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Autore: IntoxicaVampire    08/12/2015    0 recensioni
«Ma... come fai?» gli chiesi, annebbiata da quel tepore. «Non fa male». Fissai il fuoco, che era basso e di un colore rosso intenso.
«Non ti farei mai del male, Rosalie».
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Alla Sky High, scuola per giovani aspiranti supereroi, Rosalie Frozehart, "Freeze Girl" con il potere del ghiaccio, è da sempre innamorata di Warren Peace, il ragazzo con il potere del fuoco. Ma Ghiaccio e Fuoco sono due Elementi opposti per natura, possono essi convivere senza distruggersi l'un l'altro? Il loro amore così contrastato potrà realizzarsi? Entrambi soffrono eppure è così difficile resistere a un amore reciproco così intenso...
Genere: Science-fiction, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Warren Peace
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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PREMESSA:

In un mondo in cui i supereroi sono parte integrante della comunità, a New York c'è in particolare una scuola per giovani con i superpoteri, la famosa Sky High.
Rosalie Frozehart, "Freeze Girl" con il potere del ghiaccio, è una ragazza bella e popolare, a cui piace stare in compagnia degli amici e scherzare con loro.
Ma lei è da sempre innamorata di Warren Peace, il ragazzo più inavvicinabile e misterioso della scuola. Da quando si sono parlati per la prima volta, però, Rose ha capito che lui in realtà è completamente diverso da come appare agli occhi degli altri.
C'è un unico problema: Warren ha il pericoloso potere del fuoco e, come se non bastasse, un passato decisamente oscuro. Ma Rosalie è disposta a tutto pur di poter stare con lui.
Possono Ghiaccio e Fuoco, due Elementi opposti per natura, convivere senza distruggersi l'un l'altro?
Il loro amore così contrastato potrà realizzarsi?
Entrambi soffrono eppure è così difficile resistere a un amore reciproco così intenso...

* * * * *
(Questa storia è ispirata al film "Sky High - Scuola di Superpoteri". Ma, a parte qualche personaggio e qualche scena, l'ho ripreso ben poco. Quindi potete leggere tranquillamente anche se non avete visto il film.)

Buona lettura!
Spero che questa mia storia vi piaccia! :)
* * * * *

 
1. Ritorno

 

...non devi preoccuparti, Rosalie. Io starò sempre con te.

Aaah, sì. Ahah che bello. Davvero starai sempre con me? Tutti i miei sogni diventerebbero realtà...

Dovevo rispondergli. Dirgli qualcosa. Aprii la bocca per parlare, ma non si sa per quale stranissimo motivo dalle mie labbra proveniva soltanto una strana musica anziché le parole che stavo cercando di pronunciare. Cercai di sforzarmi con tutta me stessa per trasformare le note musicali in sillabe, ma quella faticaccia fu inutile. Mi stavo scervellando, ma non riuscii a trovare alcun motivo logico per la sua presenza. Ti prego, ascoltami! Devo dirti una cosa importante! Non ce la facevo, lui non mi capiva. La musica continuava imperterrita. Era estremamente fastidiosa e non riuscivo in nessun modo a farla smettere.

Improvvisamente realizzai. Quello era un sogno, e quella strana musica che vi si era prepotentemente infiltrata proveniva dal mio cellulare: era la sveglia del mattino. Allungai pigramente una mano sul comodino e con un occhio chiuso e l'altro aperto spensi quell'aggeggio infernale.

Accidenti. Aveva rovinato tutto. Era un sogno così meraviglioso, era da non so quanto che non ne facevo di così realistici e così belli... Con molte poche speranze, allungai il braccio sull'altro lato del letto, dove fino a poco fa credevo ci fosse lui, solo per trovare il lenzuolo vuoto e freddo. Che tristezza.

Sospirando, raccolsi tutta la buona volontà che una studentessa di ormai quarta superiore poteva avere alle sette di mattina di lunedì, e mi alzai. Avrei preferito che quel giorno fosse andato in modo diverso, che fosse ancora domenica. Almeno avrei potuto finire il sogno. Warren...

Mi stiracchiai. Gli acciacchi della sera prima si fecero sentire. Era stato organizzato un party di addio all'estate e così avevo festeggiato con i miei amici l'inizio del nuovo anno scolastico. La festa mi era piaciuta molto, ma sarebbe stata ancora più fantastica se solo ci fosse stato anche lui... Sigh. Cercai di distogliere quel pensiero dalla mia mente e focalizzai la mia attenzione sui vestiti da indossare per il primo giorno di scuola.

Beh, primo di quest'anno, il quarto e penultimo anno come studentessa alla Sky High, la scuola per supereroi più famosa della East Coast, a pari livello con la Scuola per Giovani Dotati del Professor Charles Xavier. Alla Sky High ci andavano tutti i figli di supereroi famosi o ragazzi con superpoteri provenienti da famiglie normali. Io personalmente rientravo nella prima categoria: mio padre era Thunder Ray, famoso eroe col potere di creare tuoni e fulmini, e mia madre era Glaciess, la Ragazza di Ghiaccio, come la chiamavano i suoi amici quando ancora studiava alla Sky High. I miei poteri erano simili a quelli di mia madre, ma non uguali: lei diventava di un ghiaccio duro come il diamante, praticamente indistruttibile, io invece potevo crearlo. Avevo il potere del ghiaccio. Una futura super-eroina che trasformava i supercattivi in Polaretti? Mah, non si sapeva mai.

Ridacchiai pensando a che scultura glaciale avrei fatto oggi congelando Lash, mio grande amico e spasimante numero uno, tanto per iniziare l'anno con una mia mossa caratteristica e per far notare la mia presenza. Ormai era tradizione, per inaugurare ogni anno scolastico, giusto per farsi due risate.

Guardai l'orologio e presi un colpo: dovevo sbrigarmi o avrei perso l'autobus, e senza quello non avrei avuto nessunissimo modo per raggiungere la scuola. Per fortuna avevo preparato già il giorno prima i vestiti da indossare per il grande ritorno: una t-shirt bianca con scritto "BAD" in nero tipo a grosse pennellate, dei jeans graffiati, converse nere, bianche e azzurre e infine (dettaglio immancabile) i guanti a rete senza dita, uno nero e uno azzurro, che si abbinavano benissimo alle mie unghie con lo smalto turchese. Aprii la porta della mia camera e andai in bagno a fare la pipì e a sciacquarmi il viso per la solita rinfrescata mattutina. Mi diressi al lavandino e, dopo essermi lavata la faccia, osservai il mio riflesso allo specchio. Forse ieri sera avrei dovuto togliere meglio il trucco, pensai. Afferrai lo struccante e per mia grande fortuna non mi rimasero le occhiaie tipo zombie. Presi matita, ombretto e mascara e ci diedi una ripassata. Anche una linea di eyeliner non era male. Decisi che andava bene. Pettinai i miei capelli biondo platino lunghi fino alla vita, mettendo in mostra le meches azzurre sulla destra, e tornai in camera a prendere il mio Eastpak azzurro pastello. Ok, ero pronta.

Appena misi piede in corridoio, subito mi vennero incontro i miei due gattini, Glitch e Pixel. Avevano entrambi un anno e mezzo. Glitch era tigrato ma prevalentemente nero e il suo pelo era lunghetto, morbidissimo. Il preferito di tutti da prendere in braccio e strapazzare di coccole. L'avevo chiamato così perché aveva un problema agli occhi, e un glitch è un errore grafico, quindi... Pixel invece era tutto nero, un demone dell'ombra che mi attendeva sulla soglia e mi seguiva ovunque andassi, probabilmente sperando che prima o poi gli firmassi un contratto per cedergli la mia anima. Lui invece portava quel nome perché appena portato a casa era minuscolo e tutto spelacchiato (come Glitch, tra l'altro) e anche abbastanza bruttino. Sembrava un sorcio, più che un gatto. Ora era flessuoso ed elegante come una pantera, ma rimaneva pur sempre il mio pixel bruciacchiato. ♥

Diedi ad entrambi una carezza e una grattatina dietro alle orecchie, ma non avevo molto tempo. Di sicuro avevano già fatto colazione: a loro provvedeva mio papà appena si alzava, ancora prima di provvedere a sé stesso. A volte mi veniva il dubbio che fossero i gatti i nostri padroni, e non viceversa... Scesi in salotto, che era attaccato alla cucina, salutai i miei, afferrai al volo un biscotto dal tavolo e presi i miei occhiali da sole sul tavolino vicino all'ingresso, sistemandoli sopra la testa per dare un tocco finale al mio look.

«Ha chiamato Alex» mi annunciò mia madre, alle prese con un pancake ai fornelli. Alex era il mio fratellino ("ino" mica tanto, aveva quasi 16 anni ed era più alto di me). «Mi ha detto di augurarti buon inizio».

«'azie!» dissi, a bocca piena. Inghiottii il boccone e poi chiesi: «Ti ha detto quando torna dall'Europa? Se non sbaglio aveva rimandato la partenza».

«Non hanno ancora deciso, ma sembra che gli zii vengano qui a Natale e quindi lui verrebbe con loro. Almeno così ha detto».

«Mh» bofonchiai, sbafando un altro biscotto. «Niente missioni, oggi?» chiesi a mio padre, che si stava comodamente leggendo il giornale seduto a tavola di fronte a un caffè fumante.

«Al momento no. Abbiamo la mattina libera. Al pomeriggio però siamo in riunione» rispose. Il sorriso che mi rivolse rifletteva il suo stato di relax attuale.

Ero contenta per loro. Essere ambasciatori europei al Consiglio dei Super non è cosa da poco, ed erano più spesso in missione che a casa. Almeno quando potevano se la prendevano con comodo.

Salutai i miei genitori e uscii in giardino. Subito fui accolta da Black, il Terranova di mio fratello. Quel cane era enorme. I miei lo portavano quasi sempre in missione con loro: era stato addestrato sia come guardia del corpo che come rilevatore di aggeggi pericolosi. Feci una fatica bestia per evitare che mi leccasse tutta la faccia, ma lo grattai dietro le orecchie e lui scodinzolò felice. «C'è da portare a spasso Black!» urlai a mio papà in cucina.

«Sì tesoro, non ti preoccupare faccio io! Buona giornata!».

«Ciao, buona giornata anche a voi!».

Accarezzai un'ultima volta il cagnone e mi avviai alla fermata dell'autobus.

 

La riconobbi già da distante, sebbene al momento non indossassi né occhiali né lenti a contatto. La sua chioma blu elettrico era difficile da non individuare, dopotutto. Aveva i capelli lunghi e lisci, con una frangia dritta sulla fronte. Spesso, come oggi, li portava raccolti in due codini morbidi, bassi, lasciati cadere davanti vicino al collo.

Eccola lì, la mia migliore amica Scarlett. La mia migliore amica onnisciente che sapeva leggere nel pensiero.

«Uei vecchiaaa!» mi salutò, sventolando la mano.

Appena le fui vicina mi misi a ridere. I suoi occhi color oro erano contornati da un ombretto blu rimasuglio della sera prima, che quasi sicuramente si era dimenticata di togliere e ormai le aveva impregnato la pelle. «Sei sopravvissuta anche tu al manicomio di ieri sera, vedo!»

«Ahah guarda non me ne parlare. Prima di andare a letto penso di aver bevuto cinque camomille per cercare di calmarmi! Comunque hai poco da dire di me, guarda la tua di faccia piuttosto, l'alba dei morti viventi!»

Scoppiai a ridere. Non le si poteva nascondere proprio niente, anche stavolta aveva letto il mio pensiero e colto la mia osservazione divertita.

«Pronta per ricominciare?» le dissi, fingendomi eccitata e pimpante.

«Ué, altroché!» Alzò una V di vittoria, ironica. «Sono così pronta che mi metterei a studiare già in corriera! Sai no, per prendermi avanti!». Ridemmo.

In quel preciso istante arrivò l'autobus, puntuale come sempre. Il nostro autista di fiducia, Ron Wilson, aprì le porte e ci salutò calorosamente. «Buongiorno, signorine! Ben ritrovate! Siete pronte?»

Rispose Scarlett per entrambe. «Altroché, Ron! Lo stavo proprio dicendo a Rosalie qui: io sono nata pronta per andare a scuola!» rispose sarcastica mentre salivamo i gradini del pullman.

«Questo è lo spirito giusto!» disse Ron ridacchiando, quindi chiuse le porte alle nostre spalle e partì.

Ska ed io avanzammo nel corridoio cercando un posto libero. Notai che c'era un sacco di gente nuova. «Devono essere le matricole» suggerì la mia amica. Finalmente riuscimmo a sederci, giusto in tempo per il decollo: dopo essere entrato in una strada senza uscita che sbucava su un ponte in costruzione, il bus anziché rallentare accelerò. Giusto al momento della caduta nel nulla, Ron con gran prontezza di riflessi fece uscire i razzi e le ali e l'autobus si trasformò in una specie di jet. La nostra scuola, infatti, era sospesa in alto nel cielo e la si poteva raggiungere solo per via aerea, tutto ciò per proteggerla da attacchi di supercattivi o di malintenzionati. Era tenuta lassù grazie ai più moderni propulsori antigravitazionali e cambiava continuamente locazione, la quale era conosciuta solo dal personale autorizzato. Il decollo era la parte più divertente: sembrava di essere sulle montagne russe. Delle cinture automatiche uscivano e si allacciavano per tenerci ben saldi al sedile, e spesso Ron si divertiva a fare acrobazie spericolate. I nuovi studenti stavano urlando come pazzi, sembrava che dovessero morire da un momento all'altro. «Tzh, matricole» bofonchiammo all'unisono io e Scarlett, e ridacchiammo.

Guardai fuori dal finestrino per godermi il panorama, ma il pensiero del sogno di quella mattina non se n'era ancora andato. Dio mio, era così realistico. Sospirai. Cercai di distogliere i miei pensieri da quelle immagini nella mia testa e provai a rilassarmi osservando le forme candide delle nuvole. Quella mattina il cielo era così azzurro da sembrare dipinto digitalmente.

Di sicuro i miei pensieri depressi non erano sfuggiti alla mia amica, che infatti mi si avvicinò. «Ehi Rose. Vedrai che quest'anno andrà meglio. Non scappa mica...» mi rassicurò.

Avevo indovinato, lo sapeva. Si riferiva a Warren. Warren Peace. Il ragazzo per cui avevo una cotta stratosferica da... diciamo da appena ero entrata alla Sky High. Il ragazzo del mio sogno. Era così bello... e, pensate un po', aveva proprio il potere del fuoco.

«Perfetto per te» sussurrò Scarlett con un sorriso.

Era ciò che avevo sempre pensato anch'io: saremmo stati benissimo insieme. Lo dicevano tutti i miei amici. E poi, pensai, mi scioglie ogni volta. Ridacchiai al doppio senso. Fuoco e Ghiaccio... gli opposti si attraggono, dicevano. C'era solo un piccolo problema: per quanto esuberante ed estroversa fossi, ogni santa volta che c'era lui nei paraggi mi trasformavo in un panda obeso che non sapeva da che parte girarsi né dove cavolo si trovasse e non faceva altro che rotolare in giro e mangiare bambù. Beh insomma non proprio ma diventavo un disastro. In ricreazione lo osservavo sempre da un luogo sicuro dove non poteva vedermi, in modo da potermi godere quella visione in tutta tranquillità. Ma c'era anche un altro problema. Anche se aveva un gruppetto di amici con cui si ritrovava nelle pause lì a scuola, lui di fondo era un ragazzo riservato, e non erano mancati episodi di violenza che lo riguardavano, nei confronti di cretini che per "sfidare il leggendario Warren Peace" erano andati ad importunarlo, ritrovandosi solo con tanti rimpianti e un naso rotto. Se ne stava molto tempo per conto suo, la maggior parte delle volte leggendo un libro. Di lui si sapeva poco, ed io ero determinata a scoprire di più. Perché io a lui ci tenevo. Molta gente lo evitava, avendo lui come padre un supercattivo e il potere di incenerire chiunque quando lo desiderava. Anch'io all'inizio avevo avuto un po' di timore nei suoi confronti (sommiamo il timore per il suo retaggio più il panico dato dalla mia gigantesca infatuazione) ma avevo fatto presto a cambiare idea. Qualche mese prima si era verificato un fortuito episodio dettato dall'esperta mano del destino ed eravamo riusciti a parlarci per la prima volta. E la mia cotta per lui aveva fatto presto a salire alle stelle.

E se pensavo che l'avrei rivisto di lì a poco, le farfalle nel mio stomaco iniziavano a vorticare alla velocità di un tornado...

«Rose, sveglia!». Scarlett mi ridestò bruscamente dalle mie fantasie.

«Ah. Scusa Ska, ma sai no... i sogni sono difficili da dimenticare...»

«Dai su, che tragica di prima mattina! Cos'hai sognato stavolta?» mi chiese lei. Sapeva benissimo cosa avevo sognato, poteva leggerlo nella mia mente. Le sue erano domande di cortesia perché sapeva che io amavo raccontare, e parlando forse riuscivo a togliermi un peso dall'animo.

«Ah, lasciamo perdere. No ok ti racconto» mi affrettai ad aggiungere, vedendo l'occhiataccia che mi aveva lanciato. «Hai presente l'ultimo giorno di scuola, quando io e lui ci siamo scontrati in corridoio e ci siamo parlati per la prima volta?»

«Come dimenticarlo...» Era una punta di sarcasmo, quella lì nel suo commento?

«Ecco, ehm... allora... parte da là». Inevitabilmente ripercorsi con la mente l'ultimo giorno del mio terzo anno di liceo.

 

Stavo camminando con il mio ultimo scritto in mano, diretta con passo deciso verso il giardino dove si trovavano Scarlett, Joe e il resto della mia compagnia. Non stavo guardando più di tanto dove andavo, ero solo ansiosa di far leggere a Ska il nuovo capitolo del mio libro. Leggere non era esattamente l'hobby preferito di Scarlett, ma grazie a Dio e con mia immensa gioia il mio libro era uno dei pochi che leggeva volentieri. Ed ora finalmente avevo aggiunto qualche pagina alla mia opera. Ero così fiera di me stessa che avrei potuto mettermi a saltellare!

Infatti di lì a poco mi scontrai con qualcuno. Qualcuno di molto caldo, il cui calore corporeo mi venne addosso come un'onda. Alzai lo sguardo e rimasi di sasso: non ci credevo! Era proprio lui, Warren Peace, il ragazzo che adocchiavo da più di due anni, ora lì di fronte a me! A cui ero andata addosso, perlopiù!

Volevo dirgli qualcosa, qualsiasi cosa, ma non riuscii ad emettere alcun suono. Lui mi stava fissando.

Alla fine fu lui a prendere l'iniziativa: «Scusa, mi dispiace di averti fatto cadere tutti i fogli. Se vuoi ti aiuto a raccoglierli».

Con fatica distolsi lo sguardo dal suo bellissimo viso e lo rivolsi al pavimento. Non mi ero accorta di non avere più il mio block notes fra le braccia, ma ora il contenuto era tutto sparpagliato per terra. Fogli, foglietti, disegni e disegnetti. E anche qualche cartaccia più qualche compito scolastico intruso. Lui si era già chinato a raccoglierli, io mi riscossi e feci altrettanto, quasi automaticamente, senza capire cosa stava succedendo. La sua presenza così vicina a me impediva al mio cervello di funzionare correttamente.

Quando la mia opera fu di nuovo intera, ci alzammo e lui mi porse le carte. «Scrivi?» mi chiese.

Sbattei le ciglia. «Come?»

«Li hai scritti tu questi fogli?» ripeté, paziente.

Ero impacciatissima, non era da me. «Ah, sì, ho cominciato a scrivere una specie di libro, ma sono ancora all'inizio...». Ero abbastanza imbarazzata, e per qualche oscuro (come no) motivo non avevo coraggio di guardarlo in volto.

«Mi piacerebbe leggerlo». I suoi occhi cercavano i miei, e mi sentii in dovere di alzare lo sguardo. Lui sorrise. «Ciao, mi chiamo Warren Peace».

Subito risposi «Lo so» e lui rise.

«Tu sei Rosalie Frozehart.». Non era una domanda.

«Co...come fai a conoscermi?» chiesi stupidamente.

Per tutta risposta lui ridacchiò di nuovo. «Beh, diciamo che sei molto popolare a scuola. O sbaglio?». Mi fece uno sguardo d'intesa. «Io credo di no» aggiunse.

Era vero, a scuola mi conoscevano tutti, e non potevo dire che ciò mi dispiacesse.

Warren era ancora lì che mi sorrideva e io mi decisi ad essere più spontanea. «Sì, lo credo anch'io». Sorrisi.

«Che peccato, però, che siamo riusciti a parlarci solo l'ultimo giorno di scuola» commentò lui. «Sai, ti ho osservata spesso, ma non ho mai avuto occasione di parlarti. Eri, come dire, sfuggente.» Sorrise di nuovo, ma sembrava nascondere una punta di ironia. «Finalmente possiamo conoscerci di persona.»

Come se fosse una cosa naturale. Come se avesse sempre saputo che quella era la cosa che desideravo di più, e che ora avevo l'opportunità di averla.

«Ehi, va tutto bene?» chiese.

Mi distolsi dalle fantasie e cercai di tornare alla realtà.

Lui continuò. «Senti... questa sera, come sicuramente già saprai, hanno organizzato una festa per la fine dell'anno, ma non credo che ci andrò. Però magari se so che ci vieni anche tu potrei farci un pensierino».

Cosa, avevo capito bene?

No, non ci credevo! Era così importante per lui se c'ero io alla festa?

Non volevo dirgli che, avendo un grado nella scala sociale studentesca abbastanza alto, ero una delle prime che era stata invitata dagli organizzatori. Non a lui, sennò mi prendeva per una pazza con manie di egocentrismo (il che forse, ahimè, lo ero). Presi l'occasione al volo.

«Sì, io ci vado! Non ti hanno invitato? Mi sembrava che ieri Chris fosse venuto a parlarti...»

Annuì. «È vero, ma come ti ho detto non ero interessato all'evento. Allora, hai già un accompagnatore o ti va di venirci con me?»

 

Fermai un attimo il ricordo e commentai: «Dritto al punto senza tanti giri di parole. Mi piace, il ragazzo!»

«Questo si era capito» disse Scarlett. «Finisci di rimembrare, che dopo devi raccontarmi il sogno, non so se te lo ricordi».

Tornai dove ero rimasta.

 

No, non era possibile. Lo aveva detto. Oh mio dio.

Mi stava invitando alla festa!!! Lui!!!

Dovevo inventarmi qualcosa. Presto Rosalie, una risposta intelligente! «Ehm, io, veramente...» cercai di dire, ma fui interrotta.

Alzò gli occhi al cielo. Sembrava che se lo fosse aspettato, un rifiuto. «Fa niente, non importa. Pensavo solo che insieme ci potessimo divertire.»

Che cosa? «No, aspetta, non hai capito! Volevo dire che devo avvisare che non farò parte della compagnia, tutto qui, ma non ho un accompagnatore» mi affrettai a spiegare, prima che fosse troppo tardi. Con mio grande sollievo, un'espressione di conquista si distese sul viso di Warren. «Ho già pensato a che vestito indossare» scherzai, sentendomi già più sollevata, e ridemmo assieme.

«Allora ti passo a prendere alle sei e mezza. Andiamo in moto, ti va? Il casco te lo porto io, non ti preoccupare». Wow, già me lo immaginavo su una Harley Davidson, con la sua giacca in pelle, con i capelli al vento... Che sexy. Mi ripetei di stare calma.

Gli spiegai dove abitavo (non posso nascondere che ero molto felice di dirglielo, chissà magari più avanti sarebbe venuto a trovarmi per farmi una sorpresa, ehehe...), quindi ci salutammo, con la promessa di ritrovarci a casa mia puntuali quella sera.

 

Al pomeriggio mi preparai verso le quattro, anche se l'appuntamento era due ore dopo. A me serviva sempre più tempo per sistemarmi, tra doccia, acconciatura e piastra, trucco e scelta dei vestiti.

Quando udii il campanello suonare ero quasi pronta. Guardai l'orologio e notai che Warren era puntualissimo.

«Arrivo, un attimo solo!» gridai dalla camera.

Mi infilai le ciabatte per non stare a piedi nudi ed andai ad aprire la porta.

«Hey» mi salutò Warren con un sorriso.

«Ciao» riuscii solo a dirgli io. Lo feci entrare. Ero in super imbarazzo, ancora incredula che proprio Warren Peace fosse a casa mia e stesse aspettando proprio me per un appuntamento. Anche se non era ufficiale. (Ma, ehi, "regola numero tre: ogni invito è ufficiale!"). Però non volevo assolutamente che l'impaccio rovinasse la mia serata: era un'occasione estremamente speciale e non doveva andare male per nessuna ragione. Doveva essere tutto perfetto.

«A che punto sei?» mi chiese, mentre mi guardava.

Sono sul punto di morire, ma per il resto tutto bene, grazie, pensai ironica. Dovevo trovare il modo di calmarmi e così mi concentrai sulla sua domanda: «Mi mancano solo le scarpe, stavo ancora decidendo. Mi aspetti due minuti?» gli dissi.

«Certo, tanto siamo in anticipo».

Tornai in camera a sceglierle e alla fine optai per dei bei sandali con la zeppa. Si abbinavano molto bene al vestitino estivo che avevo scelto, ed erano entrambi acquamarina. Chissà se gli piacevo... Mi misi anche un coprispalle in pizzo color pesca, stesso colore degli accessori che avevo indossato, per non prendermi un accidente durante la corsa in moto e perché scesa la sera avrebbe fatto più fresco.

Tornai in salotto e Warren subito mi guardò interessato. La gonna arrivava sopra il ginocchio; il fatto che lui stesse osservando le mie gambe nude e il mio corpo con così poca stoffa a nasconderlo, mi fece arrossire. Warren mi rivolse un gran sorriso, segno di approvazione per il mio abbigliamento. Quindi gli piacevo? Oddio. Avrei tanto voluto chiedergli "che te ne pare?" ma lui mi precedette.

«Stai molto bene. Hai voglia di estate, eh?». Mi fece l'occhiolino.

Infatti il mio vestito la richiamava molto. «Sì, hai indovinato!». Ridacchiai, già più rilassata.

Uscimmo di casa e mi chiusi la porta alle spalle.

«Ma i tuoi dove sono?»

Fui sorpresa da questa sua domanda. «Stasera sono fuori a cena, tornano più tardi» spiegai.

Non riuscii ad interpretare l'espressione del suo viso. Mi indicò la moto.

«Accidenti! Che moto è?» esclamai alla vista del veicolo. Sul serbatoio c'era il marchio Harley Davidson, ma era diversa da quelle che ero solita vedere.

«È una Harley XR 1200. Non si vede molto in giro».

Questo spiegava tutto. «Beh, è davvero bella, mi piace!»

«Grazie. La uso per andare in giro in città. Ne ho anche una da cross». Sorrise, ci mettemmo i caschi, poi salì sulla moto. «Siediti qua dietro e stringiti a me» mi istruì con un sorrisetto furbo, poi aggiunse «se non vuoi cadere in corsa e romperti una gamba».

«Wow, che ottimismo ragazzi» commentai sarcastica. Mi sedetti dietro di lui e gli strinsi le mie braccia intorno alla vita, forse un po' troppo forte, perché lui ridacchiò.

Poi partimmo a tutta birra. Anzi, a tutto whisky. Così.

 

La festa fu memorabile: il perfetto saluto alla fine dell'anno scolastico per accogliere l'arrivo dell'estate. Verso l'una Warren mi riportò a casa. Mi fermai sulla porta d'ingresso, titubante, con lui alle mie spalle. Mi feci coraggio e mi girai a guardarlo.

«I miei non sono ancora tornati...» cominciai a dire.

Mi fissava speranzoso.

Proprio in quel momento mi squillò il cellulare. Tempismo perfetto eh? Guardai lo schermo: era mia madre. Risposi, cercando di soffocare un "ma porca miseria" e dissi: «Mamma! Proprio adesso mi dovevi chiamare?! Non potevi aspettare altri cinque minuti-»

«Scusa stella mia, volevo solo avvisarti che fra poco torniamo a casa. Ci siamo fermati dai Greene a bere qualcosa e ci siamo persi in chiacchiere. Tu sei a casa?». Quel "stella mia" mi raddolcì.

«Sì sono appena tornata... ora però ti saluto, non voglio far aspettare Warren ancora molto» le dissi.

«Ma Warr...-»

La interruppi. «Ti spiego tutto dopo mamma ciao!»

Non attesi neanche la sua risposta e riattaccai.

«Allora...» cominciai.

Warren mi guardava interrogativo.«I tuoi stanno tornando, vero?». Non sembrava neanche una domanda.

Sospirai e annuii. Non volevo che la serata finisse lì ma non avevo scelta. Mi avvicinai a lui.

«Beh, suppongo che ora dobbiamo salutarci...» abbozzò.

«Quest'estate ci vedremo?» chiesi speranzosa.

Fece una smorfia che interpretai come dispiacere. «Purtroppo no, non credo, perché a luglio vado via in vacanza e il resto del tempo devo lavorare. Se vuoi ti do il mio numero, così se ti va ci sentiamo qualche volta».

Meglio di qualsiasi altra cosa potessi sperare.

Così ci scambiammo i numeri di telefono e, per me, essere in possesso del suo era come aver vinto un trofeo. Ci salutammo con la promessa che, se non ci saremmo visti, qualche volta ci saremmo scritti o telefonati.

 

«Sì, me lo ricordo bene» disse Ska con una smorfia divertita, quando finii di rimembrare «hai saltellato per una settimana urlando "Ho il numero di Warren Peace!!! Ma ti rendi conto?! Ohmmioddio non ci credooo!"» e imitò me che saltavo sul sedile agitatissima.

Poi si fermò, perché tutti nei posti vicino al nostro cominciarono a guardarci male. Io risi ma poi sospirai al pensiero che io e Warren ci eravamo sentiti solo tre volte, all'inizio delle vacanze, e poi più niente. Guardai altrove.

«E il sogno?» chiese Scarlett, curiosa e impaziente.

«Beh, più che altro era una continuazione alternativa di quella serata».

«Cioè?». Forse si divertiva a farmi soffrire.

«Che quando mi ha riportata a casa, intanto nessun cellulare squillava; poi lui mi accarezzava il viso e mi baciava, io gli dicevo di andare in camera mia e allora ci siamo andati e lui mi ha spinta sul letto e insomma non dirmi che non hai fantasia per immaginarti il resto!». Risi isterica cercando di non dar troppo a vedere che ero diventata tutta rossa, anche se avevo il fiatone perché avevo detto tutto a velocità supersonica. Scarlett scosse la testa sorridendo.

Dopodiché non sentii più niente e mi persi nel ricordo del mio magnifico sogno...

  
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