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Autore: Niagara_R    10/12/2015    0 recensioni
*Christmas tale*
Un folletto impacciato, timido e pasticcione alle prese col suo primo albero da addobbare.
E un gatto che non vorrà lasciarlo in pace.
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Racconto originariamente scritto per il literary-blog SognandoLeggendo in occasione di Natale 2011.

Lo ripropongo qui perché trovo carino che più persone abbiano la possibilità di leggerlo.

Spero possa rivelarsi cosa gradita.

 

 

 

 

 

La notte di Natale

 

 

Mimi sbadigliò a fauci spalancate, rotolandosi tra la stoffa morbida della cuccia, la campanella del giocattolo di strass tintinnò lievemente, ma quella sera non aveva voglia di giocare.

Il cucciolo di gatto siberiano si accoccolò su se stesso, tutti i padroni ormai erano andati a dormire lasciando accesa soltanto la stufa che mandava ancora bagliori rossastri, come il suo pelo. C’era un bel calduccio, e sembrava che in casa ci fosse qualcosa di diverso.

Gli umani avevano affisso agli stipiti delle porte, all’ingresso, persino alle finestre tanti festoni che luccicavano, e nel soggiorno grande avevano piantato un albero. Un albero che però non perdeva gli aghi, e l’avevano ricoperto di palle di vetro colorate, corone tutte brillanti e un sacco di lucine che l’avevano incantata, aveva provato ad afferrarne qualcuna per capire che sapore avessero, ma la padrona adulta l’aveva allontanata dicendole che non si doveva fare.

Mimi aveva assentito con un miagolio di disappunto, anche se condivideva quella soluzione: quell’albero l’avevano piantato troppo in alto, e con le sue zampette corte per arrivarci avrebbe fatto una fatica incredibile.

Così la micina affondò il musino tra le zampe anteriori sentendo già il sonno farsi avanti ad accarezzarle la pelliccia.

Finché non sentì alcuni strani rumori. Alzò la testa, orecchie ritte e in allerta. Di nuovo rumore.

Rumore bassissimo, continuo e che non aveva mai udito prima.

Stette immobile per qualche attimo in attesa di capire se fosse la sua immaginazione di cucciolo a darle quell’impressione, ma quando si accorse che no, era realtà, balzò giù dalla culla di copertine e caracollò fino al soggiorno, incuriosita.

La luce emanata dalla stufa era tremolante e aranciata come il sole d’estate che lei aveva avuto il tempo di vedere solo dopo aver aperto gli occhietti, quell’anno. Si affacciò nella stanza, le ci vollero pochi secondi per individuare la fonte di quel brusio strano quanto interessante.

Quello che il suo sguardo intravide nella penombra, le fece tornare la voglia di giocare.

 

Uscivano da un grosso balocco rosso e trasparente con in cima un fiocchetto di pailette e una sferetta di vetro, era poggiato sul fluff alla base dell’abete sintetico, cosparso di brillantini scarlatti e dorati. Erano tanti.

Pier era stato uno dei primi a gettarsi a capofitto nel lavoro natalizio, saltellando come una pulce e aspettando ansioso le sue mansioni, tanto che il vecchio e saggio Mus sospirò con un sorriso rassegnato.

A differenza dei canonici cinque centimetri che caratterizzavano i folletti natalizi, Pier ne misurava soltanto quattro, era ancora giovane e più inesperto degli altri, inciampava spesso nel ponpon della berretta rossa, e non aveva ancora appreso i rudimenti per rendere il suo incarico un poco più facile. Ma avrebbe imparato, Mus ne era certo.

«Cosa faccio, cosa devo fare, eh? Eh? Eh? Dove vado, dove vado, cosa...?» chiocciò speranzoso verso l’anziano, che gli scompigliò i capelli neri sulla testolina. Almeno per farlo stare zitto.

«Te la senti di lucidare i balocchi di vetro?»

Pier annuì energicamente, il ponpon del cappellino saltellò in ogni direzione.

«Allora prendi la tua borsa e va’.» sorrise il vecchio, sistemandogli il colletto della camicia vermiglio.

Il piccoletto non se lo fece ripetere due volte.

Partì a razzo da Ames e si fece consegnare la tracolla con dentro la polvere natalizia, controllò che ce ne fosse tantissima, da affondarci le mani come piaceva fare a lui, e iniziò ad arrampicarsi sulle fronde più basse, attentissimo a non lasciarsi sfuggire nemmeno una sfera di vetro.

La prima che trovò era trasparente e venata di ramificazioni di glitter bianco neve in rilievo. Pier si calò dal gancio che la teneva appesa, e prese una manciata di polvere natalizia cominciando a sfregarla sulla superficie.

Poco a poco il balocco diventò lustro e riflettente come uno specchio magico, i glitter divennero luminescenti come diamanti, la fragile sfera si colorò di un’iridescenza che sembrò farla rivivere come appena nata nella bottega di un vetraio. Pier dovette allungarsi più che poté per patinare tutto il globo, scivolò un paio di volte e sempre tornò su, voleva che quel lavoro fosse perfetto, anche a costo di attendere Babbo Natale stesso.

Gli altri folletti, chi adibito alla lucidatura dei balocchi di materiali meno nobili, chi si occupava di sistemare i festoni appesi, chi maneggiava le luci in modo da far funzionare quelle che avevano perso d’intensità, lo guardavano con un misto di divertimento e apprensione.

I folletti natalizi erano coloro che si occupavano di rendere l’albero perfetto per il 25 di dicembre, dovevano ordinarlo dal tronco fino alla cima, infondere la polvere natalizia per far sì che quando gli abitanti della casa si fossero svegliati non avrebbero visto soltanto un semplice abete finto, bensì lo spirito del Natale, quello che rendeva i bambini allegri e spensierati per tutta la giornata, quello che metteva di buon’umore i grandi, quella che disseminava la gioia, la tranquillità e la bontà: a loro era assegnato il compito di rendere magico il simbolo della magia stessa.

E tutti i folletti natalizi sapevano che Pier si impegnava, ma era ancora troppo giovane per una responsabilità del genere, tanti si chiedevano come mai Mus, che era savio e di Natali ne aveva visti molti più di tutti loro messi insieme, l’avesse accettato nonostante fosse impacciato, scoordinato e un poco maldestro.

Avrebbe potuto accidentalmente far cadere un balocco e frantumarlo a terra, avrebbe potuto incastrarsi tra i rami o perdersi tra i festoni, la sua altezza gli rendeva difficile occuparsi dei pendenti più grandi, e regolarmente si ritrovava a scalare la stessa fronda per riprendere il suo posto dopo essere cascato.

Ma la notte di Natale era brevissima, Babbo Natale probabilmente era in arrivo, e nessuno di loro aveva tempo da perdere, si limitarono a lanciare a Pier qualche occhiata ogni tanto mentre continuavano a svolgere il proprio compito con solerzia e velocità.

 

Mimi si avvicinò cautamente, i suoi occhi verde smeraldo non sapevano dove posarsi: l’albero brulicava.

Tanti cosini rossi e verdi dappertutto che si agitavano frenetici, non fecero nessun caso a lei, ne vide qualcuno che alitava sulle palline dorate e poi vi passava il gomito con fare orgoglioso, un altro che controllava una per una le lucette a intermittenza, altri che si arrampicavano sulle ghirlande rosso e oro per salire.

La gattina era terribilmente curiosa, inclinò la testa in varie angolazioni per fissarli, non capiva cosa fossero, così piccoli e colorati, tutti con quei cappellini rossi e una pallina bianca sulla punta; aveva visto una di quelle berrette anche sulla testa del suo padrone adulto, ma di certo non gli arrivava fino ai piedi.

Prese una breve rincorsa e balzò sul divano, mosse qualche passettino in direzione dell’abete decisa ad usare il suo olfatto per catalogare quegli esserini che assomigliavano ai soldatini del padroncino piccolo. Solo che quelli si stavano muovendo, e anche tanto.

La sua attenzione venne attirata da qualcosa che ruzzolò tra gli aghi. Fissò quel punto per qualche secondo, e all’improvviso un paio di manine spuntarono, poi tutto il resto. Uno di quei robini si stava issando, con una certa fatica, fino a far oscillare incredibilmente il balocco a forma di pigna che era appeso.

Mimi si acquattò, silenziosa.

 

Pier sbuffò inerpicandosi lungo il ramo di finto legno fino a che non ritrovò l’equilibrio, sospirando sollevato. Stava migliorando, le prime volte finiva sempre di nuovo ai piedi dell’albero e doveva risalire da zero, pian piano aveva imparato a stare un poco più attento.

Ritornò alla sua pigna, prendendo un’altra manciata di polvere natalizia e finendo di lucidarne la base.

Gli altri erano già molto in alto, lui era ancora soltanto a metà, ed era stanco. Sapeva di non potersi fermare, ma si concesse qualche attimo per riprendere fiato, alzando lo sguardo del colore delle nocciole fino in cima.

Là c’era lei, la dama.

Non un semplice balocco, bensì un pendente di puro cristallo, la regina dell’albero che sovrastava tutto quanto, seconda solo al puntale che regnava sovrano.

Pier avrebbe tanto voluto essere il primo, almeno una volta, a donarle la polvere che lei stessa avrebbe usato per rendersi iridescente come meritava, ma non c’era mai riuscito, un po’ perché era lento ed era quasi sempre l’ultimo a completare il lavoro, un po’ perché in tanti gli avevano detto che la dama non avrebbe accettato la polvere da un folletto imbranato come lui.

Scosse la testolina mora, si sistemò ben bene il cappello e continuò la sua scalata, i balocchi lo stavano attendendo con ansia.

Lavorò imperterrito, tra ponpon che lo facevano inciampare e polvere natalizia che si divertiva a farlo starnutire, arrivò in alto lustrando le sfere di vetro fino a potercisi riflettere. E fu in uno di quei momento che si accorse di essere osservato.

Si voltò, per poco non gli venne un colpo.

Un paio di verdi occhi a mandorla erano concentrati su di lui, due pupille grandi e nere seguivano le sue mossette millimetriche.

Aveva visto qualcosa di simile l’anno precedente, ma lontanissimo, sul pavimento, e non certo di quel color fulvo acceso; il modo in cui lo osservava non gli fece pensare a nulla di buono.

Si nascose dietro una stella di plastica, già limpida di polvere natalizia, tremando leggermente.

Gli occhioni si avvicinarono cercando di scovarlo, e quando non ci riuscirono una grossa zampa ricoperta di pelo agitò l’esile frasca fino a farlo dondolare pericolosamente. Pier si aggrappò con tutte le sue forza agli aghi posticci, non osava pensare a cosa sarebbe successo se fosse caduto e quell’essere l’avesse trovato.

Con una mossa fulminea si lasciò scivolare lungo l’anima di un festose e arrivò dall’altra parte dell’albero, ma sembrava che la bestia rossa se ne fosse accorta, infatti stava guardando in quella direzione.

Allora il folletto prese ad arrampicarsi velocissimamente per mettere più distanza possibile tra loro, scavalcò anche altri che gli chiesero che stesse combinando, non ottenendo risposta.

Il cuoricino gli batteva forte nel petto vestito della camicetta rossa, si abbarbicò su un paio di gufi di feltro guardando in basso: la bestiola continua a fissarlo, ma lei era là, sullo schienale del divano, impossibilitata a raggiungerlo. O almeno sperava.

Si abbandonò ad un sospiro liberatorio, che presto però si tramutò in delusione. Aveva saltato chissà quanti balocchi di vetro. Non aveva svolto il suo compito, si era lasciato sopraffare dalla paura e aveva dimenticato di fare il suo dovere, proprio la notte di Natale.

Si accasciò a ridosso del tronco, avvilito, prese tra le mani il morbido ponpon bianco, stringendolo come se fosse il suo unico amico rimasto.

Forse gli altri folletti natalizi avevano ragione. Forse lui non era affatto portato per quel lavoro. Forse era una responsabilità troppo gravosa per lui, forse era davvero incapace come lo credevano, forse era troppo imbranato per fare le cose per bene, forse era troppo basso per riuscire a stare al passo. Forse era vero che avrebbe dovuto ritirarsi prima di combinare un guaio.

Una lacrima di scintilla gli scivolò lungo il viso, raccolta dalla soffice lanugine del ponpon.

«Ehi... Che succede, piccolo?»

Pier si voltò mentre un’altra goccia gli bagnava la pelle di pesca. Quando la vide, poco mancò che non scapicollasse nuovamente.

La dama era davvero bellissima.

Un fulgido balocco di cristallo d’un azzurro terso, un lungo abito di ragnatele screziate dalle luci irregolari e lo sguardo di giada, fiero e importante.

Era arrivato alla dama prima di chiunque altro senza neanche accorgersene.

«Ah...» mormorò intimidito «Mi scusi, non avrei dovuto essere qui, è che mi sono spaventato e sono corso quassù senza pensare, non volevo essere invadente, mi perdoni, non lo farò più, adesso vado!» sciorinò senza riprendere fiato, tanto che alla fine il suo volto tondo assomigliava ad una mela matura tanto era rosso, facendo pendant con la blusa.

«Fermati, non devi andare da nessuna parte!» lo rassicurò, preoccupata per la colorazione del folletto «Cos’è che ti ha tanto spaventato?»

Lui parve ricordarsi in un attimo tutte le elucubrazioni di pochi attimi prima, gli occhietti tornarono a riempirsi di lacrime, afferrò di nuovo il ponpon, sentendosi fuori posto.

La dama si avvicinò, leggera e leggiadra, e gli accarezzò il cappellino con fare materno, il suo sguardo di ghiaccio era avvolgente, rassicurante, non era come gli era sempre stata descritta.

«Mi dici che succede?» ritentò ancora, candidamente.

Pier ingoiò la tristezza e lentamente allungò un braccio, indicando qualcosa lontano dall’albero. La dama si sporse e intravide la gattina ancora appostata, zampine sotto il petto e gli occhi sognanti volti in quella direzione.

«Piccolo, non ti devi preoccupare, non ti vuole fare del male.» gli disse con dolcezza «Vuole solo giocare, come tutti i cuccioli.»

Pier torturò il suo ponpon, spaesato. Tornò a fissarsi le punte degli stivaletti scarlatti, sconfortato.

«Perché sei così triste?» insisté dolcemente.

«Non sono stato bravo...» frusciò minacciando un altro pianto «Ho avuto paura e sono scappato prima di finire di lucidare tutto... E sono finito qui anche se non dovevo... Non sono portato per fare il folletto natalizio...» Si asciugò un’altra lacrima con la manica fissando ossessivamente la palletta che aveva tra le dita, quando sentì la dama ridere con gentilezza.

«Non è la fine del mondo, piccolino.» gli sorrise «C’è ancora tempo prima che arrivi Babbo Natale, ancora di più prima che arrivi il nuovo giorno.»

Pier tirò su col naso, abbattuto.

«Ma non sono bravo a fare niente!» pigolò «Sono lento e arrivo sempre ultimo, e sono basso! Non riuscirò mai a essere come gli altri...»

Lei gli prese il viso tra le mani color cielo, facendogli un sorriso.

«Nessuno è perfetto, piccolino.» lo rassicurò «E nessuno nasce sapendo fare tutto. Sei ancora inesperto, e l’inesperienza si dissolve soltanto continuando. Hai tutti gli istanti che vuoi per diventare il migliore!»

«Credi?» soffiò Pier, dimenticandosi completamente di dover usare un linguaggio un po’ più rispettoso.

«Hai la polvere natalizia?»

Sì, ce l’aveva, anche se quasi se n’era scordato. Le porse la tracolla e la dama ne prese una manciata, cospargendosela tra i capelli di vetro, sulle spalle azzurrate, lungo tutto l’abito serico, fino alle scarpette trasparenti. Divenne una fata.

Il balocco più lucente di tutti, dorato e amaranto, conteneva in sé tutte le tinte dell’arcobaleno che si amalgamavano piano come in un sogno, fece una piroetta sotto il puntale, alto e fiero, che guardava tutto dal culmine senza proferire una parola.

«Vedi, piccolo?» gli domandò una volta che la polvere ebbe sortito il suo effetto luminescente «Sei riuscito a giungere fino a me e portarmi quel che dovevi.» Si mise in ginocchio di fronte a lui, sistemandogli alcuni ciuffetti ribelli «Sei stato il migliore, questa volta. E se hai dimenticato qualche balocco venendo su, potrai rifarti mentre scendi. Niente è irreparabile.»

Pier continuò a molestare il ponpon bianco per un po’, imbarazzato e confuso, finché un barlume di speranza non gli balenò negli occhioni scuri. Arrossì mentre un sorriso gli fioriva sulle labbra, facendolo sentire felice.

«Posso venire a trovarti tutti gli anni?» azzardò nascondendosi dietro la tesa del berretto.

«Certo che puoi.» assentì la dama «E ogni volta che mi vedrai saprai che puoi essere tutto quello che vuoi.»

Pier nascose le mani dietro la schiena dondolandosi gongolante, trattenendo un sorriso enorme.

«Grazie!» esclamò «Allora io scendo e... e luciderò tutto i balocchi di vetro che troverò, prima che arrivi Babbo Natale!»

«Bravo, così si fa.» annuì ridendo «Ma aspetta un momento...» Si protese e afferrò da una ghirlanda una finta bacca di pungitopo, rossa e tonda come la luna, e gliela porse «Fanne buon uso.»

Pier la prese, anche se non comprese granché il suo utilizzo. Ma se gliel’aveva consegnata la dama allora a qualcosa doveva pur servire. Le fece un sorrisone, riconoscente e allegro, assicurandole che al prossimo Natale si sarebbero rivisti senza ombra di dubbio.

Dopo che la fata di vetro l’ebbe salutato, Pier iniziò a scendere senza fretta, fermandosi ad ogni fragile balocco che incontrava, per dar voce alla promessa fatta. Dopo poco incontrò anche altri folletti che stavano salendo, che gli chiesero perché la dama di cristallo fosse così luminosa e brillante nonostante ancora nessuno le avesse portato la polvere natalizia.

Pier si limitò a fare di nuovo quel sorriso. Per poi scivolare e rimanere aggrappato al ramo.

Era un po’ difficile lucidare con quella bacca sottobraccio, ma se la tenne stretta finché non tornò all’altezza della bestiolina che sembrava averlo aspettato. Era ancora un po’ intimorito da quella presenza rosso fuoco, ma lei non sembrava ostile, anzi, lo guardava con aspettativa come lui quando giocava con i suoi dadi.

E le parole della dama gli ritornarono in mente.

Pier andò fino all’apice della propaggine sintetica, con una certa paura che gli pervadeva il corpicino, e mostrò al gattino la bacca. E la lanciò sui cuscini del divano.

Questi si gettò alla sua ricerca sconquassando un po’ il tutto, iniziando a spingerla da una parte e dall’altra, su di giri.

Pier rise, pensando che forse non era così terribile come aveva pensato subito, avrebbe quasi voluto aggiungersi e divertirsi col micio.

«Ehi, Pier!» lo chiamò una voce. Era il saggio Mus «Ancora qui?»

«Ho finito!» rispose orgoglioso, mostrandogli la borsa quasi vuota. Mus rise e gli accarezzò la testolina, intimandogli che era ora per tutti di rientrare: la mezzanotte era vicina e Babbo Natale stava arrivando.

Tutti i folletti natalizi convogliarono nuovamente verso la base dell’abete e uno per uno rientrarono nel grosso balocco bicolore, Pier fu uno degli ultimi, perché si era fermato a guardare il micio divertirsi lungo il pavimento, facendo correre la bacca in ogni angolo del soggiorno.

«Su su suMus batté il bastone sul fluff per richiamarlo all’attenzione, e lui gli corse incontro, inciampando nella berretta e finendo giusto dentro il rifugio. L’anziano lo aiutò a rialzarsi e togliersi le pailette dal vestito «Sono fiero di te.»

Pier si calò il cappellino fin quasi al naso, mal nascondendo il rossore sulle sue guance.

Anche lui era fiero di sé.

 

«Sei proprio una stupida!»

«E tu sei un antipatico!»

«Stupida!»

«Antipatico!»

«Ragazzi!» sbottò la madre, guardandoli entrambi «Per favore.»

I bambini si misero buoni, limitandosi a sussurrarsi fantasiosi insulti mentre ancora scartavano i regali che avevano trovato sotto l’albero di Natale.

«È davvero bellissimo!» commentò la zia, ammirando l’abete addobbato a regola d’arte «È... È luminoso come una stella!» disse scuotendo la testa, non trovando un aggettivo adatto per descrivere quel che vedeva.

«Già.» annuì la mamma di casa «Anche se credo siano i raggi del sole, ieri per esempio mi sembrava più... Meno acceso. E credevo che alcune luci non funzionassero, invece pare tutto a posto...»

«Quel balocco è davvero stupendo.» continuò la zia indicando la dama di cristallo che sovrastava la cima, che riluceva di sette colori di gemma.

La bambina smise di cercare di tirare i capelli al fratellino e si alzò in piedi.

«Questo è merito dei folletti natalizi!» esclamò per farsi sentire, e le due si volsero verso di lei.

«Folletti natalizi?» ripeté la zia, e la bimba annuì.

«Sì!» Assentì con la testa per dare più convinzione alle sue parole «Me l’ha detto la nonna. La notte di Natale, prima che arrivi Babbo Natale, escono i folletti natalizi che sistemano tutto l’albero, mettono a posto i festoni e lucidano i balocchi, e fanno anche funzionare tutte le lucine!»

Le donne sorrisero teneramente, ricordavano che anche a loro veniva raccontata quella medesima favola.

«Beata ingenuità...» mormorò la zia posandole una mano sulla testa riccioluta.

«Guarda che è vero!» protestò lei.

«Certo, certo...» La madre raccolse un po’ delle carte strappate e ne fece una palla da tirare a Mimi, che però non vi prestò attenzione «Forza, il pranzo è pronto, non facciamo aspettare gli altri!» li esortò battendo le mani.

I due bambini di malavoglia si staccarono da libri e giocattoli e seguirono la zia nell’altro soggiorno, mentre Mimi balzò su una sedia, a pelo ritto. Spiccò un salto e ricominciò a giocare con una minuscola bacca rossa che continuava a rotolare come spinta da un soffio.

 

 

 

 

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Grazie per essere arrivati alla fine e per aver letto questo mio scritto. u.u

Un commentino mi rende sempre felice.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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