Era una tranquilla mattina come tante, quando
Mitobe arrivò
davanti alla casa di Koganei per andare a scuola assieme. Siccome era
un po' in
anticipo, non si stupì di non trovare l'amico già
fuori ad aspettarlo come al
solito. Tuttavia, quando suonò, a momenti non fece nemmeno a
tempo a togliere
il dito dal campanello che Koganei aprì la porta e quasi lo
travolse, spingendolo
lontano dall'uscio con aria trafelata.
"Che succede?"
pensò.
"Vai vai, ti spiego do..."
"SHINJI!"
Mitobe riconobbe la voce di Akane, la sorella di Koga, che
comparve da dietro al fratello con un bel po' di sacchi della
spazzatura in
mano.
"Dove pensi di andare? Porta fuori i sacchi del
riciclabile, che li passano a prendere oggi"
"Ma Akane, siamo già in ritardo..."
"Balle, non ho mica finito le superiori da così tanto
da non ricordarmi a che ora iniziano le lezioni! Prendi i sacchetti e aspettami,
che vado a prendere gli altri"
Koganei borbottò fra sé e sé. A Mitobe
ciò che l'altro aveva
in mano pareva già abbastanza per una settimana.
"La settimana scorsa ci siamo dimenticati di portare
fuori la spazzatura" gli disse Koganei, indovinando i suoi dubbi.
Mitobe capì anche perché stava cercando di
scappare fuori
prima che la sorella lo beccasse: già i sacchi che aveva in
mano erano
parecchi, se doveva pure prenderne altri portarli fino al punto di
raccolta
sarebbe stata una gran seccatura, da solo. Koga però, in
quel momento, non era
da solo, ma con qualcuno che sarebbe stato contento di dargli una mano.
Mitobe pensò "Sembrano tanti, dammi qualcosa, che
ti
aiuto" e allungò la mano per farsi passare un
sacchetto o due.
"Davvero?! Grazie mille!"
Koga non si fece pregare, perché tanto sapeva che Mitobe
voleva
sul serio rendergli il compito meno ingrato e che avrebbe insistito,
quindi gli
diede un paio di buste.
"Cosa pensi di fare?" si intromise Akane, tornata
col resto della spazzatura "Non smollargli il tuo lavoro solo
perché è
gentile e non ti dice nulla!"
"Ma si è offerto lui!"
"Ma se non ha detto niente!"
Mitobe a quel punto si intromise, agitando le mani e facendo
no con la testa guardando Akane, per farle capire che davvero non c'era
nessun
problema.
La ragazza, abituata agli scambi quasi telepatici tra i due,
capì che forse Mitobe si era offerto sul serio. Tuttavia si
sentì in dovere di
ammonire il fratello "Però guai a te se te ne approfitti."
"Non
me ne approfitto!"
Koganei sembrava essersi irritato dal commento della
sorella. Quel che la sua bocca non diceva ma Mitobe riusciva lo stesso
a capire
era "Lo conosco meglio di te,
se avesse
avuto problemi me l’avrebbe fatto capire"
e tra sé e sé Mitobe gli diede
ragione.
"Sì,
sì… dico giusto per essere sicura. Rinnosuke, se
ogni
tanto non ti va di stare dietro alle sue menate dagli un calcio nel
sedere"
Mitobe le sorrise e annuì divertito, poi diede un colpetto
col gomito all’amico che stava ancora ponderando come
rispondere alla sorella
che aveva osato mettere in dubbio
la
sua capacità di capire il ragazzo silenzioso. Quando ebbe la
sua attenzione
rivolse a lui il suo sorriso e gli fece un cenno con la testa verso la
porta.
"Andiamo?"
Shinji si scordò dei suoi
propositi di vendetta e tornò disinvolto come al solito, prese
le buste restanti dalle mani di Akane e seguì Mitobe fuori.
"Allora vado, ci
vediamo stasera!"
~ ~ ~
All'ora di pranzo Koga, come al solito, si era
seduto al
contrario sulla sua sedia per poter mangiare appoggiando il cestino del
pranzo
sul banco di Mitobe, posto dietro il suo. Quel giorno il ragazzo
più alto aveva
portato con sé, oltre al riso, delle polpettine di pesce
dall’aspetto molto,
molto invitante, cucinate con le sue stesse mani. Non
ebbe bisogno di sollevare lo sguardo dal pranzo per sapere che Koga
le aveva adocchiate e ne voleva una, così come l'altro non
ebbe bisogno di
ricevere un gesto di assenso per sapere che la poteva prendere, cosa
che fece
prontamente.
Allungò le bacchette verso il suo
bento, la prese e se la portò alla bocca, commentando con un
eloquente
“Mmmmmh!” di approvazione. Mitobe restò
a guardarlo mentre socchiudeva gli
occhi e masticava la polpetta con espressione estatica. Non pensava che
fossero
così buone da meritare una reazione del
genere, ma sapere di aver reso
Koga contento, anche con una cosa così piccola, rendeva
felice anche lui. Gli
avesse chiesto cento polpette lui gliele avrebbe pure date, anche solo
per rivedere
quell’espressione soddisfatta più e più
volte.
"Mitobe è un'ottima
combinazione, eh, Koganei?" commentò un loro compagno che
aveva assistito
alla scena “Cucina bene e, siccome non dice nulla ed
è gentile, è facile
fregargli il cibo di bocca, il delitto perfetto"
Dal tono si capiva che stava
scherzando e Mitobe si aspettò che Koga stesse al gioco del
compagno. D'altra
parte lui era famoso per essere poco propenso a farsi valere e
probabilmente
non avrebbe fatto nulla nemmeno se un completo sconosciuto gli avesse
fregato
un qualcosa dal piatto senza chiedere.
Koganei, invece, si mise sulla
difensiva "Gliel'ho chiesto, ha detto che potevo!"
"Seh, seh, non dirlo a me,
conservalo per il giudice!" ribatté ridendo il compagno.
Koga divenne leggermente rosso in
faccia e la sua voce assunse una nota esasperata quando quasi
gridò "SUL
SERIO!", prendendo sia Mitobe che l’altro
ragazzo alla sprovvista.
Al che quest’ultimo, capito che
le battute non erano state percepite come tali, smise di ridere e
cercò di
calmare le acque "Ehi, stavo scherzando! Non lo pensavo davvero!"
D’altra parte anche i compagni di
classe si erano pian piano abituati alla loro pseudo telepatia,
abbastanza da
poterci scherzare sopra. Koga però sembrava esserselo
momentaneamente
dimenticato, soprattutto quando, una volta che il terzo ragazzo si fu
allontanato, chiese sottovoce a Mitobe “Potevo,
vero?”
Questi annuì e, per rafforzare il
concetto, mise una seconda polpetta nel bento di Koga, che gli sorrise
un po’
riconoscente e un po’ imbarazzato per la scenata fatta prima.
Dopodiché prese la polpetta con
le sue bacchette, la guardò compiaciuto e
commentò con un “Be’, allora buon
appetito!” prima di metterla in bocca.
~ ~ ~
Se il loro modo di comunicare poteva al massimo
destare
stupore nelle situazioni quotidiane, quando giocavano risultava invece
utile,
perché riuscivano a coordinarsi molto rapidamente e quasi
senza aver bisogno di
cenni. A uno sguardo esterno poteva sembrare che agissero secondo
schemi
predefiniti e imparati a memoria, ma così non era. A Mitobe
giocare con Koga
era sempre piaciuto, perché era spontaneo, immediato.
"Ehi, è bello giocare in squadra assieme ogni tanto, eh?"
gli disse
l'altro con voce ansimante per la fatica di aver corso su e
giù per il campo.
Riko, durante gli allenamenti, aveva diviso i ragazzi in due squadre
per fare
una partita e aveva messo Mitobe e Koganei nella stessa.
Mitobe annuì, ma tra sé e sé e
pensò "Però non è male anche
guardarti
da fuori"
"Uhm? Hai detto qualcosa?"
Mitobe si irrigidì. C'erano pensieri che comunicava a Koga e
altri di cui non
poteva assolutamente farlo partecipe. Questi ultimi era come se li
tenesse
dietro un "muro", oltre il quale Koga non poteva vedere. In
realtà
non era nulla di magico o strano: faceva in modo che non si
traducessero in
sguardi, gesti o atteggiamenti ed era a posto. Questa volta aveva
abbassato la
guardia.
Scosse la testa e Koga gli parve sospettoso per un secondo, poi
però si
dovettero entrambi concentrare sul gioco, perché i ragazzi
dell'altra squadra
avevano appena eseguito una rimessa.
Era stato troppo vicino dal trasmettergli quanto gli piacesse vederlo
giocare,
con quel suo modo istintivo e i suoi scatti felini, e di come non gli
dispiacesse poi così tanto non essere in campo assieme nelle
partite ufficiali,
se questo voleva dire poterlo osservare. Rispetto ad altri giocatori,
che parevano
animali forti e regali come pantere e tigri (Aomine e Kagami su tutti),
Koga era
più un gatto, ma questo non gli toglieva grazia e
fluidità di movimento, semmai
solo un po' di presenza in campo. Forse gli assi della Touou e del
Seirin
attiravano di più l'attenzione del pubblico, ma quella di
Mitobe, da mesi, era fissa
su Koga, quando era in campo.
Aveva iniziato
a
farlo nell’ultimo anno, quando avevano acquisito Kuroko e
Kagami in squadra;
con due pezzi così grossi e il ritorno di Teppei,
inevitabilmente loro due
avevano finito per giocare quasi sempre a turno, con uno dei due in
panchina. Le
occasioni per osservare Koga giocare erano così aumentate
parecchio e questo lo
aveva portato a recente scoperta: Koga gli piaceva.
Ma non come gli piacevano Izuki, Hyuga o Teppei, amici, compagni di
squadra,
modelli di riferimento nel gioco. No, per Shinji gli era presa una
ridicola e
irrimediabile cotta.
L'altra squadra segnò e lui a momenti non se n'era nemmeno
accorto, preso
com'era dall'agitazione di aver quasi fatto sapere a Koganei dei suoi
sentimenti.
"Certo che, in allenamento, mettere assieme in
squadra
Kuroko e Kagami è una carognata" borbottò Koga di
fianco a lui.
"Ma così si coordinano meglio per le partite
ufficiali"
"Sono già parecchio coordinati, per me si allenano da soli.
Questa è una
tecnica di Riko per farci morire, te lo dico io"
Che Kuroko e Kagami si allenassero assieme era fuori di dubbio. Anzi,
era parere
di molti in squadra che Kuroko e Kagami uscissero
assieme; poi magari
gli appuntamenti si traducevano in allenamenti one-on-one, ma questo
era
ininfluente.
Il fatto che in squadra tutti fossero più o meno tranquilli
con la loro
ipotetica-ma-mica-tanto relazione lo faceva sentire meglio,
perché non
avrebbero dato fuori di matto a sapere che anche a lui piaceva un
ragazzo.
Tutti tranne Hyuuga, forse, il quale faceva orecchie da mercante ogni
qual volta
saltava fuori di Kuroko e Kagami, fingendo di non capire. Era
abbastanza palese
che l'argomento lo metteva a disagio, l'idea di conoscere qualcuno che
non
fosse 100% eterosessuale andava al di là della sua
immaginazione, forse perché
aveva sempre immaginato gay, bisessuali eccetera come "alieni" che
vivevano lontano da lui, "altri" di cui sentiva parlare sui giornali
o in televisione ma che mai sarebbero entrati nella sua vita. Mitobe
non gliene
faceva una colpa, nessuno di loro aveva famiglie particolarmente aperte
o in
cui si discuteva con libertà di certe cose, ma quella di
Hyuuga era davvero un
caso a parte. Da quel poco che aveva sentito e per quel che aveva visto
dei
genitori di Hyuuga, l'idea di come dovesse essere un uomo e di come
dovesse
essere una donna era molto rigida, in quella famiglia. Già
si stupiva che gli
andasse bene un coach donna, se doveva essere onesto. Infatti Hyuuga,
in assenza
di Riko, aveva confessato che, agli inizi delle superiori e nel periodo
dei
primi allenamenti, suo padre aveva più volte espresso la sua
perplessità
sull’efficacia di una allenatrice in una squadra di ragazzi.
Aveva un po'
smesso quando il Seirin aveva iniziato a vincere un sacco di partite,
ma mai
dando il merito alla coach, solo ai giocatori.
L'altra persona che sapeva si sarebbe sentita a disagio era di sicuro
Koga;
probabilmente avrebbe accettato che all'amico piacessero i ragazzi, ma
che
questa attrazione fosse rivolta a lui l'avrebbe mandato in crisi,
Mitobe ne era
certo. Inoltre sapeva benissimo che non l'avrebbe mai e poi mai
ricambiato,
quindi perché rischiare il loro rapporto? Meglio restare
più zitti del solito, continuare
a divertirsi con lui e occasionalmente guardargli le gambe (e il culo)
in
partita, sentendosi mortalmente in colpa subito dopo, e aspettare che
la cotta
passasse.
A proposito di sentirsi in colpa, un momento che
per lui era
una tortura erano le docce post allenamento. Non era così
stupido da fissare
Koganei deliberatamente, anche perché nello spazio ristretto
degli spogliatoi era
impossibile che non se ne accorgesse, ma qualche occhiata scappava,
soprattutto
perché Koga si metteva sempre nella
doccia di fianco alla sua. In fondo,
perché non avrebbe dovuto? Erano amici,
no? Perlomeno le docce non erano
aperte, ma separate da pannelli di legno, non molto alti
perché anche le teste
dei giocatori più bassi sbucavano fuori, ma abbastanza da
garantire un po' di
privacy. Solo che se eri abbastanza alto, come Mitobe, riuscivi a
vedere dentro
le docce di fianco. La sua tecnica per evitare questo di solito era
mettersi
abbastanza lontano dal pannello e ficcare la faccia direttamente sotto
il getto
o tenere gli occhi chiusi. Semplice ma efficace.
Quel giorno Koga, forse di umore buono perché la loro
squadra aveva vinto di una manciata di punti, si mise a canticchiare.
"Honnou teki naru SITUATION
Tatakau imi wo sagasu kono IMITATION..."
Teneva la voce abbastanza bassa, ma sulle parole inglesi la alzava,
calcandole un
po’ ma pronunciandole meglio del cantante originale. Mitobe
quella canzone la
conosceva bene e gli piaceva anche parecchio. Un po’ tutte le
canzoni degli
Oldcodex rientravano nei suoi gusti, ma questa lo caricava in
particolar modo.
"Bring
back the catalyst 'a simple way to best'
and rhythm like this never ends..."
Koga dimostrò di
nuovo di avere un inglese niente male,
pronunciando ogni parola abbastanza correttamente. La parte che
però a Mitobe
piaceva di più era il ritornello, perché era dove
la musica davvero esplodeva.
Cominciò a fremere dentro di sé, pensando "Voglio
cantarla anche io, voglio cantarla anche io..."
Koga gli scoccò un'occhiata, sorrise, prese un bel respiro e
ricominciò ben più
forte di prima, come se dovesse cantare per due:
"TOBITACHI TAKU NARUTTE?
KATARU RIMIZU OBOETEN DAROU
MUNE NI..."
"KOGA, SMETTILA!" urlò Hyuuga da un paio
di docce più in là.
"Cos'è, vietato cantare?"
"Vietato urlare, semmai!"
"Ma cantavo anche per Mitobe!"
"Non dire stupidate!"
Mitobe vide qualcosa passare nel sguardo di Koga: dubbio. Persino
Hyuuga, che
li conosceva bene, aveva appena messo in discussione l'intuizione di
Koga
riguardo i pensieri dell’amico.
Il capitano, dal canto suo, tempo mezzo secondo si ricordò
con chi aveva a che fare e aggiunse "... e allora, Mitobe, smettila
pure
tu!"
Questo però non rassicurò Koganei, Mitobe glielo
lesse in
faccia e nello sguardo dispiaciuto: oramai era convinto di aver male
interpretato i suoi pensieri e di avergli fatto prendere una sgridata
immeritatamente.
"No, Koga, mi sono meritato l'urlata tanto quanto te, volevo
sul serio
cantare anche io!Hai fatto benissimo a darmi voce! Koga? Koga!"
Ma Koganei era come se non lo
sentisse, perché non si fidava più dei messaggi
che riceveva da lui. Mitobe lo
vedeva sempre più spaesato, quasi nel panico, e poteva
immaginare perché: era
come se a un vedente avessero detto che quel che percepivano i suoi
occhi non
era reale o sbagliato. La sua intuizione era per lui letteralmente un
sesto
senso su cui fare affidamento per relazionarsi col mondo esterno e in
particolare con Mitobe stesso.
Il ragazzo capì che anche Koganei, di solito abbastanza
sicuro di sé, dopo
essere stato messo in discussione svariate volte nello stesso giorno
poteva
cominciare a dubitare. Il pensiero che l'amico non lo capisse
più (o, per
essere più precisi, credesse di non
capirlo più) era terribile. Koga era
l'unico in grado di dare voce ai suoi silenzi e, anche se ogni tanto
cercava invano
di spronarlo a parlare, gli aveva sempre fatto da tramite quando ne
aveva avuto
bisogno, senza che glielo avesse mai dovuto chiedere.
Mitobe capì che l'unica maniera per mettere a posto la
situazione era dargli un
segnale chiaro, facile da capire da lui e dagli altri, in modo da non
generare
dubbi e ambiguità; per farlo sapeva che non c'erano molte
alternative.
Tirò fuori tutta la sua determinazione, prese un
bel respiro e...
... cominciò a battere con le mani sulla parete della doccia.
Non era un battere casuale, ma seguiva un ritmo preciso: era quello
della
canzone "Catal Rhythm", che li aveva appena fatti sgridare.
Guardò
Koga invitandolo a seguirlo e questi lo fissò per un attimo
stupefatto, ma una
volta capito quel che stava facendo gli sorrise con
complicità e ricominciò a
canticchiare.
Quando arrivarono di nuovo al ritornello Mitobe
provò a
battere non più sulla parete ma sul divisorio in legno e si
accorse che faceva
molto più rumore. Picchiò il più forte
possibile e Koga lo seguì cantando a
squarciagola, fino a quando Hyuuga e Izuki, esasperati, non gli
lanciarono
contro due bottiglie di shampoo. Izuki a dire il vero era
più divertito che
scocciato dalla situazione, ma seguì il volere di Hyuuga. La
sfortuna di essere
in un club di basket fu che entrambe le bottiglie centrarono
perfettamente le
loro teste.
~ ~ ~
Dopo gli allenamenti si avviarono verso casa
assieme. Era
già buio da un pezzo e il marciapiede su cui camminavano era
illuminato dalla
luce dei lampioni.
"Ahah, dovremmo fare più spesso un duetto del genere!
Magari quando non c'è Hyuuga attorno"
"Magari quando non c'è nessuno attorno"
"Uhm?"
Mitobe imprecò mentalmente; gli era scappato per la seconda
volta in un giorno
un pensiero che avrebbe dovuto restare fuori dalla portata di Koga.
Stava quasi per fare il finto tonto, facendogli capire che
non aveva detto o, meglio, comunicato nulla, ma non poteva fargli
questo, costringerlo
a dubitare ancora del suo intuito, soprattutto non dopo tutto quel che
era
successo quel giorno.
"Niente, riflettevo tra me e me"
Poteva solo sperare che l'altro non avesse capito del tutto
il contenuto di quel pensiero e delle sue implicazioni, tipo loro due
da soli
sotto una doccia.
Koga stette zitto per un po'.
Mitobe per qualche secondo temette che l'altro avesse davvero decifrato
quel
che gli era passato per la mente, che gli avrebbe detto
banalità come
"sono lusingato, ma..." e che
poi, anche se avesse giurato che nulla tra loro sarebbe cambiato, si
sarebbe
allontanato da lui.
"Sai..."
Mitobe trattenne il fiato.
"Pensavo di averti fatto arrabbiare sul serio, prima"
"...eh?"
"Sì, insomma, di averti tirato in mezzo quando in
realtà tu non volevi e
di averti fatto sgridare per niente. E sai, un po' mi fa paura l'idea
di
vederti arrabbiato, non ti ci ho mai visto! Magari diventi una roba
tipo Hulk e
spacchi tutto, che ne so io!"
Mitobe si portò una mano davanti alla bocca, per contenere
una risata che
comunque non avrebbe fatto rumore. Non sapeva se lo faceva
più ridere l'idea di
sé stesso come un mostro verde distruttore o quella di Koga
che lo faceva
arrabbiare: il concetto gli era talmente assurdo ed estraneo da
trovarlo
risibile. L'altro non aveva mai
fatto
qualcosa che potesse davvero fargli saltare i nervi, perché
conosceva talmente
bene i suoi pensieri da sapere, ad esempio, quando uno scherzo poteva
diventare
troppo. Questo però spiegava meglio la reazione di quasi
paura che Koga aveva
avuto prima, si disse Mitobe, anche se aveva l'impressione che l'altro
non
avesse detto tutto, che avesse tralasciato qualcosa.
"E poi..."
Come volevasi dimostrare.
Non pensava fosse nulla di serio fino a quando Koga
non si fermò
in mezzo al marciapiede e rimase un attimo a guardare per terra.
"Mi spiaceva l’idea di aver fatto arrabbiare te. Proprio te.
Nel
senso..."
Mitobe riusciva a capire che c'era qualcosa sotto.
Immaginava che Koga si sarebbe rammaricato di far arrabbiare chiunque
gli
stesse ragionevolmente simpatico e quindi la cosa poteva sembrare
semplice, ma
non capiva, non capiva affatto, c'era qualcosa nella sua comunicazione
non
verbale, l'atteggiamento, la posa, e il tono di voce che lasciavano
intuire una
maggiore complessità, un sacco di cose che voleva dire ma
non riusciva.
Ora quello confuso era Mitobe. Si concentrò più
che poté a
osservare Koga, cercando di estrapolare quello che non gli stava
dicendo a
parole.
"... sì, insomma,
perché ci... ci
tengo a te" poi aggiunse
frettolosamente "come amico, dico"
Alla parola "amico" la confusione in Mitobe esplose del tutto. Le sue
orecchie avevano sentito una cosa, ma la sua mente, con le informazioni
ottenute per altre vie, aveva elaborato tutt'altro. Era come se Koganei
non
intendesse "amico" e basta, ma... qualcosa di più? Se lo
stava
sognando lui perché era quello che avrebbe voluto che fosse?
O Mitobe poteva
davvero sperare?
Tutto questo durò un attimo, perché Koga
tirò su lo sguardo e quel momento di
timidezza coi suoi messaggi contrapposti si concluse bruscamente.
Guardò Mitobe in faccia e con fare spavaldo e complice gli
diede
una pacca sulla spalla e gli disse "Ma tanto non ti sei arrabbiato,
quindi
è inutile stare qui a pensarci, anzi, abbiamo fatto il
miglior duetto della
storia e, come ho proposto prima, dovremmo di ripetere la cosa"
Si massaggiò la testa nel punto in cui la bottiglia di
shampoo l'aveva colpito.
"… con la dovuta attenzione a oggetti volanti non
identificati"
Detto questo ricominciò a camminare.
Questa volta a restare fermo indietro fu Mitobe, ancora
troppo confuso e perplesso per ordinare ai piedi di muoversi.
"Be'? Non vieni?"
Koga si era fermato poco più avanti e lo guardava da sopra
la spalla, il viso in penombra perché illuminato controluce
da un lampione.
Mitobe avrebbe voluto indagare, chiedergli spiegazioni riguardo a quel
che
aveva detto e soprattutto non
detto,
ma si chiese se ne valeva davvero la pena; in quel momento sentiva di
essere
contento così, dell’amicizia di Shinji, della sua
capacità di rendere meno muto
il suo mondo interiore e di averlo accanto a sé per
condividere le giornate, i pensieri
e sì, anche i rimproveri.
Per tutto il resto, si disse, c’era tempo.