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Autore: ChiaraSerafin22    10/12/2015    0 recensioni
Una stazione deserta. Una ragazza bellissima nascosta nel buio, come un animale ferito. Uno sconosciuto che, vedendola, rimane stregato dalla sua solitudine.
L'incontro di una storia fatta di attese, di desideri, di sogni che solo il destino può realizzare.
Anche se Amanda, al destino, non ci crede. Ma quando si è disperati si può credere a qualunque cosa.
> Racconto semifinalista Campiello Giovani 2010
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Erano le cinque del mattino e l’aria era così fredda che mozzava il respiro e feriva gli occhi. L’ospedale, tetro e grigio, sembrava essere insensibile al dolore di chi vi si rifugiava. Le luci accecanti che uscivano dalle finestre non facevano che aumentare quelle desolanti sensazioni contrastanti.
Una giovane donna dai capelli rossi osservava con occhi velati la brina che si condensava al di là dei vetri. Era l’ultima sentinella rimasta a far veglia, come un angelo custode. A un certo punto, emise un sospiro: la buona notizia era che Andrea era vivo.
I medici avevano invitato la famiglia del ragazzo a tornare a casa. A differenza dell’uomo dell’altra auto coinvolta, il giovane non aveva subito danni fisici, ma la sua condizione era comunque considerata più grave. Dall’incoscienza in cui era stato trovato, Andrea era entrato in uno stato ben peggiore: il coma.
Avevano dato la notizia senza tante cerimonie, ma confidavano nel fatto che il trauma non era stato molto forte.
C’erano confortanti possibilità che si svegliasse presto.
Presto non è abbastanza, rifletté Amanda, dopo che un’infermiera l’ebbe aggiornata sullo stato del paziente. Erano ormai diverse ore che la sala occupata da Andrea era silenziosa: i medici e le loro cartelline piene di fogli se n’erano andati.
“Lei è una parente?” l’infermiera aveva domandato ad Amanda, quando quest’ultima aveva richiesto notizie di Andrea.
“Sono una sorella” aveva mentito la ragazza, per poi soggiungere: “Posso vederlo?”.
La donna l’aveva cinicamente osservata dall’alto in basso: “Non è orario di visite”.
“Non le ho chiesto di entrare” aveva ribadito Amanda, “Voglio solo vederlo. Starò fuori dalla stanza, lo prometto. Me lo lasci vedere, la prego”.
Il viso angelico e supplichevole l’aveva spuntata e la ragazza era stata condotta davanti a una delle tante anonime porte, dietro ognuna delle quali si consumava un dramma tutto personale. “Le concedo cinque minuti signorina, non le sarebbe permesso stare qui a quest’ora” puntualizzò l’infermiera.
Amanda non se la prese per il tono maleducato, anzi ringraziò e attese che la donna si allontanasse. Desiderava vedere Andrea da sola, senza spettatori, e avvertì distintamente la stretta al petto ghermirla quando guardò dentro la sua stanza. Fu una sensazione che dominò interamente la sua mente.
I suoi occhi vennero invasi da un’unica immagine: lui, disteso sul letto, con tubicini che uscivano dagli orifizi e circondato da apparecchiature a lei sconosciute. Ma la cosa che maggiormente la fece soffrire fu l’espressione completamente spenta del suo viso. Il suo viso. Quello che ricordava gioviale e dolce, attraversato da un sorriso che non si eclissava mai. Il suo viso, spento.
Non passò nemmeno uno dei cinque minuti pattuiti con l’infermiera. Amanda se ne andò dopo pochi istanti, travolta da tante di quelle emozioni che non riusciva nemmeno a contenerle. Corse lungo quel dedalo di corridoi, sapendo fin troppo bene che non sarebbe comunque riuscita a lasciarsi nulla alle spalle.
Non riuscì a calmarsi fino a quando non uscì in strada. Col cuore che martellava impazzito, assistette al risveglio della città che cominciava a popolarsi di macchine e persone che dovevano andare al lavoro. Tanta gente, tutta ignara.
Solo allora, solo in quel momento la dura realtà la colpì, crudele come uno schiaffo, e finalmente Amanda riuscì a piangere.

Lacrime gemelle rigavano ora il viso della ragazza. A distanza di giorni, l’immagine di Andrea su quel letto non l’aveva abbandonata. L’eco del suo viso continuava a ritornarle alla mente, risuonandole nella testa come un canto prigioniero di una grotta senza uscite.
Amanda aveva finito di raccontare e il suo sguardo era fisso su Alex. La voce le era morta in gola, alla fine. Si rendeva conto che quella storia non era conclusa e che, cosa che la rese ancor più insicura, l’unica che poteva voltare pagina era proprio lei.
Il ragazzo che le stava davanti non l’aveva mai interrotta né le aveva fatto domande. Capiva. Capiva fin troppo bene, ma in quel momento la giovane donna non aveva bisogno di consolazioni: aveva bisogno di consigli.
Fece per parlare, ma la vide, persa nei suoi ricordi, a rimirare lo spettacolo che la città offriva dalla posizione sopraelevata della stazione: ogni casa brillava di luci bianche e i tetti sfrigolavano di un sottile manto di neve appena caduta, illuminata dai fari della notte. Chissà che quella lucentezza non rendesse meno foschi i suoi pensieri.
“Amanda” la chiamò. Lei non si voltò, ma fece segno di averlo sentito. Alex continuò: “Se sai quello che vuoi, perché non vai da lui?”.
La risposta non arrivò subito, aleggiò un po’ nell’aria prima di venire pronunciata: “Ho paura”.
“La paura è quella che ci impedisce di realizzare i nostri desideri” citò l’altro.
“I miei non si sono mai realizzati” ribatté Amanda, allontanando momentaneamente l’attenzione dalla città sparsa ai suoi piedi, per concentrarsi su Alex: “Tutti i sogni, le aspettative, le speranze. Sono solo chimere. Nessuno è disposto ad aiutarci nell’attuarli e noi continuiamo solo a tormentarci con illusioni irrealizzabili”. Erano parole dure, accentuate ancor di più dal tono disfattista con cui erano state pronunciate.
Alex si strinse nelle spalle. Pensò che avrebbe tanto desiderato spezzare quella sua ostinazione pessimistica con un abbraccio comprensivo, ma si rese conto che Amanda era come un miraggio: lontana, in qualche modo irreale nonostante si trovasse solo a qualche metro di distanza. Rappresentava tutto ciò che lui non provava da tempo: il sentimento, l’ardente fuoco nelle vene tipico di coloro che hanno troppi desideri e che, inevitabilmente, non riescono a realizzarne quasi nessuno.
Amanda, però, non era come lui: lei poteva afferrare il suo futuro. Le mancava solo il coraggio. “Non sempre i nostri sogni si avverano” le disse, “Ma noi dobbiamo continuare a sognare. E c’è sempre qualcosa per cui vale la pena soffrire, e piangere, e disperarsi”.
Lo stava ascoltando. Alex pensò che avrebbe dovuto insistere, farle meglio capire quello che intendeva, ma lei lo colse di sorpresa: mise una mano in tasca e estrasse un cartoncino. Era un biglietto del treno, già timbrato.
Uno strano sorriso si era dipinto sul suo volto, un sorriso di serena rassegnazione: “Per quanto riesca a pensare ai centinaia di posti dove potrei andare, il mio cuore ha scelto diversamente”. Sventolò il biglietto e tirò il fiato. Le sue lacrime si erano asciugate. “Non sarà la via più facile, ma di sicuro è quella giusta”.
   
 
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