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Autore: Zury Watson    27/11/2015    0 recensioni
Se il finale di stagione non vi ha soddisfatto, siete nel posto giusto.
Le morti che abbiamo visto nella 3x12 e nella 3x13 non si sono mai verificate, Re Riccardo è rimpatriato e ha rimesso in sesto ogni cosa. Nottingham è stata distrutta ma il suo destino è di essere ricostruita. Robin, Archer e Guy amministrano Locksley non smettendo per questo di aiutare chi ha bisogno e in tale contesto si inserisce Kaelee, una giovane donna arrivata da un villaggio vicino.
Capitoli in revisione (Revisionati 1-16)
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Guy di Gisborne, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Venticinque


Tempo di Partenze

Nottingham.

Erano occorse alcune settimane a Guy e Kaelee per trasferirsi definitivamente in città e lasciare la casa a Locksley in mano agli amici della banda di Robin Hood che l'avrebbero tenuta in perfetto ordine per ogni necessità, come ad esempio la scelta, non unanime, della famiglia di Kaelee di trattenersi dopo il matrimonio. Tra tutti, sicuramente Rudyard e sua madre erano i meno contenti, ma non essendo loro concesso di spostarsi autonomamente dal nucleo familiare erano stati costretti a cedere e adeguarsi alla volontà degli altri componenti per la felicità soprattutto di Aric e Kaelee.
Un'abitazione priva di giardino e di un orto da coltivare, situata all'interno di alte mura
grigie e dalle cui finestre era impossibile vedere Sherwood non era ciò che Kaelee aveva immaginato per se stessa, soprattutto dopo aver vissuto un anno a Locksley. Eppure comprendeva l'esigenza di suo marito di risiedere a Nottingham per poter adempiere ai suoi doveri di Signore della città, perciò non gliene faceva una colpa - tanto più perché aveva convenuto con lei che abitare nella Fortezza come aveva fatto il vecchio Sceriffo quando quell'edificio era Castello della città sarebbe stato ancora peggio e terribilmente triste - preferendo invece godersi il suo nuovo inizio nei panni di Lady Gisborne. Ancora non si era abituata ad essere chiamata così, tant'è ch'era accaduto diverse volte che, uscendo per andare in Piazza in occasione del Mercato settimanale, qualcuno la salutasse a vuoto appellandola con il titolo che aveva ereditato sposando Guy perché soltanto dopo diversi minuti, quando il suo cervello aveva infine registrato e assimilato, riusciva a voltarsi per ricambiare anche se era sempre categoricamente troppo tardi. Perciò aveva chiesto a tutti di essere chiamata semplicemente Kaelee, non ottendendo però che la sua richiesta venisse esaudita in quanto come sposa del Signore di Nottingham era necessario portarle il rispetto che meritava. Era una delle tante regole della nobiltà che fino a quel momento Kaelee aveva ignorato ed evitato, ma alle quali non più poteva sfuggire.

Quando per l'ennesima volta il macellaio la ossequiò e lei rischiò di non curarsene assumendo involontariamente un atteggiamento altezzoso se non maleducato, Kaelee ricordò tra sé e sé la conversazione avuta con Guy la prima volta che non aveva risposto ad un saluto e ne sorrise passeggiando per le strade di Nottingham verso la nuova dimora insieme al più giovane dei suoi fratelli.


Svoltato l'angolo e imboccata una via secondaria, Kaelee si mise a correre così veloce che fu solo per miracolo se non perse metà del contenuto della sua cesta, colma degli acquisti della giornata. Si vergognava moltissimo perché aveva completamente ignorato l'Abate di Kirklees finché il fabbro, suo amico, non le aveva fatto notare il guaio che aveva combinato. Quasi sfondò la porta di casa e quasi travolse Gisborne che, seduto al tavolo in mezzo alle scartoffie che il suo nuovo ruolo contemplava, la guardò stralunato, preoccupato e confuso.

Le servì una buona mezz'ora per calmarsi e questo accadde soprattutto grazie al paziente intervento di Guy il quale le assicurò che avrebbe parlato personalmente con l'Abate per chiarire il malinteso e la rassicurò ritenendo che sarebbe stato necessario far trascorrere del tempo prima che si abituasse a quella novità.
«Lady Gisborne», sussurrò infine lui con quel tono che la faceva impazzire, quello colmo di malizia e sottintesi, quello che le incendiava il viso e non solo.
«Non migliori la situazione, Guy», soffiò lei provando a risultare seria per smentirsi subito dopo cercando le labbra di lui per un bacio appassionato.
«Lady Kaelee Lilas di Gisborne», continuò lui, senza pietà, come se l'unico scopo nella sua vita fosse stordirla, confonderla, mandarla fuori di testa. «Sul serio ti chiami Lilas?», le domandò con un pizzico d'ironia mentre prendeva fiato dopo l'ennesimo bacio che prometteva di farli finire entrambi tra le lenzuola.
«Proprio tu parli, Lord... Crispin?», lo canzonò lei scoppiando a ridere.
Per tutta risposta lui la sollevò di peso e la portò difilato in camera da letto per una punizione esemplare.


Quel giorno la donna rientrò, quindi, a casa in compagnia di Aric, recando con sé alcune stoffe che voleva assolutamente mostrare a Guy. Non trovandolo all'interno dell'abitazione decise di ammazzare il tempo dedicandosi al pranzo e alle chiacchiere. Kaelee non era mai stata una cuoca provetta, ma grazie al periodo trascorso accanto a Kate, ai suggerimenti di Much e alle ricette che lui aveva fatto trascrivere appositamente per cedergliele in una sorta di regalo di nozze, Lady Gisborne faceva progressi giorno dopo giorno. Pian piano stava imparando ad utilizzare al meglio tutte le spezie di cui disponeva e iniziava a non confonderle più una con l'altra scambiandole durante la cottura degli arrosti o delle minestre, rendendoli così quasi immangiabili anche se Guy insisteva nel dire che tutto ciò che lei cucinava era ottimo. Il pensiero più ricorrente nelle ultime settimane, per Kaelee, era "Che adorabile bugiardo".
Mentre un aroma di salvia e timo si diffondeva per tutta la stanza, Kaelee notò che Aric era particolarmente silenzioso e si torceva le mani con lo sguardo abbassato sul tavolo, evidentemente a disagio. La donna aggrottò le sopracciglia manifestando apertamente la propria confusione in quanto un atteggiamento simile da parte di suo fratello le risultava piuttosto strano. A pensarci meglio, in effetti, per tutto il giro del Mercato non aveva parlato granché intanto che lei acquistava.
«Aric... Sei ancora tra noi?», mormorò con un sorriso dolce sulle labbra.
«Mh? Sì, sì. Vuoi dirmi qualcosa?», chiese lui, sulla difensiva, guardandola soltanto per un attimo e voltandosi poi verso una delle finestre.
A quel punto Kaelee fu certa che suo fratello le stava nascondendo qualcosa, che qualcosa lo preoccupava tanto da zittirlo a quel modo. «Solitamente non cerco un dialogo con i muri», lo provocò per testarne la reazione.
«Quindi adesso sono un muro. Fortuna che me l'hai fatto notare!», le rispose Aric sarcastico.
«Tu come chiameresti una persona che si comporta come te? Sono pur sempre una donna di poca cultura: illuminami!», fece lei imitando il tono di suo fratello. A Kaelee non piaceva affatto litigare, anzi, ogni volta che le capitava di essere coinvolta in un litigio poi ci pensava e ripensava per ore intere senza darsi pace, cercando il motivo della lite e lo sbaglio che aveva condotto lei e l'altro interessato al punto di rottura, ma non sopportava essere trattata con sufficienza o arroganza per ragioni a lei ignote. Quindi non era per niente contenta della situazione che si stava venendo a creare, tuttavia non poteva lasciare che Aric tornasse a Edwinstowe con quell'aria triste, pensierosa, preoccupata, e per quanto cercasse di controllarsi non le riusciva di essere diplomatica con lui.
Aric la guardò finalmente in faccia, colpito dalle parole di lei. «Ti ho mai dato dell'ignorante?», le chiese mantenendo la calma.
«No, ma non è merito tuo se oggi me la cavo sia a leggere che a scrivere». Questa era cattiva e Kaelee se ne rese conto un secondo più tardi. «Scusami. Non era mia intenzione dir...», aggiunse immediatamente senza però riuscire a concludere la frase.
«No, non scusarti. Hai detto solo la verità! Io non conto niente per te!», esclamò battendo i palmi sul tavolo in legno mentre si alzava di scatto.
La donna ebbe la sensazione di essere arrivata al dunque, perciò decise di non lasciar cadere la discussione - opzione che avrebbe preso in considerazione se non si fosse trattato del parente ed amico più caro che aveva.
«È davvero di questo che stiamo parlando, Aric?», gli domandò dando una mescolata alla minestra che cuoceva lenta sul fuoco del camino.
Lui sbuffò l'aria dalle narici in un profondo sospiro. «Non lo so di cosa stiamo parlando, non lo so davvero, ma forse so di cosa dovremmo parlare», ammise infine. «Tu te ne sei andata. Sei partita per Locksley e se non fosse stato per l'insensata caccia all'uomo da parte di Rudyard chissà quando ti avrei rivista», si sfogò scuotendo il capo.
«Hai dimenticato che affinché la fuga avesse un risultato concreto era necessario il tuo silenzio? Che potevo fare? Restare e sposare quel bruto? Oppure invitarti a Locksley come se niente fosse con il pericolo che qualcuno ti seguisse insospettito da un comportamento poco affine alla tua personalità?», gli domandò controllando il tono, cercando di scegliere le parole per evitare di offenderlo. Aric si era sempre rifiutato di imparare a maneggiare una qualsiasi arma prima che Dwight lo coinvolgesse nella sua impresa contro le ingiustizie dei potenti, cavalcava solo se strettamente necessario, si difendeva soltanto verbalmente e attraverso l'ingegno, tutte scelte che non gli avrebbero concesso di giustificare in maniera credibile un temporaneo allontanamento da Edwinstowe, tanto più perché non era neanche un mercante, né un artigiano. Kaelee aveva tenuto conto di tutto questo quando aveva lasciato Edwinstowe e aveva sofferto molto la mancanza di Aric, per questo si sentì profondamente ferita dalle parole di lui: se portarlo a Locksley con sé non fosse stato pericoloso per entrambi, la donna non ci avrebbe pensato su neanche un attimo.
«La verità è che non ci saremmo più rivisti se non fosse stato per lui».
Kaelee arricciò le labbra, disgustata da quella verità che non condivideva affatto.
«Non la metterei su questo piano. Avresti saputo del mio matrimonio».
«Ah, già, il matrimonio. Ora per tutti sei Lady Gisborne e il tuo futuro sarà roseo! Congratulazioni», sputò con una tale dose di sarcasmo da lasciare intendere che fosse quasi infastidito, risentito.
«Qual è il problema? Forse non sei felice per il mio matrimonio con Guy? Oppure ti sei offeso perché ho chiesto a Dwight di accompagnarmi all'altare? Dimmi, perché proprio non ci arrivo!», sbottò. Sentì le lacrime ondeggiare negli occhi e decise di voltare le spalle a suo fratello con la scusa di dover badare al pranzo.
«No...», soffiò Aric, ridimensionandosi immediatamente.
«Cosa no? Sii più preciso. È tutta la mattina che cerco di conversare con te senza successo e tra qualche giorno tornerai a Edwinstowe con il resto della mia famiglia. Lasciami almeno capire cosa sto sbagliando!», esclamò esasperata. Nello sguardo di suo fratello le parve di scorgere imbarazzo insieme al nervosismo, ma per quanto si sforzasse di trovare una ragione a quello strano comportamento di Aric non c'era verso di riuscirci.
«Non sono offeso in alcun modo», spiegò a voce e sguardo bassi.
«Ma?», lo invogliò lei.
«Ma l'unica persona con cui condividerai il tuo tempo d'ora in poi è lui!», sbottò sputando finalmente la verità.
Kaelee impiegò qualche secondo per realizzare il senso di quelle parole.
«Tu sei geloso», sussurrò dolcemente. Si assicurò che il pranzo non prendesse fuoco - il che non era da escludersi - e si avvicinò a suo fratello per abbracciarlo con affetto.
«Sono uno sciocco», mormorò lui con voce tremante tra i capelli di Kaelee, più lunghi rispetto all'ultima volta che l'aveva vista prima del matrimonio, quando lei aveva riportato Rudyard a Edwinstowe in compagnia di Gisborne e Fra Tuck.
«Hai ragione. Avresti dovuto parlarmene liberamente», lo rimproverò bonariamente. «Ti vorrò sempre bene, Aric, per sempre. Potrai venire a trovarmi tutte le volte che vorrai. Puoi perfino trasferirti se lo desideri!», gli disse con trasporto, senza sciogliere l'abbraccio. «La casa a Locksley resterà vuota e puoi abitarla tu. Cosa ne pensi?».
Sentì suo fratello sospirare e stringerla di più.
«Un giorno, forse. Ho un compito da portare a termine a Edwinstowe insieme a Dwight e gli altri della nostra banda», mormorò.
Kaelee si allontanò da lui quel tanto che bastava per sorridergli luminosa.
«Sono orgogliosa di te», soffiò. «Sapevo che avresti fatto grandi cose con la tua intelligenza. Lasciami indovinare: sei lo stratega del gruppo!», gli disse per poi veder spuntare un enorme sorriso sulle labbra di lui mentre annuiva deciso.

I due, ritrovato un equilibrio, ripresero a chiacchierare come un tempo e a cucinare fino al rientro di Gisborne.
Quest'ultimo aveva trascorso la mattinata a discutere con i suoi fratelli alcuni dettagli per la gestione della città nel rispetto delle leggi e degli intenti di Re Riccardo e una volta messo piede fuori dalla Fortezza non aveva desiderato altro che raggiungere Kaelee per dedicarle il tempo che meritava. Arrivato a ridosso dall'abitazione l'uomo sentì distintamente due voci provenire dal suo interno e comprese che Kaelee doveva essere in compagnia di uno degli uomini della banda o uno dei suoi fratelli.
Aprendo la porta fu subito travolto dalla felicità di sua moglie che lo guardò con occhi tanto intensi da metterlo quasi in soggezione: poteva uno sguardo causargli un tale turbamento sebbene lo incontrasse più volte nel corso della stessa giornata da ormai molti mesi? Guy non poté far altro che rispondere positivamente a sé stesso, dando credito all'evidenza che gli aveva riscaldato le guance.
«Guy!», esclamò gioiosa e a lui parve che la sua voce fosse musica. «Sei tornato finalmente. Ho una cosa da farti vedere!», aggiunse la donna con l'entusiamo e la meraviglia di un bambino che ha scoperto un bruco farsi farfalla.
Ricambiò il meraviglioso sorriso che lei gli aveva rivolto e salutò cordialmente anche Aric invitandolo subito a fermarsi per il pranzo. Sebbene fosse sicuro che Kaelee gli avesse già rivolto lo stesso invito, volle mostrarsi ben disposto verso il giovane uomo il quale gli aveva dato l'impressione, in quei giorni, di essere non soltanto piuttosto timido ma anche non esattamente a proprio agio in sua presenza. Quindi, chiusosi la porta alle spalle, si avvicinò a Kaelee per baciarle la fronte con tutto l'amore che nutriva per lei.
Per tutta risposta sentì le braccia di lei avvolgerglisi sulle spalle in un breve, ma caldo e rassicurante abbraccio. Da quando Guy aveva una relazione con Kaelee aveva scoperto il significato del tornare a casa e trovare qualcuno che lo stesse aspettando non per dargli un ordine oppure offenderlo, ma per accoglierlo con affetto e con il reale desiderio di averlo attorno.
Qualche istante più tardi l'uomo gettò un'occhiata alla stanza e il suo sguardo cadde su una pila di stoffe scure.
«Non vuoi che ti aiuti a scegliere il tessuto migliore per tendaggi e coperte, vero?», domandò a sua moglie, con un sopracciglio sollevato mentre indicava il punto esatto in cui Kaelee aveva adagiato i suoi ultimi acquisti.
«Ti sembra stoffa per tende quella?», gli chiese lei di rimando scuotendo il capo con rassegnazione, ma rivolgendogli un ampio sorriso. «È evidente che ne sai ben poco di queste cose», lo prese in giro.
Lui rise incrociando le braccia al petto.
«Allora vuoi farti confezionare un nuovo abito?», azzardò.
«Ci sei quasi», mormorò lei avvicinandosi di nuovo e facendogli così battere forte il cuore. «È tempo che ti liberi di tutto questo nero, Guy», sussurrò. Quando Gisborne sentì le dita di lei sfiorargli il petto faticò a tenere alta la concentrazione sebbene uno spesso strato si frapponesse tra il calore di Kaelee e il proprio corpo desideroso di un contatto più intimo. Gisborne dovette costringersi a tenere presente che nella stanza, insieme a lui e Kaelee, c'era anche Aric, dettaglio questo che impediva a entrambi di lasciarsi andare ad effusioni troppo spinte. Immerso nella confusione mentale causata da Kaelee, Gisborne guardò quest'ultima, che si spostava verso le stoffe, con aria interrogativa.
«Che ne dici di questo bel blu zaffiro? Io lo trovo perfetto!», scampanellò lei sollevando un lembo di stoffa blu, piroettando poi su se stessa e illuminando l'intera casa, l'intera esistenza di Gisborne.


Maniero di Robin, Locksley.
Da diverse settimane Robin Hood e Luke Scarlett organizzavano il viaggio verso la Terra Santa. Ormai non era più un segreto per nessuno della banda, né per gli abitanti di Locksley e Nottingham, ma pochi erano davvero quelli che condividevano la scelta di Robin sebbene tutti la rispettassero e nessuno, tranne Much, avesse avuto l'ardire di chiedergli di restare.
Ora che Gisborne aveva trovato la propria strada e che Archer si era legato alla dolce Nettie, Robin sentiva di poter passare il testimone ai suoi fratelli congedandosi in pace e serenità dai suoi compagni di avventura. Nemmeno lui sapeva come sarebbe andato a finire quel viaggio che sarebbe durato mesi, neanche lui sapeva quanto si sarebbe fermato ad Acri e se e quando avrebbe mai fatto ritorno nella sua amata Inghilterra, né voleva pensarci. Tutto ciò che gli era chiaro da ormai diverso tempo era la necessità di doversi ricongiungere a Marian. Aveva provato ad accantonare il dolore della perdita, aveva provato ad innamorarsi ancora, aveva tentato un approccio sereno alla vita e al rapporto con altre donne, aveva lottato affinché i ricordi non lo assalissero rendendogli la vita impossibile, aveva trovato un senso a se stesso nella battaglia contro le ingiustizie perpertrate dallo Sceriffo di Nottingham e dal Principe Giovanni, aveva perdonato Gisborne accettandolo come alleato e fratello, aveva provato a ricostruirsi una vita vera, nuova, priva di incubi dal passato, ma lei, Marian, era sempre tornata ad affacciarsi alla sua mente per riscaldarlo con quel sorriso ampio e incredibilmente bello, per rassicurarlo con quei suoi occhi chiari e grandissimi, espressivi, indescrivibilmente unici, inducendolo, di fatto, a porsi una serie di quesiti cui era impossibile trovare risposta.
Quante volte si era chiesto cosa sarebbe accaduto se Marian gli avesse dato retta restando con lui a Sherwood anziché tornare ad abitare al Castello con lo Sceriffo e Gisborne? Quante altre si era ritrovato a pensare a come sarebbero andate le cose se Marian avesse davvero rinunciato ad essere il Guardiano Notturno perché troppe volte aveva rischiato di farsi scoprire e perfino uccidere da Guy? Robin non era mai riuscito veramente a perdonarsi per non aver saputo stare vicino a Marian come avrebbe voluto e dovuto, per non essere riuscito a fermarla, a parlarle con calma e nella maniera giusta, per non aver compreso il suo bisogno di essere libera e indipendente e di sentirsi protetta dall'amore che nutriva per lui senza dover essere rinchiusa in una gabbia.
Quando Robin aveva ascoltato la storia di Kaelee per la prima volta, subito dopo il suo arrivo a Locksley, la giovane donna gli aveva ricordato molto Marian per via del carattere indomabile che contraddistingueva entrambe. Era evidente che una ventenne senza alcuna familiarità con le armi e con l'unica abilità di saper cavalcare veloce e senza indugio doveva possedere una determinazione incrollabile se era riuscita a raggiungere da sola Locksley incolume, così come era chiaro che la ragazza sapeva il fatto suo se incontrando Allan aveva letteralmente preteso di poter parlare con Robin Hood in persona. L'arciere aveva rivolto un sorriso estasiato a quella minuta straniera arrivata da Edwinstowe rincorrendo un mito, come lei stessa aveva definito la figura di Robin Hood, e se l'aveva accolta senza alcuna difficoltà né resistenza era dovuto in parte proprio all'animo ribelle di lei: il capo della banda aveva intimamente scommesso su quella giovane donna dal primo momento in cui l'aveva vista.
Ripensandoci ora, a distanza di molti mesi, Robin si rese conto che una lezione dal passato l'aveva imparata. Ai tempi in cui Marian si impuntava per essere il Guardiano Notturno e fare la spia al Castello per i fuorilegge - così come Kaelee aveva messo tutta se stessa per poter essere utile al villaggio imparando alcuni mestieri, a leggere e a maneggiare la spada come pochi altri - l'arciere non aveva fatto altro che provare a dissuaderla da quelle attività tutt'altro che femminili e sicuramente molto più rischiose del semplice dedicarsi al fare la maglia dinanzi ad un camino acceso. Almeno verso Kaelee il suo atteggiamento era stato completamente diverso sebbene questo non avesse comunque riportato in vita Marian.

L'arciere era al Maniero quando, il giorno prima della partenza, un uomo irruppe nella stanza in cui si trovava, mettendolo in allarme. Appena si rese conto che si trattava di Much tirò un sospiro di sollievo.
«Amico mio, siedi, riprendi fiato e bevi il mio buon vino senza fare complimenti», lo invitò Robin accogliendolo con il suo solito sorriso amichevole.
L'uomo vide Much scuotere con vigore il capo e puntare nei suoi un paio di occhi estremamente vivi e, in quel momento, disperati.
«Sono venuto qui a dirvi che non potete partire», ansimò accettando infine di sedersi.
«Much...», sospirò Robin.
«No, padrone. Ascoltatemi. L'Inghilterra ha bisogno di voi, Locksley ha bisogno di voi che ne siete il Signore!», affermò con convinzione. «Con che coraggio abbandonate il vostro popolo senza assicurare che farete ritorno? Vedete? Non potete partire», concluse.
«Grazie per aver tentato... di nuovo. Ho già lasciato tutto nelle mani di Archer. E smettila di chiamarmi padrone: non lo sono più da molti anni», lo rimproverò allegramente scompigliandogli i capelli e facendolo sorridere per qualche istante.
«Se è così posso accompagnarti. Avrai sicuramente bisogno di compagnia durante il viaggio e io conosco ballate molto belle e so cucinare bene!», continuò non volendosi proprio arrendere.
«E lasceresti Kate e il vostro bambino in arrivo da soli?», obiettò subito Robin. «Luke verrà con me e ce la caveremo. Una volta lì Will e Djaq, o per meglio dire Safiya, ci ospiteranno e trascorrerò del tempo con loro. Sarò al sicuro, Much».
Robin vide gli occhi del suo amico farsi più lucidi, il labbro tremargli leggermente mentre di sicuro cercava una soluzione che non contemplasse la sua partenza.
«Non puoi...», mormorò tristemente.
Robin gli strinse una spalla volendolo confortare e non smise mai di sorridergli.
«Non puoi lasciarmi. Io non sono niente senza di te!», esclamò ormai in lacrime.
L'arciere sospirò pensando di non meritare tutto l'affetto e la devozione che quell'uomo gli riservava da sempre. Molte volte Robin lo aveva preso in giro per il suo essere troppo ingenuo e buono, troppe volte ne aveva sottovalutato le qualità e capacità, tante volte non aveva apprezzato il legame che Much sentiva nei suoi confronti arrivando perfino ad offenderlo davanti agli altri membri della banda, trattandolo come un servo ignorante pur consapevole che il gruppo di fuorilegge non poteva fare a meno di uno come lui. Much era sempre stato un uomo dalla lingua più veloce del pensiero, un uomo sincero e leale, uno di quegli uomini buoni che si innamorano in fretta della prima donna che gli concede una minima attenzione, un uomo ancora capace di commuoversi dinanzi all'incontro con un vecchio amico o alla nascita di un bambino o anche ad un pericolo scampato. Solo dopo anni trascorsi al fianco di Much Robin si era reso conto di quanto fondamentale e prezioso fosse quell'uomo ed ora salutarlo forse per sempre gli risultava così difficile che non riuscì a mandare giù il nodo alla gola causato dalle lacrime dell'amico.
«Io e te siamo amici, Much, non è così?», chiese con un tremolio nella voce che non gli era mai appartenuto.
«È così», fece Much tirando su col naso.
«E allora, amico e compagno di mille avventure, cerca di comprendere la mia decisione e non causarmi dolore con il tuo pianto», confidò guardandolo dritto negli occhi sebbene la vista gli si stesse appannando man mano che le lacrime salivano minacciando di scivolare via.
Much si alzò e lo abbracciò forte, affondando la testa sulla sua spalla e singhiozzando come... "Come un bambino", pensò Robin ricambiando la stretta.
«Non chiedermi questo. Io... Io non sono abbastanza forte».
«Non essere sciocco adesso. Come potresti essere il mio migliore amico se non fossi forte e coraggioso e fedele?», soffiò Robin, anche lui in lacrime.
Much scosse il capo senza mollare la presa sulla schiena dell'arciere. «Non ho la forza di dirti addio. Non posso. Perdonami, ti prego, perdonami, non ci riesco».
Robin non sapeva più cosa dirgli; vederlo soffrire a quel modo lo devastava, eppure sapeva di non poter tornare indietro, sapeva che non sarebbe mai riuscito a trovar pace a Locksley se prima non fosse tornato sulla tomba dell'unica donna che aveva amato davvero. Accarezzò con affetto le spalle contratte del suo amico attendendo che lui si calmasse, sperando che smettesse di piangere così tanto e tanto intensamente.
«Non ti basta avere al tuo fianco Little John, Allan, Tuck, Archer, Gisborne, Kate, Kaelee? Non ti basta avere me?», chiese Much, implorante, dopo un po'.
«Basta adesso», mormorò con dolcezza, discostando lentamente l'amico da sé. «Tengo molto a tutti i miei amici e a te in modo particolare, ma non cambierò idea. Ho bisogno di rivederla, Much», si confidò.
Much aggrottò le sopracciglia. «La Terra Santa?», chiese, confuso.
«Marian! E ora non dire "Lo sapevo"!», esclamò Robin tornando a sorridere. Il buonumore era ciò che più identificava Robin Hood insieme al suo infallibile arco, perciò anche in una situazione come quella non era strano che riuscisse a scherzare e regalare un sorriso al sensibile Much, risolvendo almeno momentaneamente la questione. Robin sapeva che Much avrebbe pianto ancora e si sarebbe lasciato prendere dallo sconforto per settimane assillando tutti con la necessità di imbarcarsi per riportare a casa quella che lui riteneva essere la loro guida; e sapeva anche che qualcuno gliele avrebbe cantate per questo, qualcuno di nome Little John per la precisione; e sapeva che Fra Tuck sarebbe poi dovuto intervenire per dividerli e avrebbe dovuto tenere un discorso accorato per convincerli che nella vita ci sono avventimenti che vanno accettati per come arrivano, scelte che meritano di essere rispettate, eventualità che non si possono ostacolare. Robin li conosceva tutti con la stessa sicurezza che gli avrebbe consentito di distinguere ad occhi chiusi una freccia della propria faretra tra tante appartenenti ad altri, quasi che negli anni una piccola parte dei suoi compagni di avventura gli fosse rimasta nel cuore. Era cosciente che prima o poi si sarebbero rassegnati alla sua assenza e sarebbero andati avanti, ognuno con la propria vita e tutti insieme per il bene comune. Forse, un giorno, qualcuno dei suoi vecchi compagni e amici avrebbe raccontato la storia dei fuorilegge ai propri figli e avrebbe rivisto nei loro occhi incantati quelli riconoscenti dei poveri che avevano ricevuto pane e ortaggi grazie alla banda di Robin Hood. Forse si sarebbe parlato per anni, magari decenni, di ciò che lui e i fuorilegge avevano fatto per l'Inghilterra e per il Re.
«Potrò venire a trovarti?», domandò Much dopo un po'.
Robin alzò gli occhi al cielo e abbracciò ancora una volta l'amico.

Il resto della giornata fu un susseguirsi di amici che da Locksley, Nottingham, Clun, Scarborough, Wadlow, Nettlestone, Huntingdon, York, Knighton e Bonchurch raggiunsero il Maniero per augurare fortuna e pace a quell'uomo che tanto aveva fatto per gli abitanti dei villaggi. Robin li ricevette tutti indistintamente offrendo loro vino e frutta, accogliendoli come se tra lui e i vari artigiani, contadini, fabbri e mugnai non ci fosse alcuna differenza, scherzando, sorridendo e spazzando via la malinconia e la commozione che tanto affetto gli causavano. Non mancarono i piccoli amici per i quali Robin costituiva un coraggioso eroe da imitare, come i giovanotti più grandi avevano già iniziato a fare seguendo le lezioni di tiro con l'arco impartite dall'arciere e da suo fratello minore. Quando i bambini, con un pizzico di delusione, gli chiesero chi avrebbe insegnato loro ad usare arco e frecce, assicurò che Archer era perfino più bravo di lui e li convinse che da suo fratello avrebbero imparato anche moltissime altre cose interessanti e magiche.
Con sua grande sorpresa, trattenere l'emozione quando arrivò il momento di congedarsi dai componenti della banda, vecchi e nuovi, gli risultò molto più difficile e, tra un abbraccio e l'altro, Robin si lasciò andare perché in fondo con loro non era necessario fingere allegria. Indubbiamente lasciare Locksley lo rattristava ed era giusto che i suoi amici ne fossero al corrente: non voleva che pensassero di contare poco o nulla per lui quando invece non gli sarebbe stato possibile, senza di loro, sfuggire per anni allo Sceriffo e vivere nella Foresta per far del bene.

A conferma che quando si desidera fermare il tempo questo si mette a correre a perdifiato, dispettoso e implacabile, in quella che parve una manciata di attimi il Sole lasciò il posto alla Luna e la sera calò sul Maniero e su tutta l'Inghilterra. Eppure i compagni d'armi di Robin Hood erano restii ad andar via, così come lo erano i suoi due fratelli che gli si erano seduti l'uno ad un fianco e l'altro all'altro senza che nessuno riuscisse più a farli spostare. Tanto Archer quanto Guy tentavano di mascherare la tristezza dietro a racconti divertenti di avventure passate e aneddoti che fecero arrossire Robin con grande soddisfazione di tutti i presenti, ma nello sguardo di entrambi gli uomini era visibile un velo di malinconia per l'imminente addio. L'unico veramente felice in quel frangente era Luke Scarlett il quale si sarebbe ricongiunto con suo fratello Will.
«Gisborne, devo ricordarti quanto fossi ridicolo nella tua scintillante armatura prima che ti dessi fuoco?», rispose a tono Robin dopo l'ennesima battuta da parte di suo fratello. Quanti avevano anni addietro assistito alla scena scoppiarono a ridere di gusto e quasi si azzuffarono in un "tutti contro tutti" a suon di sfottò e spallate.
«Io almeno non sono mai fuggito passando attraverso le latrine!», disse Gisborne arricciando il naso. «Non credevo che poteste puzzare ancora di più voi fuorilegge, ma mi sono divuto ricredere», aggiunse guadagnandosi un bel calcio nel sedere da parte di Robin.
«Nobili... Che razza infelice», commentò ironico il capo della banda.
«Senti chi parla!», esclamò Allan, divertito. «Signore di Locksley, Conte di Huntingdon e cos'altro?».
«Hai dimenticato di dire che faceva parte della Guardia Privata del Re», aggiunse Much con orgoglio. «Insieme a me», precisò.
Un sonoro «Much!», riempì la sala grande del Maniero.
È così che si sarebbero detti addio: mangiando, bevendo, ricordando, divertendosi in armonia.
Dopo l'ennesimo battibecco scherzoso tra Archer e Robin vi fu un momento di silenzio in cui ognuno pensò a come sarebbe stato l'indomani svegliarsi senza l'eroe che aveva dato vita al mito. Kate e Kaelee furono sul punto di commuoversi quando Little John si alzò in piedi e mostrò la piastrina di fuorilegge con inciso il simbolo della banda.
«Noi siamo e saremo sempre Robin Hood», disse. La voce gli tremò e Much cominciò a piangere.
«Noi siamo Robin Hood!», esclamarono tutti a gran voce una, due, tre volte sentendosi parte di una grande e indistruttibile famiglia.


Il giorno seguente, Nottingham.
L'alba abbracciava le vie della città con la sua luce soffusa e calda mentre Kaelee combatteva con il rimorso per non essere riuscita a dire a Robin tutto ciò che aveva in mente. Aveva a lungo pensato alle parole che gli avrebbe rivolto, ma al momento dei saluti era riuscita soltanto ad abbracciarlo ringraziandolo, commossa, per averle donato un futuro inaspettatamente ricco e bello. Non era mai stata tanto brava con le parole quando si trattava di esprimere i suoi stessi sentimenti.
Neanche le braccia di Guy, in quella notte appena trascorsa senza che nessuno chiudesse davvero occhio, le erano state di conforto dal momento che lui per primo aveva avuto bisogno del sostegno di lei per non crollare, per non sentirsi completamente perso.
Entrambi, in effetti, dovevano tutto a Robin Hood e per entrambi quest'ultimo era una presenza importante, fondamentale affinché ogni giorno diventasse il dono meraviglioso che Dio faceva loro.
Kaelee ravviò il fuoco per distrarsi con la preparazione di una profumata tisana. "Ormai è fatta", pensò, "Robin sarà già partito da un pezzo", si disse per nulla rassicurata da quella constatazione. Kaelee non era affatto quel tipo di donna che si rassegna agli eventi che le capitano e li accetta senza fiatare, senza provare a cercare una soluzione, senza lottare per cambiare le proprie sorti. Non era il tipo di donna che, rendendosi conto di aver sbagliato qualcosa, lascia correre senza provare rimorso, senza torturarsi, senza cercare di porre rimedio.
Prima che Gisborne, il quale intanto l'aveva raggiunta, potesse dire qualsiasi cosa Kaelee lo guardò dritto negli occhi.
«Devo parlargli», gli disse manifestando tutta l'urgenza di quella necessità.
«Prendi il mio cavallo, è più veloce. Ti raggiungerò con il tuo», le rispose lui dandole la sensazione di aver compreso ogni cosa, che l'avrebbe sostenuta sempre, ricordandole perché aveva sposato proprio lui tra gli altri.
Kaelee non se lo fece ripetere, vestita soltanto dell'abito leggero che era solita indossare quando era in casa, corse verso la scuderia di loro proprietà e salì in groppa al maestoso destriero bianco partendo immediatamente al galoppo. Nonostante fosse ancora molto presto la città era già sveglia e i primi commercianti iniziavano a preparare i loro banchi, tenendo così compagnia a chi per tutta la notte aveva lavorato ai forni per garantire pane fresco a tutti i cittadini e ai proprietari delle locande rimaste aperte nelle ore più buie per ospitare viaggiatori e offrire divertimento a forestieri e non. Kaelee sfilò loro accanto a tutta velocità, senza soffermarsi troppo sulle loro figure, impaziente di superare le porte di Nottingham e fiondarsi tra gli alberi di Sherwood alla ricerca di quell'eroe che la donna aveva ammirato prima di conoscerlo personalmente e aveva continuato ad ammirare anche dopo. La donna non sapeva quale via esattamente Robin avesse preso, ma conosceva la strada che l'avrebbe condotta sulla costa al porto più vicino ed era determinata a cavalcare fin lì nel caso in cui non si fosse imbattuta prima nel fuorilegge.
In sella al cavallo di suo marito Kaelee entrò in fretta nella Foresta di Sherwood, accompagnata dal suono degli zoccoli che battevano il terreno con tutta la forza dei muscoli tesi ed eleganti e dal fruscio delle foglie secche che si sollevavano al loro passaggio. Le sue narici furono subito punte dalla fragranza fresca del muschio, dall'odore tipico della terra bagnata e da una caratteristica profumazione che, non sapendo definirla diversamente né attribuirla a qualcosa di preciso, Kaelee aveva ribattezzato come "profumo di sole" perché poteva sentirla quando i raggi solari riscaldavano le cime più alte liberando quell'aroma inconfondibile. Anche la prima volta che il profumo di sole era arrivato al suo naso Kaelee stava cavalcando più veloce che poteva e se in quel momento sapeva esattamente chi stava cercando nutrendo invece qualche dubbio sulla strada da prendere, all'epoca, al contrario, la meta le era stata ben chiara senza che potesse però immaginare neanche lontanamente chi avrebbe davvero incontrato una volta giunta a Locksley. Era come se un cerchio si stesse chiudendo.
Sfrecciò davanti ad uno dei luoghi preferiti da lei e Gisborne per le esercitazioni, poi raggiunse uno dei tanti vecchi e invisibili - ad occhi che non erano quelli della banda - nascondigli dei fuorilegge, costeggiò una deliziosa radura ricca di minuscoli fiori colorati e attraversata da un rivolo d'acqua che riluceva baciato dal sole, ma di Robin ancora nessuna traccia.
«Corri, mio caro amico, corri e trova Robin Hood», sussurrò all'animale che sembrava ben lontano dal volersi arrestare.
Kaelee constatò che Guy aveva ragione: il suo cavallo era davvero più veloce di quello che lei si era portata da Edwinstowe. Probabilmente era una questione di razza dal momento che di sicuro il destriero di Gisbone era uno di quegli esemplari selezionati per supportare i Cavalieri in battaglia, uno di quegli animali che venivano venduti per cifre che Kaelee non riusciva forse neanche a pensare, figurarsi pagarle. Il suo, invece, era soltanto un cavallo come moltissimi altri. Fu con questi pensieri che la donna passò nei pressi dell'albero che i fuorilegge chiamavano "degli incontri" poiché spesso il gruppo di riuniva sotto la sua grande ombra per discutere di piani, imboscate, informazioni rubate allo Sceriffo e riguardo l'esistenza che tutti i membri erano costretti a vivere, nascosti nel cuore della meravigliosa Sherwood. Convinta di aver visto una figura vicino al grande tronco, voltò il capo all'indietro per potersene accertare e subito tirò le briglie per frenare il cavallo e indurlo a mutare direzione
.

Albero degli incontri, Sherwood.
Robin Hood aveva chiesto a Luke di portare pazienza e concedergli di congedarsi dalla sua Sherwood come la grande Foresta meritava. Del resto se Robin e la sua banda avevano potuto permettersi di lottare contro i piani malvagi e le tasse imposte dallo Sceriffo di Nottingham era grazie alle alte betulle dai tronchi sottili e alle immense querce che costituivano un riparo sicuro in caso di emergenza, alle ridenti vallate, ai dolci declivi e ai nascondigli naturali che la Foresta aveva offerto loro senza pretendere nulla in cambio se non il rispetto che sempre gli uomini di Robin le avevano rivolto. In particolare, l'ex fuorilegge aveva sentito l'esigenza di sostare un'ultima volta prima della partenza sotto gli ampi rami dell'albero degli incontri che tante ne aveva viste e sentite negli anni.
Avendo Luke preferito restare sul carro a badare ai cavalli, in silenziosa attesa del suo compagno di viaggio, Robin aveva a disposizione un momento tutto suo da dedicare all'amata Sherwood. Con la dolcezza che si riserva alla donna del proprio cuore, posò una mano sulla ruvida corteccia a lui familiare e prese ad accarezzarla rivolgendo un sorriso alla Natura circostante. I suoi pensieri vagavano tra i ricordi delle tante avventure e disavventure vissute insieme ai suoi fedeli compagni e la mente non poté soffermarsi sul giorno in cui aveva rimesso piede in terra inglese insieme a Much il quale non desiderava altro che potersi riempire lo stomaco e dormire, ma che non era riuscito a fare davvero né l'una, né l'altra cosa. I due, infatti, avevano trovato una situazione tutt'altro che piacevole e decisamente diversa rispetto a quando erano partiti per la Terra Santa cinque anni prima: Sir Edward di Knighton, padre di Marian e fedelissimo di Re Riccardo, non era più Sceriffo di Nottingham e il nuovo che gli era subentrato simpatizzava per il Principe Giovanni e non faceva altro che imporre tasse e diffondere terrore e violenza affiancato dall'esattore delle tasse, nonché vecchia conoscenza di Robin, Sir Guy di Gisborne. Queste novità avevano spinto Robin, in quanto nobile, a incontrare lo Sceriffo Vaisey e a prendere parte alle riunioni che si tenevano regolarmente al Castello per mettere in luce la cattiva amministrazione che aveva ridotto in miseria Locksley. La poco calorosa accoglienza che gli era stata riservata non era bastata a scoraggiarlo e lo aveva, anzi, convinto di poter davvero cambiare le cose con la sua sola volontà e la collaborazione dei vecchi amici che aveva al villaggio e dintorni. Questi ultimi, però, si rivelarono restii a rivolgergli parola - Sir Edward compreso - mostrandosi completamente succubi del potere di Vaisey. Neppure questo, però, aveva gettato Robin nello sconforto né lo aveva convinto a ribellarsi immediatamente con forza e decisione allo Sceriffo. L'evento scatenante che gli era valso il titolo di fuorilegge era consistito in un'importante e determinante scelta: Allan A Dale insieme a Luke e Will Scarlett erano stati condannati ad impiccagione per reati diversi e Robin non era intenzionato ad assistere senza muovere un dito, perciò aveva cercato di convincere lo Sceriffo a evitare l'esecuzione - appellandosi a un diritto che era stato valido finché la Contea di Nottingham era stata guidata da uomini fedeli al Re - senza successo e anzi ottenendo lo sgradito compito di proclamarla e autorizzarla pubblicamente. Consultarsi con Marian e Sir Edward, il quale aveva infine accettato di parlare con lui di nascosto, era stato tutt'altro che costruttivo. Padre e figlia, infatti, gli avevano consigliato di sacrificare i tre uomini per ingraziarsi lo Sceriffo e contrastarlo poi dall'interno, ma Robin che a tante uccisioni inutili aveva assistito in Terra Santa non si era trovato per nulla in accordo con il suo vecchio amico e la giovane donna che amava. Inoltre si trattava dei due figli di Dan Scarlett, un uomo cui Robin doveva davvero tanto, quindi giunto il giorno dell'esecusione si era ribellato allo Sceriffo dinanzi alla popolazione, aveva liberato i prigionieri ed era fuggito insieme a Much, Allan e Will nella Foresta di Sherwood. Tutti erano stati dichiarati fuorilegge e la grande avventura della banda di Robin Hood aveva avuto inizio. Un'avventura che neanche con il ritorno di Re Riccardo e la ricostruzione di Nottingham aveva davvero avuto fine e che, in effetti, non si sarebbe mai conclusa finché qualcuno avesse lottato contro le ingiustizie dei potenti.
Mentre contemplava ancora l'albero degli incontri, Robin sentì un cavallo al galoppo che si faceva più vicino ma non si voltò ritenendo che se si fosse trattato di un aggressore Luke sarebbe prontamente intervenuto in suo soccorso. Dal momento che il ragazzo non reagì alla presenza estranea, che a Robin sembrò aver legato il proprio destriero ad un tronco non lontano prima di avvicinarsi, l'arciere tornò a concentrarsi sui ricordi.
«Salve a voi, straniero», disse una profonda voce femminile alle sue spalle. «Se mi dimostrerete di essere un uomo onesto vi lascerò passare liberamente attraverso questa foresta».
Robin sorrise divertito da quella strana situazione.
«In caso contrario?», domandò senza ancora voltarsi.
«Dovrete risponderne a Robin Hood, Signore di questa Foresta», fece la donna con un tono completamente diverso rispetto a qualche attimo prima, un tono che Robin conosceva bene e che riconobbe subito.
Voltandosi l'arciere ebbe conferma alle sue supposizioni e rivolse un ampio sorriso alla donna prima di scoppiare a ridere scatenando anche la risata di lei.
«Che ci fai qui?», le chiese poi.
«Proteggo Sherwood dai forestieri. Qualcuno deve pur farlo in tua assenza», fece con un'alzata di spalle mentre Robin scuoteva il capo.
«Sono serio. Perché hai cavalcato fin qui di prima mattina e con tanta fretta? E con il cavallo di Gisborne», constatò notando il bianco manto dell'esemplare assicurato al tronco di una betulla.
La vide sospirare e sospirò di rimando.
«Ti stavo cercando», confessò distogliendo lo sguardo dal suo.
«Dì un po', vuoi davvero mettermi nei guai?», domandò Robin, improvvisamente severo. «Sei una donna sposata ormai! Se intendevi dichiararmi i tuoi sentimenti avresti dovuto pensarci prima di concederti a Gisborne!», scherzò poi, com'era solito fare in ogni occasione.
Kaelee, che aveva puntato i suoi occhi di caramello in quelli del fuorilegge nel sentire quel tono quasi di rimprovero, lo colpì al braccio. «Che idiota», mormorò. «Con tutto il rispetto, preferisco i mori», aggiunse abbagliandolo con un sorriso.
Robin non era rimasto indifferente alla dolcezza che regnava nei tratti di Kaelee, nei suoi occhi luminosi e in quel corpo minuto ma avvezzo alla fatica, però più che provare attrazione per lei, aveva da subito sentito un forte bisogno di integrarla al gruppo per proteggerla da qualsiasi cosa stesse allontanando da sé. Quella mattina, all'ombra dell'albero degli incontri, Kaelee appariva molto diversa, cresciuta e maturata nel fisico e nel carattere sfoggiando, sì, tutta la sua femminilità.

«È accaduto qualcosa con Guy? Oppure è Much a mandarti?», azzardò riprendendo il discorso di poco prima.
La vide scuotere vigorosamente il capo.
«Prima che tu vada ho bisogno di dirti una cosa».
Gli occhi di caramello fuso stordirono Robin per un attimo e in quel momento capì cosa suo fratello Guy avesse visto in lei: vita nella sua forma più pura e sconvolgente. Kaelee era più viva che mai e affrontava ogni cosa tanto intensamente da travolgere chi le stava attorno. Robin non poté fare a meno di sorriderle invitandola a proseguire.
«I miei fratelli mi raccontavano di te come se fossi un eroe», esordì dopo un po'.
«E ora che mi hai conosciuto pensi che io non lo sia», si intromise l'ex fuorilegge accompagnando le parole con una leggera risata.
«Hai lasciato a Locksley l'educazione, Robin Hood?», lo riprese Kaelee, divertita.
L'intento di Robin era alleggerire quanto più possibile l'atmosfera. Nello sguardo della donna aveva infatti notato una vena di tristezza quando aveva iniziato a parlare e immaginò che Kaelee lo avesse raggiunto per salutarlo come non era riuscita a fare il giorno precedente. Sollevò i palmi in segno di scuse e le chiese di continuare.
«Mi hanno riempito la testa con le buone azioni di questo eroe volto al bene del popolo e di tutte le persone in difficoltà, mi hanno fatto credere che il bene può e deve vincere sempre ed è con queste convinzioni che ti ho cercato un anno fa. Sentivo di avere bisogno del tuo aiuto, ma sapevo che non saresti venuto fino a Edwinstowe, così ho lasciato tutto e sono partita, come sai. Ciò che più mi ha stupita e mi ha fatto riflettere in questo tempo che ho avuto l'onore di trascorrere con te non è l'eroe che tutti amano, rispettano e onorano come merita, ma l'uomo che c'è dietro, dentro e intorno. L'uomo che conforta i suoi amici, che si emoziona con loro, che cade preda dei dubbi e che affronta situazioni emotivamente difficili. L'uomo che si arrabbia e che alle volte sbaglia, l'uomo che non si è mai arreso e infine ha vinto».
Robin notò che la voce le tremava e avvertì l'esigenza di stringerla a sé temendo che emozioni troppo intense potessero distruggere il corpo snello di Kaelee, perciò si avvicinò e la attirò a sé con delicatezza. La sentì irrigidirsi per un attimo e poi rilassarsi e sospirare.
«Lo devo a te se oggi sono qui e sono sposata con Guy e ho amici leali e sempre disponibili per qualunque cosa. Lo devo a te se oggi sono felice», mormorò infine sul petto dell'arciere.
«Lo devi a te stessa», sussurrò lui. «Io non ho fatto niente. Tu, invece, ci hai messo forza e determinazione e anche nei momenti più cupi non hai ceduto».
«Non sarei mai riuscita a fare ciò che tu hai fatto per l'Inghilterra. Non avrei provato a cambiare il corso degli eventi se tu non fossi esistito o se non avessi fatto ciò che tutti sanno», gli rispose.
Vi furono diversi minuti di silenzio prima che Robin sciogliesse l'abbraccio e tornasse a parlare.
«È stato un onore averti nella mia banda», le disse sinceramente.
La commozione di Kaelee fu evidente e Robin notò che faticava a trattenere le lacrime.
«Non tornerai, è così?», gli chiese a mezza voce e con le spalle scosse da fremiti che annunciavano l'imminente pianto.
«Io non lo so, ma so che devo andare e che ve la caverete anche senza di me».
Kaelee annuì e spazzò via velocemente le lacrime manifestando un carattere forte.
«Non ti dimenticherò mai, Robin di Locksley».
«Neanch'io, Lady Gisborne. Abbi cura dei miei fratelli e dei miei adorati Much e Kate. Abbi cura di te», disse, la strinse ancora una volta e poi si diresse verso il carro dove Luke era rimasto immobile ad osservare la scena.

Quando Kaelee si voltò vide Luke Scarlett salutarla con la mano mentre ripartiva insieme a Robin, ricambiò la cortesia e solo quando i due furono inghiottiti dal verde della foresta, la donna si permise di dar sfogo alla tristezza.
Non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso da quando si era messa con le spalle contro il tronco a quando aveva sentito la presenza di Guy accanto a sé.
«Va tutto bene?», le domandò, preoccupato.
«Ci siamo salutati», mormorò lei accoccolandosi al petto ampio di suo marito, conforto ad ogni dolore, rimedio ad ogni male.


Diversi mesi più tardi, Acri, Israele.
Una bambina dalla carnagione scura e con grandissimi occhi espressivi osservava Robin Hood con una curiosità innarrestabile e lo rallegrava con immensi sorrisi. Aveva all'incirca due anni ed emetteva una serie infinita di adorabili versi a cui mescolava brevi parole che Robin non sempre comprendeva pur conoscendo la lingua, ma non assecondarla gli era impossibile, perciò trascorreva gran parte del suo tempo con lei, la figlia di Safiya e Will.
Lei, Safiya - un tempo Djaq - aveva guardato Robin con quei suoi caratteristici occhi scuri e comunicativi quando l'aveva visto arrivare insieme a Luke. Era esattamente come Robin la ricordava, eccezion fatta per i capelli che ora portava lunghi sotto un velo leggero che le ricopriva delicatamente il capo e le fasciava collo e spalle. Era in tutto e per tutto la cara, intelligente, pratica e coraggiosa Djaq, ma il matrimonio e la maternità ne avevano addolcito il sorriso e le movenze. Vedendola cullare con amore la tenera bambina Robin era stato travolto dall'emozione e aveva compreso che intraprendere quel viaggio era stata una decisione appropriata: doveva sapere che i nodi nella vita di tutti i suoi amici si erano sciolti prima di occuparsi dei propri.
Will era sempre il ragazzo allegro che Robin aveva conosciuto molti anni prima, l'abilissimo artigiano che aveva intagliato nel legno di Sherwood i tratti del volto di suo padre - dopo che lo Sceriffo l'aveva fatto uccidere - in modo che, colpito dai raggi del sole, il ciocco potesse proiettarne l'immagine contro una roccia e ricordargli quanto importante era stato per lui e Luke quell'uomo che si era sacrificato per i suoi due figli facendosi tagliare una mano, prendendosi l'assurda punizione al posto loro. Anche con addosso abiti che poco avevano a che fare con la lontana Inghilterra, Will appariva allegro e ottimista come sempre. L'abbraccio che il giovanotto aveva riservato a suo fratello Luke aveva ricordato a Robin quanto importante fosse la famiglia, che si trattasse di legami di sangue come era per i fratelli Scarlett oppure di legami acquisiti come per tutti i membri della banda di Sherwood era chiaro che una vita vissuta in solitudine non era una vita vissuta al meglio. Per questo Robin aveva maturato la certezza che prima o poi avrebbe fatto ritorno a Locksley per riabbracciare i suoi amici prima di lasciare per sempre quel mondo per un'avventura più grande ed eterna.

«Sei troppo vecchio per aspirare alla mano di mia figlia», disse Will distraendo Robin dalla contemplazione di un paesaggio familiare sebbene completamente diverso da Sherwood, familiare perché in quelle terre Robin aveva combattuto per cinque lunghi anni al fianco di Riccardo Cuor di Leone. L'arciere rise di gusto dando una pacca sul braccio del suo amico.

«Aspetta che cresca e lo vedremo», scherzò. «Non ti ho neppure chiesto come l'avete chiamata».
«Inaya Marian Scarlett è il suo nome», mormorò l'altro con una tale dolcezza nel tono da far girare la testa a Robin. Oppure forse era per il secondo nome che Will aveva pronunciato?
Robin lo vide annuire, quasi che Will avesse intuito i suoi pensieri e gli stesse rispondendo che avevano chiamato Marian la bambina in memoria della Lady Marian che aveva lottato al fianco della banda, che aveva rischiato per loro e per le loro idee, che si era sacrificata, che aveva detto addio alla vita proprio in Terra Santa dove riposava ormai da due anni, in pace e forse in attesa di ricongiungersi con l'uomo che l'aveva amata.
«Sono pronto», soffiò Robin. «Accompagnami sulla sua tomba. È troppo tempo che non le parlo come vorrei», aggiunse sorridendo malinconico.




N.d.A.
Questo capitolo è colmo di riferimenti alla serie tv, che voglio provare a chiarire qui per coloro i quali hanno deciso di leggere la storia pur non avendo familiarità con il fandom.
È la prima volta che mi appello ad un flashback in questa storia per raccontare un evento che altrimenti andrebbe perso o richiederebbe almeno un capitolo in più. Anche questa scelta è, come molti altri elementi di Locksley Tales, un richiamo alla serie tv - la storia della nascita di Archer, infatti, viene raccontata attraverso questa tecnica. Spero non sia stato un elemento di disturbo alla narrazione.
Forse vi siete chiesti perché dopo aver scritto per ventiquattro capitoli di "Sir Guy" in questo l'ho chiamato Lord. Essendo stato nominato Signore di Nottingham da Re Riccardo, ha ottenuto questo nuovo titolo così come Kaelee ha ereditato il diritto di essere conosciuta come Lady Gisborne (non Lady Kaelee come era per Lady Marian, in quanto Marian era nobile di nascita e poteva accompagnare il titolo con il nome proprio mentre Kaelee ha origini umili ed ereditando il titolo da suo marito deve accompagnarlo con il cognome di lui).
È anche la prima volta che mi intrufolo nella mente del fuorilegge per eccellenza e spero di non averlo storpiato. Scrivere l'addio di Robin a Much è stato terribile. Se avessi immaginato quanto doloroso sarebbe stato, forse avrei cambiato il corso degli eventi anche se credo che questa partenza sia necessaria.
L'albero degli incontri l'ho preso in prestito da Dumas, mentre il racconto di come Robin è diventato un fuorilegge è tratto dalla serie tv, così come i riferimenti a Marian nei panni di Guardiano Notturno e quelli riguardanti Will e la sua famiglia.
Safiya sarebbe Djaq che nella serie tv ha preso il nome di suo fratello gemello (Djaq appunto) dopo la morte di lui unendosi ai fuorilegge proprio con questo nome e fingendosi un uomo. Lei e Will hanno lasciato la serie tv alla fine della seconda stagione, trattenendosi ad Acri, luogo di nascita di lei.
Spero di non avervi annoiati con tutte queste precisazioni.
Alla prossima con il capitolo conclusivo!
   
 
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