lo siano già.

 

 

Sakura è sempre più sfinita. Quando la guarda Naruto si chiede se gli altri vedano così anche lui, completamente infiacchito e stremato, come se si reggesse in piedi per grazia ricevuta.

Sakura cerca una cura. Giorno e notte, in ogni momento libero dai suoi impegni quotidiani, Sakura cerca un modo per restituire almeno una parte della vista che ha perso a Sasuke. Non tornerà mai interamente come prima ma è già un po’ migliorato, abbastanza da riuscire a muoversi quasi normalmente in casa propria – tanto non ha manifestato il minimo desiderio di uscirne.

Lui ogni tanto le tiene compagnia mentre studia e si arrabatta tra libri medici, provette, appunti. Sta lì con lei e la guarda lavorare alacremente, offrendosi di aiutarla per le piccole cose di fatica. Sakura ogni volta gli sorride brevemente, con riconoscenza, e lui trova che sia un bel sorriso pulito, intimo. Gli piace quel sorriso e gli piace lei, anche se è così smunta e nervosa. L’ha sempre trovata bella, anche se col passare del tempo, specialmente in queste settimane, è diventato un pensiero sempre più distratto, marginale. C’è Sasuke distrutto, adesso, che occupa tutta la sua mente.

“Naruto.”

La voce di Sakura è ansiosa, fremente. Naruto solleva lo sguardo su di lei, smettendo di far ciondolare le gambe dalla sedia su cui è accoccolato.

“Che c’è?”

Lei sta guardando i fogli che stringe in mano con aria assorta, continuando a far scattare le pupille dall’uno all’altro. Si blocca, prendendo un lungo respiro.

“Credo di esserci,” annuncia inebetita.

La sedia precipita rumorosamente a terra mentre Naruto le balza accanto, ansioso.

“Che cosa?”

Sakura prende un respiro lungo, annuisce.

“So come va effettuata l’operazione. Può vedere, Naruto, Sas’ke può tornare a vedere quasi normalmente.” E mentre lo dice le si gonfiano gli occhi di lacrime e anche Naruto rimane lì imbambolato, col sollievo che sale nella schiena e alleggerisce le sue spalle.

“Mi servirà qualche giorno per mettere a punto le fasi dell’intervento, ma…” inizia lei e s’interrompe, si stringe una mano sulla bocca e strizza le palpebre. “Dei, grazie.”

Sei grande, Sakura,” mormora Naruto estasiato. “Sei grandiosa,” aggiunge, e vorrebbe urlare ma stranamente non ne ha il fiato. Ha improvvisamente bisogno di aria, sole, luce. Ridacchia allontanandosi di un paio di passi, scuote la testa con nuovo brio.

“Glielo vado a dire. Sarà contento, vero?” commenta radioso. Ma c’è una nota di incertezza nella sua domanda. Sarà contento, vero?”

Ha così infinitamente bisogno che la risposta sia sì, ma lei annuisce senza troppa convinzione, ha negli occhi quello stesso timore.

“Certo,” conferma comunque, risoluta. “Vai, su.”

Naruto quasi corre verso il quartiere del clan. Scatta in direzione di Sasuke, già immagina la porta che si apre, la sua sagoma ritagliata nello spazio oltre l’uscio, un sorriso nel sentir dire che i suoi occhi funzionano ancora. È così che arriva a casa Uchiha, fremendo.

All’ultimo, invece di bussare, pensa di passare dal cortile, scavalcando il muro. Forse la porta del giardino interno è aperta e lui può entrare da lì, senza annunciarsi, e fare un’improvvisata a Sasuke. Forse si arrabbierà per quell’intrusione e urlerà e lo butterà fuori, ma almeno sarebbe una novità e Naruto pensa che nemmeno gli dispiacerebbe, vista la situazione. Forse invece Sasuke non reagirà, resterà distante e silenzioso come sempre e lui ci rimarrà male, ingoierà controvoglia un’altra amara delusione.

Il cortile di casa Uchiha è incolto, abbandonato a se stesso. Si vede ancora che una volta era curato, fiorito ed elegante, ma da troppo tempo nessuno se ne occupa. Naruto lo attraversa e trova la soglia soltanto accostata, esita per un unico secondo prima di entrare con cautela, silenzioso, e affacciarsi circospetto in casa.

Di Sasuke a vista non c’è traccia, tutto è immobile e silenzioso. Naruto azzarda qualche passo all’interno, nel corridoio illuminato dalle grandi finestre a vetrata. E vede lo stuoino ben disteso a terra, effigiato col stemma del clan. Una brocca d’acqua, un kimono disteso lì accanto, sontuoso, un libro aperto. Si guarda ancora intorno ma Sasuke non c’è, piega il busto e si china ad esaminare la copertina: è un libro strano, sembra forse di preghiere, o qualcosa del genere. Cosa se ne possa fare Sasuke, che per ora nemmeno può leggere, gli sembra un mistero.

I passi risuonano leggeri d’improvviso, Naruto fa giusto in tempo a raddrizzare la schiena e Sasuke compare dalla porta della cucina, è a torso nudo, ha in mano la custodia con la katana. Naruto la guarda per un istante, poi torna repentinamente ad osservare lo stuoino e sgrana gli occhi mentre nella sua mente risuona un’unica, raccapricciante parola: hara-kiri.

Suicidio rituale.

Sasuke è rimasto fermo sulla soglia, lo sta guardando con leggera sorpresa sotto il velo del distacco angosciato. Poi sposta lentamente gli occhi verso la porta del giardino e indietro sul suo viso, realizzando evidentemente da dove è arrivato. Non fa commenti, non cambia neanche espressione.

Naruto chiude gli occhi per un secondo e prende un respiro lungo, ma gli sembra che l’aria non entri nei suoi polmoni. Si stropiccia il viso per un istante con la mano, perché non ci può credere e perché non ha mai avuto tanta voglia di piangere, che si ricordi, nemmeno dopo il combattimento alla cascata.

Sasuke non è più sotto sorveglianza da tre giorni. Per festeggiare ha organizzato il proprio suicidio.

“Posa quella katana,” intima lui sordo, senza alzare lo sguardo.

“N…”

“Posa quella dannata katana o te la spacco sulla testa, teme!” ruggisce Naruto con furia, senza nemmeno lasciarlo rispondere e preso da un risentimento ed una collera impetuosi. “Posala!” ripete in un urlo, vedendo Sasuke che si ritrae leggermente stringendo l’arma contro di sé.

Gli si getta contro con violenza, la colluttazione dura solo qualche secondo: Sasuke è pelle e ossa, non ha più carne, non ha più muscoli. È come togliere un kunai a un bambino dell’accademia, lo stesso grado di difficoltà. Gli strappa la katana di mano e la getta via brutalmente, d’impulso, sente il rumore di qualcosa che cade e si frantuma ma non ci fa nemmeno caso.

“Cosa cavolo credi di fare, eh?” ringhia furioso, sbattendo il genio contro il muro. Sasuke emette appena un respiro un po’ più rumoroso, rimane fermo con la schiena aderente alla parete e gli occhi fissi, un po’ sgranati e quasi confusi.

Naruto tira un pugno con forza al muro, per non darglielo in faccia e spaccargli il naso. Appoggia la testa alla parete e una mano dall’altro lato del capo di Sasuke.

“Cos’è, ti vuoi ammazzare?” rumina, inviperito.

“Sì.”

Pensa che questo se lo ricorderà per un pezzo: lui che chiede se vuole uccidersi e Sasuke che risponde subito sì, con quel tono apatico e inespressivo. Roba da ridere incontrollatamente per giorni, se non fosse reale. Piega le labbra e strizza le palpebre, furiosamente dolente, perché no, non può mica ammazzarsi, Sasuke. La mano che gli ha poggiato accanto alla testa scende, va intorno alla spalla del genio e la stringe. Naruto lo abbraccia, anche se Sasuke rimane rigido e ritroso, indifferente, lo abbraccia perché è l’unica cosa che gli viene in mente di fare e perché ha paura di perderlo definitivamente e non lo può accettare.

Lo abbraccia, e lo stringe ancora più forte. E Sasuke dopo un po’ respira leggermente, il suo corpo si scioglie e cede un po’ sulle ginocchia, la sua fronte si va a depositare sulla spalla di Naruto. Rimangono immobili in silenzio, sembra che nemmeno i suoni di Konoha penetrino più dalla portafinestra rimasta socchiusa. È la prima volta che abbraccia Sasuke ed è una sensazione curiosa, piacevole anche se è così magro e spigoloso. Incoerentemente, Naruto si chiede come sarebbe abbracciare Sakura, che tipo di emozione dovrebbe provare. Gli viene in mente che probabilmente non sarebbe assoluta e rassicurante come stringere questo Sasuke che pure è il relitto di se stesso.

Poi Sasuke sta piangendo.

Naruto all’inizio non riesce a capire come mai ha l’impressione che l’altro tremi, finché non sente il suono soffocato e quindi la maglietta umida. S’irrigidisce per qualche secondo e intanto la mano di Sasuke si stringe sulla sua maglia, all’altezza del suo fianco, e il suo corpo comincia veramente a sussultare. Naruto lo tiene su, come può, serrandolo e mordendosi le labbra. La cosa peggiore, forse, non è nemmeno che Sasuke stia piangendo ma che lo stia facendo davanti a lui, perché una volta sarebbe morto piuttosto che sottoporsi a un’umiliazione del genere. Sasuke è sempre stato immensamente orgoglioso, è uno dei suoi principali tratti distintivi, e allora c’è da chiedersi cosa sia rimasto intero di lui e se abbia senso sperare di rimettere insieme i cocci.

Gli affonda il viso contro il collo, inspirando.

“Dimmi cosa fare,” sussurra con foga. “Dimmi solo cosa posso fare per te, Sas’ke.”

Sasuke non risponde. Piange.

“Non fa niente,” continua Naruto con decisione. Devi dormire, teme, tu devi dormire. Pensi cose strane perché sei stravolto,” aggiunge febbrilmente. Gli passa istintivamente la mano tra i capelli, sulla nuca, mentre quei singhiozzi di debolezza si calmano, trattenuti da un ultimo afflato di fierezza. L’immobilità di Sasuke lo sprona, afferra il suo avambraccio e lo trascina verso l’interno di quella casa che non conosce bene, si dirige verso le scale e Sasuke lo segue docilmente, come un bimbo piccolo.

Arrivato in cima Naruto si guarda intorno un po’ disorientato, avanza a casaccio verso una porta e fa per aprirla.

Mh,” è il suono strozzato emesso da Sasuke, angosciante.

La mano di Naruto si blocca di scatto, mentre si ritrae tanto da urtare l’amico dietro di sé. E’ la porta sbagliata, quella non è la stanza del fratello giusto. La oltrepassa rapidamente, indispettito per la gaffe commessa, entra nella camera successiva e riconosce l’impronta di Sasuke, gli oggetti sobri e ordinati, i colori un po’ cupi, il blu, la foto del team sette.

Spinge il genio verso il letto senza tanti complimenti, la resistenza di Sasuke è minima.

“Devi dormire,” gli ripete deciso, e basta a farlo muovere meccanicamente, alla minima pressione sulle sue spalle Sasuke si abbassa, si siede sul materasso, si lascia infilare sotto la coperta come un pupazzo. Sasuke Uchiha, quello che fa sempre tutto di testa sua: rimane lì sdraiato con lo sguardo nel vuoto, la testa sul cuscino, le mani rigide.

Naruto abbassa gli scuri alla finestra, si siede sul bordo del letto gli accarezza di nuovo la testa impacciato, senza sapere cosa dire o come comportarsi. Sasuke dovrebbe fare qualcosa di normale, mandarlo via o indignarsi o dargli del seccatore invadente, allora saprebbe come reagire. Così, invece, è tremendamente complicato.

“Dormi, teme,” azzarda, senza smettere di passare le dita tra quei sottilissimi fili neri. Ha sempre pensato che i capelli di Sasuke abbiano qualcosa di anormale, che siano troppo morbidi e perfetti; adesso perfino quelli sembrano smorti, ma restano soffici.

Sasuke non reagisce, fa soltanto uno sbuffo un po’ stanco, un mezzo sospiro. Non si sottrae alla sua mano e non sembra nemmeno insofferente, così Naruto continua a passargliela sulla testa con un po’ più convinzione, la fa scivolare sull’attaccatura dei capelli, sul collo, sulle spalle. È strano e non ha senso, lo fa sentire stupido e sbagliato, in qualche maniera, ma magari servirà a calmarlo e non riesce veramente a smettere. Guarda Sasuke, che ha gli occhi un po’ meno allucinati, e pensa che non potrebbe proprio farne a meno, in nessun modo. Lo osserva respirare sempre più lentamente, assorto, studia tutto il suo profilo. Sì, è bello, Sasuke, anche adesso ridotto in questo stato. Molto più bello di lui e di qualunque altro ragazzo che conosca, con quegli occhi intensi e quel viso da principe, quel naso all’aria. Ma la cosa primaria è che ciascuno di quei tratti gli è caro in modo struggente, è inciso sulle sue retine e nel suo stesso respiro. E’ l’insieme di Sasuke ad essere prezioso come l’ossigeno.

Rimane lì a far vagare la mano, in silenzio, senza quasi pensare e pervaso da una tensione difficile da analizzare, troppo stratificata, fatta di paure, di domande, di stupore e di inquietudine. Continua a non capire bene perché lo accarezzi e perché la cosa sembri calmarli entrambi, finché le palpebre di Sasuke cominciano ad abbassarsi. Le dita di Naruto corrono verso il suo petto, là dove si sente leggero il battito del suo cuore.

“Ho bisogno che non si fermi. Mai, ne ho bisogno, capisci?” mormora grave.

Sasuke rimane immobile, con gli occhi socchiusi. Lui torna a scompigliargli delicatamente i capelli, sempre più lentamente, finché quegli occhi neri non si chiudono e il respiro di Sasuke si fa profondo, regolare.

Allora Naruto si sente infinitamente stanco, da non riuscire a tenere la testa sollevata. Si alza in piedi, scende le scale, torna nel corridoio e raccoglie lo stuoino da terra, piegandolo per posarlo accanto alla porta. Sposta la brocca sul tavolo della cucina, fa per uscire e vede per terra la katana. Esita solo per un secondo, si china e la raccoglie, indossandola.

Getta un ultimo sguardo verso le scale, prima di uscire e tornare a casa. Dell’operazione gli parlerà domani, o magari glielo dirà Sakura stessa, le farà piacere.

Quando arriva nel suo alloggio si lascia cadere sul letto, di schianto, senza nemmeno badare alla fame. Si addormenta vestito, con la katana di Sasuke ancora a tracolla.

   
 
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