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Autore: Sniix    04/12/2015    0 recensioni
Jaiden è una ragazza molto complicata che tende a rovinare sempre tutto quello che gli sta intorno fino a quando non decide di rovinare se stessa.
|ci sono in una piccolissima parte i frerard, enjoy it|
N.B. Frerard= Gerard Way e Frank Iero (My Chemical Romance)
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Canzone citata nel testo: Better Off Dead - Sleeping With Sirens



Per me era strano vedere tutte quelle persone la mattina, per strada, mentre camminavano vicine per andare a scuola.
Con i loro zaini di tutti i colori: azzurro, bianco, nero, rosso...
Con ogni tipo di scritta, magari anche quelle più imbarazzanti, che si erano fatti fare dai loro amici delle medie.
Oppure c'era scritto il nome del ragazzo per cui avevano una cotta o più semplicemente nomi di band o cantanti.
Io trovavo tutto questo inutile, forse una cosa che non avrei mai fatto, perché avrei dato la possibilità a degli sconosciuti di capire cosa mi piacesse.
Anche se, pensandoci, ogni persona che spostava lo sguardo verso di me anche per mezzo secondo, capiva cosa mi piacesse, forse per come ero vestita e come ero truccata e -perché no- dal mio zaino rosso, proprio come quello di molte altre persone.
Perché alla fine voleva dire questo, i vestiti che abbiamo tutti, gli accessori, le scarpe, noi le scegliamo perché in confronto a tutte le altre cose che abbiamo a disposizione, ci sono piaciute di più. 
Era una cosa che non amavo: che le persone conoscessero molte cose su di me.
"Mi dite qualche canzone in inglese?" Aveva chiesto, quella mattina, la professoressa di inglese, pensando che secondo lei avremmo imparato qualcosa in più. 
Non capisce che a nessuno interessano più i testi, bastano i nomi.
Per i giovani di oggi la buona musica non è quella che piace a loro, è quella che è stata imposta di piacergli.
Se ascolti Justin Bieber sei uno sfigato, perché Justin Bieber è solo un frocio di merda e tutti non fanno altro che prenderlo in giro, dicendo che la sua musica fa schifo e credendosi migliori di lui.
Nel frattempo, lui, con la sua musica di merda, sta vivendo la sua vita, chi continua a giudicarlo no.
Ora sei fico se ascolti i rapper, se porti quei capelli colorati, con qualche scritta senza senso di fronte e i pantaloni calati. 
Oppure sei fico se ascolti musica rock, con gli skinny jeans preferibilmente neri e le maglie di ogni tipo di band e sono sicura che molti di quelli che indossano 365 giorni l'anno quei tipi di maglie, neanche sanno che cosa stanno portando.
Certo, io non ascolto Justin Bieber e forse i miei gusti si indirizzano più nella seconda opzione della "figaggine giovanile" ma sto molto attenta in queste cose.
Per quanto voglia, non indosso nessun tipo di merce delle band che ascolto, nessuno sa cosa mi piace e nessuno lo dovrà mai sapere, perché non voglio essere come gli altri, non voglio sentirmi figa perché "Io ascolto musica migliore di quella che ascolti te." 
Per questo alla domanda della mia prof di inglese sono rimasta in silenzio.
Perché io di titoli da dire ne avevo tanti e sensati, perché io capisco quello che ascolto.
Tipo Better Off Dead degli Sleeping With Sirens, sarebbe stato troppo per me, far capire agli altri come mi sentivo. 
Non volevo.
Per questo cercavo di rimanere fuori da tutto, per questo non provavo emozioni, per questo non volevo bene a nessuno. 
Ed era da lì che tutto era iniziato.
"Io non voglio bene a nessuno." E lui si era arrabbiato, si era arrabbiato così tanto.
"Non vuoi bene a nessuno, hai ragione." Mi aveva risposto. "Le persone si struggono per cercare di farsi voler bene da te ma tu te ne esci sempre e costantemente con questa frase. Io non provo niente, io non voglio bene a nessuno, io non amo nessuno e allora che vivi a fare?" Avevo trovato stupido il suo arrabbiarsi, diceva frasi che non stavano né in cielo né in terra, perché tutti sapevamo come stavano veramente le cose.
"Nessuno si strugge per me." E lo dissi e feci il secondo errore più grande della mia vita. 
"Io lo faccio!" Aveva gridato. "Io! Ma ti sei creata questo cazzo di muro che nessuno riesce a buttare giù, con tanto di difese esterne e interne. 
E pensi che tutti ce l'abbiano con te ma sei tu ad avercela col mondo intero.
Dici che non riescono a capirti ma sei tu che non ti fai capire. 
Ti crei problemi dal nulla e ci conosciamo da sei anni e ancora non ho capito cosa ti piace e cosa non ti piace. 
E continuo a starti appresso, sono l'unico che continua a starti appresso perché mi interessa di te ma tu non capisci, non capisci e io mi sono stancato." Se n'era andato.
Come avevano fatto tutti.
Per sempre.
E ci avevo provato a rimediare ai miei danni ed ero rimasta incredibilmente sola.
Avevo una sottospecie di amica che non abitava neanche nella mia stessa città, o regione.
Si chiamava Dani, stavo ripetendo lo stesso errore e non mi interessava, perché ormai non mi interessava più di nulla.
Non era vero che non volevo bene a nessuno, a lui avevo voluto bene ma lui se n'era andato.
Anche quando l'avevo implorato di perdonarmi, lui mi aveva detto che era troppo tardi.
Ed effettivamente era così, era troppo tardi, così tardi da non riuscire più ad instaurare un rapporto con una persona, così tardi da non riuscire più a dialogare con le persone nuove.
Pensavano che fossi muta e con chi parlavo ridevo sempre, ridevo per non pensare ad altro, ridevo perché era l'unica cosa che mi rimaneva. 
Non riuscivo neanche a cantare, una cosa che avevo sempre amato fare.
Uno dei miei papà -uno dei due, si- era preoccupato perché non mangiavo.
O meglio, mangiavo; poco e male.
Ormai ero tutt'ossa e so che a certe persone piacerebbe essere come me ma l'unica cosa che riuscivo a vedere quando guardavo i miei polsi, che anche mio cugino di 10 anni riusciva a prendere solo con due dita, erano una serie di sensazioni che mi facevano venire i conati di vomito.
No, non ero anoressica o bulimica, fortunatamente. 
A contrario delle braccia, le mie cosce erano abbastanza grandi -non troppo- ma a cosa servivano se non avevo muscoli? 
Non riuscivo a correre.
A scuola riuscivo ad avere voti esorbitanti a matematica e un misero sei ad educazione fisica; non era che non mi ci mettessi d'impegno, era che non ce la facevo. 
Eppure ero una persona intelligente, lo sapevo, anche se in quel periodo il mio cervello iniziava a fare cilecca.
Avevo paura di impazzire, perché nessuna diciottenne pensa così tanto alla morte. 
A come avrei potuto uccidermi, dilaniandomi la carne da sola.
Oppure messa sotto da una macchina e poi un'altra ancora.
Oppure per colpa di un'attentato, come stanno succedendo in questo periodo.
Mi immaginavo al concerto della mia band preferita e allo stesso tempo mi immaginavo il buio che avrei visto dopo che qualcuno si fosse fatto saltare in aria.
Immaginavo quello che avrei provato, avrei sentito l'esplosione? 
Avrei sentito lo spostamento d'aria?
O i pezzi del mio corpo volare via dal resto?
Questo lo immaginavo anche quando camminavo per strada. 
E se esplode la macchina?
E se cadiamo dal motorino?
E se qualcuno mi uccidesse dal nulla, mentre sono fuori, nella mia strada per andare a scuola guida? 
Ma sapevo di star veramente male quando iniziavo a pensare che forse, potrei essere stata io la causa della morte di qualcuno.
Avevo paura di impazzire, in ogni secondo, come tutte quelle persone che si sentono alla tv e uccidere i miei papà, mio fratello minore, il mio cane o che magari sarebbero potuti morire, prima di me.
Immaginavo come sarebbe potuto succedere.
Con un coltello magari, uno di quelli che si vedono nei film horror, glielo avrei conficcato nella carne, sentendola mentre si dilaniava e il sangue viscido che mi sarebbe scorso nelle mani. 
Prendendo un bastone, uno di quelli grandi e sbattendolo così forte in testa ad uno di loro da sfondargli il cranio.
Strozzandoli. 
Drogandoli.
Oppure il mio cane, messo sotto da un auto mentre, senza guinzaglio, faceva la strada dal cancello di casa al parchino. 
E poi sarebbe stato lì, a terra per strada, senza dare segnali di vita mentre il colpevole se ne andava perché "Chi se ne frega, è solo un cane."
Allora decisi di non poter più sopportare tutto quello.
E mio padre se n'era accorto, quel giorno, a tavola, mentre ero impegnata a lamentarmi su quello che dovevamo mangiare a pranzo. 
"I tortellini?" Chiesi, riluttante. "Non mi sono mai piaciuti." Gli occhi chiari di mio padre mi scrutarono. 
"Li hai sempre mangiati." Il mio sguardo ricadde sui suoi capelli neri, perché non avevo voglia di sorbirmi uno dei suoi sguardi omicidi. 
"Si, ma questo non vuol dire che mi piacciono." Così si sporse verso di me, afferrando il piatto che avrei dovuto usare per mangiare i tortellini e lo rimise apposto, sbattendo a destra e a manca gli sportelli della cucina. 
Prese dal frigorifero una busta di insaccati e la gettò nel tavolo, proprio accanto a me. 
A capo tavola, nel frattempo, l'altro mio padre si era messo le mani in mezzo ai suoi capelli rossi -tinti- e aveva sospirato.
"Finitela, voi due." Ero grata a quei due uomini più di quanto si potesse immaginare, mi avevano tirato fuori dall'inferno alla tenera età di cinque anni. 
Il problema era che, fuori da quelle mura ce n'era anche uno peggiore, di inferno.
"Gee, dobbiamo portarla da un nutrizionista. Non mangia verdura, non mangia carne, il pesce le fa schifo, la pasta pure, l'unica cosa che non le fa schifo sono quelle cazzo di pringles." Alzai gli occhi al cielo, non poteva decidere cosa potevo o non potevo mangiare, anche se aveva ragione lui.
"Frankie non fare tutti questi drammi, però. Ancora non è morta di fame." Si, era lui quello che era solito a difendermi. 
"Ma mangia male." Con loro non era veramente così, avevamo sempre avuto un bellissimo rapporto, gli raccontavo sempre tutto. 
"Non ho molta fame, in verità." E si guardarono. 
E si capirono.
Mangiavo poco ma mangiavo, non c'erano giorni in cui non mangiavo nulla.
Mio padre, Frank, spostò la sedia e si mise a sedere proprio di fronte a me, appoggiando i gomiti sul tavolo, ai lati del piatto e mi guardò una seconda volta, preoccupato.
"Che hai?" Mi chiese, di solito era lui a fare queste domande.
L'altro, Gerard, era più uno che aspettava che parlassi, non chiedeva mai.
"Nulla." Mentii e io non mentivo mai a mio padre.
Socchiuse gli occhi mentre stava pensando esattamente alla stessa cosa.
"Da quando in qua mi menti?" 
"Ci menti." Si intromise Gerard, puntualizzando. 
Ero riuscita ad attirare anche la sua attenzione. 
"Non vi sto mentendo! Non ho niente, un bel niente!" Mi misi sulla difensiva, facendogli capire ancora di più che non dicevo la verità, ma non fecero in tempo a dire nulla perché mi alzai e corsi su per le scale, entrando nella mia stanza e chiudendomi dentro. 
Era giunto il momento.
Mi chinai, prendendo la scatola che tenevo sotto al letto. 
La aprii e tirai fuori tutto quello che c'era dentro.
Una corda.
Delle pillole. 
Una pistola.
Poi mi misi a pensare. 
Alle persone che avevo:
Dani, l'ultima cosa che le avevo detto era che non mi serviva la sua opinione, lei non sapeva nulla di me e la trattavo male e poi bene e poi male di nuovo.
Non lo facevo apposta, erano gli sbalzi d'umore ma lei non lo sapeva, non poteva saperlo, non doveva. 
Era più forte di me, mi pentivo subito dopo averle detto una cosa brutta ma ormai il danno era fatto.
E facevo finta di nulla, facendo la strafottente, rispondendole con messaggi senza senso e poi lamentandomi quando lei faceva lo stesso con me.
Maya, lei era solo un'amica a convenienza. 
-vieni a vedere Hunger Games con me stasera? 
-Lo chiedo a mia mamma e ti faccio risapere 
Hai diciotto anni, non hai bisogno di chiederlo a tua madre.
Era quello che aveva detto a me.
Mi aveva anche detto che mi voleva bene ma come mai ero sempre la sua ultima scelta?
Tisha, lei era solo Tisha, stavo bene con lei a scuola, anche se ogni tanto ci lanciavamo delle frecciatine cariche d'odio che facevano capire che non ci sopportavamo più di tanto.
Per il resto, ridevamo e ridevamo tanto. 
Non era mia amica.
Mio fratello minore ne avrebbe risentito, era sempre così impegnato a giocare a quei stupidi videogiochi, ancora non era tornato da scuola.
I suoi voti ne avrebbero risentito e mi sentii in colpa, anche se non avevamo un bel rapporto, anche se non parlava mai con me o con i papà, era un tipo chiuso, lui.
Anche più di me.
E i miei papà, se ne sarebbero accorti prima di tutti, decisi di prendere un foglio e iniziai a scrivere.
Volevo scrivere qualcosa di corto, sperando di alleviare il dolore dei miei quando sarebbe successo quello che stava per succedere:
Cari papà,
Vi voglio bene, tanto per dire una cosa che non credo di aver mai detto a nessuno.
Mi avete accolto quando nessun altro voleva farlo e PER FORTUNA sono capitata con delle persone fantastiche come voi. 
La decisione che sto per prendere non è colpa vostra, anzi, se ci riuscissi rimarrei solo per voi ma non ci riesco. 
Avrei voluto prendere più da te, Frank: la tua bontà, il tuo far buon viso a cattivo gioco.
E anche più da te, Gerard: il tuo coraggio, la tua forza.
Purtroppo ho preso soltanto alcuni dei vostri pregi e non sono buona, non so fare buon viso a cattivo gioco e non sono coraggiosa o forte. 
Per questo faccio quello che faccio, perché non riesco più a vivere.
Non piangete per me o almeno non ci state troppo male.
Non è stata colpa vostra, vi voglio bene.
Anzi, vi amo. 
E ditelo anche al piccoletto. 
Non è stata colpa vostra, scusate.
-Jaiden
Presi la pistola, perché le pillole mi sembravano troppo da codardi e con la corda avrebbero potuto sentire prima che mi togliesse il respiro del tutto.
La pistola era sicura.
Un colpo.
Aprii la bocca e la canna si riscontrò fredda contro le mie labbra.
Chiusi gli occhi e puntai il dito sul grilletto.
Mi avrebbero sentito.
Frank avrebbe gridato, Gerard sarebbe cercato di rimanere forte.
E fui egoista.
Sparai.
Ma non sentii niente.



Ehilà :)
Allora, non so che dire. 
Nulla, ho deciso di scrivere questa os, per sfogarmi.
Tutte le cose che descrivo -a parte l'ultima e la cosa dei padri gay- sono cose successe a me.
Dani, Maya e Tisha sono dei nomi che ho dato a delle persone che conosco.
E ho un fratello (più grande però) e una cagnolina. 
E boh magari vi farò paura ma chissene. 
Ci ho infilato in mezzo anche i Frerard perché li amo e ci stavano bene. 
Basta, me ne vado.
-J
   
 
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