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Autore: EsterElle    02/12/2015    3 recensioni
Cosa succede quando un dittatore vince una guerra?
Reika non lo sa, ovviamente. Per lei il Sistema è giusto, il Rettore è buono e l’ordine vige sulle cose del mondo. Reika assume il Crill e dimentica tutto ciò che non le piace, tutto ciò che potrebbe turbarla, spaventarla, angosciarla … farla sentire viva.
Saranno i ribelli a insegnarle la dura lezione: se la libertà è vecchia e i sentimenti anziani come può un cuore giovane continuare a esistere?
“Questo è un mondo giunto alla fine. Nulla nasce, nulla muore, nemmeno il tempo esiste”.
(Prima classificata al contest "Una domanda a te e una a me" indetto da Grazianarena sul forum di Efp)
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Parte seconda
PRIGIONIA
 
 


 
 
 
Giorno 5
Sono passati cinque giorni da quando mi sono svegliata e solamente quattro da quando ho capito di essere prigioniera dei ribelli. Qualcuno mi ha colpita, durante la lotta alla locanda, e mi ha trascinato via: conservo la speranza che i miei compagni siano sani e salvi, al sicuro tra le braccia del Rettore.
Non sono mai uscita dal ripostiglio dove mi tengono rinchiusa e solo oggi ho recuperato la penna che sto utilizzando per tracciare queste parole.
C’è poco spazio, qui: il letto occupa gran parte della stanza e le pareti sono ricoperte di scaffali, carichi di ogni possibile provvista. Di certo non rischio di morire di fame ma, di certo, non troverò del Crill in questa stanza. Ne ho assolutamente bisogno, lo so: da quando mi hanno catturato ne sono priva e questo non è accettabile.
Tutti sembrano ignorare le regole, quaggiù: se la vanità è proibita, per esempio, perché uno specchio è inchiodato alla parete? Io non posso guardarci dentro, non ci riesco: i miei occhi sono verdi, di solito, ma qua sotto sembrano folli.
L’unica fonte di luce è il lucernario, molto in alto, chiuso da sbarre grosse quanto un mio braccio.
Per prima cosa, ho escogitato un piano di fuga.
Coinvolgeva il vecchio che ogni giorno mi porta da mangiare, le lattine del cibo in scatola e le lenzuola del mio letto; il terzo giorno dopo il mio risveglio ero pronta a metterlo in atto. Qualcosa è andato storto, però.
Qualcosa in me è storto.
C’è un macigno sul mio petto e un mattone nel mio stomaco; i pensieri si ingarbugliano e il cibo mi ripugna; chiudo gli occhi ma non dormo, sogno e poi mi sveglio, il cuore batte troppo forte. Tremo e poi piango.
Tutto questo che cos’è?
Scrivo per capire, per guarire dalla malattia che affligge la mia mente e sopportare questa prigionia. Ho perduto me stessa ma disperatamente mi sto cercando.
Io, che ignoravo cosa fosse la tristezza, credo di star sperimentando, per la prima volta in assoluto, la disperazione.
 
 

Giorno 7
La ragazza bionda che ho visto il primo giorno è Lavinia, mia sorella scomparsa, che ora è una donna dei ribelli.
Oggi è venuta da me con il vassoio del cibo e ha preteso che mangiassimo insieme, da sole. Sembra che ricordi i bei tempi alla Casa Madre, i giorni e la vita che abbiamo condiviso fino all’età di otto anni.
“Sono così felice di averti ritrovata” ha detto. “Spero tanto che resterai con noi per sempre”.
“Vuoi tornare alla Casa Madre?” le ho chiesto, logicamente.
“No! Voglio condividere anche con te il mondo libero” ha risposto, sorridendo come non ho mai visto fare nessuno, con qualcosa nello sguardo che non so capire.
Qualcuno mi dica perché, a questo punto, ho desiderato abbracciarla.
È vietato, giusto? E allora perché l’ho fatto?
Comunque, l’ho stretta a me, rovesciando il vassoio che ci divideva, e ho pianto.
“Ho paura” ho frignato. “Voglio tornare a casa” ho continuato, peggio di un bambino.
Lei mi ha consolato: “Presto andrà tutto meglio, vedrai. Ti abituerai alle emozioni prima di quanto credi … ci sono passata anch’io”.
Lei è fisicamente inferiore a me; è più bassa e molto più esile, come se non avesse mai seguito un addestramento militare. La tenevo stretta tra le mie braccia allenate e, stringendo un po’ più forte, avrei potuto farle molto male. Magari avrei potuto guadagnarmi la via di fuga e, poi, la libertà.
Invece lei ha sussurrato, sulla mia spalla: “Ti voglio bene” e la mia mente ha smesso di essere coerente.
Ma che diavolo succede? Che diavolo mi succede?
Poco dopo l’ho spinta via con violenza e mi sono rifugiata sotto le coperte. Ho gridato, credo, da vera pazza.
Ho urlato tutta la mia confusione.
Cosa diamine vuole dire ti voglio bene, eh? Cosa? Chi me lo può dire, chi mi può aiutare?
Ma soprattutto, perché mi lascio coinvolgere?
La cosa veramente assurda è che, per una frazione di secondo, ho pensato di rispondere: anch’io!
 
 

Giorno 8
La mancanza di sonno mi sfinisce e non sono mai stata debole e indifesa come in questi giorni. I miei pensieri mi spaventano più dei ribelli e non ho alcuna fiducia nel mio giudizio, nella mia razionalità, in ciò che sento.
Ho bisogno del Crill.
Mi manca disperatamente.
 
 

Giorno 10
Oggi non è stato poi troppo male.
Sto diventando pazza, lo so, ma non getto la spugna e tutti giorni mi ripeto che, se resisto ancora un po’,  il Rettore verrà a salvarmi.
Ma oggi non è stato poi così male, dicevo.
Se tutti i giorni fossero così questa prigionia potrebbe diventare sopportabile.
No, sto delirando. Facciamo che non l’ho mai pensato.
Comunque, oggi è venuto un ragazzo a portarmi il pranzo e, come Lavinia, è rimasto un po’ con me. Si chiama Abel e ha la mia stessa età; nonostante lo stato precario in cui mi trovo, ho capito subito che si tratta di Eizan, il neonato rapito dai ribelli alla mia generazione. Lui non ha mai vissuto alla Casa Madre: è sempre stato uno di loro, fin nel nome.
Forse un po’ me l’aspettavo.
Mi sono chiesta perché hanno spedito quaggiù sia lui che Lavinia, ma non ho risposte.
“Hai un aspetto orribile” mi ha detto. “C’è qualcosa che ti posso fare avere, per stare un po’ meglio?”.
Nessuno aveva mai fatto considerazioni sul mio aspetto prima d’ora. Ricordo distintamente di aver sentito un calore violento sulle guance e sul viso, spiacevole ma non doloroso; un’altra cosa che, alla Casa Madre, non mi era mai successa.
Alla fine gli ho detto che mi manca il Crill. La mia voce era irriconoscibile: soffiata, morente, timida.
Mi ha risposto che lui non l’ha mai preso, il Crill, da che ha memoria.
“E ti senti bene?”
“Vedi qualcosa che non va in me?” ha detto, quasi ridendo, scombinandosi i capelli scuri.
“Sembri … normale” ho mormorato io in risposta.
Lui ha riso di più, come se trovasse spiritosa la sincerità delle mie parole. Anche ora, quando ricordo il suono della sua risata e l’immagine del suo sorriso, qualcosa va su e giù nel mio petto.
Aiuto.
Mi sono sentita bene anch’io, con lui.
 

 
Giorno 12
Abel ha pranzato con me anche ieri. Mi ha parlato di quando era piccolo e andava a pescare con suo padre e sua madre.
“Com’è avere una madre?” gli ho chiesto io.
“Meraviglioso e complicato allo stesso tempo” è stata la risposta.
Mi piace sentirlo parlare, mi piace il suono della sua voce e l’espressione dei suoi occhi. Mi piace come mi sento quando lui è nel ripostiglio con me. È strano e sconosciuto, questo agitarsi nel mio stomaco, ma non è brutto. Insomma, mi piace.
Non sento più tutta quella disperazione.
Mi ha anche  promesso che parleremo ancora. Tornerà, lo so: oggi.
E’ così strana l’impazienza che sento?
Questa mattina mi sono svegliata e ho infranto le regole: sono andata davanti allo specchio inchiodato alla parete. Non mi ero mai guardata in quel modo …
Sono bella?
Io sono sana, o almeno lo ero, forte e intelligente, un soldato per il Sistema e un essere umano perfettamente funzionante. Non so come ha fatto, a venirmi in mente questa parola: bella.
Ma cosa vuol dire, essere belli? Non lo so, ma credo di percepirlo.
Lavinia è bella, si. Anche se è esile.
Abel è bello, molto, per me. Anche se è piuttosto imbranato.
E Io? Nessuno me l’ha mai detto.
Che ho gli occhi verdi lo sapevo già. Ma oggi mi sono guardata a lungo, occhi negli occhi, e ho scoperto dei riflessi e delle ombre grigie in quel mare color dei prati. Ho anche osservato la loro forma un po’ all’insù e le ciglia folte e scure. Prima ero ignorante sui miei occhi, adesso credo che siano belli.
Abel avrà notato tutto questo? mi chiedo e spero.
Il mio aspetto non è in ordine, questo no. Da quando sono stata fatta prigioniera non ho cambiato i miei abiti né spazzolato i capelli. Quando ero alla Casa Madre ero un esempio di decoro: vorrei poter ritornare quella di un tempo. Eppure sento che oggi non voglio essere pulita per ricevere una lode e un premio dai miei maestri. Oggi voglio essere bella perché aspetto qualcuno!
 

 
Giorno 13
Abel non si è visto, né ieri né oggi. Lavinia è passata solo per un saluto veloce e poi è sparita.
Mi manca l’aria e piango, piango, piango. Da ore.
Perché, perché mi sono lasciata trascinare in questo modo? Che fine ha fatto il mio autocontrollo e la mia saggezza? Dov’è finita la mia fede nel Rettore, nel Sistema e nel Crill? Lo sprezzo per i ribelli, dov’è?
Devo tornare in me per smettere di soffrire.
Ho deciso che non mangerò più il cibo che mi portano. Chissà che strana droga mettono dentro la zuppa per farmi sentire costantemente debole e confusa.
I ribelli sono il male di questo mondo, ricordatelo sempre, Reika … Se riesco a mantenere questa lucidità c’è ancora speranza, per me.
 

 
Giorno 16
Sto tenendo duro. Non mangio.
Sono troppo debole per qualsiasi cosa.
Scrivere …
Pensare …
Respirare …
Mi sento sola, infinitamente e disperatamente.
 
 

Giorno 17
Ieri sono stati qui entrambi. Lavinia e Abel, intendo. C’era anche un vecchio di nome David, che è il medico dei ribelli e, infine, ci ha raggiunti un altro signore dal volto grigiastro, l’aria seria e risoluta. Alla fine, il ripostiglio era stipato in una maniera non accettabile.
Di fatto, sto meglio.
Ho mangiato, sia ieri che oggi. L’uomo dal viso stanco ha detto che loro tengono a me, che non hanno nessuna intenzione di farmi del male. Io ho pianto, ovviamente, da quella sciocca che sono.
È stato molto dolce, però, quando Abel mi ha accarezzato i capelli per consolarmi.
Si, è tornato, finalmente!
Hanno promesso che mi concederanno un bagno caldo, per dimostrarmi la loro buona fede.
Io non ho ancora deciso se credere alle loro parole. Ormai il mio corpo e la mia mente sono un ammasso confuso di nervi e di lacrime, di emozioni violente; non potere su me stessa, dopo 17 giorni senza Crill!
Ma forse è vero che gli servo.
Lavinia sembra molto delicata e loro, i ribelli, hanno bisogno di una donna. Intendo, per i loro piani: far ripartire un mondo naturale, far nascere bambini e allevare futuri cittadini senza Crill, senza condizionamenti, nella libertà della scelta personale. Almeno, così hanno detto.
Io non tradirò mai il Rettore, però. Gli devo tutto; lui ha voluto che nascessi e lui mi ha protetta ed educata per sedici anni. Io appartengo al Sistema. Io sono una figlia del Sistema e presto tornerò a casa mia.
Eppure …
A volte vorrei essere Lavinia. Loro sono molto, molto uniti: lei può godere tutti i giorni del suo sorriso caldo e delle sue carezze sui capelli.
 
 

Giorno 20
Con oggi sono passati venti giorni. Venti bizzarri, confusi giorni.
Oggi l’uomo che si chiama David mi ha tolto l’ultimo cerotto dalla fronte; mi sono specchiata e ho visto una piccola cicatrice rosata vicino all’attaccatura dei capelli.
Oggi Abel mi ha chiesto di chiamarlo semplicemente “Abe” perché il suo nome intero gli sembra troppo formale. Lui chiama di continuo Lavinia con un diminutivo: dice che è una cosa bella, un segno di affetto.
Loro due sono amici, infatti. Molto amici.
In realtà i diminutivi sono proibiti alla Casa Madre perché sono considerati sciocchi. Credo, però, che per lui farò un eccezione.
Abe.
Abe, che ha il sorriso più bello del mondo.
Entrambi mi hanno chiesto di pensare seriamente a cosa voglio fare: tornare alla Casa Madre o restare qui, con i ribelli. Forse non dovrei più chiamarli ribelli se io …
Ma io sono una ribelle?
Assolutamente no, mai! Non posso neanche pensarlo.
Non credo che mi lascerebbero andare, comunque; non credo di poter scegliere. Da dove nascono la confusione e la titubanza, allora? Perché senza il Crill non riesco più a capire i voli folli che fa la mia mente?
Il fatto è che c’è qualcosa di strano qui, in questo ripostiglio ingombro e soffocante. Qualcosa che in nessuna stanza della Casa Madre ho mai sentito, che non mi ha mai sfiorato durante una semplice conversazione con i miei fratelli. È qualcosa di impercettibile, che ha a che fare con il mio stomaco e la mia testa ma, soprattutto, con i battiti del mio cuore.
Così, dal nulla, ho sentito il bisogno di confessare questa mia … come dire … angoscia a Lavinia.
Lei mi ha preso una mano e ha sorriso.
Ha detto: “Stai tranquilla, non sei malata. È solo amicizia”.
Amicizia.
Allora, dopo questa rivelazione e con il suo permesso, credo di avere il diritto di scrivere: il mio amico Abe.
Mi piace, il suono che fa.
 

 
Giorno 21
Il mio amico Abe mi ha portato un libro e me ne ha letto la prima parte.
Qualcosa di enorme si agita nel mio petto ora. Qualcosa di bello.
La mia mente è troppo malferma per scrivere qualcosa, adesso: aspetterò la fine della storia.
Chissà se riuscirò a dormire, stanotte.
 
 
 
Giorno 23
Sono stanca ma non perché non dormo.
Sono stanca perché oggi Abe è venuto a trovarmi e abbiamo finito di leggere il libro iniziato l’altro ieri. Abbiamo passato molte ore belle, mentre lui leggeva e io ascoltavo. Il volume era malridotto, molto vecchio: credo sia uno di quelli che il Rettore ha proibito. Stranamente, sul momento non ho dato molta importanza a questo dettaglio: ora penso che la vecchia me non avrebbe mai perdonato una tale mancanza.
Il titolo era “Anna Karenina”.
Non ho capito neanche la metà di quello che Abe ha letto; per la maggior parte del tempo trattava di cose e parole, di emozioni, che non ho mai conosciuto o provato.
Forse è stata un’esperienza così bella semplicemente grazie a lui. Aveva la voce calda e morbida, adatta a ogni personaggio, allegra o drammatica al punto giusto. Aveva gli occhi attenti e un leggero colore rosa sulla guance. Le mani, di solito così goffe, erano delicate sulle pagine e a volte le agitava, per dare un tocco in più alla lettura.
Ho riso e pianto tanto, in questi tre giorni.
Nella mia memoria è rimasta impressa anche la protagonista del libro … Anna.
Un coraggio così, delle passioni così, io non credo che le proverò mai. Forse di mio è solo la finale follia.
Oggi sono stanca perché sento il mio cuore carico, la mente allegra e gli occhi pieni.
 
 

Giorno 24
È notte fonda e lo stanzino è illuminato da una singola lampadina che oscilla sul soffitto. Mi resta poca carta da pacchi su cui scrivere e questo è davvero un peccato. Mi fa così bene, mettere la matassa dei miei pensieri nero su bianco!
Oggi Lavinia è venuta da sola, per salutarmi.
Ha detto che deve andare via per qualche giorno, per fare rapporto ai suoi superiori. Rapporto su di me?
“E per salutare i miei genitori” ha aggiunto.
Gli stessi di Abe, se non ho capito male.
È stata molto dolce. Dolce come i dolcetti di marmellata, per capirci.
“Tu non devi agitarti, però. Io e Abe ti vogliamo bene come se fossi nostra sorella. Non ho nessuna intenzione di abbandonarti, Reika” mi ha detto.
“Vado da papà per chiedergli se puoi stare da noi, invece che in questo buco di ripostiglio” ha aggiunto.
“Da voi?”.
Abitano in una casa, a quanto pare, molto, molto lontano da qui. Una casa che è solo loro, loro quattro.
Lavinia ha detto: della nostra famiglia.
Che cos’è una famiglia?
“Delle persone che si vogliono bene” ha risposto.
Poi Timothy, il mio decrepito carceriere, ha bussato alla porta e Lavinia è dovuta correre via.
Non ho capito bene, il fatto della famiglia.
Noi confratelli, noi figli del Sistema, ci rispettiamo e ci stimiamo reciprocamente. Viviamo nella stessa casa, la Casa Madre, ma nessuno ha mai usato la parola famiglia per definirci.
Forse il rispetto non basta? Che nessuno di noi sia veramente in grado di voler bene?
Domani chiederò a Abe.
 

 
Giorno 25
Abe ha fatto un discorso molto strano, sulla famiglia.
Sembrava triste, oggi, diverso dal solito. Come se gli mancasse qualcosa.
“La famiglia è quando la mattina hai voglia di prendere a schiaffi tua madre, o tua sorella, e la sera le abbracci prima di andare a dormire” ha spiegato, di getto.
“Scusa. Non avevo intenzione di confonderti ancora di più” ha detto subito dopo, forse a causa della mia espressione. “Ma, vedi, è Liv quella brava in questo tipo di discorsi, non io” ha aggiunto, torcendosi le mani.
“Quindi?”
“Quindi … non so, tu dici di avere dei fratelli, giusto?”
Allora io gli ho spiegato dei miei confratelli e degli Allievi di terzo livello. “Anche tu ne facevi parte, un tempo” ho cercato di sorridere.
“Quando ero ancora un poppante” ha replicato, ridacchiando.
Poppante?
“Tu vuoi bene ai tuoi fratelli, no?”
“Ecco … io non lo so. Ho grande stima di loro …”
“No, no, niente del genere. Se gli vuoi bene lo senti e basta. Anche se uno di loro fosse debole e incapace e irritante, volendo potresti volergli bene”.
A questo punto ero davvero confusa. Si può voler bene a qualcuno che non lo merita?
“Ci sarà pur qualcuno a cui vuoi bene, no?” mi ha detto allora, con un tono leggermente esasperato.
Avrei voluto dirgli che alla Casa Madre queste cose non si dicono né si provano. Lavinia avrebbe capito ma lui non credo e non volevo turbarlo. E poi, una risposta alla sua domanda ronzava nella mia testa.
“Io … quando tu e Lavinia siete qui, mi piace. Mi sento bene e vorrei rivedervi, anche se non ho modo di sapere se siete bravi o intelligenti o soldati valorosi. Va bene così?” ho detto, in maniera un po’ riduttiva.
Mi sentivo le guance troppo calde, però, per aggiungere altro.
“Non male” ha sorriso lui. “È un buon inizio. A volte sei davvero sorprendente”.
È una cosa bella?
Comunque, Abe ha detto che la famiglia si regge proprio su questo.
“Sui fratelli?”
“No, non proprio; ci sono anche i genitori in una famiglia. Diciamo che è molto importante quel sentimento che si chiama … ma dai, questo lo sai no?”.
Io sentivo il viso come fuoco e il cuore impazzito.
“No” ho pigolato. “Scusa …”.
“No, mi rifiuto di parlarti dell’amore. È troppo imbarazzante: chiedi a Lavinia quando torna” ha detto, voltandomi le spalle. Ho visto che aveva il viso rosso.
E così l’ho fatto star male. Complimenti, Reika!
Alla fine abbiamo parlato d’altro e lui è tornato l’Abel di sempre. Mi ha fatto chiacchierare e raccontare dei miei confratelli alla Casa Madre. Forse era curioso di sapere quali persone non ha mai potuto conoscere.
Comunque, questa cosa della famiglia e dell’amore ancora non mi va giù.
Devo fare chiarezza.
 

 
Giorno 27
Quando sono sola nel mio ripostiglio e me ne resto tranquilla in silenzio, sento le voci di chi sta fuori.
Di solito non sono molto interessanti e io sono troppo occupata a scrivere o pensare o dormire per farci caso. Spesso imparare a gestire le mie nuove emozioni mi lascia così sfinita che non ho molto tempo fare altro. È impegnativo, imparare a voler bene a qualcuno!
Comunque, questa mattina Abe era impegnato e Lavinia è ancora in viaggio; così non avevo nulla da fare e ho ascoltato.
Forse era meglio non farlo.
Timothy era davanti alla porta, come sempre, ma a un certo punto è stato raggiunto da un uomo.
“Salve Kob” ha detto.
Sono certa che Kob non è il suo vero nome: gli abitanti della regione hanno nomi molto più esotici. David, Abel, Timothy, John, Mary … chissà da dove vengono.
“Come va la giovane?” ha chiesto lo sconosciuto.
“Credo meglio. Passare del tempo in compagnia dei nostri ragazzi le fa un gran bene, come avevamo sperato. Ormai ha superato la fase critica”.
Questa è una bella cosa? mi sono chiesta. Il fatto che Abe e Lavinia siano stati obbligati a venire qui da me, intendo, come si intuisce dalle parole di Tim.
Io, dopotutto, sono abituata alla vita scandita e organizzata, in cui nulla è lasciato al caso e nulla sfugge alla supervisione del Rettore e dei maestri. Allora perché ho sentito come una piccola ferita del petto e nel cuore a questa scoperta?
Sono lo stesso miei amici, loro, vero?
Ancora non so bene come funzione l’amicizia, ma credo di si. Spero, almeno.
Il resto della conversazione era più o meno così:
“Tim, ti dirò una cosa in confidenza: ci siamo quasi” e qui il tono dell’uomo è diventato più basso.
“Cioè state per raggiungere un accordo?”
“Proprio”.
“La lasceremo andare, quindi? Kob, vecchio mio, è una scelta saggia? Lei è così giovane!” ha detto Tim.
Qui ho sentito un’onda di … bene … verso di lui. Perché? Di certo è sempre stato molto gentile, con me.
Comunque: forse me ne vado! È davvero una grande, nuova novità.
“Noi abbiamo già i nostri ragazzi; in quel senso, il futuro è assicurato e lei non è davvero necessaria. Ora come ora ci mancano i mezzi per far diventare il nostro sogno realtà” ha risposto Kob.
“Stai parlando di …”.
“Esatto, vecchio furbo. Parlo di armi. Quelle che abbiamo sono poche e troppo vecchie: non rappresentiamo una minaccia sufficientemente pericolosa, per il Sistema”.
“E quindi baratterai la sua libertà, dico bene"?”.
“Sapevo che avresti capito”.
“Si, capisco. Ma devo ammettere di essermi un po’ affezionato a quella ragazza: era da quando abbiamo accolto Livie che non vedevo una giovane tanto carina e bisognosa di aiuto” è stata la riflessione di Tim.
A quel punto, inutile dirlo, già piangevo. Ormai ho capito che non posso fare proprio niente per impedirmi di essere sciocca.
Alla fine hanno detto qualche altra parola e poi si sono separati, lasciandomi sola con me stessa.
È tutto il giorno che penso a quello che ho sentito.
Ho scoperto cose belle: che il Rettore non mi ha abbandonato e che mi rivuole con lui. Che potrò tornare a casa, forse, e riprendere la mia vecchia vita. Che presto avrò di nuovo del Crill e la mia mente tornerà pulita e semplice, i miei pensieri lineari e non caotici.
Ma, in realtà, continuo a bloccarmi, a impigliarmi, nel pensiero di quello che lascerò qui, in questo mio ripostiglio. La mia mente non corre verso il futuro, di nuovo ricco di speranza, e si arena al presente.
Piango.
 
 

Giorno 29
Nel mio ripostiglio, oggi, c’è qualcosa di nuovo. Si chiama violino.
L’ha portato Abe insieme a un vecchio dalla lunghissima barba bianca e la testa pelata. L’uomo si chiama Thomas e sa usare il violino. Suonarlo, intendo.
Abe dice che la musica lo aiuta a superare i momenti di malinconia; non sapevo fosse triste, in realtà.
Di fatto, la melodia del violino è la cosa più meravigliosa che io abbia mai ascoltato.
Il ricordo di questo pomeriggio resterà impresso per sempre nella mia memoria, rammenterò sempre come mi sono sentita leggera. Se chiudevo gli occhi, ecco, io … volavo!
Non importa quale sarà il futuro che mi attende, da ribelle o da figlia del Sistema; ora mi sembra di guardare il mondo con occhi diversi.
Alla Casa Madre la musica è diffusa dagli altoparlanti e si tratta sempre delle marce, utili per farci mettere in riga e rispettare gli orari. Ma questa cosa qui è completamente diversa e eccezionalmente migliore.
È bellezza, allo stato puro.
Abel e io siamo rimasti seduti sul letto, fianco a fianco, per tutto il tempo, mentre Thomas suonava; la luce del sole, col passare del tempo, è diventata più tenue, più calda e più rossa, e io ho pensato che fosse proprio quello, il colore del mio cuore.
Lui era vicino e le nostre mani si sfioravano: a un certo punto ho deciso di posare la testa sulla sua spalla. Credo di aver fatto la cosa giusta; lui aveva gli occhi chiusi e un vago sorriso sul volto rilassato.
Ancora non sono abituata a essere toccata, né a toccare gli altri. Ma con Abe è stato diverso: sentivo il suo profumo, non dolce né amaro, e mi sentivo a casa. Mi sentivo tranquilla e in pace, come non lo sono mai stata in questi giorni. Non avevo più domande e dubbi da porre, non pensavo più alla “vecchia me”.
È stato come prendere il Crill senza però rinunciare alla mia umanità.
Così, alla fine, ho fatto quel che mi sentivo di fare. Ho sfiorato la sua guancia con le labbra, poi la sua bocca. Delicatamente.
“No, aspetta. Io non … non volevo che … scusami”.
Ho chiuso gli occhi; quando li ho riaperti ero di nuovo sola.
 
 

Giorno 30
Lavinia è tornata e io ho capito tutto.
Ora lo so cosa che cos’è la bellezza, so cosa vuol dire volersi bene, essere amici, amarsi.
Io ho baciato Abel, ieri, ed è stato bellissimo. Perché io sono innamorata di lui.
La chiacchierata con Liv è stata pressappoco così:
“Povero Abe!” ha ridacchiato lei quando gli ho raccontato della nostra conversazione sulla famiglia.
“Non è semplice, parlare d’amore” ha aggiunto.
“Va bene, va bene. Ma almeno tu sai dirmi che cos’è?”
“Potrei dirti un sacco di cose … e potrei non essere mai nel giusto! L’amore è scritto nei libri, per me, e nelle righe della musica, nei tratti di colore, nel sole all’alba e nei boschi di sera. È in tanti luoghi della mia vita e si presenta con tante facce diverse: quella dei miei genitori, di mio fratello, di Kob e Sarah, degli uomini dei villaggi” ha detto, muovendo delicatamente le mani e imporporandosi.
“Quindi l’amore è quello che proviamo per ciò che ci piace?” ho provato, cercando di dare un senso logico al suo sproloquio.
“Si … ma anche di più! L’amore non riguarda solo ciò che sta fuori di noi e che reputiamo bello. Spesso è il nostro stesso amore che crea bellezza!”.
“Funziona come il voler bene? Nel senso, che si può voler bene anche a qualcuno che non lo merita?”
“Si … ma l’amore è molto più forte e totalizzante. L’amore ci tocca proprio nel profondo”.
È qualcosa di più, ho pensato, rispetto a ogni cosa che conosco.
Che confusione!
“Senti Reika, io non sono affatto un’esperta. Sai, sono troppo giovane! Tutto quello che credo di sapere lo devo ai libri e ai miei genitori” è esplosa, di punto in bianco.
“Loro si amano?” è stata un’intuizione fulminante.
“Credo proprio di si” e ha sorriso.
“E tu come lo sai?”
“Non so; lo percepisco. Una volta ho letto che l’amore è dimenticarsi di sè, perdersi completamente, lasciarsi andare …”
Io, io sono così! Stai parlando di me!
Sono persa da troppo tempo ormai! Fuori dal mio controllo, completamente libera.
“Davvero?”
“Si, ma è anche ritrovarsi e imparare a conoscersi meglio. Trovare, dentro di noi, una strada nuova da percorrere e seguirla insieme all’amato, unendo l’identico al diverso, restando sé stessi e diventando uno solo. È possedersi completamente solo nel ritrovarsi insieme. L’amore è desiderio di conoscenza … l’amore è un po’ come un regalo: per sé e per l’altro” e la sua voce era rapita, come se raccontasse di un sogno, di un desiderio.
Poi è seguito il silenzio.
“Scusa. Sono parole senza senso, vero? Ammetto che nemmeno io lo capisco davvero, l’amore” ha sorriso, imbarazzata.
Io, però, ho capito.
Mi guardo allo specchio e sono la stessa di sempre: chiudo gli occhi e, nel profondo della mia anima, sento di essere profondamente cambiata.
Grazie a te, mio amore. Ero persa e ti ho trovato; mi stavo cercando e tu mi hai guidato verso spazi infiniti che ignoravo. Grazie per la tua dolce pazienza e il tuo sorriso, grazie per la cura con cui hai saputo accompagnarmi  a questa nuova me, più completa e più vera.
Lavinia è andata via presto dato che io non sono più riuscita a spiccicare parola. Ma come potevo? È una gioia troppo dolorosa, troppo grande, quella di scoprirsi innamorati!
Il mio amato Abe.
Anche lui mi ama, lo so: non sarebbe stato così caro, altrimenti, in tutti questi giorni.
Come quando avevo il capo posato sulla sua spalla, non ho più dubbi: ora so qual è la mia strada. Se serve, sono pronta a lottare per restare al suo fianco.
 

 
Giorno 32
“Resterò qui, con voi. Non mi interessa se, fino a ieri, eravate i miei nemici: ora so che è la strada giusta per me” ho detto, quando sono arrivati Abel e Lavinia, questa mattina.
Livie mi ha abbracciata e aveva gli occhi lucidi, mentre Abe ha solo sorriso, da lontano. Da quando Lavinia è tornata sembra essere felice e spensierato come prima.
Oh, com’è bello!
Forse non è esattamente ben piazzato e muscoloso, forse le sua labbra sono troppo sottili e la sua testa piega sempre leggermente a sinistra, ma per me è speciale. Oh, come avrei voluto abbracciarlo! Baciarlo di nuovo, magari!
Anche se adesso so che lo amo, c’è qualcosa che mi rende timida e fa diventare rosse le mie guance. Peccato.
Siamo rimasti in silenzio mentre Lavinia ci raccontava del suo viaggio. Non è stato proprio un successo, credo, ma ero distratta. Fissare i suoi occhi, la piega delle labbra, la rotondità delle guance, è un passatempo molto, molto migliore.
Al solo pensiero che resteremo per sempre insieme credo di poter morire dalla felicità!
 


Giorno 34
Lavinia era in lacrime mentre l’uomo di nome Kob mi spiegava che domani, all’alba, il Rettore manderà qualcuno a prendermi per riportarmi alla Casa Madre.
Avrei voluto piangere anch’io ma, sul momento, ero troppo sconvolta.
Abel non c’era, non è venuto nemmeno oggi.
Perché non si fa più vedere? Si è dimenticato di me?
Mi mandano via, quindi. Nessuno terrà conto delle mie volontà, dei miei desideri. Del mio amore.
Anche Kob sembrava dispiaciuto quando è andato via, mentre trascinava fuori Lavinia e le sue dolci parole di commiato.
“Non ci dimenticheremo mai di te, Rei-rei” ho sentito.
Mi ha detto addio. Devo dire addio anch’io, allora?
Addio mio ripostiglio, scrigno nascosto di tanto turbamento e tanta speranza, di tante emozioni. Da trentaquattro giorni non conosco altro che le tue pareti macchiate d’umidità, ma in nessun altro posto sono stata più felice.
Addio pensieri liberi e fluenti, come un fiume in piena, che mi devastano e mi fanno tornare alla vita.
Addio all’amicizia che scalda il cuore e a Lavinia, che per prima mi ha detto “Ti voglio bene”.
Addio a Reika, la ribelle, e ai suoi sogni, i suoi progetti, la sua libertà.
Addio ad Abel, mio grande, primo amore.
Addio …
Ma, se la tristezza invade il mio cuore, sento qualcosa di più forte impossessarsi della mia mente.
Insomma … così non è giusto: io non voglio andare via! E, se non voglio, non andrò.
Bisogna dire basta. È finito il tempo in cui erano altri a decidere della mia vita; non permetterò mai più a nessuno di essere me.
La consapevolezza, il risveglio delle emozioni, è arrivato tardi, forse, ma non troppo tardi.
Ho sperimentato la libertà e la pienezza che essa comporta. Ormai ho detto addio al Sistema e mi sono lasciata alle spalle i suoi dogmi e i suoi comandi. Come posso farvi ritorno?
Non voglio che siano già finiti i giorni in cui potrò sperimentare quello che mi piace chiamare il Sistema Reika.
 
Se posso, combatterò e fuggirò dalle mani dei sistematici quando verranno a prendermi.
Se riesco, tornerò da te, mio amore.
E riuscirò, lo giuro.
 
 
 ...
 
 


 
Alla cortese attenzione del Rettore.
 
Reika, Allieva di terzo livello, è rientrata stamane alla Casa Madre dopo una breve colluttazione.
A seguito di trentaquattro giorni di prigionia il suo corpo è debole ma non sofferente. Il suo stato mentale, d’altra parte, è altamente instabile e precario.
Allego il diario tenuto dall’Allieva durante il sequestro: all’interno, informazioni significative sui ribelli.
Si stima che l’Allieva tornerà presto in salute: è stata avviata una cura massiccia a base di Crill.
Seguiranno informazioni più dettagliate.
 
 
Maestro Hector, primo livello
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note
Ed eccoci qui, proprio alla fine! :)
Spero che aver sentito i pensieri e la voce di Reika vi sia piaciuto e che la sua evoluzione sia stata lenta e credibile al punto giusto! Mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensate … sono curiosa e ho molta voglia di migliorarmi!! ;)
Ringrazio tanto chi, anche silenziosamente, ha seguito questa storia!!
Un abbraccio,
Ester





 
  
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