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Autore: emy_vov    11/12/2015    0 recensioni
Ho scritto questa storia per un tema in classe ed ho deciso di pubblicarla perché mi piace molto e non mi andava di tenere il file sul computer a vita senza che venisse praticamente mai letta.
Voglio dare a questa storia la possibilità di essere letta. Tutto qua.
Dalla storia:
Sono chiuso in una cella, in isolamento. E questa cella ha le pareti bianche, soffici, come nei film. È un insonorizzante. Attorno a me tutto é silenzio.
Loro sono nella mia testa.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Sono in carcere. Non uno qualunque ma in uno di quelli per pazzi. Manicomio criminale, Ospedale Psichiatrico Giudiziario..io sto li dentro. E la notte non riesco a dormire. C'è così tanto chiasso, così tante urla che...mi spaccano in due.

Sono chiuso in una cella, in isolamento. E questa cella ha le pareti bianche, soffici, come nei film. È un insonorizzante. Attorno a me tutto é silenzio.

Loro sono nella mia testa. Voci di donne, tante donne. Qualche bambino, bambina. Ma sopra tutte queste voci, c'é mia madre. Quella tossica schifosa. Io così non ci sono mica nato.

Da piccolo ero cosi bello, paffuto, avevo tanti amici, giocavo a "Un, Due, Tre, Stella!" e a pallone nel cortile sabbioso rinchiuso tra gli alti casermoni della zona degradata in cui vivevo. Ero felice. Andavo a messa e poi a trovare la nonna per il pranzo. Ricordo che tornavo a casa sempre un po' più grasso di prima. Ma ero felice. Poi una domenica non ci fu più il pranzo. E così per tutte le domeniche successive. Al funerale piansi a dirotto. Pianse anche mia madre. Mio padre non so chi sia. Mamma non ne parlava. Nessuno ne parlava. Non mi è mai dispiaciuto vivere solo con lei.

Finché, povera e fragile, ha conosciuto la droga.

Io crescevo assieme alla sua dipendenza da coca. E non dimentichiamoci dell'alcool. Ma io le volevo bene, anche se non ero più così tanto felice. Con la droga poi sono arrivate le botte. Mi dava con la scopa. Io le volevo bene e non reagivo. Le volte che riuscivo a sfuggirle mi chiudevo nella mia stanza, lei dava calci e pugni alla porta finché non vi si accasciava sfinita. In quel momento le mie orecchie sentivano solo pianto e bestemmie. Ma era giusto cosi, io le volevo bene. A sedici anni mi costrinse a mollare gli studi, le servivano soldi. Io volevo fare il dentista. Aveva ucciso il mio sogno, distrutto ogni prospettiva di una vita migliore, non ero più felice. Avevo iniziato come benzinaio, ero diventato uno spacciatore ed infine un assassino. La prima è stata mia madre. "Uccisa per debiti di droga" dissero. Avevo 18 anni ed ero di nuovo felice.

Non ho mai fatto uso di sostanze stupefacenti, la mia droga si chiama sangue, dolore, urla. Le stesse urla che non mi fanno dormire.

La mia carriera è proseguita con la signora del settimo piano; l'ho trovata a battere sulla strada costiera che sale verso il paese. È stato facile, ho migliorato la tecnica. Un unico taglio, preciso, chirurgico, a recidere la carotide. Mentre la vita abbandonava lentamente il suo corpo, io ero in estasi. L'ho lasciata li, sul ciglio delle strada, in una pozza di sangue a sporcarle il viso.

Salvatore, il figlio, é l'unico del quartiere che si é salvato. Mi ha cercato per anni dopo la mia fuga seguendo la scia di omicidi che mi lasciavo dietro e poi, da bravo magistrato, mi ha fatto sbattere qui dentro.

Ora sono un drogato in astinenza. L'astinenza è la mia pena. Mi manca affondare un coltello nello stomaco di una donna; uccidere mia madre ogni volta.

  
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