La mia testa mi suggerisce che sono sempre sull’orlo del crollo,
ed è così che cammino, mentre il cervello frana, in equilibrio sui tacchi, mentre il cielo spinge, gli occhi spalancati, mentre la pioggia pesa, le ginocchia che scricchiolano. E tlic.
 
Fiù.
E il vento mi spinge.
 
Tu dici, pensaci,
ed io resto a guardare il mondo che scorre lento sulla Prenestina, col suo rumore sordo e molesto talmente costante da essere silenzioso. Questo non aiuta.
 
Fiù.
Cammina.
 
Non è per la voglia di impazzire che sto crollando, mi ripeto, non è per la voglia di correre che sto tremando, no, non è questo, è il freddo, mi ripeto, è il freddo; non basterà certo questo ad uccidermi se non c’è riuscito il mio cervello.
Ti guardo e non ti conosco, mi guardo allo specchio ed ho sonno.
 
Fiù.
Respira.
 
Ti abituerai anche all’inverno, ti abituerai a camminare per raggiungere posti noiosi, ti abituerai a Roma e a Prati, dove le donne corrono sui tacchi sui sampietrini con lo sguardo corrucciato, scansandoti col corpo e con lo sguardo.
E non sarà peggio, lo sai, del cervello che ti piange dentro, non sarà peggio della desolazione che ti trovi al posto dell’anima.
Hai sognato un wormhole ed un posto lontano, stanotte.
L’estraneità densa ad avvolgerti in spirali di disperazione; sempre meglio di questo, pensi, e allora smetti di pensare.
 
Fiù.
Smettila.
 
Non cadere, oggi, non farlo. Ci rimarrebbero male, non lo sanno cos’hai nascosto sotto al rossetto.
È solo la tua testa che ti suggerisce che sei sull’orlo del crollo.
Gli altri non lo sanno.
La tua testa non esiste.