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Autore: Miriel_93    10/12/2015    2 recensioni
Per poter andare avanti, bisogna riuscire prima a far pace con il proprio passato.
Solo allora il futuro si snoderà davanti ai nostri piedi.
Nota (su consiglio di Solandia -> thank you very very very much): la mia ff si basa principalmente su quanto accade nell'anime dato che, purtroppo, ancora non sono riuscita a leggere tutto il manga per mancanza di tempo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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epilogo

Shinta

Mi sento di dire che ho finalmente imparato una cosa.
Una cosa molto importante che, per quanto scontata, si tende sempre a dimenticare.
Guardare avanti. Si deve sempre guardare avanti.
Per undici anni avevo vissuto nel passato, aggrappandomi ai tutti quegli sbagli che avevo fatto, seppur in buona fede, e che mi pesavano sulle spalle, schiacciandomi con il loro peso immenso. Avevo deciso che quello era l’unico modo di espiare le mie colpe. Come se bloccare la mia vita a quel modo potesse davvero redimermi. Come se cessare di vivere avesse potuto restituire tutte le vite che avevo ingiustamente strappato ai legittimi proprietari per mezzo della mia spada.
Se solo fosse davvero bastato così poco.
Ero intenzionato con tutto il mio misero essere a saldare il mio debito, a pagare per le mie colpe. Ma qualcuno, molto più potente e puro di me, doveva aver deciso che non era quello il mio destino.
Per questo, forse, ero incappato in Kaoru.
Kaoru, che con la sua tenace dolcezza è riuscita a mostrarmi un’altra verità, a insegnarmi che il passato non va dimenticato, ma nemmeno tenuto così saldamente ancorato a noi. Grazie all’intensità dei suoi sentimenti e alla sua pazienza nell’attendere che uno studente sciocco come me lo comprendesse, è riuscita a farmi capire che gli avvenimenti del nostro passato altro sono che gradini di una scala, assi di un ponte o mattoni di argilla. Elementi essenziali per progredire, per costruire il proprio futuro.
Mai avrei creduto che la punizione che io stesso mi ero inflitto potesse portarmi così lontano. A volte mi veniva il dubbio di aver sbagliato tutto, di aver imboccato la strada sbagliata.
Un cammino di espiazione non poteva condurre a un finale così idilliaco.
La facilità con cui mi ero adattato a questo nuovo stato di cose, tra l’altro, mi aveva lasciato basito. Certo, si poteva dire che sapessi già un paio di cose sul matrimonio, ma tra il me stesso che aveva vissuto con Tomoe e il me stesso che ora vive con Kaoru c’era una differenza abissale. E, comunque, sembra che anche per la mia sposa le cose siano state meno complicate del previsto.
Nonostante l’imbarazzo iniziale, il nostro matrimonio era partito senza intoppi, come se non fosse cambiato nulla. Gli unici ad essersi trovati vagamente in difficoltà erano stati Sanosuke e Yahiko, che proprio non riuscivano ad abituarsi all’idea che io e Kaoru ci fossimo finalmente dichiarati. O meglio, che io fossi riuscito a “darmi una mossa”, come spesso sottolineava Sano.
Pian piano, però, anche loro erano riusciti ad adattarsi a quel nuovo equilibrio e tutto era tornato come prima del nostro matrimonio. Sanosuke continuava a presentarsi al Dojo a qualsiasi ora del giorno e della notte, soprattutto quando si avvicinava l’ora di mangiare, mentre Yahiko passava le sue giornate a brontolare, prendere in giro Kaoru e allenarsi.
Per quanto riguarda me, anche io sono tornato alle mie abitudini. Cucino, pulisco il Dojo, faccio il bucato. Kaoru aveva provato a convincermi a lasciare che fosse lei a occuparsi delle faccende domestiche, come ogni moglie avrebbe fatto, ma quando Yahiko si era messo a protestare, spaventato all’idea di dover mangiare qualsiasi cosa cucinata da lei, si era rassegnata. Non pacificamente, certo, ma alla fine aveva deciso di lasciare che le cose tornassero com’erano prima che ci sposassimo, lasciando a me il ruolo di massaia e tenendo per sé quello di insegnante di Yahiko.
Tra i miei compiti figurava anche l’andare a fare compere, cosa che svolgevo puntualmente ogni mattina, dopo aver preparato la colazione. Ero sempre il primo a svegliarmi (suppongo che certe abitudini siano dure a morire) e questo era un modo come un altro di tenermi impegnato facendo qualcosa di produttivo.
Ed ecco perché, anche oggi, nonostante l’ora di pranzo sia ancora lontana, sono già in cammino per andare a fare la spesa, dopo aver imbandito il piccolo tavolo della sala da pranzo con uova sode, verdure in salamoia, riso bollito e tè bollente.
Mi è sempre piaciuto osservare il mondo di prima mattina. Specialmente in questa stagione, quando i boccioli dei fiori di ciliegio cominciano a decorare i rami degli alberi. La leggera foschia che aleggia a un soffio dal terreno sta iniziando a diradarsi, avvolgendo il panorama come un telo semitrasparente. L’aria è fresca, frizzante, rinvigorente. La ghiaia scricchiola appena sotto i miei zōri1.
Una volta arrivato nella via principale, compro il tofu, del pesce fresco e un po’ di frutta e verdura. Fatti gli acquisti della giornata, mi avvio verso il Dojo carico come un mulo. Nonostante non ci abbia messo poi molto tempo, il mondo è un luogo più sveglio di quando sono uscito. La foschia mattutina ha lasciato il posto a un brillante mantello di goccioline di rugiada, i cortili delle case cominciano a risuonare delle risate dei bambini e dei rimproveri delle madri.
Sorridendo tra me e me, continuo a camminare, accompagnato dai sassolini che protestano sotto il mio peso e dal canto degli uccellini appollaiati da qualche parte, tra i rami degli alberi, ricoperti dalle prime tenere foglioline.
Sono ormai quasi arrivato quando, dal cortile del Dojo, sento provenire un po’ di trambusto.
Perplesso, affretto il passo, impaziente e vagamente preoccupato.
Appena varco la soglia del cortile, mi trovo davanti una scena che cancella immediatamente ogni traccia di inquietudine.
«Dovresti essere a letto a riposarti!»
«Sì, lo sai che non dovresti fare fatica!»
«Ho solo bisogno di fare quattro passi, non posso restare sdraiata o seduta tutto il giorno!»
«Adesso li hai fatti, torna dentro!»
«Sì, torna dentro!»
Vorrei riuscire a trattenere una risata divertita, ma non ce la faccio e quel suono tradisce la mia presenza.
«Ah, grazie al cielo sei qui», esclama Kaoru, con aria palesemente disperata. «Ti prego, fa’ qualcosa», mi implora rinunciando a qualsiasi tentativo di liberarsi dalla presa delle due bambine che cercando in tutti i modi di convincerla a tornare in casa.
«Emi2, Eri3, forza, lasciate stare la mamma», suggerisco, sorridendo con aria incoraggiante in direzione delle due gemelle di tre anni che movimentano le nostre giornate da quando sono venute al mondo un anno dopo il nostro matrimonio.
«Ma la mamma deve riposarsi!» Protesta Eri, decisa a non demordere.
«Sì, ce l’hai detto tu e ce l’ha detto anche zia Megumi!» Rincara la dose Emi.
Guardandole entrambe dritte in quegli occhi blu che avevano ereditato da noi, cerco di trovare un compromesso che soddisfi tutti quanti.
«Ci penso io alla mamma, adesso. Portate queste cose in cucina, d’accordo? E attente a non rovesciare il tofu», dico, distribuendo gli acquisti di quella mattina in modo più o meno equo tra le due.
«Arrivo prima io!» Urla Eri, voltandosi rapidamente verso l’entrata, seguita dai lunghi capelli mogano identici a quelli della sorella, poco più scuri dei miei.
«No, non vale!» Le grida dietro Emi, imitandola.
«Il tofu!» Le ammonisco, seguendole con lo sguardo, scuotendo la testa con aria rassegnata. So già che non arriverà mai in cucina sano e salvo. «Allora, da quando non riesci a tenere a testa a due bambine di tre anni?» Domando a Kaoru, sorridendole con aria divertita.
«Non ti ci mettere anche tu», mi rimprovera, incrociando le braccia sul petto. «Sono testarde come muli, lo sai», brontola, esasperata.
«Non hanno preso da me», mi difendo, stringendomi nelle spalle.
«Ma se sono il tuo riflesso!» Nota Kaoru, con enfasi.
«Appunto, ma il carattere è il tuo», mi limito a replicare, sorridendo con aria innocente. «Piuttosto, come ti senti stamattina?» Chiedo, nel tentativo di archiviare quella discussione, ormai trita e ritrita.
«Stanca di dovermene rimanere tranquilla tutto il giorno», risponde, con un sospiro.
«Immaginavo. Ma Megumi ha detto che è meglio se eviti di affaticarti troppo. Dopo i problemi che hai avuto con Emi ed Eri è meglio non rischiare», le ricordo.
Come dimenticare l’ansia che ci aveva accompagnato continuamente mentre Kaoru era incinta delle nostre due figlie? Le nausee continue che non le permettevano di mangiare abbastanza per mantenersi in forze, i dolori al ventre, quelle macchie che non avrebbero dovuto esserci, la corporatura troppo esile di Kaoru che sorreggeva a stento il peso di due bambini…era stata una tortura infinita per entrambi.
«Erano due», si difende Kaoru, stringendosi nelle spalle. «Ed erano le prime», aggiunge.
«Lo so, ma non è meglio portare pazienza un altro po’ ed essere tutti più tranquilli?» Le domando, cercando di farla ragionare.
Portandosi una mano sul ventre, addolcito dalle forme rotonde di quella nuova gravidanza, Kaoru sospira, con aria rassegnata.
«D’accordo», concede, mettendo un broncio leggero che mi strappa un sorriso.
«Forza, rientriamo. Puoi sempre darmi una mano a pulire e tagliare le verdure», propongo, prendendola per mano. A volte ho l’impressione di averne già tre di figlie.
«Se me lo lasci fare…!» Risponde Kaoru e le sue parole suonano un po’ come un rimprovero. «Però…ecco, volevo chiederti se oggi potevi aiutare Yahiko con gli allenamenti. Non vorrei che si arrugginisse troppo. E poi potrebbe fargli bene un po’ di esercizio con te. Sanosuke è un ottimo sfidante, ma non usa la spada», butta lì poi, stringendosi nelle spalle, mentre ci avviamo verso il portico su cui si apre la sala da pranzo.
«Lo faccio volentieri», le assicuro, prima di sentire un rumore concitato di passi frettolosi venire verso di noi.
«È colpa di Emi!»
«No, è stata Eri, mi ha fatta inciampare!»
«Avete rovesciato il tofu, vero?» Domando, rassegnato, mentre Emi ed Eri si incolpano a vicenda, urlando per sovrastare una la voce agitata dell’altra.
«Sì ma è stata colpa sua!»
«Smettila di dire le bugie!»
«Di chiunque sia la colpa, ormai il tofu si è rovesciato. Vi avevo avvisato di stare attente», le rimprovero, con un tono di voce tranquillo. «Andate a pulire mentre io vado a comprarne dell’altro», ordino, mentre Kaoru, ridacchiando, si siede sul legno del portico.
«Sì!» Esclamano in coro le bambine, tornando da dove sono arrivate, sempre di corsa.
«E tu aspettami qui e comportati bene», aggiungo, rivolto a Kaoru, che cerca di non farsi scoprire mentre ride di gusto. Vedermi cercare di gestire quei due uragani in miniatura la diverte sempre più di quanto dovrebbe.
«E dove vuoi che vada, sono sorvegliata a vista», protesta, sorridendomi mentre lascia dondolare i piedi giù dal portico, accarezzandosi distrattamente il ventre.
«E meno male», noto, sospirando di sollievo.
A volte stento a riconoscermi. Mi chiedo come facciano gli altri, Kaoru compresa, ad essere sicuri che io sia proprio io, che l’uomo taciturno e perennemente appesantito dal proprio passato si sia veramente trasformato nell’uomo che sono oggi. Ci penso spesso, ma non trovo mai una soluzione. Poi, però, mi rendo conto che se erano riusciti ad accettarmi per l’Hitokiri che ero stato, probabilmente accettare il cambiamento che la presenza di Kaoru nella mia vita aveva comportato non doveva aver rappresentato poi chissà quale difficoltà.
«Ti aspetto seduta qui, Shinta», mi assicura Kaoru.
E io, dopo averle rubato un bacio, mi rimetto in marcia per andare a comprare dell’altro tofu.
Chi l’avrebbe mai detto che un samurai vagabondo come me sarebbe finito a fare la spola per riuscire a far arrivare il tofu in cucina?
 


1 I sandali giapponesi, li abbiamo già incontrati negli scorsi capitoli.
2 Scritto恵美 o 絵美, significa “bellissima benedizione” o “bellissima immagine”.
3 Scritto恵美子 o 笑子 significa “bellissima bambina” o “bambina sorridente”.


***L'angolo di Miriel_93***
Eccoci qui. 
Non avrei mai creduto che potesse arrivare questo momento, e invece...! 
Vi ho fatto penare un sacco tutte le volte, un colpo aggiornavo subito e un colpo facevo passare una vita, ma alla fine siamo arrivati alla fine ç_ç
Giuro che piango ç_ç
Ci tenevo a ringraziare dal profondo del mio cuoricino sia Solandia che Izzie_sadaharu per la grande, grandissima pazienza nell'aspettare i miei aggiornamenti e per le magnifiche recensioni. Mi avete dato la forza di continuare a scrivere anche quando l'ispirazione vacillava, il tempo mancava e le circostanze non erano favorevoli.
È per lettrici come voi che fa piacere scrivere <3
Spero che anche quest'ultimo capitolo vi sia piaciuto, anche se a me ha lasciato un po' l'amaro in bocca, forse perché è l'ultimo, forse perché ho voluto che Kenshin/Shinta "uscisse un po' dal personaggio". Dopo quattro anni di matrimonio e vita felice, ho pensato che fosse giusto mettere in luce qualche cambiamento, per quanto piccolo. Quello di quest'ultimo capitolo è un uomo finalmente in pace con se stesso e col mondo che lo circonda, e spero che questo messaggio sia passato (e da qui anche la decisione di scrivere "Shinta" all'inizio del capitolo, invece di "Kenshin"). 
Un altro appunto lo volevo fare sui nomi delle bambine, Emi ed Eri. Ci ho messo una vita per sceglierli, volevo due nomi con un significato simile, sono due gemelle e sono entrambe le primogenite, quindi non volevo che ci fossero troppe differenze tra loro (non è forse questa la tendenza dei genitori? Quella di evitare faide tra fratelli facendo meno differenze possibili? :'D) e quindi, alla fine, sono arrivata a questa soluzione. Spero che sia di vostro gradimento ^^
Vi ringrazio ancora infinitamente per avermi fatto da spalle durante la stesura di questa ff. 
Chissà, magari più avanti ci scapperà qualche One Shot sulla vita di questa famigliola. D'altra parte, dovrò pur presentarvi il pargoletto in arrivo, no?
Grazie di cuore a tutte <3
A presto,
Alice.
  
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