VOLARE
Samirah
Al-Abbas si sentiva svuotata.
Svuotata, ma non triste.
Ricordava bene cosa fosse la vera tristezza.
Il giorno in cui sua madre era morta, aveva conosciuto la vera
tristezza. Il
suo cuore era accartocciato come un piccolo foglio di carta. Un foglio
di carta
come quello su cui lei aveva disegnato il suo primo aeroplano, quello
che
l’aveva resa tanto orgogliosa. Il giorno in cui lo aveva
disegnato e mostrato a
sua madre era stata felicissima, e poi tristissima il giorno in cui lei
era
morta.
Triste come se avessero preso quel foglio, l’avessero
accartocciato, strappato
e poi buttato nel fuoco, costringendola a vederlo bruciare senza poter
far
nulla per salvare i pochi frammenti che ancora danzavano tra le fiamme,
come
piccole schegge di dolore che le entravano nel cuore, riducendolo in
cenere,
fino a lasciare dentro di lei, solo un’arida distesa
bruciata.
Era morta una bella persona, troppo bella per essersene andata
così presto.
All’epoca, ricordava a malapena quello che era successo e
cos’aveva detto.
Ricordava, però, il suo cuore, in frantumi, mentre posava il
suo ultimo disegno
sulla tomba della sua mamma.
Aveva percepito su di lei gli sguardi indignati degli altri membri
della
comunità: la loro silenziosa condanna perché non
si sarebbe dovuto mettere
nulla sulla sua tomba, secondo rito.
Ma a Samirah non era importato.
Voleva che la sua mamma si ricordasse di lei. Che ci fosse stato
qualcosa di
bello tra loro due e, che se ci fosse stato qualcosa che lei poteva
portare con
sé, che fosse quel disegno.
Samirah pianse.
Pianse tutto il giorno, stringendo l’hijab della madre,
bagnandolo con le calde
lacrime che scorrevano sul suo viso, finché non resse
più e si addormentò
esausta.
Nei giorni seguenti, la situazione non era migliorata. Continuava a
deprimersi e
piangere, pregando con tutto il cuore che sua madre tornasse. Nessuno
ascoltò
le sue preghiere. Ma lei non smise di sperare, finché il suo
cuore martoriato
non la lasciò senza speranze.
E pianse ancora, finché non ebbe più lacrime.
Da allora aveva capito cosa significava essere veramente tristi.
“Non piangerai, Samirah
al-Abbas” Si
disse, per farsi forza. “Puoi
ancora
esaudire i tuoi desideri. Puoi ancora volare.”
“Ma chi vuoi prendere in
giro.” La
schernì una vocina crudele e malevola dentro di lei. “Sei una sciocca ragazzina che sogna
l’impossibile, odiata dai tuoi
parenti perché sei una bastarda ed odiata dai tuoi compagni
per le tue origini.
Credi davvero di poter volare?”
Samirah sentì gli occhi bruciare arrivando alla
consapevolezza di quanto
folli fossero i suoi sogni. Una ragazza musulmana che sogna di fare il
pilota
era una follia. Chi mai l’avrebbe accettata? Come avrebbe
potuto entrare
all’Accademia aereonautica o in una scuola di volo?
Si accasciò sotto il davanzale della finestra della sua
stanza. I suoi occhi
vagarono sulla scrivania, sommersa di compiti senza vederla veramente.
Avrebbe
voluto rannicchiarsi e piangere.
Piangere per tutto ciò che non aveva e che aveva perso.
“Sono solo una stupida.”
Sì insultò, mettendosi
le mani tra i capelli, cercando di non strapparseli dalla frustrazione.
“Se solo quell’irritante
idiota di Magnus
Chase non si fosse lasciato sfuggire la spada e se Gunilla non si fosse
messa
in mezzo.”
Maledisse tutti quanti, compreso Odino, che sembrava essersi
presa gioco di
lei.
“Gli Dei non pensano mai ai
mortali.”
Le aveva detto suo padre, una di quelle volte che si ricordava che
aveva una
figlia. “A loro importa solo di
loro
stessi. E tu non sei altro che un altro giocattolino che getteranno via
quando
non li farai più ridere.”
“No… non mi hanno ingannata.” Scacciò
con rabbia le parole di suo padre
dalla testa.
Lui era bravo solo ad mentire e a fingere. Le sue parole erano una
menzogna
detta una dopo l’altra. Si prendeva gioco delle persone e si
divertiva a
manipolare chiunque gli capitasse davanti. Anche sua madre era stata
ingannata
e Loki le aveva abbandonate.
“Ma aveva ragione.” Sussurrò
la
vocina malevola nella sua mente. “Se
Odino
non ti avesse dato quell’ordine, tu potresti ancora volare e
saresti ancora tra
le Valchirie. Odino non ti ha portato altro che problemi, sconvolgendo
la tua
vita, rendendola ancor più infernale.”
“Non è vero! Lui ha realizzato il mio
sogno!” Urlò contro la voce crudele,
cacciandola via, fino a che non la ascoltò più.
Non era stato Odino a cacciarla, ma Gunilla e sapeva bene che lei
odiava tutti
i figli di Loki. Non li sopportava, quella era la verità.
Era solo questione di
tempo perché Gunilla la buttasse fuori con una qualche
accusa falsa. Quella era
solo stata l’occasione che la figlia di Thor aveva usato per
gettarla via.
“Ma ora non posso volare.”
Pensò
affranta.
Tornò a sedersi, lasciando che la tristezza venisse
rinchiusa in un angolino
del suo cervello, in modo tale che, per poco, potesse ignorarla. Sapeva
che
presto sarebbe stata di nuovo assalita dalla disperazione, ma non era
il caso
di consumarsi in essa.
Decise che sarebbe stata una buona distrazione finire i compiti di
Storia che
le avevano dato in supplemento: dopotutto, Storia era una delle materie
che le
riuscivano meglio. Aveva sentito talmente tante volte i racconti di
certi
periodi storici che iniziava a rispondere alle domande senza studiare.
Ma dopo dieci minuti capì che non era la soluzione adatta.
“All’Hellheim!” Sbuffò,
chiudendo il libro di botto.
La sua mente era bloccata e non riusciva a non pensare a tutto quello
che le
era capitato, alle perdite, i fallimenti e le umiliazioni che la sua
vita le
aveva scagliato contro. Aveva perso sua madre, ed era stata costretta a
sopportare la sua perdita da sola. Persino i suoi nonni la odiavano
perché suo
padre non esisteva. Gli altri ragazzi della comunità e la
gente le lanciavano
sguardi malevoli, additandola ed etichettandola come la bastarda.
La ragazzina senza padre, la cui madre era solo una
stupida che si era lasciata sedurre dal primo che passava. E lei era
stata
costretta a subire quegli insulti, senza poter urlare che persona
meravigliosa
era sua mamma e di quanto lei avesse sofferto a perderla.
Fuori dalla comunità, invece, era additata come
l’araba. La schiavetta dei suoi
parenti, costretta a chissà quali umiliazioni per
compiacerli. La terrorista da
odiare e da allontanare, come se avesse la peste.
E lei aveva sopportato tutto.
Le umiliazioni, gli insulti ed il rumoroso silenzio a cui si
costringeva,
mentre le sue orecchie si riempivano delle parole degli altri che non
sapevano
e pretendevano di giudicarla.
Aveva solo un sogno a sorreggerla e a farla andare avanti.
Volare.
Un piccolo desiderio, è vero, ma lei si sentiva in diritto
di soddisfarlo, dopo
tutto quello che aveva perso. Si era impegnata: aveva superato la
perdita di
sua madre, aveva salvato i suoi meschini compagni, aveva trovato il
modo di far
coincidere la vita normale con quella da Valchiria. Non avrebbe
permesso ad una
figlia di Thor con i complessi di abbandono di strapparle via il suo
sogno.
“Bene.” Disse ad alta voce, anche se non
c’era nessuno ad ascoltarla. “Se
proprio volete un segno della mia fiducia,
l’avrete.”
Aprì l’armadio e prese un giaccone pesante, il
magico hijab verde, i suoi
pantaloni da viaggio e gli stivali che indossava quando doveva uscire
con il
freddo, come in quei casi. Esitò un attimo, quando vide il
chiaro bagliore
dell’ascia in un angolo. Quello era il suo unico ricordo di
Valchiria. Forse
non era il caso di portarsela dietro.
“Non è il momento di fare
la
sentimentale, Sam. Un’arma potrebbe sempre far
comodo.” Si disse,
stringendo le dita intorno all’impugnatura.
Appena i suoi nonni
fossero andati via,
lei avrebbe semplicemente scavalcato il davanzale e sarebbe scesa in
strada. La
spada doveva essere da qualche parte, probabilmente era nella salma di
Magnus.
Aveva letto i giornali e sapeva dove avevano portato il corpo: avrebbe
iniziato
da lì.
Avrebbe recuperato la spada da sola e avrebbe dimostrato la sua
fedeltà agli
Dei.
Le avrebbero ridato il posto di Valchiria.
Avrebbe potuto volare di nuovo.
Samirah Al-Abbas avrebbe volato di nuovo.
Quella frase ripetuta nella mente fu quasi di incoraggiamento. La
ripeté come
un mantra, ogni volta che aveva un’esitazione.
Samirah Al-Abbas avrebbe volato di nuovo.
[Angolo
di AxXx (il ritorno!)]
Ebbene, eccomi qui.
Sono tornato su EFP perché adoro Magnus Chase ed il
personaggio di Samirah, in
particolare, che merita tutto l’amore del mondo e tutta la
nostra compassione,
perché è un grande personaggio. Una ragazza che
non vuole deludere i suoi parenti,
ma ha un sogno e farebbe di tutto per realizzarlo. Il fatto che sia una
Valchiria, una figlia di Loki ed una ragazza musulmana rende il
personaggio
ancor più interessante, in quanto riesce, almeno per ora, a
far convivere
questi tre universi nella sua difficile vita che non è
semplice: specie se
consideriamo il fatto che, in tutte queste tre vite, lei non
è ben vista (Tra
gli Dei Nordici perché è figlia di Loki, dai
Musulmani, perché la madre non era
sposata e tra la gente perché è musulmana di
origine).
In un certo senso, lei è un personaggio che, mi auguro, Rick
sviluppi molto
bene, perché può davvero creare cose fantastiche,
con lei.
Ma io ho pensato cosa avrebbe potuto pensare, dopo il suo esilio:
dopotutto,
per lei, essere Valchiria è un modo per dare senso alla sua
vita. L’ha resa
accettata. Non con gli altri, ma con se stessa ed una persona
determinata come
lei non lascerebbe mai che il suo sogno venga infranto.
Ringrazio Water_Wolf e Darkness_Angel che mi hanno fatto da pre
lettrici di questa
piccola Shot su Sam
Ringrazio anche tutti coloro che vorranno lasciare una recensione.
AxXx