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Autore: ChiaraSerafin22    06/12/2015    0 recensioni
Una stazione deserta. Una ragazza bellissima nascosta nel buio, come un animale ferito. Uno sconosciuto che, vedendola, rimane stregato dalla sua solitudine.
L'incontro di una storia fatta di attese, di desideri, di sogni che solo il destino può realizzare.
Anche se Amanda, al destino, non ci crede. Ma quando si è disperati si può credere a qualunque cosa.
> Racconto semifinalista Campiello Giovani 2010
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La stazione era deserta.
Il silenzio era scandito dal ticchettio della pioggia, incessante come il tempo che avanza. I binari erano muti. I treni transitavano senza lasciare il segno del loro passaggio; le persone non salivano né scendevano, quasi avessero deciso che non valesse la pena muoversi.
In realtà, la stazione non era proprio deserta: una giovane donna sostava al primo binario, lì immobile da talmente tanto tempo che era diventata quasi un altro tassello del mosaico.
La ragazza se ne stava diritta, appoggiata a una delle colonne come se non avesse altro amico che la potesse sostenere. Una sigaretta stretta fra i denti e i capelli scompigliati nel vento di dicembre, di un rosso troppo acceso, a cui la grigia stazione non era abituata. Dalla bocca le uscivano spirali di fumo bianco che andavano a unirsi alla polvere e al vapore della pioggia.
Se non fosse stato per i capelli, sarebbe bastato il suo sguardo vivo e penetrante a impedirle di mimetizzarsi: aveva due occhi scuri e luminosi, ardenti come se fiamme nere vi stessero bruciando dentro, probabilmente le stesse che le stavano lambendo l’anima. Sembrava tormentata, quasi sicuramente lo era: si notava dal modo nervoso con cui si torceva la mani, da come soffiava fumo dal naso ogni volta che transitava un treno.
Che fosse stanca si vedeva a un miglio di distanza, ma non si sarebbe potuto dire di che cosa. Un fardello le gravava sulle esili spalle, o magari era soltanto la vita a pesarle ed era per quello che era in una stazione: aspettava il treno giusto, quello che l’avrebbe condotta via dalle sue preoccupazioni. Certe persone, pur di non guardarsi alle spalle, scappano via il più velocemente possibile; la destinazione, in questi casi, non è mai importante.
Per un attimo, uno solo, quello sguardo ardente lampeggiò verso l’entrata della stazione, e Alex poté vedere che da quegli occhi scivolavano lentamente, fino al mento, due nere strisce: stava piangendo e le tracce del trucco le scorrevano via dal bel viso, sfigurandolo in una maschera drammatica. La giovane donna si voltò subito dall’altra parte, come se lui avesse invaso la sua intimità, quella che solo un luogo deserto e la pioggia potevano ricreare.
Dato che ormai era stato visto, Alex decise di uscire allo scoperto. Si avvicinò alla ragazza un passo alla volta, trattandola al pari di un grazioso animale a cui non si vuol far paura. Le lasciò ascoltare i suoi passi, preparandola alla sua presenza, e poi le si affiancò, scegliendo per sé un’altra colonna.
Si aspettava di dover parlare per primo, invece la ragazza lo sorprese: girò la testa di scatto verso di lui e lo squadrò, guardinga, per nulla imbarazzata dal fatto che stesse piangendo. “Non ti chiederò nemmeno cosa vuoi” lo avvertì: “Non ho voglia di socializzare”.
Alex avrebbe voluto sorridere per quella reazione così improvvisa, ma evitò di farlo: “Mi chiedevo solo cosa ci facessi qui, tutta sola”.
Da irritato, il tono si fece sprezzante: “Non sono affari tuoi”. Aveva voltato nuovamente la testa dai ricci rosseggianti, che le cadevano a cascata lungo la schiena, agitati pure loro. “Adesso, per favore, vattene”.
“So cosa vuol dire” aggiunse il ragazzo, che non poteva trattenersi.
“Cosa?”.
“Quando ci si sente soli. E dentro si ha freddo”.
Quelle parole, in qualche modo, la destarono. Gli occhi neri trafissero quelli di Alex, andando a leggergli l’anima. La giovane trasse via la sigaretta dalla bocca, la gettò in terra e ne calpestò il mozzicone col tacco. “Cosa sei venuto a fare tu, qui?”.
“Facevo una camminata. Vengo spesso a osservare i treni. Mi immagino tutte le vite che scorrono, tutte le persone che sfidano la velocità sedute in poltrona, che non si rendono conto di percorrere tanta strada stando fermi”. Si fermò un istante a osservare quel viso immobile e concentrato, che si sforzava di comprendere: “Mi fa sentire vivo. Mi rendo conto che, nonostante le mie preoccupazioni, il mondo va avanti lo stesso”.
La ragazza si sentì in dovere di annuire. “Come ti chiami?” si sentì chiedere. Sbatté le palpebre due, tre volte, prima di rispondere: “Amanda. Dì un po’, non vorrai farmi un interrogatorio”. Ma poi rise, con una risata un po’ nasale, quasi un singhiozzo: “Così tu, quando non sai cosa fare, ti metti a guardare i treni”.
“Lo trovi tanto ridicolo?”.
“Lo trovo strano. Invece di vivere la tua vita ti metti a sognare quella degli altri”. Si interruppe, sconvolta da qualcosa che aveva detto. Si chiuse in un silenzio blindato e abbassò il mento tanto da costringersi a fissare le scarpe.
Lei li conosceva, i sogni. Ne aveva sperimentati di ogni tipo, di realizzati e di infranti, ma di una cosa era sicura: li aveva esauriti. Non aveva alcuna speranza di andare avanti, di continuare a esistere normalmente, perché i desideri hanno senso solo se vengono espressi insieme a chi si ama, mentre lei non aveva nessuno con cui condividerli, non più.
Perché una cosa diventi speciale bisogna credere che lo sia, e lo spirito di Amanda ormai era in sintonia con quella stazione: bagnato dal pianto, incapace di trovare la bellezza perché aveva perso la voglia di cercare.
“Sai, magari tu sei capitato qui per tenermi compagnia prima che compia una follia. Deve essere un segno” disse, guardando Alex con scherno, ma anche con un pizzico di aspettativa.
“Perché, cosa avevi intenzione di fare?” chiese lui, confuso. Era uscito di casa perché la solitudine spesso risulta insopportabile, così si era diretto dove sperava di trovare vivacità e fermento. Invece aveva scoperto quella donna, e non aveva potuto fare a meno di avvicinarla, perché il simile ricerca il simile.
Amanda scrollò il capo, sulle labbra un risolino sciocco: “Non lo so. Buttarmi sotto un treno in corsa, forse. O prendere la pioggia fino a morire dal freddo”. Continuò a scuotere la testa: “Dicono che a volte sia giusto fare delle cose sbagliate, per comprendere il valore della vita. Io dico che sono scemenze”.
“Parli come una che non ha niente da perdere”. Non sembrava un rimprovero. “Cosa ti è successo?”.
La ragazza sembrava sul punto di scaraventargli addosso degli insulti: “Sono disperata, ma non fino al punto di raccontare la mia vita a uno sconosciuto”.
“Non sono uno sconosciuto. Ecco, mi chiamo Alex”. Le porse la mano. Amanda gliela strinse, controvoglia, e le sue dita magre vennero serrate con veemenza. “Mi piacerebbe aiutarti. Siamo fratelli, in questa solitudine”.
“Ancora non capisco perché dovrei parlarne con te”.
“Confrontarsi con onestà con un’altra persona equivale a confrontarsi con se stessi” risolse lui. E poi aggiunse: “Se si abbassa lo sguardo, si perde”.
Le fiamme nere dettero un ultimo guizzo, prima di spegnersi e lasciare spazio alla cenere: aveva ceduto. “Bene, Alex, cosa ti piacerebbe sapere?”. Aveva estratto una seconda sigaretta, ma il vento le impediva di accenderla. Con un gesto stizzito, lasciò cadere l’accendino nella tasca e si tenne la sua cicca fra le dita, stritolandola.
“Per esempio cosa ci fai a Capodanno in una stazione, da sola, a meditare pensieri suicidi invece di festeggiare”. Era stato troppo diretto?
Amanda non sembrava essersi offesa: “Hai centrato il problema” rispose infatti, in modo altrettanto schietto. “Non ho niente da festeggiare”.
“Una così bella donna?”.
“Sono fidanzata” lo avvertì, senza malizia, anche perché quella parola suonò come una maledizione. Sembrò incerta: “O, almeno, credo di esserlo ancora”. La sua voce si fece quanto mai accorata, struggente: “Le situazioni tendono a cambiare. Ero convinta che le persone fossero artefici del proprio destino, ma mi sono trovata costretta ad ammettere che alcune non hanno la forza per affrontarlo”.
Aveva sempre tenuto lo sguardo fisso sulle piastrelle sotto i suoi piedi, ma in quel momento lo alzò per sfidare gli occhi di Alex: “Io sono una di quelle”.
“Cos’è successo?”.
Amanda pensò che non avrebbe avuto il coraggio di rispondere, invece sentì che il suo cuore già cominciava a sciogliersi. “Sai, anche quel giorno pioveva”.
   
 
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