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Autore: Shichan    05/12/2015    1 recensioni
Al momento però pensa solo che vorrebbe urlare al proprio corpo di smettere di bruciare, di fare come se lo avesse strappato alla propria metà.
Maledizione.

[canon divergence, future!fic | TakaMido, KiseKasa (accennata), past!AkaMido]
Prima classificata al KnB Slash Contest indetto da BlackIceCrystal.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Shintarou Midorima, Takao Kazunari
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Miscalculationyou make (almost) everything okay
Nickname forum: Shichan    
Nickname EFP: Shichan
Pairing e relativi Prompt scelti: Midorima x Takao – Ammettere la sconfitta – future!fic (almeno 5 anni dopo)
Rating: giallo
Genere: sentimentale, introspettivo, romantico
Avvertimenti: canon divergence, what if?
Lunghezza/tipologia: oneshot
Note autore (facoltativo): per il beta-reading si ringrazia Stars Trail. Per i pair secondari (ma non dei prompt) segnalo Kise/Kasamatsu, AkashiMidorima (precedente alla vicenda narrata).
Rispetto all’ambientazione originale gli ex membri della Teikou non hanno frequentato le stesse scuole medie, ma lo stesso liceo; non hanno fatto parte dello stesso club.
Ai fini della lettura: i goukon sono appuntamenti di gruppo organizzati spesso con un pari numero di ragazzi e ragazze, talvolta di università o scuole diverse, allo scopo di trovare qualcuno con cui uscire. La maggiore età – nonché quella per poter bere legalmente – è di ventuno anni, in Giappone.

 

 

Miscalculation – you make (almost) everything okay

 

 

Shintarou si considera una persona rispettosa. Pur riconoscendosi molti difetti, è sempre stato in grado di vedere anche i lati positivi del proprio carattere e, per questo, sa bene quali possono essere considerati i propri punti di forza e quali no. La capacità di avere rispetto per chi lo merita e, in generale, di saper mantenere un comportamento educato verso chi non conosce o i propri superiori – anche in occasioni in cui non lo meritano –è qualcosa di cui va fiero. Conta sulle dita di una mano le volte in cui la rabbia lo ha reso schiavo al punto da fargli perdere il controllo e renderlo molto meno cortese di quanto ci si aspetterebbe da lui conoscendolo; ancora meno sono le persone che hanno scatenato il suo lato peggiore perché, pur peccando forse di superbia, Shintarou ha saputo distinguere negli anni gli sciocchi che non meritano una considerazione tanto alta da doversi arrabbiare con loro.
Si reputa una persona intelligente e questo avrebbe dovuto bilanciare l’educazione e il rispetto per Akashi che non gli hanno mai permesso, in virtù del ruolo altrui nella propria vita scolastica e privata, di imporsi e dire “no” quando gli ha presentato Hayama Koutarou.
Invece ora si ritrova con un’e-mail che sembra farsi beffe di lui dallo schermo del proprio cellulare, la voce di Hayama che gli risuona fastidiosamente nelle orecchie mentre gli occhi scorrono il suo messaggio breve e pieno di stupidi emoticon, augurandogli buon Natale anticipato e facendogli presente che quello è il suo regalo. Midorima – no, il messaggio purtroppo recita “Midochan” – deve accettarlo non solo in quanto dono di un suo senpai, ma anche perché “così magari per una sera ti rilassi”.
Shintarou non ha mai imprecato, ma pensa che questo potrebbe essere un buon momento per iniziare.
Davanti a lui c’è un ragazzo mai visto prima, a colpo d’occhio suo coetaneo o giù di lì. Midorima vorrebbe davvero essere colpito dagli occhi particolari della persona che ha di fronte, ma il punto è cosa il mal capitato rappresenta: il momento più imbarazzante della sua vita. Persino più della prima volta in cui Kise Ryouta lo ha chiamato “Midorimacchi” davanti a un discreto numero di persone.
Mentre osserva il modo in cui l’altro sposta il peso da un piede all’altro, il sorriso sulle labbra e le mani in tasca per ripararle dal freddo, ripercorre in silenzio le parole che gli sono state rivolte – mai nella vita Shintaro ha pensato che sarebbe arrivato il giorno in cui qualcuno gli si sarebbe presentato come “fidanzato in affitto”. Ma non aveva nemmeno mai contemplato nella propria vita la presenza di Hayama, in fondo. Di cose andate storte ce ne sono diverse, e sì che l’oggetto fortunato del giorno giace nella sua borsa a tracolla.
Non si piegherà al volere di chicchessia, poco importa se Hayama si sentirà un senpai offeso e ferito nel profondo.
«Dunque» prende la parola, la mano destra che sale a sistemare gli occhiali sul naso in un gesto abitudinario «le nostre strade si dividono qui, immagino.» decreta laconico, ricevendo in risposta uno sguardo stupito che non riesce a spiegarsi. Dà per scontato che l’altro sia stato tratto in inganno, si aspetta dunque una sorpresa – la cui assenza avrebbe dovuto suggerirgli già qualcosa, forse – e un’accettazione del suo congedo; invece ciò che vede è la perplessità di chi non comprende le dinamiche di ciò che sta accadendo. Si dice che non dovrebbe cedere alla tentazione di indagare sull’espressione davanti ai suoi occhi, ma non è saggio abbastanza da seguire il proprio stesso consiglio.
«…Cosa c’è?»
«Eh? Oh.» è il modo in cui il ragazzo di fronte a lui sembra uscire dal proprio flusso di pensieri, qualunque esso fosse: «Beh, io ho ricevuto il pagamento in anticipo, e non offrire il servizio non sarebbe molto professionale da parte mia.» osserva quasi fosse un’ovvietà e Midorima, se solo non fosse una persona educata, probabilmente si abbasserebbe al livello toccato da molti altri “clienti”; non ha difficoltà a figurarsi molte persone chiedere a quel ragazzo cosa ci sia di professionale nel fare l’accompagnatore con un altro nome, ossia “fidanzato in affitto”. Non lo fa perché l’operato altrui non lede alla sua persona in alcun modo, per quanto non riesca assolutamente a considerare il tutto un lavoro degno di questo nome o qualcosa di moralmente corretto, in un certo senso.
«E non posso restituirti il denaro, che non viene comunque dato a me personalmente.» riprende l’altro, il tono di voce spensierato che cozza in maniera fastidiosa con tutta la faccenda, ai suoi occhi «Perciò ecco la mia proposta.» prosegue, un indice portato all’altezza del proprio viso per richiamare l’attenzione di Midorima e un sorriso furbo sulle labbra «Andiamo in un ristorante per famiglie e ceniamo insieme. Un paio di ore del tuo tempo così io avrò guadagnato onestamente e tu avrai il resto della serata libera per fare qualsiasi cosa tu voglia… Midorima-san, giusto?» azzarda. Shintarou si acciglia, riconoscendo in quel “giusto?” la spavalderia di chi sa bene di non aver sbagliato, di ricordare alla perfezione; non è nemmeno cortesia o umiltà ciò che lo porta a pronunciare quel falso “giusto?”, ed è una cosa che lo infastidisce.
Ma, purtroppo per lui, non è il tipo di persona così irresponsabile da lavarsi le mani dei casini altrui – o forse sa che Hayama è il tipo che potrebbe chiamare l’agenzia o qualunque cosa amministri gli appuntamenti di quel ragazzo per chiedere i dettagli della serata minuto per minuto, cosa che gli impedirebbe di scamparla se ora piantasse lì l’altro.
Non c’è scampo: tra due ore a cena con uno sconosciuto, con la possibilità di mantenere un distacco di un certo tipo, e la prospettiva delle lamentele di Hayama non deve nemmeno sprecare tempo a valutare i pro e i contro dell’una o dell’altra cosa.


Ciò che Midorima ha sottovalutato è la curiosità di Hayama e sul momento non ha pensato a come, pur risparmiandosi le sue lamentele accettando l’invito a cena del ragazzo che gli si è presentato con il nome di Takao, Koutarou lo avrebbe sottoposto a un terzo grado vero e proprio. La realtà diviene tristemente ovvia il lunedì mattina non appena Shintarou mette piede sul suolo universitario.
Per sua immensa fortuna Hayama non è un senpai della sua stessa facoltà, ma questo non gli impedisce di incrociarlo comunque nei corridoi; in questo caso, la presenza dell’altro lì in attesa rende così ovvio l’agguato nei suoi confronti che Midorima non ha nemmeno la forza di fingere di non averlo capito. Sospira, in testa la voce del conduttore dell’Oha-asa a ricordargli che oggi è una pessima giornata per i nati sotto il segno del Cancro, e prosegue con tutto l’intento di ignorarlo.
Sa già che non ha scampo.
«Mido-chan!» canticchia Hayama affiancandolo, per nulla scoraggiato dalla totale mancanza di attenzioni da parte del proprio kouhai «Allora? Com’è andata? Il regalo anticipato ti è piaciuto? Sono o non sono un senpai premuroso?» lo tempesta con una domanda dietro l’altra, metà delle quali suonano retoriche alle orecchie di Shintarou, causandogli un principio di irritazione non indifferente. Lo cerca con la coda dell’occhio, trovando il fastidioso ghigno di chi la sa lunga sulle labbra altrui e sbuffa, tornando a guardare di fronte a sé senza arrestare il proprio passo. Potrebbe lamentarsi di così tante cose, ma non inizia nemmeno un approccio da paternale perché si rende conto che sarebbe del tutto inutile: Hayama non è il tipo da sentirsi davvero in colpa solo perché gli si fa notare come ciò che ha fatto sia stato assolutamente fuori luogo e rasenti l’invasione della privacy, nonché il cattivo gusto. Shintarou non saprebbe nemmeno da cosa cominciare – chi ti ha mai detto di cercarmi un compagno in affitto? Chi ti ha dato il permesso di farlo a mia insaputa? Chi ha mai detto che mi piacciono gli uomini? Chi ti ha mai chiesto di entrare nella mia vita? – per questo tace, sistema meglio la cinghia della tracolla sulla spalla, e lo ignora.
O almeno ci prova.
«Mido-chan, non puoi tenermi all’oscuro dei dettagli!»
«Non c’è alcun dettaglio da rendere noto.» taglia corto, il tono seccato, mentre il suo buon proposito di ignorarlo fino a raggiungere il laboratorio dove lo aspettano tre ore di analisi di dati se ne va per altri lidi. Hayama ridacchia e porta un indice a punzecchiargli il fianco; vorrebbe tranciarglielo di netto, quel dito.
«Andiamo, non vi sarete certo guardati negli occhi tutta la sera!» lo incalza con fare complice e in quel momento Shintarou si dice che via il dente, via il dolore.
«Non ci sarebbe stata alcuna serata se tu, senpai, avessi evitato un’azione tanto sciocca come richiedere i suoi… servizi e pagarli in anticipo.» fa presente, un’occhiata glaciale che si posa sul più basso «Perciò ho onorato il tuo impegno con due ore di cena in un ristorante per famiglie.» conclude senza giri di parole o dettagli succulenti, cosa che si riflette facilmente nell’espressione delusa che Hayama palesa quando capisce che non gli verrà detto altro perché non è successo niente.
«Oh, Mido-chan, andiamo!» esclama come se fosse un ragazzino di nemmeno dieci anni a cui è stato tolto tutto il divertimento, mentre continua a seguire Midorima nel momento in cui questi cambia direzione voltando in un altro corridoio: «Avresti dovuto approfittarne, già che c’eri. Poteva sempre fare curriculum.» fa presente, e purtroppo non sta scherzando come Shintarou vorrebbe, «Il curriculum della vita, sai quella cosa che tu non hai, Mido-chan? Ecco, prima o poi ti servirà.»
Non merita una risposta, lo decide senza nemmeno doverci pensare. In compenso Hayama è convinto che Midorima non meriti una tregua, a giudicare da come non sembri intenzionato a tacere fin quando non saranno arrivati al laboratorio nel quale non potrà entrare non essendo della facoltà addetta – il percorso che li divide da suddetto laboratorio a Shintarou non è mai sembrato così lungo.
«Lasciami dire, Mido-chan, che hai perso un’occasione. Takao-kun mi è sembrato simpatico quando l’ho incontrato per parlargli di te!» obietta, come se quello bastasse a far sentire in colpa Midorima per non aver accettato di fare il fidanzatino per una notte; la porta del laboratorio è finalmente a pochi passi quando Shintarou sta per voltarsi a dire al più grande qualcosa di molto poco cortese, a discapito di tutti i buoni propositi di cui si anima quando parla con persone che lo seccano.
A interromperlo è un inaspettato «Grazie?» dalla sfumatura divertita. Se Shintarou avesse preso in considerazione di leggere gli shoujo manga consigliati da sua sorella minore, probabilmente avrebbe una spiegazione romantica e piena di giochi di luci e fiori sullo sfondo, quando i suoi occhi si fermano su un Takao perfettamente a suo agio di fianco a quello che suppone sia un suo amico, le mani in tasca, abiti normali e una borsa a tracolla da tipico universitario.
Ma Midorima non legge shoujo manga, perciò si sente come se il Destino avesse deciso di combattere la noia rifilandogli davanti l’unica persona al mondo che vuole vedere meno di Hayama, la cui risata sguaiata mette a dura prova i suoi nervi; decide di ignorare ognuno dei presenti e tirare dritto.
Esistono almeno dieci modi di peggiorare la giornata, e nessuno di questi comprende un laboratorio perciò Shintarou decide che quella sarà la sua oasi felice, dovesse pure restarci fino a notte fonda.
È una convinzione che viene spazzata via con la forza di un uragano dalla voce del suo supervisore che saluta Takao e lo studente accanto a lui – Miyagi? Miyaji? Non ha afferrato bene – accennando a un “grazie per aver accettato di aiutarci con i programmi”.
Se non altro, poco dopo può chiudere la porta e lasciare Hayama, il suo sguardo eloquente e la risata divertita fuori.

Due ore e un caffè dopo, Shintarou deve ammettere che se non altro Takao è serio quando ha a che fare con i computer, e piuttosto utile: sono giorni che la loro raccolta dei dati è a un punto morto quasi quanto è deceduto il programma di cui si avvalgono per elaborarli una volta che vengono raccolti. Se metterli insieme è un processo che, seppur molto più lungo e non dei più divertenti, può essere fatto anche manualmente, lo stesso non può dirsi dell’elaborazione, considerando la grande precisione con cui questa deve essere fatta e che sarebbe impensabile affibbiare a una persona. Quelle due ore in cui Midorima si convince di aver piantato lo sguardo sulle cartelle delle analisi portate avanti per tutto il mese e sulle tabelle con i dati elaborati in quello precedente, con la coda dell’occhio ogni tanto scorge Takao lavorare senza battere ciglio e parlare solo di cose inerenti al lavoro che sta portando avanti. Ammette con se stesso di stupirsene, come fa anche quando la voce dell’altro dichiara – non senza un certo sollievo nel tono – di aver finito il proprio lavoro e che il computer è ora a posto e in grado di alleggerire di molto il loro carico.
Il giovane che è con lui, che nel frattempo grazie a un paio di richiami ha appurato chiamarsi Miyaji, dà una rapida occhiata al suo operato prima di decretare che sì, è tutto in regola ora. Lo fa con parole poco lusinghiere di chi non ci ha creduto davvero fino a lavoro concluso e con una pacca che fa tossire Takao, forse preso di sorpresa, ma l’addetto al laboratorio è così felice della buona notizia che probabilmente non noterebbe nemmeno se, per festeggiare, Miyaji lanciasse Takao giù dal terrazzo della loro università.
Quest’ultimo lamenta un dolore che non è davvero così forte e condanna con uno sguardo da cucciolo per nulla credibile Miyaji, dandogli del senpai crudele, e poi ride piano e si stiracchia portando le braccia verso l’alto; è in quel frangente che i suoi occhi inquadrano la figura di Midorima e lo colgono in flagrante, per quanto Shintarou abbassi repentinamente il proprio sguardo temendo che l’altro possa prendere quel breve contatto visivo come un incentivo a interagire.  
Capisce che è proprio ciò che sta per succedere quando sente il cigolio leggero della sedia accanto alla propria postazione, quel lieve rumore di quando qualcuno vi si siede nel silenzio del laboratorio; voltandosi di lato, la figura di Takao diviene impossibile da ignorare. L’altro gli sorride – Shintarou non se ne stupisce davvero, l’altro gli ha sorriso anche la prima volta senza farla sembrare un’espressione di circostanza – e accenna con il capo alla pila di cartelline piene di documenti che l’altro ha sistemato con fin troppa cura. Midorima segue il suo sguardo, vedendolo passare da quelle al monitor, soffermandosi su una matrioska. Lo vede aggrottare appena le sopracciglia, e già si aspetta la solita domanda che fanno tutti quando notano il suo oggetto fortunato del giorno (e quando questo è particolarmente strano, a loro dire); Takao, tuttavia, non vi accenna.
«Non avrei mai detto che tu facessi Medicina.» pronuncia una sorta di ammissione velata di un impaccio vago che Midorima fatica ad accostare al ragazzo tanto a suo agio di qualche sera prima «Voglio dire, Hayama-san non me lo aveva detto. E io non te l’ho chiesto.» aggiunge, quasi a scusarsene. Shintarou non lo dice, ma non lo ritiene necessario; avrebbe trovato fuori luogo il tentativo altrui di intavolare una conversazione decente a cena. Non ne comprende il motivo nemmeno ora, ma almeno ha addosso due ore di laboratorio, una cosa che lo rilassa, e non lo stress di quando subisce le conseguenze delle stupidaggini altrui. A quanto pare Takao interpreta il suo silenzio come possibilità di proseguire il discorso, più che come un tentativo di lasciarlo morire privandolo di una risposta.
«Takao Kazunari,» pronuncia contro ogni aspettativa di Midorima, sebbene in effetti quella presentazione gli faccia considerare il fatto di non aver nemmeno tentato di ricordare il nome completo dell’altro quando gli è stato detto la prima volta «dipartimento di Informatica, penultimo anno.» aggiunge con un sorriso affabile. Shintarou guarda la mano che l’altro ha allungato verso di lui e che rimane in attesa di essere stretta, ottimista; prima di concederglielo, si chiede per quale motivo la prima cosa pronunciata non sia stata una richiesta di tacere in merito al modo in cui si sono incontrati.
Non riesce a definire se la scelta altrui sia dettata dalla mancanza di pudore di fronte all’eventualità che Midorima possa dirlo in giro, o se dall’assoluta certezza – e non a torto – che lui si guarderà bene dall’andare a rendere noto al suo prossimo di aver cenato con un fidanzato in affitto.
Decide che non vale la pena analizzare troppo quelli che sono dettagli di poco interesse; gli stringe la mano, per educazione, e replica con un «Midorima Shintarou.» senza inflessioni particolari e senza aggiungere altro.
In fondo, dopo la stretta di mano è lo stesso Takao ad alzarsi, mettendo fine al loro scambio.


L’appartenenza a due diversi dipartimenti avrebbe dovuto già parlare per entrambi, in merito alla possibilità di incrociarsi, ma come se quello non fosse sufficiente nelle ultime due settimane il lavoro in laboratorio è aumentato abbastanza da non permettere a Midorima questa grande vita sociale o da concedergli numerose occasioni per rendere la stessa meno piatta. A lui sta bene così, mentre si destreggia tra un tirocinio che gli fa assaggiare la realtà di orari impossibili nei corridoi di un ospedale e la raccolta dati con cui dovrà dare forma alla sua tesi di laurea. Se le sue uniche frequentazioni nel mese che segue quel loro casuale e breve scambio di parole non sono unicamente la sua famiglia e i suoi colleghi, è perché Kise Ryouta ogni tanto ha abbastanza tempo libero da sentire il bisogno psicofisico di fare una sorta di vaga rimpatriata e lo costringe a partecipare; alla fine non è mai così male, eppure Midorima si impegna a farlo sembrare tale, benché sia abbastanza sicuro che nessuno dei vecchi amici che vi partecipa lo prenda più sul serio dalla prima liceo, a occhio e croce.
È così che una sera si ritrovano in un locale discreto e dal buon cibo, a parlare di cosa fanno nelle loro vite e di quali grandi sconvolgimenti ci sono stati dall’ultima rimpatriata un mese e mezzo prima. Quasi nessuno di loro ha molto da dire – si avvicinano ormai quasi tutti alla laurea, chi prima e chi dopo, chi in piena crisi per la tesi chi con la leggerezza dello stare appena iniziando a darle forma – ma le chiacchiere riempiono l’aria tanto da non obbligare Shintarou a parlare per ore ma dandogli l’opportunità di ascoltare e basta; d’altronde nemmeno Kuroko è mai stato l’anima della festa, ogni volta che Kise ha organizzato quelle rimpatriate. Ogni tanto, come quella sera, persino Akashi riesce a presenziare nonostante i suoi numerosi impegni e la lontananza, e Shintarou si sente più a suo agio perché Seijuurou è senza alcun dubbio la persona più simile a lui in quella combriccola che è e sempre sarà male assortita ai suoi occhi. È un essere a proprio agio molto complesso, considerando i loro trascorsi privati fatti addirittura di una sorta di relazione per la quale non c’è però mai stata una vera e propria dichiarazione, il che forse la dice lunga su quanto contorti e al tempo stesso semplici siano stati i loro rapporti.
Per fortuna la cosa non ha mai creato alcun tipo di problema, per incredibile che possa sembrare; così c’è un’intera serata, come altre prima di essa, fatta più di piccoli aneddoti che non di vere e proprie notizie importanti da condividere, e il tempo scivola via piacevolmente finché non è proprio Akashi a congedarsi per primo: lo aspetta una sveglia all’alba o quasi, l’indomani, e come se l’assenza di uno rendesse inutile proseguire con la serata quello diviene il momento in cui tutti si alzano, pagano la loro parte, e con qualche ultima battuta se ne vanno ognuno per la propria strada.
A volte, come questa sera, Midorima si ritrova a percorrere una parte del tragitto con Kise – sa bene che l’appartamento in cui l’altro ha vissuto fino a poco tempo prima non è in quella direzione, eppure nonostante le ultime tre volte che si sono visti la compagnia di Ryouta al ritorno sia stata una costante, Midorima non gli ha chiesto nulla. Hanno passato l’adolescenza insieme, eppure non sono mai stati così vicini da essere l’uno il confidente dell’altro; anche per questo Midorima si convince di non aver sentito bene quando, senza alcun preavviso, Kise pronuncia un: «Convivo con Yukio.»
Convivo” ha un peso del tutto diverso dal “condivido l’appartamento con”, perché sottintende una relazione fin troppo facile da afferrare. Shintarou in un primo momento non è sicuro di volersi accertare di aver compreso bene, ma si ritrova a portare con discrezione lo sguardo su Ryouta: al suo fianco, Kise ha gli occhi puntati davanti a sé e l’espressione placida. Se proprio, sembra più rilassato nel modo in cui lascia le spalle libere, meno rigide. Midorima non sa cosa l’altro si aspetta, se abbia messo in conto una risposta di qualche tipo o il totale silenzio, l’accettazione o una reazione brusca. Forse anche per questo prende tempo portando una mano a sistemare gli occhiali, un gesto così tipico della sua persona che sente uno sbuffo divertito al proprio fianco.
«Midorimacchi, sei davvero uno tutto d’un pezzo, tu.» osserva divertito, ma ne sembra anche sollevato. Shintarou non crede di aver mai imparato a comprendere appieno Kise – né di averci provato davvero, in effetti – e quindi tanto adesso, quanto in passato, non ha mai saputo distinguere un sorriso completamente sincero da uno di circostanza. Ryouta è bravo a nascondere quel che non vuole mostrare, dopotutto. D’altra parte non è difficile capire cosa l’altro gli stia davvero dicendo, ed è inaspettato, perché Midorima non avrebbe mai immaginato sarebbe arrivato il giorno in cui Kise gli avrebbe confidato una cosa così importante, un cambiamento tanto significativo nella sua vita: si conoscono da cinque anni e, se avesse dovuto scommettere, Shintarou avrebbe azzardato a nominare Kuroko, Momoi. Aomine, forse. Ma non avrebbe mai pensato che Kise gli avrebbe detto di aver fatto il grande passo andando a convivere con il proprio compagno.
«Provo pena per Kasamatsu-san.» pronuncia infine, qualcosa che porta Kise a esprimersi in un verso lamentoso che in qualche modo sa di normalità, di abitudine, non di un’improbabile confessione da adulti; aiuta Shintarou ad affrontare la cosa con una calma non disinteressata, ma pur sempre calma. Non dura molto, purtroppo, ma quello non dipende da Kise: si fermano al semaforo rosso per i pedoni e Midorima lascia vagare lo sguardo, le parole di Ryouta su quanto lui sia ingiusto che suonano come un rumore di sottofondo – tutto sommato piacevole, sebbene se ne guardi dal dirglielo – quando i suoi occhi inquadrano una figura conosciuta. È troppo tardi quando, a semaforo verde scattato, si rende conto che sarebbe preferibile cambiare direzione trascinando Kise con sé; quando il pensiero si forma nella sua testa, gli occhi chiari di Takao Kazunari lo hanno già notato e la sua espressione non lascia dubbi sulle sue intenzioni, specialmente quando un sorriso leggero si forma sulle sue labbra.
Contrariamente a quanto si aspetta, Takao gli rivolge un cenno con la mano molto discreto, tanto che l’uomo che lo accompagna non lo nota e non si volta in direzione di Shintarou; lui di contro rimane lì, fermo sul marciapiede, e ci vogliono il richiamo di Kise e una pacca leggera sulla spalla per farlo uscire da quel vago stato di trance cosicché riprenda ad avanzare.
Si accorge di non aver badato a buona parte di quanto Ryouta ha detto per riempire il silenzio nel tragitto fatto insieme quando, in stazione, si salutano per accedere a due binari diversi e si sente quasi in colpa quando il congedo dell’altro è un sorriso caldo – a dispetto del freddo che gli sta mangiando anche le ossa – e un: «Grazie. È bello averlo detto a qualcuno.» e Shintarou non ha davvero bisogno di chiedere a cosa si riferisca, perché per quanto possa essersi distratto non è uno sciocco e lo immagina senza difficoltà.
Quando Ryouta sparisce oltre le scale che lo portano al sottopassaggio tramite cui arriverà al proprio binario, Midorima si concede di puntare lo sguardo su una porzione imprecisata delle rotaie vuote, in attesa di un treno che arriverà a minuti e con il pensiero a un saluto fugace.
Si rende conto che la sensazione indefinibile che prova all’altezza dello stomaco è la presa di coscienza che non si sia trattato di uno sciocco scherzo da parte di Hayama: Takao Kazunari si finge il fidanzato di chiunque richieda i suoi servizi pagando.
Non ha idea del perché, nonostante tutto, suoni così irreale.

 

Midorima non si aspetta di vedere di nuovo Takao varcare la soglia del laboratorio, ma è ciò che succede. È passato quasi un mese dall’incontro casuale per strada, settimane in cui lo ha intravisto a mensa o di sfuggita per i corridoi, occasioni in cui non lo ha mai fermato – perché avrebbe dovuto? – e all’improvviso l’altro è di nuovo lì. Shintarou non sa come dovrebbe sentirsi in merito. Non sa se considerarsi protagonista di una serie di sfortunati eventi, o oggetto di derisione del conduttore dell’Oha-Asa che quella mattina ha esclamato pieno di entusiasmo come il segno di Midorima fosse al secondo posto e che gli incontri avrebbero portato pepe alla sua vita. Non è nemmeno sicuro di aver processato completamente il fatto che Takao in un certo qual modo si svenda, sebbene non abbia idea di cosa faccia di preciso, se con tutti i suoi clienti si limiti a una cena, due chiacchiere e un passeggiata o— non gli interessa nemmeno saperlo, in verità, se lo ripete ogni volta che si riscopre a pensarci. Forse, si è detto, è perché non ha mai pensato che qualcuno potesse fingersi il fidanzato di qualcun altro per soldi. O magari è perché, a vederlo, Takao non sembrerebbe tipo da farlo.
In fondo, ha decretato alla fine contro un insoddisfatto se stesso, non lo riguarda.
Per questo quando Takao gli si rivolge con un sorriso, porgendogli la mano e pronunciando un: «Mi affido a te, senpai!» che sembra divertirlo moltissimo, Midorima alza lo sguardo sul suo viso e con ogni probabilità non ha nemmeno un’aria troppo intelligente quando lo fa. Gli stringe la mano riluttante, e lo fa per il tempo appena necessario a non risultare scortese; apprende solo in un secondo momento, dal dottorando che lavora in laboratorio con lui, che sia Takao sia un altro ragazzo verranno a turno a dargli una mano per il progetto di cui si sono appena fatti carico, che è toccato a loro dal momento che sono tra i più bravi del proprio corso di informatica e non hanno la tesi a incombere su di loro come invece fa su Shintarou. Vorrebbe concentrarsi su un qualche senso di sollievo all’idea di non doversi occupare più da solo di cartelle su cartelle di dati, invece si ritrova come prima considerazione di aver avuto per una sera un fidanzato in affitto e persino più giovane.
Si sente in fondo alla catena alimentare metaforica della società.
Porta una mano al volto per massaggiarsi le tempie e alla fine decide di togliersi direttamente gli occhiali e dare tregua tanto alla sua vista quanto al principio di emicrania che sente in agguato. Si prende qualche momento per sé, per quanto dubiti che qualche secondo risolverà il suo stato da uomo stressato nemmeno avesse il doppio dell’età effettiva che ha, ma vuole credere che la graduatoria dell’Oha-asa valga qualcosa.
Quando apre di nuovo gli occhi, cercando la forma sfocata dei propri occhiali poggiati sul tavolo poco prima, non li trova; poiché la sua vista non è ancora calata così tanto da renderlo del tutto cieco, registra che qualcosa non va proprio mentre la voce di Takao esclama un sorpreso: «Wow, sono belli forti, eh?»
Shintarou non fa in tempo a intimargli di restituirli che le stecche si stanno posando sulle sue orecchie e lui torna a vedere il mondo – che, ironicamente, per qualche istante è nient’altro che il volto di Takao che gli sorride divertito. Non sa bene come approcciarlo, in verità; non sa nemmeno se vuole farlo, e dunque tace in un primo momento. Non fosse che è impensabile lavorare insieme e pensare di non scambiarsi nemmeno due parole...
«Hai mai raccolto dati per un progetto di medicina?» rompe il ghiaccio così, anche se parlare di lavoro forse non è proprio il modo migliore. Almeno non lo sta ignorando. L’altro si è seduto alla postazione accanto alla sua e pigia il tasto di accensione del computer, tornando poi a voltarsi con il busto verso di lui, il sorriso furbo a incurvargli le labbra: «Di medicina no, ma sono bravo a raccogliere i dati, non c’è davvero niente di cui preoccuparsi.» assicura, ma Midorima non vede in base a cosa dovrebbe credergli «Sarà meglio. Non rimarrò ore in più se sbagli a fare dei calcoli.» commenta, poco simpatico in effetti – e poco sincero, perché non lascerebbe mai l’addetto al laboratorio nei guai né un lavoro a metà – ma è fiducioso che la cosa renda l’idea di quanto poco apprezzi i perditempo. Takao fischia, come quando si ammira qualcosa (o qualcuno) per la strada e si sente il bisogno di commentare in un modo che Shintarou ha sempre trovato molto poco elegante se rivolto a una persona; l’altro ridacchia e lui un po’ lo odia, quasi quanto maledice il proprio cervello per ricordargli di come stesse ridendo anche quando lo ha incrociato per strada andando verso la stazione con Kise.
Ne sta facendo una questione nazionale, quando davvero non ha tempo nemmeno per un pranzo decente, figurarsi per distrarsi con gli affari degli altri.
«Severo, eh? Scommetto che sei il tipo di persona noiosissima che non ha nemmeno un nomignolo amichevole.» dice l’altro, e Midorima per un attimo è sul punto di fargli presente come suo malgrado di nomignoli ne abbia anche troppi nella sua vita, ma poi ricorda che non c’è nulla di dignitoso in “Midorin”, “Mido-chin” e soprattutto “Midorimacchi”. E niente di cui vantarsi.
«Perderesti una cospicua somma di denaro, invece.» si limita a commentare, perché in fondo Takao non gli ha chiesto di quali nomignoli si trattass—
«Davvero?! E quali—»
«No.» tronca la domanda sul nascere, puntando gli occhi verdi su di lui mentre il medio della mano destra tira su gli occhiali e li sistema sul naso: «Non ho intenzione di dirteli.» decreta, ed è tutto ciò che dice al di fuori di un “quello va in questa cartella” o “salva e inoltralo all’indirizzo sul post-it” per le due ore successive.

Deve dare atto a Takao di essere davvero bravo in quello che fa come aveva sostenuto, e molto meno fastidioso di quanto avesse immaginato, se esclude il fatto che grazie a lui ora può annoverare anche “Shin-chan” tra le cose di cui avrebbe fatto volentieri a meno nella vita. Per sua disgrazia anche i colleghi universitari che li hanno incrociati nei corridoi si sono abituati a sentirlo chiamare così dall’altro – questo perché Takao ha insistito fin dal primo giorno per mangiare insieme a pranzo, senza saltarlo nemmeno una volta a dispetto della mole di lavoro. In laboratorio i suoi turni sono nei giorni dispari, anche se qualche volta passa comunque anche in quelli pari a portare il caffè a chi si trova tra fogli e fogli di dati. Non si trattiene mai troppo a lungo però, Midorima immagina che sia per impegni di lavoro, gli stessi che lo costringono ad andarsene tassativamente alle sei del pomeriggio anche nei giorni in cui è di turno.
Benché all’inizio non ne fosse molto entusiasta, Shintarou ammette almeno con se stesso che alla sua salute giovano i pranzi regolari in mensa piuttosto che i pochi e saltuari con bentou precotti o un panino. Mangiare in compagnia non è nemmeno così male, per quanto Takao sia – ma non si aspettava nulla di diverso, in realtà – una persona del tutto opposta a lui; a volte capita che sia Kazunari ad andare a prendere da bere per entrambi al distributore automatico che sta nell’atrio dell’università, e Midorima lo anticipa dal momento che mangiano sempre nello stesso posto e preferibilmente allo stesso tavolo della mensa, in fondo alla sala e appena sulla sinistra rispetto a quelli centrali. Da lì Midorima riesce a vedere bene la porta d’ingresso, quindi non è difficile notare Takao quando questi fa il suo ingresso ed è in quel momento che nota come l’altro sia sempre circondato da altre persone: a volte forse sono compagni di corso, altre alcune ragazze e Shintarou non ha idea se la facoltà di Informatica sia poi molto frequentata dal genere femminile ma cerca di limitare le sue osservazioni al fatto che Kazunari sia ciò che lui definisce un animale sociale, un po’ come lo è sempre stato Kise ai tempi del liceo. Midorima non è bravo con i tipi così: preferisce quelli più discreti, controllati – non è un caso se ai tempi la persona con cui ha più legato è stata Akashi, dopotutto – perché li gestisce meglio, perché è meno incapace di comprenderli e adattarsi a loro, perché non si deve aspettare sorprese. Deve riconoscere a Takao di essere meno peggio di quanto credesse, però: in due settimane di conteggi in laboratorio ha dimostrato di essere serio nel lavoro che svolge, poco incline agli errori o alle distrazioni. Ha notato che si prefigge un obiettivo entro un orario stabilito per concedersi una pausa e non sfora mai; non sa se si tratti di un modo per motivarsi così da distribuire meglio i propri compiti durante la giornata o meno, ma Midorima si è ritrovato ad adattarsi al suo ritmo prima di rendersene conto, così che spesso vanno in pausa insieme e si prendono cinque minuti per chiacchiere di poco conto. Beh, quantomeno Takao chiacchiera, lui di solito ascolta, ma la cosa non sembra pesare a nessuno dei due perciò Shintarou non si sforza di parlare chissà quanto se non ha cose interessanti da dire. Una cosa che lo disturba, invece, gli è stata fatta notare dall’addetto al laboratorio e non importa che lui continui a negarla, perché sa di negare l’evidenza in fondo – si è accorto di come a volte lui e Takao si muovano in maniera quasi complementare, come se non avessero fatto altro che lavorare fianco a fianco per anni, quando invece sono solo una manciata di giorni. Shintarou non è “abituato ad abituarsi”, a rendere accessibile il proprio spazio vitale così in fretta, a muoversi come se la presenza di un’altra persona fosse naturale lì accanto a lui.
Questa cosa lo disturba così tanto, che—
«Shin-chan!» è la voce di Takao a scuoterlo dal torpore in cui è scivolato, complice il riscaldamento nella mensa che fa dimenticare come fuori il freddo penetri nelle ossa anche con addosso un cappotto pesante. Alza lo sguardo su di lui, mascherando la perplessità, perché intuisce dal tono usato dall’altro che non è la prima volta che lo chiama e forse gli ha anche detto qualcosa che Shintarou non ha per niente colto. Lo osserva fare uno sbuffo leggero e poi aprirsi in un sorriso, l’espressione che sembra quasi dire “oh beh, c’è poco da fare” mentre posa il vassoio con il proprio pranzo sul tavolo e si siede di fronte a lui.
«Sei impegnato stasera, Shin-chan?» domanda e per un fugace istante Midorima quasi teme che l’altro gli proponga di affittarlo di nuovo come fidanzato – poi rinsavisce, perché non avrebbe molto senso.
«No.» azzarda, il cucchiaio che va a prendere una prima, generosa porzione di curry.
Non lo porta alle labbra, il movimento della sua mano si ferma prima quando Takao esclama allegro che «Beh ora sì, siamo stati invitati.»
«Invitati dove.»
«A un goukon
Come prima cosa dovrebbe esprimersi in un lapidario rifiuto senza alcuna possibilità di appello. Purtroppo sceglie la via sbagliata.
«E il lavoro?»
«Giorno libero. Daaaai, Shin-chan un po’ di vita! E poi non puoi lasciarmi andare da solo.» lo dice come se fosse ovvio, come se loro fossero una di quelle coppie di amici che vanno ovunque sempre insieme e se Shintarou ha poche certezze nella sua vita, una di queste è che non sia il loro caso.
«Certo che posso.» commenta prendendo finalmente il primo boccone.
Nelle ultime due settimane, ossia da quando Takao è in laboratorio a lavorare con lui, c’è una cosa che Shintarou ha iniziato a odiare con tutto il cuore senza sapere come fare per tornare a com’era prima: l’ascendente di Takao sulla sua persona che gli rende impossibile negargli qualcosa per più di due ore di fila.
Maledizione.


Shintarou non reagisce bene a inviti di persone sconosciute per serate con altri sconosciuti, soprattutto se questo implica stare seduto a un tavolo pieno di chiacchiere con il savoir faire di Takao, un suo compagno di corso che sembra più incline a conversare con il tavolo che non con la ragazza seduta di fronte a lui e con uno che invece è così fuori luogo che a Midorima riporta alla mente l’immagine fin troppo vivida e plausibile di un Aomine che si infila un dito nel naso con fare irrispettoso – il fatto che ci sia del cibo fumante davanti a loro non la rende proprio la cosa migliore da figurare in quel momento, ma succede. Non lo aiuta nemmeno il fatto che una delle ragazze presenti al goukon abbia una voce particolarmente acuta difficile definire piacevole all’ascolto, e non ultimo Midorima viene da una settimana ininterrotta di lavoro in laboratorio perché sono vicini alla fine e ha voluto provare ad accelerare i tempi. Perciò no, non gli interessa se quella è l’occasione perfetta per il “curriculum della vita”, come lo definisce Hayama: vorrebbe essere ovunque tranne che lì, costretto a un educato contegno solo perché non è il tipo da alzarsi e lasciare persone che lo hanno invitato e alle quali ha più o meno detto di sì.
Questo è ciò che pensa almeno finché non viene proposto a gran voce il karaoke: una cena è vivibile, domande un po’ troppo personali con l’intento di conoscersi meglio – dove “meglio” suona un po’ troppo come “abbastanza da proseguire la serata o avere altri appuntamenti da soli dopo questo” – è sopportabile e in qualche modo gestibile; chiudersi in una saletta per ascoltare gente che a malapena conosce cantare prima e urlare poi quando avranno bevuto qualcosa di troppo è un no categorico.
Non si aspetta che Takao lo anticipi nel rifiutare.
«A dire il vero, domani mi aspetta un’alzataccia.» ammette con un sorriso accennato e il fare dispiaciuto «Quindi il karaoke è un po’…» lascia cadere la frase, e Midorima capisce o meglio si accorge che non c’è niente di casuale in quel modo di fare. Non sono i modi studiati di chi mente, ma più di chi è abituato a compiacere a parole e nel modo di porsi prima ancora che in altri modi su cui preferisce non soffermarsi e che non ha ancora capito se sono compresi o meno nel lavoro dell’altro. La ragazza con un interesse nemmeno troppo velato per Takao gli sembra dispiaciuta, e razionalmente Shintarou suppone di non poterla biasimare: il suo kohai agli occhi degli altri deve sembrare un tipo gradito alla popolazione femminile. Midorima gli riconosce di essere gentile (quando è sopportabile) e con un buon senso dell’umorismo (quando non è molesto); non si può negare che sia di bell’aspetto— insomma, non sta a lui giudicare ma può capire.
«Possiamo andare al karaoke più tardi» è la proposta di uno dei due ragazzi rimanenti «e andare a bere qualcosa insieme, ora. Siamo tutti maggiorenni, giusto?» butta lì.
Per una manciata di secondi Midorima si sente come quando, ai tempi del liceo, faceva una mossa che gli dava la sensazione potesse finalmente vincere una partita a shogi contro Akashi; qualche momento dopo, tuttavia, si ritrova combattuto nella reazione da mostrare: se la sorpresa nell’apprendere che due delle ragazze presenti non lo sono – ma si dicono ugualmente d’accordo, purché si vada dove è possibile ordinare qualcosa di analcolico – o l’incredulità nello scoprire che Takao invece lo è.
La seconda vince su tutti i fronti.
«…Sei maggiorenne.» lo dice come se non ci credesse e si sentisse quasi offeso all’idea che Takao cerchi di fregarlo su una cosa simile, ma l’espressione che l’altro gli rivolge gli fa capire che era sicuro Midorima lo avesse già capito. E come avrebbe potuto, si dice Shintarou, quando tutto gli ha suggerito che così non fosse, compreso lo stesso Takao che finché non ha trovato quello sciocco nomignolo lo ha chiamato “senpai”?
«Certo che sono maggiorenne, Shin-chan. Abbiamo la stessa età.» gli fa presente ridacchiando; Midorima si dice che sì, magari il suo lavoro lo avrebbe dovuto suggerire, ma considerando quanto lui trovi strano avere come impiego fingersi il fidanzato della gente ammette che potrebbe aver pensato non fosse proprio tutto in regola. Forse gli si legge in faccia come sia intenzionato a fargli presente che ogni cosa detta in ambito universitario gli ha impedito di farsi un’idea precisa, perché Takao lo anticipa: «Ho solo iniziato l’università un anno dopo rispetto a chi si è diplomato insieme a me.» e ci aggiunge un occhiolino complice.
«Beh, allora siete dei nostri?» li incalza il ragazzo che ha avanzato la proposta e Takao per un attimo cerca il suo sguardo, come a chiedere conferma; è quello il momento in cui Shintarou prende coscienza del fatto che probabilmente l’altro non ha nulla da fare ma debba aver supposto – non a torto – che invece a lui toccherà svegliarsi presto il giorno dopo, e abbia sviato l’opzione karaoke per quello. Sospira appena, rassegnato e annuendo, muovendosi per seguire chi decide di fare strada. Sente una stretta leggera allo stomaco ma la ignora volutamente.
«Non preoccuparti, Shin-chan,» Takao richiama la sua attenzione, accostandosi in modo da potergli parlare con discrezione «non ti farò fare nottata in un karaoke, o domani nemmeno il mio caffè del dopo pranzo ti salverà.» confabula divertito, per poi rispondere a una delle ragazze che gli chiede se non abbia evitato il karaoke perché stonato. Mentre Takao tesse le proprie lodi canore, Shintarou borbotta qualcosa sull’inutilità di prendere certe iniziative per proprio conto e dargli aiuto non richiesto – ma nonostante quello gli è grato, e sente una punta di imbarazzo che lo fa sentire accaldato.
È un calore piacevole però, sicuramente più di quello che sente addosso due ore dopo mentre supporta Takao: glielo hanno affidato perché entrambi dovevano andare via prima, così come le due ragazze che hanno bevuto analcolici, con la differenza che loro erano molto più vicine a casa di quanto lo fossero tanto Takao quanto Shintarou. Ha scoperto per caso che prendono lo stesso treno, pur scendendo a due fermate diverse, ed è felice che almeno quello ci fosse ancora perché non avrebbe retto un intero tragitto a piedi, senza contare che non avrebbe avuto la minima idea di come tornare a casa propria.
Fortunatamente non è così tardi, mentre sale le scale del condominio dove vive Takao, un suo braccio attorno alle proprie spalle e gli occhi incollati sui gradini per essere sicuro che stia mettendo i piedi bene uno davanti all’altro. Kazunari sta raccontando qualcosa di cui Shintarou ha perso il filo quasi subito, troppo occupato a fare attenzione per entrambi, e una volta che sono davanti alla porta che Takao gli indica, Midorima deve concentrare tutta la propria attenzione nel recupero delle chiavi nella tracolla altrui e tira un sospiro di sollievo solo quando riesce ad aprire e a varcare la soglia.
L’appartamento di Takao è piccolo, un monolocale, il classico alloggio di un universitario. Perciò all’altro non ci vuole granché per arrivare all’unica stanza su cui dà il brevissimo corridoio che collega l’esterno al resto; Midorima lo vede poggiarsi alla parete e scivolare lungo di essa fino a sedersi a terra e sospira, liberandosi delle scarpe e richiudendo la porta alle proprie spalle prima di voltandosi e inquadrare senza difficoltà l’armadio dentro il quale deve trovarsi il futon. Lascia scorrere l’anta, lo tira fuori e poi la richiude un po’ alla cieca, poggiando il materasso a terra.
«Shin-chan» lo chiama Takao, il tono divertito «aiutami ad alzarmi.» pronuncia, allungando entrambe le mani verso di lui. Midorima potrebbe iniziare una ramanzina che durerebbe da lì all’eternità ma suppone sarebbe inutile, rivolta a una persona ubriaca, per cui si limita a coprire la distanza tra loro in pochi passi e a prendere l’altro per i polsi, facendo forza e tirandolo su. Takao non si abbandona a peso morto, anzi collabora riuscendo a mettersi in piedi, ma ridacchia mentre le sue mani si tengono agli avambracci di Shintarou, cercando di stare in equilibrio.
«Le persone che non reggono gli alcolici non dovrebbero ubriacarsi.» lo ammonisce, ma c’è più rassegnazione che rimprovero nella sua voce. Takao riesce a tenersi con una mano sola in modo da portare l’altra a picchiettare contro la fronte altrui, stupendo Midorima: «Andiamo, Shin-chan» lo blandisce «non sono ubriaco.»
«Lo dicono tutte le persone preda di una sbornia.»
«Ehi» lo rimprovera divertito, tornando a tenersi con tutte e due le mani «sono solo brillo.» lo corregge con un sorriso furbo. Shintarou sospira – davvero, non sente affatto di essere suo coetaneo in questo momento.
«E non è la stessa cosa?»
«Assolutamente no. Altrimenti mi avresti portato in spalla— quando sono ubriaco non riesco a stare sveglio.» rivela «Ma a volte fingo di essere brillo, come ora.» confessa. Midorima si chiede in quante occasioni l’altro abbia potuto provare che da ubriaco tende a crollare addormentato, ma poi scaccia quel pensiero dalla mente perché riesce ad accostarlo solo a un ambito lavorativo, e la cosa lo irrita, non sa perché. Il che lo innervosisce ancora di più. Lo guida perché possa sedersi di nuovo dandogli il tempo di stendere il futon e poi lo aiuterebbe di nuovo, se Takao non si spostasse per conto suo gattonando ed esibendosi in un orgogliosissimo «Oh!» quando ci si siede sopra.
«Shin-chan
«Mh
«Aiutami.» pronuncia allungando le braccia verso di lui; in un primo momento Midorima non capisce – dovrebbe alzarlo di nuovo in piedi? Deve andare in bagno? – ma Takao rende il tutto più chiaro con un «Tira le maniche, Shin-chan
Midorima sospira. Lui voleva fare il medico, non la bambinaia.
«Perché dovresti fingere?» domanda, mentre lo aiuta a sfilare le maniche del giacchetto, la sciarpa messa alla meno peggio intorno al collo prima di guidarlo fuori dal locale in cui erano, e iniziando a guidare i suoi movimenti per liberarsi anche della felpa. Abbandona l’idea delle maniche visto che Takao è poco collaborativo, e scende con le mani all’altezza della sua vita con l’intento di sfilare insieme felpa e maglietta che si trova sotto.
«Cosa?»
«Di essere brillo. Perché fingi?»
«A volte i clienti non mi piacciono.» ammette, e Shintarou non sa se abbia calcolato il tempo in cui sfilandogli gli abiti avrebbero interrotto il contatto visivo, ma in ogni caso il risultato è proprio quello; una sensazione spiacevole gli si annida nello stomaco. Non ci ha mai pensato prima, ma forse Takao lo fa contro la sua volontà? Non lo sa, ma deve avere un’espressione strana o buffa visto il verso divertito che sfugge fra le labbra dell’altro. Lo vede rabbrividire e questo lo porta a voltarsi per cercare dove possa tenere il pigiama o qualcosa di pulito. Takao lo intuisce in qualche modo, e glielo indica – Shintarou è felice di potergli dare le spalle.
«Non è che facciano nulla di male. È nel mio contratto, non possono, però a volte sono persone noiose. O per nulla simpatiche. All’inizio lo sembravi anche tu.» ammette e ride quando Midorima gli lancia una maglietta pulita che ha recuperato: «Ma tu eri solo teso e infastidito. A volte sono più… scocciati? O proprio degli stronzi. Ogni tanto capita.» ammette e Shintarou sente il suo sguardo sulla propria nuca; guadagna qualche altro istante cercando per lui dei pantaloni e poi richiude l’anta una seconda volta e si gira. Takao lo sta guardando, ancora senza maglietta, le braccia di nuovo stese in avanti.
Rilassa le spalle, arrendendosi e inginocchiandosi davanti a lui per poterlo aiutare a indossarla, solo che Takao si muove ancora più in avanti e le braccia cingono le spalle di Midorima; c’è una sorpresa palese e genuina sul suo volto, gli occhi verdi appena più sgranati e le labbra schiuse in procinto di chiedere qualcosa.
«Io non vado a letto con i clienti.» pronuncia Takao, vicino ma ancora non così tanto da farlo sentire a disagio. Semmai il vero problema è la capriola che ha fatto il suo stomaco e il calore che avverte di botto all’altezza del collo e in rapida risalita verso il resto del viso. Midorima tiene al suo spazio vitale, eppure è come se il suo cervello non recepisse ancora quella scarsa distanza come pericolosa o fastidiosa.
Takao gli sorride, gli occhi grigi puntati nei suoi: «Non è il mio lavoro. Non lo farei, un lavoro così. E non mi interessava del goukon, stasera, ma se ti avessi chiesto di uscire lo avresti fatto? Beh, in effetti dovevo anche un favore a uno dei ragazzi che era lì— Shin-chan, ti ho mai detto che quando sono brillo chiacchiero davvero un sacco?» dice divertito, e Midorima vorrebbe dirgli che straparla sempre (rispetto a lui) e che comunque è piuttosto palese visto che lo sta facendo proprio adesso, ma si ritrova concentrato sul dettaglio del tutto inutile delle sue mani che sudano e indugiano senza sapere cosa fare. Nello stesso momento avverte le dita di Takao sfiorargli la base del collo e risalire piano fino a solleticargli l’attaccatura dei capelli.
«Ci parlo. Ci vado a cena. Li accompagno a fare shopping, oppure al cinema, o al parco— non li bacio, Shin-chan. Mai.»
Quell’ultima parola è un mormorio che si perde sulla sua bocca, quella di Takao premuta contro la propria. Le sue labbra sono morbide, nonostante senta anche che sono leggermente screpolate. Il bacio che gli sta dando non ha la foga di quando si è incoscienti e schiavi degli alcolici, o mossi dalla troppa eccitazione. È calmo, come se non facessero altro, come se tra loro l’intimità fosse tale che quello diventa un gesto per mostrarsi solo quanto tengono l’uno all’altro, e non per accendere il desiderio. C’è un lasso di tempo breve e lungo al tempo stesso, in cui Midorima si sente rigido, immobile, incapace di pensare e vittima di troppi istinti che cozzano l’uno contro l’altro annullandosi a vicenda: il più forte gli grida dietro di allontanarlo e senza nemmeno troppi riguardi, ma poi c’è una vocina flebile impegnata a sussurrargli che non è così male, non è un peccato mortale lasciarsi andare, magari Takao è solo— magari domani—
Non lo sa cosa succederà domani, ma riesce finalmente a chiudere gli occhi e a rilassarsi appena; d’istinto schiude le labbra per lasciar andare un sospiro e l’agitazione con esso, ma quello comporta sentire la punta della lingua di Takao disegnare le sue labbra quasi fosse un gioco e un modo divertente di prenderlo in giro senza dove parlare. Midorima mugugna qualcosa che potrebbe diventare una lamentela o un rimprovero se le dita di Takao non si insinuassero fra i suoi capelli e la lingua non si intrufolasse nella sua bocca, sfiorando la sua con intenzioni precise.
Shintarou ha già baciato, in quel modo, o forse dovrebbe dire che è stato baciato ma la sensazione in questo caso è del tutto diversa mentre le proprie mani si posano incerte sui fianchi di Takao e poi lo stringono appena, senza sapere se voglia davvero premere il suo corpo contro il proprio o no.
Teme quello che sta succedendo, ma è piacevole e la bocca di Takao è calda e il mugolio che gli sente riversare nel bacio è— perché Takao lo sta baciando?
Non lo sa, perché dopo un tempo che sembra essersi dilatato all’infinito pur senza essere durato più di un minuto lui è fuori dall’appartamento dell’altro e cammina a passo spedito, incurante del cappotto aperto che rimpiangerà quando si sentirà congelare.
Al momento però pensa solo che vorrebbe urlare al proprio corpo di smettere di bruciare, di fare come se lo avesse strappato alla propria metà.
Maledizione.


Nella maggior parte delle cose che fa, Shintarou è perfettamente in grado di capire se siano sensate o meno, se porteranno qualcosa di buono in futuro o no; non lo considera tanto un essere calcolatore nei confronti delle cose o delle persone, quanto più una capacità di analisi che gli ha (quasi) sempre impedito di fare sciocchezze che avessero conseguenze catastrofiche. Ora come ora, gli occhi verdi fermi sulla figura di fronte a sé e soprattutto sull’espressione a dir poco allucinata che ha gli suggeriscono quanto, forse, la sua decisione di chiedere a un esperto in materia – dove per “esperto” lui intendeva più che altro qualcuno con un’esperienza simile – non sia stata delle più brillanti di questi mesi. A sua discolpa, suggerisce una fastidiosa voce nella sua testa, nell’ultimo periodo non fa niente di molto intelligente, a quanto pare.
Kise lo sta guardando come se lo vedesse per la prima volta, e non si tratta del posare gli occhi su una figura sconosciuta che abbaglia chi osserva, quanto più alla faccia che Kise ha fatto una volta al liceo quando gli hanno messo di fronte dei vermi; forse è solo meno schifata, ma ogni cellula del suo corpo sembra urlare che non crede a quel che ha appena sentito. Shintarou ne è abbastanza irritato, a dire la verità, forse perché si aspettava un po’ più di… beh, qualcosa.
«Fammi capire, Midorimacchi,» tenta di dare un ordine a quanto gli è stato appena riferito, e l’incredulità gliela si legge negli occhi «tu hai conosciuto questo…»
«Takao.»
«Takao-kun, sì, perché Hayama-san—»
«Sì, vai oltre.»
«E lui è alla tua università, avete lavorato insieme e poi è successo che a questo goukon ti ha—»
«Devi proprio riassumermi tutta la storia?» taglia corto Midorima, fissandolo seccato. È già tutto molto imbarazzante senza bisogno di sentire cose che sa già perché le ha vissute. Kise sembra indeciso tra l’imbronciarsi per essere stato interrotto di nuovo o il sorridere per qualcosa che di certo sta travisando per colpa di quella vena un po’ shoujo manga che probabilmente deve alle sue due sorelle – pessime influenze, non c’è dubbio. Alla fine l’altro sospira e scuote appena la testa, per poi studiarlo qualche istante con gli occhi castani senza quasi battere ciglio. Infine decide di occupare il silenzio prima prendendo la bustina di zucchero e vuotandola nella propria tazza di caffè, poi aggiungendo un poco di latte dal piccolo bricco messo a disposizione dal bar in cui sono e infine iniziando a girare il tutto con il cucchiaino; questo tintinna contro il bordo della tazzina e Ryouta alza lo sguardo su di lui, quando decide di parlare: «È tutto ok?» chiede, e Midorima comprende alla perfezione quali altre domande si nascondano dietro le poche parole pronunciate dall’altro. Si tratta di una sequenza fatta di “sei turbato dall’essere stato baciato da un ragazzo?”, “Sei confuso perché non stai soltanto rinnegando l’accaduto?”, “Ti senti a disagio perché ne stai parlando con me?” a cui Kise non dà voce per una sorta di personale delicatezza.
Shintarou vorrebbe dirgli che sì, è turbato per il bacio ma non per la persona, che è confuso perché lui e le relazioni interpersonali non implicano mai un tale grado di intimità e che sì, è molto a disagio perché per tre anni di liceo Kise non è mai stato l’amico con cui confidarsi e non avrebbe mai voluto iniziare ora; perché è troppo riservato, Shintarou, abituato al fare dei propri segreti e delle proprie vicissitudini qualcosa su cui nessuno può o riesce a posare lo sguardo, a mettere bocca. Dare quell’opportunità di sua sponte lo destabilizza e al tempo stesso sa che non potrebbe essere nessun altro oltre Kise: se con Ryouta deve solo spiegare di essere meno stitico dal punto di vista sentimentale di quanto chiunque lo conosca possa pensare, avere un altro al suo posto significherebbe dare spiegazioni sull’aspetto omosessuale della sua vita e no, Shintarou quello non ha intenzione di farlo né ora né mai.
Alla fine non gli dice niente di ciò che gli passa per la testa, ma qualcosa che può riassumere tutto; non si preoccupa di quanto somigli allo sganciare una bomba senza preavviso: «Non è stata la prima volta.»
Kise ferma la mano con cui sta girando il cucchiaino e alza lo sguardo con una lentezza quasi studiata, ma che in realtà è più tipica di chi fa fatica a collegare quello che ha appena sentito a un concetto più preciso nella propria testa, un po’ come quando non si è fluenti in una lingua e si afferrano solo pezzi del discorso che si cerca di far combaciare alla meno peggio.
«Ti aveva già baciato?» tenta, il tono incerto.
«Non lui.»
«Ah—oh.»
Già. Oh. Vorrebbe scappare come ha fatto dall’appartamento di Takao, ma per sua sfortuna Kise sarebbe capace di seguirlo o di tartassarlo di e-mail fino a prenderlo per esasperazione. Inutile fare la fatica di correre.
«E com’è andata?»
Midorima ricambia il suo sguardo, quasi sembra che cerchi di indovinare quali pensieri si agitino nella mente altrui, mentre passa in rassegna almeno dieci modi diversi di rispondere a quella domanda. Il punto è che non sente nemmeno sia giusto farlo, parlare di quelli che sono a conti fatti affari privati anche di un’altra persona e non solo i suoi. Cerca di scegliere il modo migliore per parlare di come al liceo siano successe molte più cose di quanto il loro gruppo abbia mai saputo, di quante ne siano state mostrate in superficie, lasciate alla portata di chiunque. Si chiede che espressione farebbe Kise se gli rivelasse di aver sempre saputo di lui e della sua cotta per Kasamatsu prima che l’altro facesse coming out, di come avesse notato gli sguardi, di come si fosse chiesto come sarebbe andata a finire e in cuor suo – una piccola, piccola parte di lui – avesse sperato per Ryouta, forse perché non gli riusciva di sperare per se stesso.
«Era diverso da te e Kasamatsu.» dice infine, più sulla difensiva di quanto fosse nelle sue intenzioni, ma Kise abbozza un sorriso «Questo mi pare abbastanza ovvio, Midorimacchi. Altrimenti non saresti single, suppongo.»
«Eravamo dei ragazzini.» giustifica Shintarou, portando lo sguardo sul caffè che ha ordinato per sé e che con ogni probabilità ormai è tiepido. Ne sorseggia un poco, e per diverso tempo c’è solo il silenzio tra loro, due sconosciuti seduti per caso allo stesso tavolo. È Ryouta a rompere quella fase di stallo, e lo fa parlando con voce morbida, come potrebbe fare con un bambino; peccato che abbiano entrambi ventun’anni ormai.
«Quindi… era Akashicchi?» lo domanda a bruciapelo e Midorima si sente gelare sul posto; non riesce a nascondere la propria reazione, a impedirsi di alzare lo sguardo repentinamente sul giovane di fronte a lui e a sgranare gli occhi, incredulo. Kise alza entrambe le mani in segno di resa, forse per bilanciare il panico palese nell’espressione di Shintarou: «Non credo lo abbia notato nessun’altro,» lo rassicura «ma ero davvero ipersensibile alle persone che avevo intorno, in quel periodo. Continuavo a cercare qualcosa che mi suggerisse quanto fosse facile capire cosa piacesse o chi piacesse agli altri, per avere un’idea di cosa gli altri percepissero guardando me.»
Midorima tace, assimila quanto gli viene detto e anche se di cose nella sua testa ce ne sono a bizzeffe non dà voce nemmeno a una di esse. Così venti minuti dopo lui e Kise si trovano fuori dalla porta, il conto diviso a metà, pronti ad andare ognuno per la propria strada e Ryouta porta entrambe le mani in tasca, guardandolo come se fossero tornati a essere due ragazzini: «Midorimacchi, andrà bene in qualche modo.» assicura neanche fosse l’unica verità al mondo; Shintarou si chiede quante volte Kise se lo sia ripetuto da solo, in passato, prima di avere Kasamatsu al suo fianco «Comunque il mio numero lo hai.» aggiunge, rinunciando al calore della tasca dei propri pantaloni per dargli una pacca amichevole sulla spalla e rivolgendogli un sorriso incoraggiante. Midorima annuisce appena, un cenno rigido, prima di iniziare a muoversi.
«Ah, Midorimacchi.» lo richiama l’altro, facendolo voltare in sua direzione: «Non sono la stessa persona. Quindi non è detto che debba finire nello stesso modo, comunque sia andata prima.»
Shintarou rimane a osservarlo mentre si allontana, le parole che gli rimbombano nella testa anche quando Kise sparisce oltre un passaggio pedonale e non è più in vista. Akashi e Takao non sono la stessa persona: suona come un consiglio talmente stupido – visto che è evidente come siano due individui distinti – che Midorima vorrebbe maledire Kise o mandargli un’e-mail come è successo una volta al liceo, scrivendogli “muori”. Ma non lo fa, perché nella banalità delle parole altrui c’è un fondo di verità di cui solo Shintarou può essere davvero cosciente.
Se lo ricorda, il periodo del liceo: non fatica a riportare alla mente la prima volta che Akashi lo ha baciato, per esempio, entrambi rimasti indietro per occuparsi di compilare il registro di classe alla fine delle lezioni. Era una delle tante volte in cui era capitato di trattenersi per una partita a shogi approfittando dell’aula vuota grazie alle attività del club che occupavano i loro compagni, o perché di turno sulla compilazione del registro, e Akashi aveva preso posto al banco dietro quello dove sedeva lui. Così Shintarou si era voltato e lo aveva aiutato, chinandosi appena in avanti; Akashi era la persona con cui riusciva ad andare più d’accordo, quella con cui aveva più cose in comune o forse era solo un’indole discreta ad avvicinarli. Non aveva mai pensato a lui in un modo particolare, eppure Seijuurou doveva aver colto qualcosa o notato il modo in cui a volte finivano con il guardarsi senza quasi accorgersene, ma gli aveva rivolto parole che Shintarou non ricordava e pronunciate con il tono divertito di chi è pienamente cosciente di ciò che dice e vede, e poi si era chinato a sua volta. Midorima aveva sentito le labbra di Akashi – leggermente secche, ma morbide – sulle proprie e una sua mano scivolare dietro la sua nuca, le dita insinuarsi tra i capelli sottili; nei gesti di Akashi c’era stata una naturalezza quasi spaventosa, e dopo quel bacio ce ne erano stati altri, c’erano state persino uscite, tempo passato insieme. Shintarou non ha mai saputo cosa fossero, nessuno di loro due lo ha mai definito e dopo il liceo era sembrato normale allontanarsi, seguire strade diverse; vedersi poco e nulla a causa della distanza aveva aiutato, eppure Midorima non aveva potuto fare a meno di chiedersi se non avesse sbagliato, se non sarebbe stato meglio parlare apertamente con Akashi e recuperare tutte quelle cose che non avevano mai chiarito in quasi tre anni.
Come tutto ciò che non si ha il coraggio di affrontare nel momento in cui accade, Midorima era rimasto senza risposte e forse aveva inconsapevolmente deciso che fosse più semplice evitare un’implicazione con un’altra persona piuttosto che instaurare un rapporto e poi dividersi senza nemmeno sapere mai che nome avesse quella relazione.
Scappare appariva sempre come la cosa più facile. Ritrovare la strada per tornare sui propri passi sembrava impossibile.


Midorima sa che non c’è nulla di cui vantarsi nel comportamento assunto nei confronti di Takao nell’ultima settimana e nonostante le parole di Ryouta tornino a farsi sentire quando meno se le aspetta, queste non bastano a convincerlo né di stare facendo la cosa giusta, né di star compiendo un errore grossolano. Così lascia che ogni giorno si susseguano le stesse attività, come prima del periodo in cui l’altro è arrivato a dare una mano in laboratorio. Sa che ci sono giorni in cui è passato, e non è stato voluto il non farsi trovare – non sempre, almeno – ma non può fare a meno di credere che forse sia meglio così; gli riesce difficile solo quando pensa all’ultimo incontro con gli amici del liceo, alle rimpatriate in cui rivede anche Akashi quando quest’ultimo riesce a unirsi a loro nonostante la lontananza.
Sono così diversi, e forse è per quello che rifugge Kazunari: con Akashi era stato più facile. Forse con lui si aspettava già di non poter andare avanti, troppo oltre.
Magari dovrebbe solo smettere di pensare.
«Shin-chan
Non è un tono divertito quello che lo chiama, né c’è una sfumatura quasi cantilenata come nei giorni in cui hanno passato la maggior parte del tempo insieme. Il nome con cui Takao gli si rivolge probabilmente è un estremo tentativo di non darsi l’aria di qualcuno in vena di litigi e discussioni, per quanto il suo cipiglio severo e le sopracciglia aggrottate in un’espressione sconosciuta al suo viso lascerebbero presagire come quello stesso nomignolo non sia nemmeno la rassicurazione che va tutto bene, se Shintarou le vedesse. Vorrebbe ignorarlo, Midorima, perché lo sente nella voce altrui: voltarsi e dargli modo di spiegarsi porterebbe quasi di sicuro a un confronto che non vuole avere, di cui nessuno dei due ha bisogno – almeno dal suo punto di vista, che è conscio essere alimentato dal solo egoismo e dal tentativo di non lasciar avvicinare nulla che mini alla propria stabilità. Midorima vorrebbe fingere di non averlo sentito, ma al tempo stesso capisce quasi subito che è impossibile.
D’altra parte, la mano di Takao che si posa sulla sua spalla lascia poco spazio al fraintendimento.
«Potresti smettere di evitarmi?» lo incalza, a bruciapelo. Shintarou si era aspettato qualcosa sulla falsa riga di “dobbiamo parlare”, molto più simile a un film da quattro soldi che alla realtà forse, ma più in linea con l’idea generale che ha su come vadano queste cose. Invece si ritrova gli occhi di Takao puntati nei propri senza alcuna esitazione e questo lo ferma sul posto, lo rende incapace per qualche attimo di reagire con tempestività; quella piccola incertezza gli costa più di quanto si renda conto all’inizio.
Kazunari lancia un’occhiata al corridoio, soppesando la presenza di altri studenti nello stesso: l’orario non concede loro molta compagnia, visto che in pochi si trattengono tanto quanto Shintarou – forse solo i laureandi in fase di preparazione della tesi – ma Takao opta comunque per lo spostarsi da lì, attento e discreto come Shintarou non lo avrebbe mai pensato. Potrebbe allontanare la mano che scende ad afferrare il suo polso per guidarlo fuori dall’edificio e, al tempo stesso, assicurarsi che lui non scappi. Potrebbe ma non lo fa, e vorrebbe avere modo di interrogarsi sul perché, ma ci vuole poco perché si trovino fuori dal cancello dell’università, per strada, e poi per vie che Midorima non riconosce del tutto e infine in una di quelle secondarie dove è certo di non essere entrato mai. Si ritrova ad abbassare lo sguardo quando si accorge di essere circondato da love hotel e un principio di panico lo colpisce così forte che sente quasi la nausea annidarsi da qualche parte nel suo stomaco. Con suo sollievo, la soglia che varcano non è quella di uno degli edifici tutti simili e fin troppo appariscenti, ma quella di uno che somiglia a un bar; Midorima non fa in tempo a leggerne l’insegna, in compenso sente lo scampanellio quando la porta viene aperta senza troppi complimenti da Takao. La prima cosa che i suoi occhi registrano è la presenza di qualcuno a una sorta di reception sulla sinistra, e subito dopo una serie di voci che si susseguono in saluti più o meno simili rivolti al giovane che lo trascina senza spiegazioni da quasi venti minuti – “Kacchan”, “Kazu-kun”, “Takao-senpai” sono solo alcuni dei modi in cui gli si rivolgono ragazzi loro coetanei o anche più giovani, qualcuno più grande almeno all’apparenza.
Takao sciorina qualcosa all’indirizzo dell’uomo che si occupa dell’accoglienza, parole che Midorima non riesce ad afferrare nella loro totalità: un saluto, un «posso usare lo spogliatoio?» e lui non ha nemmeno il tempo di capire cosa gli venga risposto, perché stanno già voltando un angolo, immettendosi in un corridoio per fermarsi poco prima di una porta. Succede perché Shintarou punta i piedi, una cosa che avrebbe dovuto fare appena usciti dal cancello della facoltà, in effetti: il fiato un po’ corto, visto che Takao ha camminato velocemente neanche avesse un inseguitore alle spalle, e lo guarda seccato, confuso, irritato persino.
Apre bocca per dirgli di smetterla di trascinarlo qua e là come se fosse un ragazzino, ma Takao spinge la porta verso l’interno del famigerato spogliatoio e si fa di lato rivolgendogli un chiaro invito a entrare per primo; Shintarou richiude la bocca, stringendo appena la mano sulla tracolla che ha continuato a sbatacchiargli lungo il fianco per tutto il tragitto.
«Trascinarmi era necessario?» fa presente, il tono che non maschera affatto quanto poco abbia gradito – e quanto poco apprezzi la porta che si richiude dopo il loro ingresso, nemmeno lo avessero appena chiuso in trappola. Per quanto è quella la sensazione: non può scappare come ha fatto da quando è successo quel che è successo.
«Dimmelo tu. Sono giorni che cerco di parlare con te senza doverti trascinare da nessuna parte, ma continui a scappare come se dovessi estorcerti del denaro.» ribatte Takao, le braccia incrociate al petto e lo sguardo che lo studia. Midorima non può dire di non meritarsi quella che somiglia a una ramanzina e al tempo stesso a uno sfogo personale; glielo deve, si dice. Può rimanere ad ascoltare, chiarire lo stretto indispensabile.
«Potresti non utilizzare la tecnica del silenzio con me, Shin-chan? Non ti ho portato qui per parlare da solo.»
«Cosa vuoi che ti dica?» sa di non avere il diritto di sentirsi offeso, ma l’orgoglio parla prima di lui, parla per lui e non importa quanto si morda la lingua l’istante dopo aver pronunciato quella domanda, Takao sta già avanzando, sta già invadendo il suo spazio vitale; le sue mani sono le sue spalle, il peso in avanti, il viso vicino e gli occhi lo giudicano e lo pregano, e Shintarou non è sicuro che ci siano davvero entrambe le cose lì a farlo sentire una persona orrenda. Scrive “muori” per e-mail a Kise, e poi mandare al diavolo Takao di persona sembra la cosa più difficile del mondo. Ha lasciato scivolare via un rapporto di quasi tre anni come se non fosse niente di che, una semplice dimenticanza di cui ci si ricorda troppo tardi, e poi il pensiero di dire a Takao che non vuole vederlo né sentirlo mai più sembra assurdo abbastanza da non avere forma precisa neanche nella sua testa, figurarsi se è esprimibile a parole.
«Voglio tu mi dica perché non merito nemmeno un “no”.» ribatte, senza curarsi cosa distragga tanto l’altro, come se non lo vedesse – eppure Shintarou è certo Takao se ne sia accorto eccome: «Perché ti ho baciato, e ho chiarito da subito che non era perché avevo bevuto così tanto da non sapere chi avessi davanti o perché lo consideravo un lavoro. E tu hai risposto al bacio, e non lo so se di solito baci le persone come capita—»
«Perché non mi conosci.»
«Perché non me lo hai permesso!» sovrasta la sua frase, alzando il tono della voce «Non parli di te e non so quale sia il tuo problema, ma vorrei che me lo facessi capire, anziché continuare a scappare. Cos’hai, dodici anni?!»
Si guardano e Midorima sa di non potergli dare torto, in fondo, come sa che non avrebbe mai voluto parlare di quanto accaduto tra loro con Kise, se il prezzo da pagare è sentire la sua ammonizione nella testa ogni volta che parla di Takao o pensa a quello che è successo, o ce l’ha di fronte come ora. Kazunari è visibilmente frustrato, il sorriso che Shintarou pensava non sparisse mai dalle labbra dell’altro è una linea ferma e dritta. Non sa perché la cosa lo colpisca tanto, perché il suo primo pensiero sia che non è quella l’espressione giusta per lui.
«Mi hai incontrato solo perché Hayama-senpai non è in grado di farsi gli affari propri.» mormora, incerto su come gestire la situazione. È chiaro che non sia un modo per sottolineare un’occasione per conoscersi giusta o sbagliata, neanche avesse un ideale da rispettare per poter prendere in considerazione l’idea di frequentare qualcuno; non avrebbe meno remore se anziché presentarsi come fidanzato in affitto Takao gli avesse detto di essere il cugino di Hayama. Il punto è che incontrandosi in università sarebbe stato più naturale, più casuale – Midorima non sa se il problema sia davvero pensare alla possibilità che il loro rapporto non sia nato che per costrizione a condividere gli spazi, come quello che ha già avuto e mal gestito. Non è più in grado di scindere una scusa da una verità.
Takao si gonfia, ma non nel modo in cui lo si fa per orgoglio, più come se fosse pieno di parole e queste si calpestassero l’un l’altra per poter uscire per prime; poi si affloscia, all’improvviso, e quando torna dritto e con il petto in fuori la sua espressione è nuova, caparbia: «Ho iniziato l’università più tardi perché non sapevo cosa volevo fare, non sentivo di eccellere in granché, solo di essere abbastanza bravo in un sacco di cose.» inizia, e Midorima sbatte le palpebre un paio di volte, perché cogliere il nesso è pressoché impossibile «Lavoro qui da un anno, ma ho anche un secondo lavoro che mi occupa con dei turni infernali e ho faticato a incastrarli, ma volevo assolutamente mantenermi da solo, così in qualche modo ci sono riuscito.» continua, e a Shintarou ricorda una scena di qualche drama in tv visto di sfuggita dove uno dei protagonisti elenca tutto ciò che ha fatto per l’altra o viceversa, in una sorta di dichiarazione originale che dovrebbe prendere il cuore degli ascoltatori come se loro stessi fossero oggetto di un tale amore. Takao sembra più alla disperata ricerca della cosa giusta da dire, pronunciandole tutte nel dubbio di non azzeccare la frase vincente.
«Ho chiesto a Miyaji-senpai di farmi partecipare all’iniziativa per il laboratorio e mi è costato non solo pagargli il pranzo, ma anche lasciare che mi chiamasse come preferiva e da quel giorno gli unici momenti in cui non mi dà del gay è quando siamo lì a lavorare— e sì, va bene, il fatto che mi piaccia un ragazzo mi rende effettivamente un po’ gay ma Miyaji-senpai è un… insomma, è Miyaji-senpai, dovresti avere pena per me Shin-chan, non iniziare a evitarmi. Che ci posso fare se ti ho conosciuto quando Hayama-san mi ha contattato? Non è colpa mia. Anche io avrei preferito non dirti come prima cosa “ciao, sono il tuo finto fidanzato per una sera”! E quando finalmente riesco a dirtifgh—» Midorima non è sicuro di essere stato delicato nel posargli una mano sulla bocca per zittirlo con urgenza, ma ammette di non sentirsi una così brutta persona al pensiero di avergli dato un colpo un pochino più forte del dovuto contro il naso o qualcosa del genere. Quella di Takao è una dichiarazione così infantile, pessima e contraria a qualsiasi guida romantica – se esistono, e non si stupirebbe se così fosse – da risultare imbarazzante oltre ogni limite consentito; e la cosa peggiore di cui Shintarou si rende conto mentre l’altro bofonchia muovendo appena le labbra contro il suo palmo è che nonostante sia pessimo, quell’ammasso di parole lo colpisce.
Sarebbe bello se lo lasciasse impassibile, sarebbe quasi preferibile poter dire che lo disgusta, ma lo sguardo di Takao gli lascia presagire che il proprio viso lasci vedere ben altro.
A malapena si rende conto delle mani di Takao che guidano la sua lontana dalla propria bocca e dal sorriso quasi imbarazzato che gli incurva le labbra: «Shin-chan,» lo chiama a voce bassa, un accenno di risata così lieve che Midorima non è sicuro ci sia davvero «la… la punta delle tue orecchie.» pronuncia e stavolta lo sbuffo divertito c’è davvero; l’attimo dopo Kazunari sta ridendo ma non è solo per la presa in giro ai suoi danni, lo intuisce da come sente l’altro tremare leggermente senza lasciar andare la sua mano, e anzi stringendola un poco di più.
«Smettila di ridere.»
«Shin-chan, ti ho messo in imbarazzo?»
«Ti chiudo nell’armadietto.»
«Awww, Shin-chan vuoi fare le cosacce?»
«Tu—!»
Takao ride, e lo fa tirandolo appena verso di sé, finché i loro nasi non si sfiorano; tuttavia non azzera del tutto la distanza fra loro, non gli impedisce di scegliere come è stato nel suo appartamento: si ferma, lo guarda, incurva le labbra in un sorriso dall’inclinazione furba. Mormora qualcosa a proposito della possibilità che ha Shintarou di scostarsi nella prossima manciata di secondi.
Midorima non ricambia il suo sguardo – la sua scusa sarà che, con gli occhiali, gli risulta fastidioso – e nella sua mente non c’è Akashi, ma c’è ancora l’incertezza. Non sa cos’ha, con Takao, forse nulla a parte qualche scambio, forse un rapporto più ambiguo di quanto entrambi vorrebbero, o magari è al possibile inizio di qualcosa che un po’ rifiuta e un po’ vorrebbe ma che è piuttosto impedito nell’accettare, coltivare, tenere al sicuro. Una mano di Kazunari scende lungo il suo polso finché le dita non si intrecciano a quelle di Shintarou e lui sa che se c’è una cosa di cui non può assolutamente fidarsi è quella morsa allo stomaco che lo prende in quel momento, che lo ha fatto quasi sussultare quando Takao lo ha baciato la prima volta; è puro istinto, e Midorima non si è mai fidato di una cosa tanto irrazionale.
Ma potrebbe andare, suppone. Visto che neanche pensare fino all’analisi del dettaglio più piccolo ha mai dato grandi risultati, potrebbe cambiare approccio.
Ci pensa seriamente, mentre stringe incerto la mano di Takao e posa le labbra sulle sue.

 

   
 
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