Racconto originariamente scritto per il literary-blog
SognandoLeggendo in occasione di Natale 2011.
Lo ripropongo qui perché trovo carino che più persone
abbiano la possibilità di leggerlo.
Spero possa rivelarsi cosa gradita.
La
notte di Natale
Mimi
sbadigliò a fauci spalancate, rotolandosi tra la stoffa morbida della cuccia,
la campanella del giocattolo di strass tintinnò lievemente, ma quella sera non
aveva voglia di giocare.
Il
cucciolo di gatto siberiano si accoccolò su se stesso, tutti i padroni ormai
erano andati a dormire lasciando accesa soltanto la stufa che mandava ancora
bagliori rossastri, come il suo pelo. C’era un bel calduccio, e sembrava che in
casa ci fosse qualcosa di diverso.
Gli
umani avevano affisso agli stipiti delle porte, all’ingresso, persino alle
finestre tanti festoni che luccicavano, e nel soggiorno grande avevano piantato
un albero. Un albero che però non perdeva gli aghi, e l’avevano ricoperto di
palle di vetro colorate, corone tutte brillanti e un sacco di lucine che
l’avevano incantata, aveva provato ad afferrarne qualcuna per capire che sapore
avessero, ma la padrona adulta l’aveva allontanata dicendole che non si doveva
fare.
Mimi
aveva assentito con un miagolio di disappunto, anche se condivideva quella
soluzione: quell’albero l’avevano piantato troppo in alto, e con le sue
zampette corte per arrivarci avrebbe fatto una fatica incredibile.
Così
la micina affondò il musino tra le zampe anteriori
sentendo già il sonno farsi avanti ad accarezzarle la pelliccia.
Finché
non sentì alcuni strani rumori. Alzò la testa, orecchie ritte e in allerta. Di
nuovo rumore.
Rumore
bassissimo, continuo e che non aveva mai udito prima.
Stette
immobile per qualche attimo in attesa di capire se fosse la sua immaginazione
di cucciolo a darle quell’impressione, ma quando si accorse che no, era realtà,
balzò giù dalla culla di copertine e caracollò fino al soggiorno, incuriosita.
La
luce emanata dalla stufa era tremolante e aranciata come il sole d’estate che
lei aveva avuto il tempo di vedere solo dopo aver aperto gli occhietti,
quell’anno. Si affacciò nella stanza, le ci vollero pochi secondi per
individuare la fonte di quel brusio strano quanto interessante.
Quello
che il suo sguardo intravide nella penombra, le fece tornare la voglia di
giocare.
Uscivano
da un grosso balocco rosso e trasparente con in cima un fiocchetto di pailette
e una sferetta di vetro, era poggiato sul fluff alla base dell’abete sintetico,
cosparso di brillantini scarlatti e dorati. Erano tanti.
Pier
era stato uno dei primi a gettarsi a capofitto nel lavoro natalizio,
saltellando come una pulce e aspettando ansioso le sue mansioni, tanto che il
vecchio e saggio Mus sospirò con un sorriso
rassegnato.
A
differenza dei canonici cinque centimetri che caratterizzavano i folletti
natalizi, Pier ne misurava soltanto quattro, era ancora giovane e più inesperto
degli altri, inciampava spesso nel ponpon della
berretta rossa, e non aveva ancora appreso i rudimenti per rendere il suo
incarico un poco più facile. Ma avrebbe imparato, Mus
ne era certo.
«Cosa
faccio, cosa devo fare, eh? Eh? Eh? Dove vado, dove vado, cosa...?» chiocciò
speranzoso verso l’anziano, che gli scompigliò i capelli neri sulla testolina.
Almeno per farlo stare zitto.
«Te
la senti di lucidare i balocchi di vetro?»
Pier
annuì energicamente, il ponpon del cappellino
saltellò in ogni direzione.
«Allora
prendi la tua borsa e va’.» sorrise il vecchio, sistemandogli il colletto della
camicia vermiglio.
Il
piccoletto non se lo fece ripetere due volte.
Partì
a razzo da Ames e si fece consegnare la tracolla con
dentro la polvere natalizia, controllò che ce ne fosse tantissima, da
affondarci le mani come piaceva fare a lui, e iniziò ad arrampicarsi sulle
fronde più basse, attentissimo a non lasciarsi sfuggire nemmeno una sfera di
vetro.
La
prima che trovò era trasparente e venata di ramificazioni di glitter bianco
neve in rilievo. Pier si calò dal gancio che la teneva appesa, e prese una
manciata di polvere natalizia cominciando a sfregarla sulla superficie.
Poco
a poco il balocco diventò lustro e riflettente come uno specchio magico, i
glitter divennero luminescenti come diamanti, la fragile sfera si colorò di
un’iridescenza che sembrò farla rivivere come appena nata nella bottega di un
vetraio. Pier dovette allungarsi più che poté per patinare tutto il globo,
scivolò un paio di volte e sempre tornò su, voleva che quel lavoro fosse
perfetto, anche a costo di attendere Babbo Natale stesso.
Gli
altri folletti, chi adibito alla lucidatura dei balocchi di materiali meno
nobili, chi si occupava di sistemare i festoni appesi, chi maneggiava le luci
in modo da far funzionare quelle che avevano perso d’intensità, lo guardavano
con un misto di divertimento e apprensione.
I
folletti natalizi erano coloro che si occupavano di rendere l’albero perfetto
per il 25 di dicembre, dovevano ordinarlo dal tronco fino alla cima, infondere
la polvere natalizia per far sì che quando gli abitanti della casa si fossero
svegliati non avrebbero visto soltanto un semplice abete finto, bensì lo
spirito del Natale, quello che rendeva i bambini allegri e spensierati per
tutta la giornata, quello che metteva di buon’umore i grandi, quella che
disseminava la gioia, la tranquillità e la bontà: a loro era assegnato il
compito di rendere magico il simbolo della magia stessa.
E
tutti i folletti natalizi sapevano che Pier si impegnava, ma era ancora troppo
giovane per una responsabilità del genere, tanti si chiedevano come mai Mus, che era savio e di Natali ne aveva visti molti più di
tutti loro messi insieme, l’avesse accettato nonostante fosse impacciato,
scoordinato e un poco maldestro.
Avrebbe
potuto accidentalmente far cadere un balocco e frantumarlo a terra, avrebbe
potuto incastrarsi tra i rami o perdersi tra i festoni, la sua altezza gli
rendeva difficile occuparsi dei pendenti più grandi, e regolarmente si
ritrovava a scalare la stessa fronda per riprendere il suo posto dopo essere
cascato.
Ma
la notte di Natale era brevissima, Babbo Natale probabilmente era in arrivo, e
nessuno di loro aveva tempo da perdere, si limitarono a lanciare a Pier qualche
occhiata ogni tanto mentre continuavano a svolgere il proprio compito con
solerzia e velocità.
Mimi
si avvicinò cautamente, i suoi occhi verde smeraldo non sapevano dove posarsi:
l’albero brulicava.
Tanti
cosini rossi e verdi dappertutto che si agitavano frenetici, non fecero nessun
caso a lei, ne vide qualcuno che alitava sulle palline dorate e poi vi passava
il gomito con fare orgoglioso, un altro che controllava una per una le lucette
a intermittenza, altri che si arrampicavano sulle ghirlande rosso e oro per
salire.
La
gattina era terribilmente curiosa, inclinò la testa in varie angolazioni per
fissarli, non capiva cosa fossero, così piccoli e colorati, tutti con quei
cappellini rossi e una pallina bianca sulla punta; aveva visto una di quelle
berrette anche sulla testa del suo padrone adulto, ma di certo non gli arrivava
fino ai piedi.
Prese
una breve rincorsa e balzò sul divano, mosse qualche passettino in direzione
dell’abete decisa ad usare il suo olfatto per catalogare quegli esserini che assomigliavano ai soldatini del padroncino
piccolo. Solo che quelli si stavano muovendo, e anche tanto.
La
sua attenzione venne attirata da qualcosa che ruzzolò tra gli aghi. Fissò quel
punto per qualche secondo, e all’improvviso un paio di manine spuntarono, poi
tutto il resto. Uno di quei robini si stava issando,
con una certa fatica, fino a far oscillare incredibilmente il balocco a forma
di pigna che era appeso.
Mimi
si acquattò, silenziosa.
Pier
sbuffò inerpicandosi lungo il ramo di finto legno fino a che non ritrovò
l’equilibrio, sospirando sollevato. Stava migliorando, le prime volte finiva
sempre di nuovo ai piedi dell’albero e doveva risalire da zero, pian piano
aveva imparato a stare un poco più attento.
Ritornò
alla sua pigna, prendendo un’altra manciata di polvere natalizia e finendo di
lucidarne la base.
Gli
altri erano già molto in alto, lui era ancora soltanto a metà, ed era stanco. Sapeva
di non potersi fermare, ma si concesse qualche attimo per riprendere fiato,
alzando lo sguardo del colore delle nocciole fino in cima.
Là
c’era lei, la dama.
Non
un semplice balocco, bensì un pendente di puro cristallo, la regina dell’albero
che sovrastava tutto quanto, seconda solo al puntale che regnava sovrano.
Pier
avrebbe tanto voluto essere il primo, almeno una volta, a donarle la polvere
che lei stessa avrebbe usato per rendersi iridescente come meritava, ma non
c’era mai riuscito, un po’ perché era lento ed era quasi sempre l’ultimo a
completare il lavoro, un po’ perché in tanti gli avevano detto che la dama non
avrebbe accettato la polvere da un folletto imbranato come lui.
Scosse
la testolina mora, si sistemò ben bene il cappello e continuò la sua scalata, i
balocchi lo stavano attendendo con ansia.
Lavorò
imperterrito, tra ponpon che lo facevano inciampare e
polvere natalizia che si divertiva a farlo starnutire, arrivò in alto lustrando
le sfere di vetro fino a potercisi riflettere. E fu in uno di quei momento che
si accorse di essere osservato.
Si
voltò, per poco non gli venne un colpo.
Un
paio di verdi occhi a mandorla erano concentrati su di lui, due pupille grandi
e nere seguivano le sue mossette millimetriche.
Aveva
visto qualcosa di simile l’anno precedente, ma lontanissimo, sul pavimento, e
non certo di quel color fulvo acceso; il modo in cui lo osservava non gli fece
pensare a nulla di buono.
Si
nascose dietro una stella di plastica, già limpida di polvere natalizia,
tremando leggermente.
Gli
occhioni si avvicinarono cercando di scovarlo, e quando non ci riuscirono una
grossa zampa ricoperta di pelo agitò l’esile frasca fino a farlo dondolare
pericolosamente. Pier si aggrappò con tutte le sue forza agli aghi posticci,
non osava pensare a cosa sarebbe successo se fosse caduto e quell’essere
l’avesse trovato.
Con
una mossa fulminea si lasciò scivolare lungo l’anima di un festose e arrivò
dall’altra parte dell’albero, ma sembrava che la bestia rossa se ne fosse
accorta, infatti stava guardando in quella direzione.
Allora
il folletto prese ad arrampicarsi velocissimamente per mettere più distanza
possibile tra loro, scavalcò anche altri che gli chiesero che stesse
combinando, non ottenendo risposta.
Il
cuoricino gli batteva forte nel petto vestito della camicetta rossa, si
abbarbicò su un paio di gufi di feltro guardando in basso: la bestiola continua
a fissarlo, ma lei era là, sullo schienale del divano, impossibilitata a
raggiungerlo. O almeno sperava.
Si
abbandonò ad un sospiro liberatorio, che presto però si tramutò in delusione.
Aveva saltato chissà quanti balocchi di vetro. Non aveva svolto il suo compito,
si era lasciato sopraffare dalla paura e aveva dimenticato di fare il suo
dovere, proprio la notte di Natale.
Si
accasciò a ridosso del tronco, avvilito, prese tra le mani il morbido ponpon bianco, stringendolo come se fosse il suo unico
amico rimasto.
Forse
gli altri folletti natalizi avevano ragione. Forse lui non era affatto portato
per quel lavoro. Forse era una responsabilità troppo gravosa per lui, forse era
davvero incapace come lo credevano, forse era troppo imbranato per fare le cose
per bene, forse era troppo basso per riuscire a stare al passo. Forse era vero
che avrebbe dovuto ritirarsi prima di combinare un guaio.
Una
lacrima di scintilla gli scivolò lungo il viso, raccolta dalla soffice lanugine
del ponpon.
«Ehi...
Che succede, piccolo?»
Pier
si voltò mentre un’altra goccia gli bagnava la pelle di pesca. Quando la vide,
poco mancò che non scapicollasse nuovamente.
La
dama era davvero bellissima.
Un
fulgido balocco di cristallo d’un azzurro terso, un lungo abito di ragnatele
screziate dalle luci irregolari e lo sguardo di giada, fiero e importante.
Era
arrivato alla dama prima di chiunque altro senza neanche accorgersene.
«Ah...»
mormorò intimidito «Mi scusi, non avrei dovuto essere qui, è che mi sono
spaventato e sono corso quassù senza pensare, non volevo essere invadente, mi
perdoni, non lo farò più, adesso vado!» sciorinò senza riprendere fiato, tanto
che alla fine il suo volto tondo assomigliava ad una mela matura tanto era
rosso, facendo pendant con la blusa.
«Fermati,
non devi andare da nessuna parte!» lo rassicurò, preoccupata per la colorazione
del folletto «Cos’è che ti ha tanto spaventato?»
Lui
parve ricordarsi in un attimo tutte le elucubrazioni di pochi attimi prima, gli
occhietti tornarono a riempirsi di lacrime, afferrò di nuovo il ponpon, sentendosi fuori posto.
La
dama si avvicinò, leggera e leggiadra, e gli accarezzò il cappellino con fare
materno, il suo sguardo di ghiaccio era avvolgente, rassicurante, non era come
gli era sempre stata descritta.
«Mi
dici che succede?» ritentò ancora, candidamente.
Pier
ingoiò la tristezza e lentamente allungò un braccio, indicando qualcosa lontano
dall’albero. La dama si sporse e intravide la gattina ancora appostata, zampine
sotto il petto e gli occhi sognanti volti in quella direzione.
«Piccolo,
non ti devi preoccupare, non ti vuole fare del male.» gli disse con dolcezza
«Vuole solo giocare, come tutti i cuccioli.»
Pier
torturò il suo ponpon, spaesato. Tornò a fissarsi le
punte degli stivaletti scarlatti, sconfortato.
«Perché
sei così triste?» insisté dolcemente.
«Non
sono stato bravo...» frusciò minacciando un altro pianto «Ho avuto paura e sono
scappato prima di finire di lucidare tutto... E sono finito qui anche se non
dovevo... Non sono portato per fare il folletto natalizio...» Si asciugò
un’altra lacrima con la manica fissando ossessivamente la palletta
che aveva tra le dita, quando sentì la dama ridere con gentilezza.
«Non
è la fine del mondo, piccolino.» gli sorrise «C’è ancora tempo prima che arrivi
Babbo Natale, ancora di più prima che arrivi il nuovo giorno.»
Pier
tirò su col naso, abbattuto.
«Ma
non sono bravo a fare niente!» pigolò «Sono lento e arrivo sempre ultimo, e
sono basso! Non riuscirò mai a essere come gli altri...»
Lei
gli prese il viso tra le mani color cielo, facendogli un sorriso.
«Nessuno
è perfetto, piccolino.» lo rassicurò «E nessuno nasce sapendo fare tutto. Sei
ancora inesperto, e l’inesperienza si dissolve soltanto continuando. Hai tutti
gli istanti che vuoi per diventare il migliore!»
«Credi?»
soffiò Pier, dimenticandosi completamente di dover usare un linguaggio un po’
più rispettoso.
«Hai
la polvere natalizia?»
Sì,
ce l’aveva, anche se quasi se n’era scordato. Le porse la tracolla e la dama ne
prese una manciata, cospargendosela tra i capelli di vetro, sulle spalle
azzurrate, lungo tutto l’abito serico, fino alle scarpette trasparenti. Divenne
una fata.
Il
balocco più lucente di tutti, dorato e amaranto, conteneva in sé tutte le tinte
dell’arcobaleno che si amalgamavano piano come in un sogno, fece una piroetta
sotto il puntale, alto e fiero, che guardava tutto dal culmine senza proferire
una parola.
«Vedi,
piccolo?» gli domandò una volta che la polvere ebbe sortito il suo effetto
luminescente «Sei riuscito a giungere fino a me e portarmi quel che dovevi.» Si
mise in ginocchio di fronte a lui, sistemandogli alcuni ciuffetti ribelli «Sei
stato il migliore, questa volta. E se hai dimenticato qualche balocco venendo
su, potrai rifarti mentre scendi. Niente è irreparabile.»
Pier
continuò a molestare il ponpon bianco per un po’,
imbarazzato e confuso, finché un barlume di speranza non gli balenò negli
occhioni scuri. Arrossì mentre un sorriso gli fioriva sulle labbra, facendolo
sentire felice.
«Posso
venire a trovarti tutti gli anni?» azzardò nascondendosi dietro la tesa del
berretto.
«Certo
che puoi.» assentì la dama «E ogni volta che mi vedrai saprai che puoi essere
tutto quello che vuoi.»
Pier
nascose le mani dietro la schiena dondolandosi gongolante, trattenendo un
sorriso enorme.
«Grazie!»
esclamò «Allora io scendo e... e luciderò tutto i balocchi di vetro che
troverò, prima che arrivi Babbo Natale!»
«Bravo,
così si fa.» annuì ridendo «Ma aspetta un momento...» Si protese e afferrò da
una ghirlanda una finta bacca di pungitopo, rossa e tonda come la luna, e
gliela porse «Fanne buon uso.»
Pier
la prese, anche se non comprese granché il suo utilizzo. Ma se gliel’aveva
consegnata la dama allora a qualcosa doveva pur servire. Le fece un sorrisone,
riconoscente e allegro, assicurandole che al prossimo Natale si sarebbero
rivisti senza ombra di dubbio.
Dopo
che la fata di vetro l’ebbe salutato, Pier iniziò a scendere senza fretta,
fermandosi ad ogni fragile balocco che incontrava, per dar voce alla promessa
fatta. Dopo poco incontrò anche altri folletti che stavano salendo, che gli
chiesero perché la dama di cristallo fosse così luminosa e brillante nonostante
ancora nessuno le avesse portato la polvere natalizia.
Pier
si limitò a fare di nuovo quel sorriso. Per poi scivolare e rimanere aggrappato
al ramo.
Era
un po’ difficile lucidare con quella bacca sottobraccio, ma se la tenne stretta
finché non tornò all’altezza della bestiolina che sembrava averlo aspettato.
Era ancora un po’ intimorito da quella presenza rosso fuoco, ma lei non
sembrava ostile, anzi, lo guardava con aspettativa come lui quando giocava con
i suoi dadi.
E
le parole della dama gli ritornarono in mente.
Pier
andò fino all’apice della propaggine sintetica, con una certa paura che gli
pervadeva il corpicino, e mostrò al gattino la bacca. E la lanciò sui cuscini
del divano.
Questi
si gettò alla sua ricerca sconquassando un po’ il tutto, iniziando a spingerla
da una parte e dall’altra, su di giri.
Pier
rise, pensando che forse non era così terribile come aveva pensato subito,
avrebbe quasi voluto aggiungersi e divertirsi col micio.
«Ehi,
Pier!» lo chiamò una voce. Era il saggio Mus «Ancora
qui?»
«Ho
finito!» rispose orgoglioso, mostrandogli la borsa quasi vuota. Mus rise e gli accarezzò la testolina, intimandogli che era
ora per tutti di rientrare: la mezzanotte era vicina e Babbo Natale stava
arrivando.
Tutti
i folletti natalizi convogliarono nuovamente verso la base dell’abete e uno per
uno rientrarono nel grosso balocco bicolore, Pier fu uno degli ultimi, perché
si era fermato a guardare il micio divertirsi lungo il pavimento, facendo
correre la bacca in ogni angolo del soggiorno.
«Su
su su!» Mus batté il
bastone sul fluff per richiamarlo all’attenzione, e lui gli corse incontro,
inciampando nella berretta e finendo giusto dentro il rifugio. L’anziano lo
aiutò a rialzarsi e togliersi le pailette dal vestito «Sono fiero di te.»
Pier
si calò il cappellino fin quasi al naso, mal nascondendo il rossore sulle sue
guance.
Anche
lui era fiero di sé.
«Sei
proprio una stupida!»
«E
tu sei un antipatico!»
«Stupida!»
«Antipatico!»
«Ragazzi!»
sbottò la madre, guardandoli entrambi «Per favore.»
I
bambini si misero buoni, limitandosi a sussurrarsi fantasiosi insulti mentre
ancora scartavano i regali che avevano trovato sotto l’albero di Natale.
«È
davvero bellissimo!» commentò la zia, ammirando l’abete addobbato a regola
d’arte «È... È luminoso come una stella!» disse scuotendo la testa, non trovando
un aggettivo adatto per descrivere quel che vedeva.
«Già.»
annuì la mamma di casa «Anche se credo siano i raggi del sole, ieri per esempio
mi sembrava più... Meno acceso. E credevo che alcune luci non funzionassero,
invece pare tutto a posto...»
«Quel
balocco è davvero stupendo.» continuò la zia indicando la dama di cristallo che
sovrastava la cima, che riluceva di sette colori di gemma.
La
bambina smise di cercare di tirare i capelli al fratellino e si alzò in piedi.
«Questo
è merito dei folletti natalizi!» esclamò per farsi sentire, e le due si volsero
verso di lei.
«Folletti
natalizi?» ripeté la zia, e la bimba annuì.
«Sì!»
Assentì con la testa per dare più convinzione alle sue parole «Me l’ha detto la
nonna. La notte di Natale, prima che arrivi Babbo Natale, escono i folletti
natalizi che sistemano tutto l’albero, mettono a posto i festoni e lucidano i
balocchi, e fanno anche funzionare tutte le lucine!»
Le
donne sorrisero teneramente, ricordavano che anche a loro veniva raccontata
quella medesima favola.
«Beata
ingenuità...» mormorò la zia posandole una mano sulla testa riccioluta.
«Guarda
che è vero!» protestò lei.
«Certo,
certo...» La madre raccolse un po’ delle carte strappate e ne fece una palla da
tirare a Mimi, che però non vi prestò attenzione «Forza, il pranzo è pronto,
non facciamo aspettare gli altri!» li esortò battendo le mani.
I
due bambini di malavoglia si staccarono da libri e giocattoli e seguirono la
zia nell’altro soggiorno, mentre Mimi balzò su una sedia, a pelo ritto. Spiccò
un salto e ricominciò a giocare con una minuscola bacca rossa che continuava a
rotolare come spinta da un soffio.
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Grazie per essere arrivati alla fine
e per aver letto questo mio scritto. u.u
Un commentino mi rende sempre
felice.
Piaciuto questo racconto?
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