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Autore: Sagitta90    13/12/2015    2 recensioni
Per un cattivo innamorarsi non è contemplabile.
Innamorarsi per il figlio di un cattivo è altrettanto inimmaginabile
Innamorarsi sull'Isola degli Sperduti è pericoloso.
Ma, alla fine, innamorarsi non è mai una decisione.
[Disney "Descendants". JayXCarlos]
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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And They Lived Happily Rotten Ever After




La prima volta che Jay si accorse che qualcosa in lui non andava fu nella sala del trono della Fortezza Proibita. 
Erano tutti sfiniti: avevano i vestiti più strappati del solito, chiazzati di polvere e fango e piccole ferite erano disseminate un po’ ovunque sulla loro pelle. Eppure nessuno ci stava facendo particolarmente caso, perché una volta tanto erano riusciti dove tutti gli altri avevano fallito. 
Mal osservava lo scettro di sua madre, sospeso sopra le loro teste e uno scintillio di pura, incredula soddisfazione riluceva nei suoi occhi. Evie e Carlos guardavano l’oggetto con la stessa attenzione. 
Jay si rese conto, in un lampo di consapevolezza, che quello era il momento adatto: pochi, preziosi istanti in cui lo stupore era ancora troppo grande per tenere la guardia alzata. Avrebbe rubato l’Occhio del Drago e lo avrebbe portato a suo padre, così Jafar avrebbe riacquistato i suoi poteri e fatto…beh…fatto tutto quello che aveva sempre avuto in mente di fare da quando era stato esiliato su quella dannata isola (ricchezze, incantesimi e titolo di Gran Visir andati a farsi benedire).
Si mosse con circospezione, restando nel punto cieco di Mal e avrebbe quasi voluto ridere perché -onestamente- guardatela lì, tutta intenta a rimirare quel bastone come se fosse una nuova giacca di pelle. Dov’era l’attenzione? Dov’era la scaltrezza? A meno di quattro passi c’era il miglior ladro che l’Isola degli Sperduti avesse mai visto e lei non sembrava neppure ricordarsene.
Sotto sotto -ma nemmeno poi così tanto- Jay sapeva che la ragazza non stava davvero guardando lo scettro: era più come se stesse immaginando Malefica che le diceva di essere fiera di lei. La capiva dannazione, non era per lo stesso identico motivo che stava per strapparle quell’illusione da sotto il naso? E lo avrebbe fatto, non era nemmeno in discussione. 
Mal avrebbe fatto la stessa cosa, perché è nella loro natura: sono truffatori, manipolatori, bugiardi.  
Stava quasi per allungare una mano quando successe: Carlos alzò lo sguardo e gli sorrise. Era un sorriso complice, come se stessero condividendo qualcosa di importante, forse addirittura qualcosa di giusto, Ade non voglia. 
Aveva occhi scuri; meno scuri del carbone che ogni tanto trovavano alla discarica, meno neri della notte e della pece, ma comunque scuri. Così scuri che sembravano grandi il doppio e lo facevano apparire meno pericoloso e meno cattivo quando già non fosse. Non era un bene per quelli come loro. 
Jay seppe che doveva agire subito. 
Subito non era solo il momento giusto, era l’unico momento; eppure continuò a guardare Carlos e a pensare che i suoi occhi erano troppo grandi e troppo scuri. 
E fu così che perse la sua occasione.
Successe tutto nell’arco di pochi secondi.
Evie si sporse verso lo scettro, Mal gridò, lo afferrò per prima e cadde addormentata. Non fu fiero di se stesso quando accorse a fianco della ragazza svenuta prima di controllare la posizione dello scettro. Quando Mal si svegliò, solo cinque minuti più tardi, l’oggetto era già scomparso e la loro vita era tornata ad essere un unico, colossale casino.
Mentre facevano la strada a ritroso, Jay cercò di convincersi che avrebbe potuto rubare qualcosa non appena avessero messo piede in città. Un acciarino ammaccato, una lanterna rotta, un paio di vecchi gemelli arrugginiti, qualsiasi cosa per non tornare a casa totalmente a mani vuote; ma Carlos inciampò in una radice e lui si ritrovò ad afferrarlo per frenare la caduta. Fu allora il sorriso si riaffacciò e qualcosa nello stomaco del figlio di Jafar si attorcigliò in modo tutt’altro che spiacevole.
Pochi metri dopo fu Mal a cadere rovinosamente a terra, ma Jay non mosse un muscolo per aiutarla ad alzarsi, nemmeno al pensiero che facendolo avrebbe potuto avere la possibilità di sgraffignarle il bracciale che portava al polso. 
Aveva cose ben più importanti a cui pensare.
***
 
La volta successiva capitò in uno dei corridoi della scuola. Jay sogghignava, rigirandosi tra le mani un paio di orecchini che appartenevano ad Harriet Hook. Non erano affatto male: argento lavorato e madreperla, niente difetti. Sicuramente venivano dal mare: qualcuno doveva averli persi e i pirati li avevano ripescati, non esisteva che a Auradon buttassero via cose del genere. Dovevano valere un bel po’, Jafar sarebbe stato contento.
<<-Togliti di mezzo tappetto!>> 
<<-Sì tappetto, togliti di mezzo!>> - Erano i gemelli di Gaston. A sedici anni avevano entrambi muscoli da culturista e il cervello di un lattante. Era forse per quello che se la intendevano così bene con il terzo in comando delle iene, Ed. 
Se ne andarono con il mento in aria e stupidi com’erano probabilmente sarebbero finiti per sbattere dritti contro una porta. Lasciarono Carlos per terra, in mezzo a libri consunti e provette scheggiate. 
Il giovane De Mon sospirò ma non sembrò particolarmente irritato. Spesso Jay non lo capiva: per quelle dieci volte in cui si infuriava e si innervosiva ce n’erano altre cento in cui restava tranquillo e distaccato. Come cattivo non avrebbe dovuto essere sempre sul piede di guerra? Sempre a pianificare il prossimo attacco? L’imminente vendetta su tutto e tutti?
Non che gli interessasse, ma talvolta si ritrovava a pensare che non c’era un posto adatto per Carlos. Era troppo cattivo per Auradon e troppo…non cattivo per l’Isola.
<<-Non eri lì anche ieri?>> - Quando Jay si avvicinò, facendo tintinnare gli orecchini, Carlos fece un sorrisetto divertito. 
<<-Lo faccio apposta, è un posto che mi piace.>> 
<<-Almeno hai una bella visuale.>> - Il ladro si esibì in una delle sue pose più sensuali e gonfiò il bicipite, tanto per enfatizzare le sue parole. L’altro ridacchiò.
<<-Decisamente sexy, mi hai conquistato.>> - Assurdamente quell’affermazione gli spedì un brivido giù per la colonna vertebrale. Carlos afferrò il set di provette cercando di non tagliarsi: una era andata in frantumi quando era caduta.
<<-Io sarei stato in grado di riprenderle tutte.>> - Fu il primo a non capire perché lo aveva detto: lui rubava soltanto, non infieriva sugli altri come invece faceva Mal. L’espressione serena di Carlos si congelò sul suo volto e Jay si mosse a disagio sul posto. Non doveva spiegarsi, non doveva rimediare, eppure cercò qualcos’altro da dire, qualcosa che potesse cancellare l’amarezza dalle labbra del ragazzo, adesso contratte in una linea dura.
<<-Perché sono allenato, sai…riflessi da ladro.>> - Carlos si aggiustò i libri sotto il braccio. Sembrava combattuto, indeciso se parlare o meno, ma alla fine pronunciò una sola parola.
<<-Insegnami.>> - Jay inarcò un sopracciglio, sorpreso.
<<-A rubare? Nah-ah. Nessuno mi frega il lavoro.>> - Carlos alzò gli occhi al cielo sbuffando.
<<-Non a rubare Jay. A…muovermi. Lo sai cosa intendo.>> - Il giovane considerò la richiesta e pensò subito che fosse ridicola. 
<<-Per me cosa c’è? Non faccio mai niente per niente.>> - Le parole dell’altro furono la risposta a tutte le sue preghiere.
<<-Riparo tutti gli aggeggi elettronici che tuo padre ha in negozio.>> - Che ammontavano a trentasette: quattro radio, dieci televisori, sette frullatori e ben sedici tostapane. Aveva cercato di ripararli per mesi ma non ci capiva un accidente, non sapeva nemmeno dove cominciare a mettere le mani.
Guardò Carlos e rifletté. Osservò le sue braccia magroline, le gambe senza muscoli e le spalle piccole: non sarebbe durato tre giorni con il suo allenamento. Il massimo guadagno con il minimo sforzo.
<<-Affare fatto.>> - Jay sorrise, già consapevole di aver vinto, ma d’un tratto sorrise anche Carlos. Aveva lo stesso sguardo di quel suo gatto malefico quando catturava un piccione. Se ne andò con un ghigno malizioso, come se avesse ottenuto esattamente quello che voleva e Jay restò fermo dov’era, a cercare di rimettere sotto controllo il battito impazzito del suo cuore.

***

 
Se c’era una cosa che non si era aspettato era che Carlos fosse così testardo. Non solo non mollò ma migliorò. Era attento e preciso e quando gli mancava la forza compensava con la velocità. 
<<-Allora?>> - Gli domandò dondolandosi a testa in giù, aggrappato alla vecchia scala a pioli del porto. Non era un esercizio che gli aveva detto di fare, lo faceva semplicemente per mettersi in mostra. Stava ridendo. Era una cosa che adesso faceva spesso: rideva quando cominciavano, rideva quando finivano, rideva quando riusciva a farcela e quando cadeva. Rideva perfino quando Jay gli diceva che assomigliava a quella stupida scimmietta che Aladdin si portava sempre appresso (il televisore della sua casa era sempre impostato sul canale delle notizie da Auradon: Jafar adorava inveire contro il ragazzino che l’aveva spodestato).
Jay incrociò le braccia con un sorriso sarcastico.
<<-Tutto qua? Mia cugina Jade lo fa da quanto aveva due anni.>> - Carlos smise di ridere e scese. Poi puntò verso la parete di tegole come se dovesse farla a pezzi. Fu quasi comico. 
Il capannone in cui si trovavano era uno dei più vecchi: pieno di ciarpame di ogni tipo, discretamente lontano dalla discarica -frequentata da tutti- e discretamente vicino al molo, dove spesso lui recuperava qualche oggetto utile ancora prima che le chiatte attraccassero.  
Passava sempre dal porto quando le cose non andavano troppo bene a casa. All’inizio non aveva avuto intenzione di portarci il ragazzo, ma dopo aver fatto una lista dei luoghi in cui avrebbe potuto dargli lezioni si era reso conto che non ne conosceva altri. 
Meglio lì che ammettere la sconfitta. 
E comunque Carlos non era irritante. 
A dirla tutta era una compagnia piuttosto piacevole: era sveglio, furbo e probabilmente la persona più intelligente che Jay conoscesse. Forse la più intelligente di tutta l’Isola: insomma, fare un buco nella barriera, anche per pochi secondi? Roba da secchioni, decisamente.
Suo padre e ogni altra strega, stregone e fattucchiere esiliati ci avevano provato per anni prima di arrendersi. Carlos l’aveva fatto per errore.
A ben pensarci non gli dispiaceva vederlo nel suo rifugio.
Certo, non era una casa sull’albero, ma era meglio di niente.
<<-Attento a non pestarti la coda Abubu!>> - Si abbassò in tempo per evitare la tegola che volò contro di lui e poi infilò le mani in tasca, osservando Carlos che ricominciava.
Si arrampicò con facilità per i primi metri, flettendo le gambe come gli aveva insegnato, trovando piccoli appigli che gli consentirono di proseguire dove gli altri si sarebbero fermati. Quando arrivò alla parte più difficile, dove la superficie era liscia e senza appigli, rallentò. C’era una sporgenza di pochi centimetri sulla sua destra, ma Jay si rese subito conto che avrebbe dovuto saltare per raggiungerla.
Per un istante Carlos sembrò quasi cercare un’altra strada, poi però si preparò, prese la distanza e scattò. Ci fu un secondo in un cui perse la presa, ma stringendo i denti puntò un piede contro un pezzo di lamiera e si issò oltre il bordo della prima barricata.
Soltanto quando lo vide arrivare in cima Jay si accorse del dolore al palmo. Quando si guardò la mano vide che la fitta era causata dalle sue unghie, affondate nella carne. Aveva stretto il pugno quando aveva visto Carlos scivolare.
Aggrottò la fronte, impreparato a quella visione e di colpo fu decisamente più preoccupato per quella reazione che per il ragazzo che gli gridava di aiutarlo a scendere perché la sua maglietta si era impigliata nei mattoni spezzati.

 
***
 
Due settimane dopo si verificò l’episodio che gli fece saltare il tappo.
Jay era sempre stato fiero delle sue doti di incantatore di serpenti: essere affascinante faceva parte del suo personaggio. Suo padre non lo era mai stato e se c’era una cosa che Jafar aveva ammesso quando i muscoli del figlio erano diventati più evidenti era che il suo bell’aspetto era utile per rifornire il negozio. 
Tarela Tremaine -una delle figlie di Genoveffa- lo guardava come se fosse un sogno, mentre lui le carezzava una guancia e le sussurrava cose carine all’orecchio. Le sfilò il fermaglio di ottone dai capelli con mano rapida, per la terza o quarta volta quel mese; stava per metterlo in tasca quando Carlos comparve da dietro l’angolo.
Indossava pantaloni corti, la stoffa di una gamba era bianca e l’altra nera. Al posto del vecchio gilet scolorito c’era un giubbotto di pelle con le maniche rosse come il fuoco, la pelliccia attorno al collo aveva gli stessi colori dei pantaloni: bianco e nero divisi a metà. 
Evie aveva cominciato a cucire solo da un paio di mesi ma aveva già rifatto il look a tutti e tre, dicendo senza mezzi termini che non si sarebbe mai fatta vedere con chi si vestiva da straccione. Nemmeno Mal si era opposta, nonostante avesse sempre avuto un guardaroba discretamente fornito. 
La principessa era una vera strega con ago e filo, ma con Carlos si era superata. 
Rosso, bianco e nero erano i colori di sua madre, ma a lui stavano meglio. 
Sembrava anche più robusto. Non robusto come lui, che era almeno dieci centimetri più alto, ma più…beh, più.
Si faceva notare. 
Si faceva notare eccome: al suo braccio c’era Claudine Frollo che gli parlava in tono adorante, con i suoi occhi sgranati e luccicanti da fanatica invasata. Il ragazzo sembrava non sapere come togliersela di torno, ogni due passi tentava una manovra per allontanarsi.
Jay venne invaso da un’ondata di disgusto così intensa che gli fece quasi digrignare i denti. Voleva strappare quegli artigli rossicci dal braccio di Carlos, schiacciare un paniere di uova marce sui capelli color topo della ragazza e trascinare lui nel loro capannone. Chiudercelo dentro e tenerlo lì fin quando non avesse più sentito il sapore di bile in bocca.
Quando Carlos lo vide il suo viso si rischiarò.
<<-Jay.>> - Era un nome che non gli era mai piaciuto, praticamente una sola lettera, ma pronunciato da quella voce aveva un suono diverso. 
Claudine si accorse solo dopo della sua presenza e bastò che lo guardasse perché Carlos ne approfittasse per darsela a gambe. Un istante più tardi lei lo seguì con uno grido indignato. Jay fece per andarle dietro ma si sentì trattenere. Tarela richiamò la sua attenzione con uno squittio esasperante ma prima di poterle rispondere Jay notò una cosa che lo fece inorridire: aveva ancora il fermaglio in mano, stretto nel pugno come un pezzo di carta qualsiasi.
Non se l’era messo in tasca, non lo aveva fatto sparire, se n’era completamente dimenticato.
La ragazza fissò l’oggetto e poi fissò Jay, la sua espressione continuò a essere melensa e ammiccante.
<<-Potrei passare a riprenderlo questo pomeriggio, cosa ne pensi?>> - Il ragazzo mollò quel ninnolo come se fosse un carbone ardente e se ne andò.
Era furioso. Lui non si faceva mai beccare! Era un ladro superbo, non faceva errori di quel tipo da quando dovevano ancora cadergli i denti da latte!
Gli stava succedendo qualcosa. Qualcosa, o per meglio dire qualcuno lo stava contaminando, lo stava rovinando! E Jay sapeva perfettamente di chi si trattava.
Era Carlos. Carlos De Mon con i suoi occhi castani ed i suoi sorrisi e la sua risata. Forse era un nuovo schema, forse era tutto pianificato ed il nanerottolo era più pericoloso di quello che sembrava. L’umiliazione gli bruciava nelle vene. In qualche modo quel ragazzo lo stava riducendo l’ombra di se stesso e per quell’affronto la doveva pagare.

 
***

Entrare a Casa De Mon non era difficile. E quando Crudelia non era in casa non era nemmeno pericoloso. La donna era di nuovo alla SPA, Carlos era nel suo laboratorio e i quattro lacchè -senior e junior- erano inchiodati davanti al televisore della catapecchia in rovina, un isolato dopo la villa diroccata.
I passi di Jay furono più rapidi del solito, perché la furia lo spinse oltre i suoi limiti. Stava per fare quello che non aveva mai fatto, neanche lui aveva mai saputo esattamente il perché. Suo padre glielo aveva chiesto ogni mese da quando aveva scoperto che la collezionista era stata esiliata insieme a tutto il palazzo, eppure lui si era sempre rifiutato. 
Era stato stupido, solo adesso se ne rendeva conto.
Attraversò il salone, dritto verso l’armadio della madre di Carlos. Aprì la serratura con un pezzo di fil di ferro, non ci impiegò più di dieci secondi e quando spalancò la porta si trovò davanti sia le tre file di pellicce sia le cento trappole per orsi disseminate sul pavimento. Oltre gli infernali marchingegni vide una coperta e un cuscino ed il pensiero di Carlos che dormiva raggomitolato sul pavimento infiacchì un po’ la sua determinazione.
“-Io dormo sotto una mensola tarlata che potrebbe spezzarsi da un momento all’altro.” 
Soffocò quei pensieri impietosamente e dette un colpetto alla trappola più vicina con la punta di uno stivale. Quando quella scattò innescò tutte le altre. Le ganasce metalliche si serrarono una dopo l’altra con schiocchi che lo fecero rabbrividire nonostante la distanza. 
Il ladro aspettò che anche l’ultima si fosse chiusa ed entrò nell’armadio.
C’erano almeno trenta capi, tutti in perfette condizioni, senza un buco o una grinza. Nell’aria si respirava un effluvio che sembrava un misto di profumo stantio e crema per le mani scadente. 
Jay non si lasciò distrarre; afferrò la prima pelliccia che gli capitò sotto mano ed uscì. Non si prese nemmeno la briga di richiudere la porta.
Arrivò a casa con il fiatone, dopo essersi fatto la strada di corsa. Aveva quasi la sensazione di essere fuggito da qualcosa.
La pelliccia era morbida tra le sue dita ma era tutto lì. Perché Crudelia amava quella cosa più di suo figlio? Non era calda come la risata di Carlos, né altrettanto bella. Sarebbe stata di sicuro meglio addosso all’animale che la portava da vivo.
Jafar emerse dal retrobottega e, dopo aver visto quello che teneva sul braccio, lo accolse con il più largo sorriso che gli avesse mai visto. Abbracciò il ragazzo di slancio e gli disse “sono così fiero di te figliolo!”.
E fu quello che gli fece capire di aver fatto un’assurdità. Perché se nemmeno suo padre si aspettava che sarebbe arrivato a tanto allora c’era davvero qualcosa di storto. La pelliccia gli fu strappata dalle mani e fu con un peso sullo stomaco che Jay la vide scomparire tra i numerosi vestiti pacchiani del negozio. 
La confusione cominciò a rimpiazzare la rabbia: perché si sentiva così? Aveva fatto qualcosa di male e fare qualcosa di male era giusto. Era fare qualcosa di giusto che era un male, no?
Suo padre continuò a sorridere tutta la sera e quando lo elogiò nuovamente Jay per poco non gli urlò di smetterla. 
Andò al suo posto sotto la mensola prima del tempo, nauseato e intimorito dall’arrivo della giornata successiva, dove avrebbe dovuto guardare Carlos negli occhi sapendo quello che aveva fatto.

 
***

La mattina dopo Carlos non venne a scuola. Jay continuò a fissare la porta cercando di non darlo a vedere, ma il suo tentativo non riuscì a depistare Mal, che dopo dieci minuti lo mise alle strette e pretese di sapere cosa stava succedendo. 
Tutto quello che le concesse fu una stringata spiegazione dell’accordo tra lui ed il figlio di Crudelia, cosa che la annoiò a morte e risparmiò a lui altri chiarimenti. Detestava quella sensazione, quella massa pesante che si ammassava dentro di lui lasciandolo teso e insicuro. Lui non era mai insicuro.
Evie li raggiunse all’ora di pranzo, dopo aver preteso la mela migliore della mensa ed essere stata ovviamente accontentata (chi avrebbe mai rifiutato una mela alla figlia della Regina Cattiva?).
Staccò la polpa del frutto con un morso soddisfatto e si portò via metà del rossetto, sua madre avrebbe potuto ucciderla se solo l’avesse vista. Il profumo era insolitamente intenso per un alimento di seconda scelta, ma nemmeno quello riuscì a deviare l’attenzione di Jay dalla massa di pensieri su cui si era focalizzata.
Forse Carlos lo stava evitando. 
Non era certo la fine del mondo, semmai una liberazione: non sarebbe più stato costretto a insegnare il volteggio ad un nanerottolo troppo goffo anche solo per stare in piedi. 
La sola cosa che non capiva era perché l’idea gli strozzasse il fiato in gola.
<<-Tutto ok Jay?>> - Alzò lo sguardo e si accorse che Evie aveva notato il suo piluccare svogliato. Aveva rubato quattro biscotti alle mandorle, ancora relativamente freschi, ma tutto quello che riusciva a farci era sbriciolarli tra il pollice e l’indice.
<<-Alla grande bambola. Come sempre.>> - Si rese conto subito di non averla convinta: gli occhi di Evie avevano un tipo di potere del tutto particolare, sembravano in grado di scrutarti dentro. Se gli occhi di Mal incutevano terrore per la minaccia insita nel verde fosforescente -il colore dei draghi- quelli dell’altra erano inquietanti perché portavano a rivelare cose che i più volevano tenere per sé.
Il suo istinto gli suggerì di togliersi di torno prima che la principessa rinfocolasse la curiosità della compagna: non l’avrebbe mai scampata contro entrambe se avessero fatto fronte comune nel fargli il terzo grado.
<<-Beh, io vado. Ci vediamo quando ci vediamo.>> - Invece di dirigersi verso la sua prossima lezione tornò a casa. Avrebbe preferito andare al capannone ma non c’era nessuno ad aspettarlo con trepidazione. Nessuno che lo ascoltasse o che pensasse che valesse la pena stargli accanto.
Non appena mise piede oltre la soglia si rese conto che suo padre non c’era. Accese la tv e per i successivi minuti cercò di interessarsi alle feste, ai balli e a tutte quelle fesserie che la gente di Auradon trovava tanto chic. Jafar rincasò una mezz’ora più tardi. Jay era già pronto a  giustificare la sua presenza con una delle menzogne più scaltre a cui avesse mai pensato, ma non riuscì ad emettere un fiato, perché Carlos seguì suo padre nel negozio.
Il ragazzo aveva un labbro spaccato, un occhio nero e tre profondi graffi sulla guancia. 
Era stato picchiato e non c’era nemmeno bisogno di chiedersi da chi. Jay si sentì male alla sola vista di quegli sfregi. Quando Carlos lo scorse, accanto alla tv, dritto come un fuso e teso come una corda di violino, abbassò lo sguardo e si avvicinò al bancone.
<<-Sono venuto a riprendere la pelliccia di mia madre.>> - Il ladro si ritrovò a tremare al suono della voce del ragazzo. Era così bassa che sembrava un sospiro, sconfitta e desolata. 
Fece un passo in avanti ma si fermò prima di fare il secondo. Cosa avrebbe potuto dire? Cosa avrebbe dovuto fare? 
Suo padre non fece che gettare benzina sul fuoco, sottolineando che nel suo negozio non c’era nessuna pelliccia che appartenesse a Crudelia, ma che casualmente aveva un capo che la donna avrebbe potuto apprezzare. 
Jay non si accorse che Carlos pagava con la mano sinistra, per questo quando lo trattenne afferrandolo per il polso destro e gli strappò un grido di dolore fu come prendere un pugno in piena faccia. 
Il più piccolo lo fissò con le lacrime agli occhi, tenendo stretta la pelliccia contro il petto e per la prima volta nella sua vita Jay si sentì un mostro.

 
***

<<-Non credo di avere capito quello che vuoi.>> - Freddie Facilier non era una persona semplice con la quale trattare, ma quel giorno -un giorno in cui Jay era spinto dalla fretta e dall’angoscia- era decisamente insopportabile.
<<-Te l’ho detto quello che voglio!>> - La ragazza pareva incredula.
<<-Bende. E acqua di mare.>> - Jay non si dette la pena di negare. 
<<-Bende e acqua di mare per quelli.>> - Freddie indicò gli orecchini con un cenno del capo. Il minuscolo cilindro nero rischiò di cadere sul pavimento.
<<-E’ roba che potresti trovare ovunque.>> - Jay sbatté il pugno sul banco. I mezzi guanti di pelle produssero un suono secco contro il legno consumato e le bambole voodoo saltarono sul posto a causa del contraccolpo.
<<-Le voglio pulite! Allora, ce l’hai o devo andare da qualcun altro?>> - Freddie non si lasciò impressionare. Con un sorrisetto saputo estrasse una scatola da sotto il bancone e la aprì, mostrandogli il contenuto. C’erano due rotoli di bende, un po’ stropicciate e sfilacciate ma bianchissime e una fiaschetta piena di acqua trasparente. Jay le lanciò un orecchino.
<<-Il secondo dopo che sarò sicuro che è acqua di mare.>> - La figlia del Dr. Facilier svitò il tappo alla fiaschetta e gli versò una goccia di liquido sul dito. Quando il sapore del sale gli esplose in bocca Jay afferrò la scatola e le lanciò l’altro gioiello. La ragazza lo afferrò al volo, compiaciuta.
<<-Devi aver fatto qualcosa di pazzesco per perdere la testa in questo modo. Non che mi lamenti, eh, ogni volta che sarai così disperato pensa a noi.>>  
L’angoscia gli mise le ali ai piedi e si ritrovò a Casa De Mon prima ancora di rendersene conto. Bussò e la testa di leone fece saltare via un’intera famiglia di tarli quando colpì il legno del portone. Non si era fermato a considerare i pro e i contro: quella storia doveva finire. Il senso di colpa non scompariva, il dolore al petto aumentava e Jay era sicuro che se non avesse fatto qualcosa per risolvere il problema sarebbe finita male.
Avrebbe dato la scatola a Carlos, lui l’avrebbe presa e così sarebbero tornati come prima, a capirsi senza parlare e a fare branco senza nessun peso sulla coscienza. Quella coscienza che non aveva mai avuto e che adesso lo stava divorando dall’interno.
Quando la serratura scattò Jay pensò che si sarebbe trovato davanti Crudelia e andò nel panico: si rese conto di non aver considerato quella spiacevole possibilità; come avrebbe fatto a rimettere le cose a posto se la donna avesse deciso di cavargli gli occhi prima di farlo parlare? Tuttavia, una qualche misericordiosa entità ebbe pietà di lui, perché pochi secondi dopo fu Carlos ad affacciarsi alla porta. Jay trattenne il fiato perché per un unico, lunghissimo istante, si ritrovò a pensare che il ragazzo era bello. Non era una bellezza classica o sofisticata, ma un fascino tutto particolare: qualcosa che gli bruciava dentro e che scaturiva nel sorriso, nelle fossette, nel gruppo di lentiggini che costellavano le sue guance.
Anche con il volto livido e tumefatto Carlos De Mon gli apparve bellissimo. E spaventato.
Jay cercò di deglutire il nodo che gli si stava formando in gola e offrì la scatola al ragazzo prima che potesse chiudergli la porta in faccia. Carlos non si mosse e l’altro tentò di ignorare la staffilata di dolore che quella mancanza di fiducia inviò nel suo corpo.
<<-Sono bende. Pulite, non come quella robaccia che c’è alla discarica, eh, questa è roba di prima classe. E disinfettante. Cioè, è acqua di mare, ma non quella attorno all’isola. Dici sempre che è inquinata perché ci buttano di tutto. Questa è buona, bianca…cioè, pura. Limpida, ecco. Niente porcherie.>> - Quando Carlos sorrise Jay si sentì euforico.
Il più piccolo allungò la mano verso la scatola ed il ladro pensò che sarebbe andato tutto bene. Non si rese nemmeno conto di stare trattenendo il fiato, aspettando con una trepidazione mai provata prima che Carlos togliesse quell’oggetto dalle sue mani e quel peso dal suo cuore.
D’un tratto le dita del ragazzo si fermarono, a pochi centimetri dal coperchio di legno. E nell’istante in cui il sorriso sul suo volto fu sostituito dalla tristezza qualcosa dentro Jay cominciò a gridare. 
“-No. No no no. No! ”  
La voce di Carlos uscì esile dalle sua labbra pallide e rifletté una rassegnazione e una pena che lo straziarono.
<<-Non ho di che pagare.>> 
Ed eccolo. 
Jay l’aveva sentito affiorare pian piano…come una macchia che si allarga sulla stoffa…implacabile, inesorabile, inarrestabile. E per la prima volta capì perché i loro genitori pensavano che fosse una malattia: era tremendo. 
Sentì un arpione fantasma ficcarsi nel suo petto e tirare, lacerare, lasciando un buco aperto. 
“Non ho di che pagare” e Jay pensò di sanguinare dentro. 
“Non ho di che pagare” era la condanna più terrificante che avesse mai subìto. Era una ferita: uno sparo, uno schiaffo e una coltellata, tutto insieme. 
<<-Jay.>> - Il volto di Carlos era terreo, gli occhi sgranati, la bocca quasi spalancata dallo sgomento. Il figlio di Jafar spinse la scatola tra le sue braccia e corse via.

 
***
 
Si sentiva male. Fisicamente e mentalmente. Era come avere la nausea dopo avere rubato le chiatte dei goblin per attraversare le rapide sul lato est dell’Isola, o anche peggio, perché non ci sarebbe stato alcun tipo di divertimento una volta che quella viscida sensazione che serpeggiava dentro di lui fosse scomparsa. 
La sue tempie pulsavano, le guance pizzicavano, l’aria stava diventando troppo fredda. Ma dopotutto era quasi notte ed il tetto del capannone era traforato di buchi.
Si era ritrovato lì senza nemmeno rendersene conto. Accasciarsi su una vecchia coperta in un angolo era stato semplice come respirare.
Capire che quelle che gli gocciolavano lungo il collo erano lacrime lo era stato un po’ meno. Non ricordava di aver mai pianto in vita sua. Anche da piccolo aveva sempre capito che suo padre non era il tipo di genitore che concedeva molto: aveva provveduto a lui finché non era stato in grado di provvedere a se stesso e poi lo aveva messo in strada a rubare. 
Aveva sofferto, certo.
Da qualche parte dentro di sè si era radicata la certezza che Jafar avrebbe dovuto tenere a lui in modo diverso, chissà poi perché. C’erano stati giorni in cui si era dimenticato di rubare da mangiare ed era rimasto a pancia vuota, lo stomaco che brontolava così forte da tenerlo sveglio. Altri giorni non era riuscito a portare a casa niente e suo padre lo aveva tenuto fuori; la nebbia così densa e fredda che aveva cercato di coprirsi con lo zerbino. Ma mai, mai una volta, ricordava di aver pianto.
Si vergognò profondamente. Forse il bambino che aveva freddo e fame avrebbe avuto il diritto di piangere. Ma il ragazzo di sedici anni, tutto muscoli e sorrisi seducenti? Lui non aveva niente di cui lamentarsi. 
Aveva ferito una delle persone migliori che conoscesse. Lo aveva portato ad abbassare lo sguardo davanti a lui, e allora?
“Non ho di che pagare” 
Jay chiuse gli occhi e nascose la testa tra le braccia, sentendo un nuovo fiotto di lacrime pungergli gli occhi. 
Pensava di dover pagare. Pensava che non gli interessasse niente delle sue ferite, del male che gli aveva fatto. Pensava che uno come lui, che si era introdotto in casa sua e aveva rubato la sola cosa che per Crudelia valesse anche più della vita di suo figlio, non avrebbe mai rinunciato a qualcosa senza cercare di ottenere un tornaconto.
Era drammaticamente vero.
Un singulto emerse dalla sua gola e rimbombò nella stanza vuota e desolata.
<<-Ti ho cercato dappertutto.>> - Quella voce gli arrivò alle orecchie come il canto di una sirena. A dire il vero non le aveva mai sentite cantare lui, le sirene, ma il suono doveva essere quello.
Non alzò la testa per guardarlo, troppo sconvolto dalle sue stesse sensazioni. Non vide Carlos che si avvicinava, né vide l’espressione aperta e vulnerabile con la quale si inginocchiò accanto a lui.
<<-Non ti avevo mai visto piangere.>> - Jay pregò che l’altro non lo odiasse al punto da raccontarlo in giro; non sarebbe più riuscito a uscire di casa per l’umiliazione.
<<-Ma forse non stavi piangendo. Forse stavi starnutendo.>> - L’ombra di un sorriso si affacciò sulle labbra del figlio di Jafar, ciononostante non sollevò lo sguardo in quello di Carlos. 
Gli stava offrendo la possibilità di fare marcia indietro, di negare qualsiasi crollo emotivo che lo avesse portato a fare qualcosa che i loro genitori definivano “da deboli”. Se possibile la cosa lo fece sentire ancora peggio.
Cercò di ritrovare un po’ di dignità e scosse la testa in un cenno di diniego.
<<-Allora stavi sbadigliando? Pulviscolo? Cenere? Segatura! Segatura negli occhi, ho indovinato?>> - Jay ingoiò il groppo in gola e fissò il più giovane. Carlos lo stava guardando senza astio o cattiveria, senza odio o risentimento e fu tutto ciò che gli occorreva per aprire la bocca e parlare.
<<-Mi dispiace. Non so perché l’ho fatto ma non volevo ferirti. E’ come se ti avessi picchiato io. Non volevo farti pagare, volevo solo farti stare meglio, volevo…>> - Carlos gli tappò la bocca con una mano prima che potesse continuare. I suoi occhi erano lucidi, il suo viso…acceso. Il rossore era stato improvviso ed immediato e nell’arco di pochi secondi si estese dalle guance al collo sotto lo sguardo deliziato di Jay. 
<<-Jay…porca miseria…ce n’è abbastanza per farti buttare fuori di casa a vita…>> - E fu in quell’istante che Jay capì. Nello sguardo terrorizzato di Carlos, preoccupato più per la sua sicurezza che per il polso con cui premeva sulle sue labbra, capì che erano entrambi nella stessa identica condizione. 
Forse Carlos non se ne rendeva nemmeno conto. 
Carlos, che avrebbe dovuto essere un cattivo spietato come sua madre, Carlos con i suoi riccioli che non si stendevano mai, la risata che illuminava il mondo ed il sorriso che strappava ansimi al suo cuore, l’intelligentissimo Carlos…non lo sapeva. 
E lui invece sì. Di colpo Jay si sentì immensamente potente. Il sorriso tornò sulle sue labbra, l’amarezza che gli serrava lo stomaco cominciò a dissolversi.
<<-Non devi parlare così…se ti sentisse qualcuno…>>
<<-Ma qui ci siamo solo noi, giusto? Siamo soli soletti.>> - Con ogni parola finì per baciare i polpastrelli del ragazzo. Il rossore sulle guance di Carlos non fece che aumentare.
<<-Sì, beh…non dirlo comunque! E poi non ci sono rimasto male. Cioè…non particolarmente…solo un po’…>> - Jay passò il pollice sui tagli sul volto del figlio di Crudelia. Non riuscì ad impedirsi di rabbrividire, un po’ per la malvagità di quella donna, un po’ per altri motivi.
Carlos si morse un labbro. Forse perché le ferite gli facevano ancora male, forse per altri motivi.
Non parlarono di quello che stava succedendo. Il cambiamento aleggiava intorno a loro come una cortina di impalpabile foschia, come il freddo pungente che annuncia la prima neve invernale. 
Era una cosa quasi viva. Jay la sentì distintamente mentre apriva la scatola che Carlos si era portato dietro e gli bendava il polso. La sentì ancora più distintamente quando il giovane De Mon si addormentò, la fronte premuta contro la sua spalla.
Jay tracciò il contorno del suo viso con occhi ardenti come la sabbia del deserto e sospirò.
Si trovava su un’Isola dove quel sentimento lì era l’emblema di tutto ciò che c’era di aberrante e disgustoso nel mondo e lui ci era cascato con tutti gli anfibi. Se non voleva dire essere fregati quello…

 
***
 
I festeggiamenti si erano estesi fino alle prime ore della notte. Il cielo era talmente scuro e limpido che si riuscivano a vedere le stelle nonostante i fuochi d’artificio che lo illuminavano a giorno.
Era uno spettacolo sensazionale. Persino i sudditi di Auradon erano rimasti estasiati da quella scena. Jay al contrario le aveva riservato un’attenzione marginale, troppo intento ad assaporare il significato della loro libertà.
Poteva smettere di rubare. Poteva smettere di cedere tutto quello che possedeva ad un padre che non lo aveva mai amato. Poteva tenere stretto quello che desiderava. Poteva proteggere quello che desiderava. 
Se ne rese pienamente conto solo in quel momento, mentre lui e Carlos stavano tornando al dormitorio. Avevano lasciato Evie e Mal sul palco, a danzare sulle note di un’ultima canzone mentre il resto della scuola si ritirava.  
Carlos procedeva a ritmo sincopato, come se sentisse ancora la musica dentro di sé. Jay non potè fare a meno di sogghignare. 
Era il momento giusto.
<<-Ti amo.>> - Se conosceva Carlos bene come pensava, il ragazzo sarebbe rimasto talmente tramortito da quell’affermazione da inciampare nei suoi stessi piedi. Calcolò la traiettoria della caduta e finì per prenderlo direttamente tra le braccia. Carlos lo fissò con un’espressione piena di emozionato sgomento e Jay non gli permise nemmeno di replicare: affondò le dita tra i suoi riccioli e lo baciò.
E…maledizione…era perfetto.
Aveva sempre saputo che sarebbe stato perfetto. 
Le labbra di Carlos erano piene, morbide e sapevano di cioccolato. Stava per azzardare qualcosa di più spinto, totalmente vinto dal loro tepore, quando Carlos gli afferrò la coda di cavallo e dette uno strattone.
<<-Cosa diavolo stai facendo?!>> - Prima che la testa gli scattasse all’indietro Jay riuscì a vedere il volto congestionato del ragazzo. Sorrise, nonostante stesse vedendo le stelle. Letteralmente.
<<-Forse dovevo aspettare che rispondessi “anche io Jay, sei la cosa più bella della mia vita”. Ma sul serio C, non credi che ci siamo trattenuti abbastanza?>> 
<<-Stavi ballando con Audrey fino a mezz’ora fa!>> - La voce del più piccolo assunse un tono talmente acuto da essere quasi inverosimile. Il tono di Jay rimase morbido e languido, il sorriso non se ne andò.
<<-E tu con Jane.>> 
<<-L’ho fatto per cortesia!>>
<<-Anche io. Amo te. Dovresti saperlo che amo te. E dovresti anche sapere che tu ami me.>> 
<<-Io…tu sei…io…>> - Il borbottio sconvolto di Carlos lo fece sospirare come una ragazzina. Lo adorava. Ogni sua fibra, ogni centimetro. 
<<-Va tutto bene Carlos, qui è la cosa più normale del mondo, è giusto. E’ fin troppo bello. Qui siamo al sicuro.>> - La presa sui suoi capelli si allentò. Lisce ciocche castane scivolarono dalle dita di Carlos come rivoli d’acqua. Quando Jay guardò il ragazzo restò quasi folgorato dalla sconfinata quantità di sentimento che i suoi occhi stavano esprimendo. 
Lentamente, con esitazione, Carlos gli carezzò una guancia con la punta delle dita. Jay socchiuse gli occhi per la scarica di sensazioni che quel gesto accennato gli riversò dentro. 
<<-Se lo hai fatto per prendermi qualcosa dalle tasche Jay ti giuro…>>
<<-No. No C. Voglio te. Voglio te e basta.>> - Carlos cercò di mascherare un sorrisetto ma gli angoli della sua bocca si incurvarono verso l’alto.
<<-Ok…>> - Si sollevò in punta di piedi per baciarlo a sua volta e Jay lo strinse a sé, inspirando il suo profumo, perdendosi nell’estasi di averlo finalmente tra le sue braccia. Fu dopo il terzo o quarto bacio che Carlos gli sussurrò “ti amo anche io” e fu come se si fossero finalmente trovati dopo una vita passata a rincorrersi.
Restarono allacciati in quel modo, perdendo il senso del tempo e sorridendo l’uno sulle labbra dell’altro mentre l’aria della notte crepitava, carica di musica e magia.







Note dell’Autrice:
Non appena ho visto “Descendants” mi sono innamorata. Perché adoro l’idea dei successori? Perché Carlos è solo da coccolare? Perché la Regina Cattiva è Kathy Najimi? Sì, sì e sì.
Ho guardato il film in lingua originale e ho letto “Isle of the Lost” prima che arrivasse in Italia tradotto, quindi potete ben dire che mi è presa un po’ l’ossessione.
Precisazioni:
1-Il titolo è ispirato alla canzone migliore del film: “Rotten to the Core”, se non l’avete ascoltata mollate tutto e fatelo.
2-Per chi non avesse letto il libro (è il prequel, non sto facendo spoiler, quindi piano con le botte): i ragazzi consolidano la loro amicizia proprio perché finiscono tutti a quattro a cercare lo scettro di Malefica.
3-Carlos atletico: la versione cartacea del personaggio è molto dedita alla scienza e non si accenna al fatto che sia particolarmente rapido o scattante, ma nella sua prima apparizione su schermo Carlos si muove decisamente bene, quindi ho deciso che è stato Jay ad insegnargli le basi del parkour. So be it. :3
4-Jay: nella mia storia finisce per essere forse più adulto di quanto appare nel film ma la prima descrizione che ho letto a proposito del suo personaggio è stata “Jay, con il suo sorriso affascinante, che riusciva a rubare tutto eccetto il cuore di suo padre”. Oltre alla sua facciata da “sexy and charming” c’è già una grande consapevolezza, quindi lo credo più maturo di quanto ci hanno fatto vedere. ;)  
Se la storia vi è piaciuta (o anche se non avete apprezzato) lasciatemi un commentino! Non servono filippiche o poemi, anche una riga mi basta. ;) Fa sempre piacere sapere cosa ne pensate.
Un bacio e grazie di aver letto! Alla prossima!


 
  
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