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Autore: Starishadow    29/11/2015    5 recensioni
Se siete curiosi di vedere come sarebbero i figli (e le figlie) dei nostri sette idols, e vi fa piacere seguirli lungo la loro strada, leggete pure questa storia!
Come se la caveranno gli Starish in versione papà, alle prese con un gruppo di adolescenti curiosi di esplorare il mondo a modo loro?
(Raccolta di OS, molte sono song-fic, spero che vi piaccia!)
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Nota dell’autrice:
E rieccomi qui! :D non metterò molte note perché non voglio spoilerare, quindi ci rivediamo alla fine del capitolo. Vorrei solo dire che sono una persona orribile e non avevo fatto nessun regalo di compleanno alla mia neesan, aka pinky_neko, quiiiindi per farmi perdonare (tipregoperdonami) le dedico questo capitolo sul suo personaggio preferito :3 e so già che intanto ci sarà una certa Lyel che sghignazza beatamente leggendo questo messaggio pfffffft
Canzone: Fever (by Adam Lambert)

 
Shinomiya Natsuki 15 (basso)- Reiko 14 (batteria)
Ichinose Hayato 17 (voce)- Rui 16 (voce)
Aijima Harumi 14 (tastiera)
Jinguji Maiyumi 16(voce/piano)
Ittoki Hikaru 15 (chitarra/chitarra elettrica)- Aya 5
Kurusu Aoi e Nei 17 (violini/violini elettrici)- Yuu 10- Kimi 5
Hijirikawa Kaito 17 (voce/sax)
***********
 
 
La palestra era quasi completamente buia, se non per la poca luce che entrava dalle serrande chiuse.
Le prove erano finite già da un più di mezzora, eppure non era il silenzio a regnare nell’edificio; parole smorzate. Sospiri carichi di desiderio, gemiti di dolore e piacere riecheggiavano tra una parete e l’altra.
«N-non dovremmo», ansimò una voce flebile, affannata e tremante, dopo la quale un’altra si mise a ridere leggermente.
«E chi ce lo impedisce?».
«È... la palestra dove proviamo».
«Appunto».
Per un po’ non parlarono più, trovando altri modi per tenere le bocche impegnate. Poi i sospiri aumentarono, così come il rumore di pelle che si strofina contro altra pelle. Delle due persone una restava in silenzio, solo il suo respiro affannato a tradire la sua presenza, l’altra invece tentava invano di soffocare i gemiti e i sospiri che uscivano involontariamente dalla sua gola.
«T-ti prego», mormorò con voce strozzata, ripetendolo più implorante.
«Non trattenerti».
Ben presto la palestra vuota si riempì di gemiti più forti, sospiri più vicini, lo strofinio più rapido…
«M-Mikaeru… Mik p-per favore».
«Ti faccio male?»
«No! T-Ti prego… di più…»
Un’altra risatina si sentì nella penombra della stanza, insieme al rumore di baci e labbra che succhiano la pelle.
«M-Mik…»
«Shhh, rilassati, va tutto bene… Nei-chan».
 
 «Nei, sveglia! Seriamente, c’è proprio bisogno di chiamare zio Ai per svegliarti?», sbuffò Aoi mentre scuoteva il fratello ancora disteso nel letto, leggermente preoccupato dal colorito vermiglio che avevano preso le guance dell’altro e dal respiro affannoso. «Nei!».
L’interpellato sussultò e scattò a sedere, spalancando gli occhi e facendo respiri profondi per recuperare la calma.
Erano già passati due anni, eppure quel ricordo era ancora così vivido nella sua memoria da tornare così forte nei suoi sogni.
«Stai bene?», gli chiese il gemello, preoccupato.
Nei alzò lo sguardo su di lui e sorrise, riprendendo il controllo di sé: «Benissimo», replicò divincolandosi per uscire dalle coperte e correndo in bagno: sognava quel ricordo ad ogni anniversario dell'accaduto, praticamente, e ogni volta era schifosamente reale.
 
Durante le prove il telefono di Nei continuò a squillare insistentemente, ma lui l’aveva lasciato in vibrazione nel borsone, e lì rimase anche nel pomeriggio quando il povero ragazzo fu sequestrato da Kaito e obbligato a due ore di ripetizioni.
Era sera quando finalmente riuscì a prendere il malefico oggetto.
Sullo schermo apparvero almeno una decina di chiamate perse da una persone che non pensava l’avrebbe mai più richiamato, e soprattutto non tutte quelle volte.
Mikaeru.
Possibile che solo il suo nome riuscisse ancora a fargli male?
«Nei, fra poco riprendiamo le prove», lo informò Maiyumi passando di fianco a lui e mettendogli una mano su una spalla. «Kai-kun ti ha traumatizzato così tanto con le ripetizioni?», scherzò, mentre i suoi occhi azzurri sembravano scannerizzare ogni singola microespressione del suo volto. «Sei strano».
Tipico di Maiyumi: sfottere l’altra persona quando in realtà.
«Sto bene, ma il tuo ragazzo è un pazzo psicopatico che bisognerebbe seriamente mettere sotto controllo clinico», rispose lui, sforzandosi di fare una risatina alla quale lei rispose con un sorrisetto.
«Peccato che non sia il mio ragazzo», commentò lei, tornando stranamente seria e sorridendo più dolcemente.
«Questione di tempo, credimi».
«Hah, certo. È di mister castità Hijirikawa che parliamo», sbuffò lei scuotendo la testa e stiracchiandosi.
«Tanto casto non è, dato che tuo padre l’ha addestrato», la incoraggiò lui, sospirando.
Aveva degli autentici imbecilli come compagni di band: gli unici che effettivamente avevano concluso qualcosa erano Hikaru e Reiko e in qualche modo Aoi e Hayato che non avevano dichiarato nulla ma ormai tutti sapevano.
«Mmhm, l’ha addestrato a flirtare e far cadere la gente ai suoi piedi, ma non a capire qualcosa dei suoi sentimenti, o di quelli degli altri. In quello è un disastro».
«Allora fai tu il primo pa-- Ah! Scusa, devo rispondere!», il telefono di Nei aveva ricominciato a squillare, e lui si allontanò di corsa raggiungendo un punto isolato dove finalmente poteva parlare.
«Mik!», sapeva che la sua voce suonava troppo felice ed entusiasta, ma non poteva farci nulla. «Perché mi chiami?».
La risposta non fu certo quella che si aspettava. Aveva sentito Mikaeru in mille modi: indifferente, triste, felice, anche che voce aveva nell’intimità. Ma mai, mai l’aveva sentito così agitato.
«Nei, Nei… Oh my God I messed it up. Nei, ho fatto un casino!»
Il ragazzo si pietrificò in mezzo al corridoio vuoto e deserto, con il telefono premuto all’orecchio.
«Che cosa…? Mikaeru? Che è successo?!».
«Fuck!».
Non aveva mai sentito il ragazzo imprecare o urlare o così vicino alle lacrime.
«Mikaeru!».
«È… è incinta! I knocked her up!»
Non aveva idea di cosa volesse dire quello che aveva detto in inglese, ma aveva capito abbastanza chiaramente cosa significasse dire la prima frase.
«Chi è incinta?!», ripeté Nei, guardandosi intorno per controllare che non ci fosse nessuno intorno.
«Lei… io… cioè Jeanne!».
Il nome non gli diceva nulla, ma la disperazione nella voce di Mikaeru lo stava colpendo come tanti pugni nello stomaco.
«Mikaeru, accidenti, calmati! Che cosa…».
La linea cadde. Credito esaurito.
«Merda!».
Le mani di Nei tremavano mentre si guardava intorno, sconvolto. Ovviamente una chiamata dall’Inghilterra era costosa per chi chiamava e riceveva, e lui non aveva mai il telefono eccessivamente carico di credito.
Corse più veloce che poteva in sala prove, arrivando ansimante e senza voce.
«Nei!», esclamò Aoi, scattando in piedi, seguito a ruota da Hayato.
«Dammi il cellulare!», urlò lui, fissando il gemello negli occhi, tentando di fargli capire l’urgenza.
«Che succede?».
Non andava bene così: stava facendo preoccupare Aoi e le occhiate di Hayato già lo mettevano in guardia.
«N-Niente di grave, ma è urgente! Dammi il telefono!».
«È spento».
Nei stava per avere una crisi isterica quando si trovò il telefonino nero di Kaito premuto in mano e il ragazzo lo spinse di nuovo via.
«Devo chiamare all’estero!», lo avvisò, con aria di scuse.
«Lo ricaricherò. Muoviti, poi si prova».
Tornò fuori di corsa e telefonò di nuovo a Mikaeru.
«Ti chiamo su Skype, così costa troppo!», fu la risposta rapida e allarmata del ragazzo appena gli rispose.
Per un momento Nei si chiese se il suo panico di quel momento potesse trasmettersi anche ad Aoi e aggravare la sua situazione, e fu sul punto di crollare.
Poi finalmente il suo telefono ricominciò a squillare e finalmente riuscì a rispondere, ringraziando il wifi gratis che gli era stato garantito.
«Ok. Jeanne è la mia partner in quasi tutte le nostre coreografie, e… siamo anche amici, o-ok?», Mikaeru sembrava aver ritrovato la capacità di parlare, ma al contrario Nei sentiva di averla persa totalmente.
«Ok», sussurrò, incerto.
«Q-qualche settimana fa… no, forse un mese, o… oddio nemmeno mi ricordo! O-ok c’è stata una festa e… eravamo ubriachi. Io non bevo quasi mai, non so nemmeno perché ero ubriaco! Ma… siamo finiti a letto insieme e… e lei adesso è incinta! Nei che cosa devo fare?!».
Nei non rispose. Fissava davanti a sé e non vedeva, sentiva la voce di Mikaeru ma non lo stava ascoltando del tutto.
La sua mente andò a due anni prima, ai tocchi di Mikaeru, alla sensazione di lui sopra e dentro di sé.
Qualcun altro aveva provato la stessa cosa. Quella ragazza aveva sentito quello che aveva sentito lui, forse anche in maniera più… giusta.
Il pensiero gli fece contorcere lo stomaco e lui si rannicchiò a terra, inorridito.
«N-Nei?».
«Avevi promesso», sussurrò Nei, mordendosi le labbra e poi passandovi la lingua sopra, la bocca improvvisamente secca. «Avevi promesso che…».
«Lo so. Lo so cosa ti avevo promesso, Nei. Ma avevo sedici anni».
«Io quindici».
«Gli errori capitano», sospirò l’altro, con abbastanza tristezza nella voce da confortare minimamente Mikaeru.
«Ero io l’errore? O è lei?», sussurrò, vulnerabile, senza accorgersi di aver iniziato a piangere.
«Non posso tornare indietro adesso».
«Lo so».
Conosceva Mikaeru e sapeva che il ragazzo riconosceva i propri errori e si prendeva le sue responsabilità, ma non si era mai cacciato in qualcosa di così grave.
«Cielo, Mik ma dove hai il cervello? L’hai detto a tuo padre?».
«Sei pazzo? No!».
Anche questo non era da lui. Nascondere qualcosa ad Ai? Era la stupidaggine più grande da fare.
«N-Non glielo nasconderò a lungo, p-promesso. Solo… non so che fare, Nei».
«Perché hai chiamato me?».
«Perché…», l’altro esitò. «Meritavi di saperlo?».
Nei cacciò fuori una risata che sembrò isterica anche a lui.
«Sapere che non tornerai mai da me? C’ero arrivato, Mikaeru. C’ero arrivato già quando te ne sei andato. E non preoccuparti, tecnicamente questo  non è nemmeno tradimento. Ci siamo lasciati poco prima che salissi su quell’aereo».
 
«Ti hanno preso?».
La domanda fu pronunciata all’unisono dai tre ragazzi seduti a terra vicino a un quarto ragazzo dai capelli color ciano e il sorriso carico d’emozione e impazienza.
«Sì!».
Aoi sorrise e abbracciò l’amico, seguito a ruota dall’unica ragazza del gruppo, Lux Kisaragi, che si impadronì del cugino e iniziò a saltare con lui urlando di felicità.
Solo Nei era accigliato nel guardarlo.
«La… Royal Ballet?», mormorò, inclinando il capo. «I-Inghilterra?».
Iniziava a girargli la testa.
Lui e Mikaeru ballavano insieme da anni e nonostante tutti i suoi tentativi di non cedere agli sguardi e i rari sorrisi dell’altro, una settimana prima del suo quattordicesimo compleanno, erano rimasti per ultimi nella palestra a provare, poi erano crollati entrambi a terra, affannati e sudati. Avevano iniziato a parlare, scherzare... poi era iniziato tutto quasi per gioco.
La loro storia era andata avanti in segreto per quasi un anno in quanto Nei non aveva mai detto nulla a nessuno, nemmeno ad Aoi, e così Mikaeru.
Forse Ai si era accorto di qualcosa, ma non gliene aveva mai parlato.
«Nei? Che c’è?», chiese Lux, inclinando il capo e subito I suoi capelli uguali a quelli di Mikaeru le scivolarono davanti al viso.
«Ehm io… non mi sento molto bene, credo», bofonchiò con un sorrisino tirato. «Credo di dover andare in bagno».
«Ti ac…», aveva iniziato Aoi, ma Mikaeru l’aveva bloccato sorridendogli e dicendogli che lui e Lux avrebbero fatto meglio a iniziare a provare il loro passo, visto che continuavano a non riuscire a farlo, e lui si sarebbe occupato di Nei.
Una volta in bagno, il minore era crollato.
«Inghilterra, Mik?».
«Lo so, ma…».
«Ma? Ma esiste Skype?», chiese miseramente, guardandolo negli occhi prima di serrare i pugni e colpirlo sul petto. Mikaeru replicò circondandolo con le braccia e stringendolo a sé.
«No, Nei. Scusami. Non so nemmeno io come fare, va bene? Ma non posso… non posso rinunciare, o forse sì? Non lo so!».
Non lo sapeva nemmeno lui. Aveva solo quindici anni e Mikaeru era stato l’unico che avesse mai amato fino a quel momento, se poteva parlare di amore lui, che magari non aveva idea di cosa fosse in realtà l’amore.
«Non rinunciare», sospirò alla fine. Mikaeru era sorpreso. «Siamo sinceri, ok? Io ho quindici anni e tu sedici, fra noi due è…» fece una smorfia, cercando le parole, ma alla fine il piccolo sorrisino che gli era cresciuto sulle labbra crollò, «una delle cose migliori che mi siano mai successe, ma non sappiamo se durerà. Io quasi non ci credo, quindi non rinunciare a questo, per me, ve bene?».
Mikaeru aveva risposto baciandolo e tenendolo stretto, e da quel giorno, fino al momento della partenza, i loro incontri erano diventati più numerosi e non sembravano volersi separare mai.
Poi però era arrivata l’ora per Mikaeru di andarsene.
All’aeroporto, in qualche modo, si erano ritrovati soli, impacciati e senza sapere cosa dirsi.
«Mik, io… mi dispiace, non voglio farti andare in Inghilterra restando legato a me. Non ci vedremo quasi mai e non è giusto che io ti trattenga».
Mikaeru aveva annuito:
«Non è giusto nemmeno per te».
A quello Nei non aveva pensato, dava per scontato che non gli sarebbe piaciuto più nessuno, così aveva solo fatto spallucce e continuato il suo discorso:
«Non sarebbe giusto, quindi… finiamola qui, così, va bene? Io…», “ti amo”, avrebbe voluto dire, ma si fermò e deglutì. «Ti voglio bene, ma fermiamoci qui».
«Va bene, e se quando tornerò tu sarai ancora libero…», il sorrisetto di Mikaeru fece arrossire Nei, che non riuscì più a resistere e lo abbracciò, tenendolo più stretto del dovuto, sorridendo appena quando il maggiore ricambiò il suo gesto.
«Prometti?».
«Se mi vorrai ancora, tornerò. Te lo prometto».
 
Mikaeru doveva aver detto qualcosa mentre Nei era perso nei suoi ricordi, perché la voce dell’altro ora lo chiamava con urgenza alla realtà.
«S-Scusa, non ho sentito».
«Ti ho solo chiesto scusa, Nei. Avrei voluto mantenere quella promessa, avrei voluto…».
«Ok, non importa. So che avresti voluto ma… adesso c’è un bambino o bambina di mezzo, e noi due siamo cresciuti. Finiamola qua, del tutto stavolta. Niente promesse».
Fra loro due, in fondo, non avrebbe potuto funzionare.
Nei non credeva nell’amore, si era illuso per un po’ di tempo al fianco di Mikaeru, ma ora era consapevole della realtà. C’erano solo persone innamorate dell’amore, che fingevano di essere innamorate. Ma l’amore non esisteva.
A tenere insieme due persone erano solo il rispetto, l’amicizia, l’affetto, a volte anche la convenienza, ma non l’amore. Non aveva mai avuto esempi concreti di quel sentimento, dopotutto.
Quando riattaccò il telefono si assicurò di asciugarsi le lacrime e far sparire il rossore dagli occhi prima di tornare dagli altri, ignorando le domande insistenti di Aoi o rigirandogliele contro quando ci riusciva, alla fine il gemello si arrese, riconoscendo quando era il momento di non superare il limite con lui.
Nessuno gli fece notare che rimase assente per tutte le prove, seguendo a malapena sia lo spartito che Aoi, od osò fargli domande.
Solo quella notte, quando finalmente fu al sicuro sotto le coperte, rotolò fino a scontrarsi con il corpo del gemello rannicchiandosi contro di lui e iniziando a piangere silenziosamente fra le sue braccia.
«Nei, mi puoi dire che succede?».
«Una stupidaggine, in realtà, solo che ci sono rimasto male. Mi conosci, no?», bofonchiò, e Aoi si fece bastare quella risposta a malincuore.
 
«Ho una canzone per te».
Hayato si voltò sorpreso verso Nei: mancavano due giorni al loro concerto, non era da lui presentargli una canzone senza un motivo preciso.
«Per me?».
«Più o meno… In realtà ho bisogno di un favore».
Hayato gli fece cenno di sedersi vicino a lui e si accigliò. Anche lui era preoccupato per l’amico, ma aveva imparato a non forzarlo a rispondere alle sue domande, sapendo che non avrebbe ottenuto nulla.
«Cosa devo fare?».
«Cantala a questo concerto».
Mancò poco che il leader del gruppo collassasse davanti a quella richiesta, ma di fronte allo sguardo serio e determinato di Nei si ritrovò ad annuire, prendendo il testo che l’altro gli porgeva.
«Mi aiuti tu a provarlo?».
 
La sera del concerto, Nei era più nervoso di ogni altra volta, continuava a camminare lungo il camerino e a prendere respiri profondi.
Non funzionò e suo malgrado si ritrovò in bagno insieme a Hikaru, vomitando quel po’ di cena che era riuscito a ingoiare, mentre l’altro se ne stava rannicchiato vicino alla porta mordicchiandosi le unghie.
«Non sei mai stato così agitato», notò nervosamente Hikaru, osservandolo mentre si ricomponeva davanti allo specchio. «Sicuro di non stare male?».
«Sicuro, Hika-chan, solo… a volte il nervosismo prende anche me». Nei gli sorrise a stento, mentre la gamba sinistra ricominciava a tremargli.
«Beh, dai, dopotutto è solo un concerto e abbiamo provato come non mai, quindi…».
«Stai rassicurando me o te stesso?», ghignò il maggiore. Hikaru fece una risatina nervosa, prima di ammettere di non essere certo della risposta. «Mmh, Hika?», lo richiamò Nei, riprendendo a tremare come una foglia, e il rosso gli fu accanto in un attimo, preoccupato. «Hai presente gli abbracci che ti dà Kaito quando sei nel panico pre-concerto? Credo che non me ne dispiacerebbe uno adesso», disse  sorridendo imbarazzato, ma il minore non si fece scrupoli: lo abbracciò prima ancora che potesse finire di parlare e non lo lasciò andare finché non lo sentì smettere di tremare.
Non ripeté “è solo un concerto”, perché aveva intuito che per Nei qualcosa quella sera lo rendeva diverso.
Quel qualcosa - anche se Hikaru non poteva saperlo - era una conversazione avuta per messaggio con un ragazzo che entrambi conoscevano bene.
Dopo giorni di caos per Nei, il quale aveva difficoltà anche solo a ricordarli, il ragazzo aveva realizzato che sì, doveva rinunciare a Mikaeru perché era la cosa giusta da fare, ma no, non l’avrebbe fatto senza avergli mai detto ciò che provava veramente.
Ecco perché aveva dato quella canzone ad Hayato, il quale aveva lavorato giorno e notte per impararla perfettamente in tempo per quel concerto, e poi aveva scritto a Mikaeru.
 
Abbiamo un concerto questo sabato. Fai in modo di vederlo.
 
L’altro aveva promesso di farlo ma, in tutta onestà, Nei iniziava a dubitare delle sue promesse.
«Hey, abbiamo ancora un po’ di tempo, vieni di là», sorrise Hikaru trascinandolo fuori dal bagno, fino al camerino di Hayato.
Gli altri erano tutti lì e presto gli furono tutti attorno a stringerlo, persino un riluttante Satsuki.
«R-Ragazzi», sussurrò sorpreso, sorridendo.
«Non sappiamo bene cosa sia successo la settimana scorsa, ma sappiamo che non ci piace vederti stare così male», iniziò Reiko, spostandogli i capelli dalla fronte.
«E ci siamo sentiti un po’ dei vermi per non aver insistito propriamente, anche se forse tu hai preferito così», proseguì Harumi, mentre Rui annuiva.
«Quindi, prima di andare in scena, volevamo darti questo», dichiarò solennemente Kaito, sollevando un imbarazzante orsacchiotto dall’aria consumata e dal pelo ormai a chiazze.
Nei spalancò gli occhi, scoppiò a ridere incredulo e lo prese tra le mani, stringendolo poi al petto.
«Oh mio Dio, come avete fatto a ritrovarlo?!», chiese fra le risate. Quell’orso di peluche aveva una vecchia storia alle spalle: nessuno ricordava più chi fosse stato il suo primo proprietario (forse Hayato ma non era da escludere che fosse Maiyumi), ma fin da quando erano piccoli quell’orsacchiotto era passato di casa in casa, passando una settimana con il proprietario che più aveva bisogno di lui.
Tutti loro si erano confidati con quell’orsacchiotto almeno una volta, era il custode di tutti i loro segreti, e per anni avevano creduto che fosse sparito poiché nessuno era stato in grado di ritrovarlo (e persino Ren, Natsuki e Masato erano stati mobilitati nelle sue ricerche grazie agli occhioni dolci dei rispettivi figli).
«Ti racconteremo di come l’abbiamo ritrovato», sorrise Hayato pizzicandogli una guancia. «Sappi che è una storia che parla di scantinati, soffitte, ricerche sotto il letto di Satsuki e molto altro».
Ormai Nei rideva e non tremava più, mentre stringeva forte quello stupido peluche.
Non aveva mai avuto un nome - o forse ne aveva avuto uno ma nessuno si era più curato di dargliene un altro.
«Santo cielo», ghignò.
«In scena fra quattro minuti», comunicò una voce dalla soglia, e i ragazzi sussultarono di sorpresa.
«Zio Ai?», chiese Aoi, inclinando il capo. «Che ci fai qui?».
Nei fece una smorfia e le sue dita si strinsero attorno al peluche: lui aveva una vaga idea del motivo.
«Augurarvi buona fortuna e rubarvi Nei per meno di due minuti», rispose l’uomo senza scomporsi. L’interpellato d’altra parte tornò ad avere l’aria di chi sta per svenire.
«Arrivo», mormorò, seguendolo fuori dal camerino come un condannato segue il proprio boia, o qualcosa del genere. «Mik ha chiamato anche te?», tentò, giocherellando col peluche.
«Sì».
«E sei tanto deluso da lui?», non sapeva bene perché glielo stesse chiedendo, ma ormai era fatta.
«Pensavo di avergli spiegato come si fa a evitare certe situazioni, ma ormai quello che è fatto è fatto e lui può solo prendersi le sue responsabilità».
«Perché sei venuto da me?».
A quel punto la risposta di Ai fu così chiara nei suoi occhi che Nei avvampò realizzando che anni e anni di bugie e segreti con lui non erano servite a nulla.
«Sto bene, non siamo mai stati nulla di serio, dopo tutto».
«A giudicare da come stai in questo momento, direi che non è vero».
Colpito e affondato.
Nei continuò a parlare con Ai, rilassandosi leggermente. Nel frattempo gli altri Starkids discutevano fra di loro, nonostante Aoi continuasse a lanciare occhiate nervose alla porta, aspettando con una certa ansia che il gemello tornasse.
«Vorrei sapere cosa c’è che non va», confessò quando Hayato gli fu accanto, con una mano sul suo braccio.
«Mhm forse… Aoi, Nei ha mai avuto qualche storia con qualcuno?».
La richiesta di Nei era stata tanto assurda che Hayato l’aveva accontentato immediatamente, ma per imparare la canzone aveva dovuto leggere il testo, ovviamente, e dentro di sé aveva iniziato a intuire qualcosa.
La prima parola del testo gli aveva rivelato il motivo per cui Nei aveva dato a lui il testo, invece che cantarlo lui stesso.
«No, mai nessuno. Me l’avrebbe detto, altrimenti. O almeno credo…», replicò l’altro, sospirando.
“Mi sa che stavolta ti sbagli, piccolo”, pensò Hayato accigliandosi.
«Ok, si va in scena», annunciò Kaito non appena Nei ricomparve sulla porta e sistemò l’orsacchiotto su una sedia.
Corsero sul palco uno dopo l’altro, salutati dalle grida e gli applausi delle fan, e tutti gli Starkids non poterono fare a meno di notare che Nei sembrava infinitamente più tranquillo di prima.
Quando finalmente fu l’ora per Hayato di prendere in mano il microfono e dichiarare di avere una piccola sorpresa non programmata, Nei alzò lo sguardo verso una telecamera e ammiccò, sorridendo divertito.
Ormai aveva scelto di ballare e Hayato l’avrebbe aiutato a far arrivare il suo messaggio fino a lui.
 
There he goes
My baby walks so slow
Sexual tic-tac-toe
Yeah, I know we both know
It isn't time, no
But could you be mine?
 
Le fan ruggivano esaltate mentre Hayato provocava palesemente Aoi che allo stesso tempo lanciava occhiate al gemello. Per una volta Nei scelse di ignorarlo, decidendo che gli avrebbe spiegato tutto una volta nascosti sotto le coperte, quando con il disperdersi dell’euforia del concerto le oro orecchie avessero smesso di fischiare  e le loro gambe di tremare.
Non aveva voluto cantare lui quella canzone perché non era ancora pronto ad annunciare a tutti i suoi sentimenti, li aveva da poco realizzati lui, ed era già troppo tardi.
Si stava dichiarando attraverso Hayato, ma solo Mikaeru l’avrebbe saputo.
Gli tornò in mente l’ultima domanda che Ai gli aveva posto.
“Hai intenzione di dirgli che in realtà non vuoi rinunciare a lui?”.
Sì, aveva intenzione di dirglielo. Glielo stava dicendo. Non sarebbe cambiato nulla, Mikaeru sarebbe rimasto con quella ragazza e avrebbe cresciuto suo figlio o sua figlia, ma almeno avrebbe saputo che Nei non aveva cambiato idea.
E quando Lux, che una volta era stata sua compagna di danza e ora era una dei ballerini che si esibivano durante i loro concerti aumentando la loro scenografia, gli si avvicinò e gli sorrise, reagire alle sue mosse come aveva già fatto in passato risultò meno difficile delle altre volte.
Poteva fingere per le fan, poteva giocare a provocare e lasciarsi provocare, ma Mikaeru avrebbe sempre saputo la verità.
 
Oh baby, light's on
But your mom's not home
I'm sick of laying down alone, hey
With this fever, fever, yeah
My one and own
I wanna get you alone
Give you fever, fever, yeah!



 
*****************
Note dell’autrice: ed eccoci qua ^^ ho alzato un po’ il rating della storia sia per questo capitolo ma anche per qualcos’altro che deve ancora venire … non raggiungerò il rosso, per quello ho già un’altra raccolta pffft.
Comunque sono qui per gli annunci ufficiali ahaha finalmente si sa qualcosa di più su Nei e sulla sua visione nei confronti dell’amore, quanto all’altro personaggio, vi suggerirei di tenerlo d’occhio, perché ho progetti futuri anche per lui :3 per farmi perdonare del mio mastodontico ritardo negli aggiornamenti, ho intenzione di presentarvi una piccola anteprima per una prossima raccolta su questo stile, mi limiterò a darvi i nomi dei protagonisti ^^
-Evelyn Kisaragi
-Ayame Kotobuki
-Takeshi Kurosaki
-Mikaeru Mikaze
-Eiji Onpa
Beeeene, ci vediamo al prossimo capitolo, ladies and gentlemen!
Baci,
Starishadow
   
 
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