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Autore: Mahonia    13/12/2015    0 recensioni
"Gerard ti ricordi quella sera? Quella di qualche anno fa, quando da solo presi la macchina e percorsi non so quanti miglia fino a casa tua solo per poterti vedere un'ultima volta? La ricordi? Io si. [..] Entrambi eravamo dei passeggeri di quella notte in cui entrambi deponemmo le nostre armi e a cui ci arrendemmo. [..] Perché il “nostro posto” era quella notte e nessuno potrà mai togliercelo."
Lettera di un nostalgico Frank ad un Gerard che non si sa cosa fa.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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*angolino dell'autrice*
Ehilà mie adorate zucchine! (si vi ho definito zucchine, e vabbè)
non intendo dilungarmi troppo, tranuille, lo so, sono VERAMENTE LUNGA con le introduzioni (se così si possono chiamare)
volevo solo dirvi che *pof!* eccoti qua, una nuova ff!
esatto, come sempre il mio cervello continua a produrre e non riesco a fermarmi...
tranquille, l'infinita without continuerà, solo, essendo più impegnativa ha bisogno di più tempo, mentre questa essendo una os
è risultata più veloce nell'insieme.
comunque, per quanto riguarda without conto di pubblicarla per le vacanze (proprio perchè così avrò più tempo libero), mentre questa qui, credo che la si potrebbe considerare una sorta di regalo anticipato(?) dato che ci si avvicina a natale e dato che mi dispiaceva immensamente non poter pubblicare...
riguardo questa one shot, posso dirvi che l'ho scritta subito dopo aver ascoltato surrender the night in un momento particolare e quindi ho un po' creato una "storia" attorno a questa canzone, una delle mie preferite, e quindi niente... il periodo a cui mi riferisco nella storia è prima del matrimonio di Frank (poi capirete eheh)
perdonatemi per come ho scritto l'intro ma non sapevo proprio cosa mettere, ewww
e quindi va bene, la finisco qui, giuro che non vi rubo più tempo. spero che vi piaccia, e che non sembri una cosa troppo ridicola...
vi chiedo solamente di farmi sapere cosa ne pensate, come sempre, ogni parare per me è come oro.
quindi suvvia vi lascio, buonanotte o lettura(?)
XOXO -May



                                                          


                                        Surrender The Night







Gerard ti ricordi quella sera? Quella di qualche anno fa, quando da solo presi la macchina e percorsi non so quanti miglia fino a casa tua solo per poterti vedere un'ultima volta? La ricordi? Io si.
Era l'inizio di un'estate troppo calda per i miei gusti: durante il giorno il sole sembrava volermi strappare la faccia per poterla bruciare su un marciapiede, e l'aria era così dannatamente rovente da impedirmi di respirare. Eppure quel pomeriggio decisi di muovermi lo stesso, di chiudermi in quell'ammasso di lamiera e di venire da te, solo per te.
Forse, sarebbe più corretto dire “solo per me”, ma chi l'aveva capito quanto anch'io potessi essere egoista? Egoista... parola che non ti è mai piaciuta, ricordi? Odiavi quando te lo urlavo alle spalle. Preferivi definirti “affamato”, ebbene, chi l'avrebbe mai pensato che io, Frank Iero, potessi essere affamato più di Gerard Way.
Eppure quella sera, quella, forse dannata, sera, feci quasi irruzione a casa tua. A pensarci adesso, quasi mi vien da ridere nel ricordare il modo ridicolo in cui mi presentai alla tua porta.
Ero convinto mi avresti accolto a braccia aperte, come avevi sempre fatto, proprio ci credevo in ciò, anche se in fondo una parte di me sapeva che la tua reazione sarebbe stata tutt'altra.
Mi ricordo ancora come fosse stato ieri: la città e le strade deserte, le luci rosse ed abbaglianti, le auto che sfrecciavano veloci accanto alla mia... o forse era la mia a sfrecciare veloce accanto a loro? Che idiota... so solo che quella sera, più premevo sull'acceleratore e più mi sembrava di rallentare; avessi potuto, mi ci sarei teletrasportato, davanti alla tua porta... avessi potuto, avrei evitato tante cose... ma forse la verità è che non lo volevo veramente, perché il valore delle cose lo si capisce soltanto una volta perse, e soltanto adesso ammetto che avevi ragione, che facevi bene a darmi del bambino.
Ma nonostante ciò quella sera mi facesti entrare, ricordi? Adoravi sbraitarmi contro e trattarmi come un ragazzino, ti faceva sentire migliore di chiunque altro per un breve attimo, e io avrei fatto qualunque cosa pur di farti sentire così anche solo un secondo in più, perché lo eri veramente Gee, lo eri per me.
Ah, quante volte ho cercato di fartelo entrare in quella testaccia capelluta, ricordi? Scuotevi il capo scompigliandoti i capelli già in disordine, e storcendo il labbro in una sorta di sorriso rispondevi sempre con un “nah” che sembrava uscir fuori dal tuo naso. Odiavi quando te lo facevo notare, odiavi la tua voce, il tuo naso, la tua faccia... io invece le amavo, una per una.
Cercai di fartelo capire anche quella sera, quando mi trovasti sul tuo zerbino e per poco non mi sbattesti la porta in faccia; se ci penso, ancora adesso posso sentire il legno della tua porta chiudersi sulle mie nocche, e ringrazio il cielo il fatto che fosse sera e non giorno, perché se fossi stato nel pieno delle tue forze, probabilmente me le avresti rotte. E so, che nel profondo del tuo cuore avresti voluto tanto rompermi anche tutte e due le mani, so che avresti voluto gonfiarmi la faccia di pugni, ma non lo facesti, in fondo, volevi anche tu che entrassi.
Non ti è mai piaciuto ammettere le cose, lo sappiamo benissimo entrambi, ma devi dirlo: quella sera avevi ceduto così facilmente, perché in cuor tuo non vedevi l'ora che varcassi quella soglia, che ti abbracciassi e ti stringessi a me, che ti baciassi stringendo i tuoi capelli tra le mani.
Ma nonostante tutto resistetti, ricordi? Sia mai che Gerard Way la dia vinta così facilmente, oh no... odiavo questo tuo lato così impertinente e arrogante, lo odiavo tanto quanto amavo te: forse era anche questo ciò che mi attirava come un satellite a te, la tua arroganza e la tua aria da saccente che mi mandavano in bestia ma che allo stesso tempo riuscivano a stuzzicarmi, cosa che hai sempre adorato fare... oh come ricordo quel tuo sorriso beffardo, amavi prenderti gioco del “piccolo Frankie”.
Frankie... sembrano passati secoli dall'ultima volta che mi chiamasti così. Quella sera però non lo facesti fino all'ultimo: come detto prima, non sia mai che Gerard Way la dia vinta così facilmente. Apristi la porta senza dire nulla ed i tuoi occhi assonnati si svegliarono in un colpo solo e mi fulminarono, lì sentii una morsa al cuore e l'impellente bisogno di correre verso di te, mentre tu invece, stringesti quella porta come a volerla sentire sgretolarsi sotto la tua mano e cercasti di chiuderla. Si, mi sono accorto della tua mascella che si serrava, mi sono accorto di quello sguardo impassibile, del verde dei tuoi occhi accendersi in un colpo solo, delle dita della tua mano diventare ancora più bianche a causa della pressione sul legno: anche con solo la poca illuminazione dei faretti esterni, mi sono accorto di tutto ciò. Ti osservai attentamente in quella frazione di secondo, so che può sembrare assurdo, ma in fondo è sempre stato ciò che ho fatto: ho imparato a carpire ogni tuo singolo dettaglio in una manciata di secondi, nonostante avrei voluto passare ore intere ad osservare ogni tuo singolo gesto, ma come potevo?
Tu però sei sempre stato più bravo di me in questo gioco, ne sono la prova i disegni che mi lasciavi sotto al cuscino... li tengo ancora sai? Sono tutti sistemati dentro una scatola insieme ad altre cose; ogni tanto la riprendo e aprirla è sempre una sorta di “dramma”: nonostante ciò ci ritorno, e ci perdo ore, finché non mi sento del tutto svuotato e allora ripongo tutto al suo interno e la risistemo al suo posto, in attesa della prossima volta.
Non ti è mai piaciuta questa cosa di me, il fatto che mi attaccassi alle cose, eppure tu ti ci eri attaccato a me e ti odiavi per questo... lo so.
So anche quanto ti sei odiato l'esatto momento in cui sospirando mi dicesti “entra” ed io silenzioso, quasi col timore di incrociare nuovamente quegli occhi, ubbidii. Ringraziai il cielo in quel momento: il timore che potessi lasciarmi lì, sul tuo zerbino a fissare la porta, era dannatamente elevato in me che quando tornai a riposizionare gli occhi sul tuo viso mi bloccai, come se quelle tue dannate iridi avessero avuto il potere di prosciugarmi la bocca. Anche se a pensarci bene, questo potere effettivamente lo hanno sempre avuto. Per non parlare della tua frase di ripresa, “che vuoi” mi dicesti, ricordi?
Ti tenevi come a distanza di sicurezza, mi osservavi e nel frattempo il tuo cervello elaborava ed elaborava... ho sempre trovato cosa ti frullasse in quella testaccia un mistero per l'umanità intera: “l'indecifrabile Gerard Way” adoravi quando venivi definito così, lo adoravi tanto quanto lo odiassi, perché so che a volte, avresti voluto essere più semplice, più “decifrabile”, e lo so, perché mi odiavo così tanto quando non riuscivo a capire cosa ti passasse per la testa.
Ed era stato proprio in quel momento che mi odiai tanto: le tue parole mi colpirono in pieno, come un pugno nello stomaco, e mi ritrovai disarmato d'innanzi a te, Gerard Way. Ma in fondo sapevi cosa volessi, solo, amavi sentirtelo dire, alla tua arroganza non c'era mai fine, era seconda solo alla tua collera e quella sera, ne potei assaggiare ogni suo lato.
Quando finalmente ti risposi, dio, quasi mi pentii: il modo impacciato in cui dissi “Gerard voglio te” fu la prova di quanto alta fosse la mia stupidità.
Avevi ragione ad incazzarti, anch'io adesso mi rendo conto, ma in quel momento ero talmente cieco e disperato ed affamato, da non riuscire a capirlo. Tu però l'avevi intuito, sapevi già in partenza che quella sera sarebbe stata l'ultima e nonostante tutto, dopo avermi urlato tutte le ragioni del mondo per farmi tornare indietro, per cacciarmi via ed evitare che accadesse, mi hai lasciato comunque spiegare, mi hai ascoltato... e ti sei arreso.
Ti sei arreso per disperazione, per fame, perché in fondo sapevi che combattere non aveva senso, non quando anche l'ultima battaglia era persa, non quando noi due, ci saremmo persi. Mi urlasti tutto il tuo odio, sputasti tutto il veleno che avevi in corpo, ma alla fine ti arrendesti.
Meritavo quelle parole, meritavo di sentirmi gridare “vattene Frank, vuoi mandare tutto a puttane anche con lei?! Cosa cazzo ci fai qui, questo non è più il tuo posto” ed era giusto che me lo gridassi per farmi svegliare, per farmi cadere a terra di faccia e iniziare a realizzare che la realtà era completamente diversa. Ma la verità è che non ho mai avuto un posto a cui appartenere e quando finalmente l'avevo trovato, ho lasciato che sbiadisse e svanisse come una sorta di miraggio; perché a complicare le cose sono sempre stato tanto bravo, e perché il vizio di attaccarmici fino all'ultimo non sono mai riuscito a togliermelo.
Ma alla fine ti sei arreso, alla fine, nonostante tutte le ragioni e tutto il veleno, ti sei arreso, perché quella sera, in quell'istante il mio posto era lì, accanto a te e da nessun'altra parte. E quando accettasti ciò, quando dopo l'ennesima volta che ci sbraitammo contro, quando in quell'istante di pausa in cui entrambi esausti prendevamo fiato, mi fissasti, mi afferrasti e mi baciasti con tutto l'odio che ancora ti rimaneva in corpo, lì capii quanto fossi stato stupido fino a quel momento.
Da quell'istante nulla aveva più importanza: il passato o il futuro non esistevano, si annullarono con quel bacio violento, il presente e l'attimo ci governavano.
Quel bacio fu come la calamita che in un colpo cancella via i disegni fatti su una lavagna magnetica; ci liberò, e lasciò un grande spazio bianco da riempire nuovamente, un'ultima volta.
Ricordo ancora perfettamente la pressione sulla mie labbra, la stretta dietro la mia nuca e i tuoi capelli attaccati al viso; ricordo perfettamente come il tuo sguardo folgorante mutò, e il tuo verde ritornò di una tonalità più chiara e limpida. Lasciasti lentamente la presa dietro la mia testa e facesti scorrere la mano fino al mio viso, e lì mi rivolsi uno sguardo che mai più dimenticherò e che mai più riceverò. Sentii di aver ritrovato “il mio posto”, sentii che di fatto era sempre stato lì, e che soltanto io avevo fatto si che venisse nascosto sotto una nebbia di convinzioni; sentii che l'avrei sempre ritrovato, se solo avessi voluto, ma sentii anche che non ci sarei più potuto tornare, perché la vita purtroppo non è come una lavagna magica, non basta un magnete e tutto si può ricominciare da capo: quando si fanno delle scelte non si torna più indietro e io dovetti accettarlo, tu dovesti accettarlo.
Così ti osservai a lungo, dio ci sarei affogato in quelle iridi, in quello sguardo, in quell'attimo... ma tu non lo permettesti: ricongiungesti le nostre labbra, questa volta più dolcemente, e quando ti allontanasti sospirasti il mio nome come solo in poche occasioni avevi mai fatto non resistetti e dovetti abbracciarti, sentire il tuo corpo ed il tuo calore, per ricordarmi che eri reale e che non saresti fuggito, che non saresti svanito come un miraggio. E venni investito da tutte le tue emozioni, cosa che in parte ho sempre temuto di te perché capaci di portarti allo stremo, di consumarti come un osso, come una carcassa in balia degli avvoltoi, come quel fantasma di cui avevi il terrore di trasformarti.
Quelle dannate emozioni, che come un bambino mi fecero piangere sulla tua spalla e sussurrare inutilmente che non ti avrei mai più lasciato; ancora, continuavo a mentirmi, e tu lo sapevi ma non dicesti nulla perché anche tu amavi perderti in quelle dolci illusioni che facevano dimenticare per un attimo cosa fossimo realmente.
E mi dicesti che era okay, che per te andava bene così, che era giusto così, ma lo so, so che in realtà pensavi l'esatto contrario, ma ancora una volta non potevi e non volevi ammettere la verità.
Mi baciasti ancora, e ancora, e una volta ancora... se chiudo gli occhi Gerard, se mi concentro attentamente, posso ancora sentire il sapore delle tue labbra sulle mie; quel sapore unico ed inconfondibile, quel sapore di caffè e tabacco che per tanto tempo ho avuto sulle mie labbra e sulla punta della lingua, ma di cui adesso, ho soltanto una traccia evanescente che si confonde insieme ad altri odori e sensazioni.
Ricordi come in quella stanza buia il silenzio sovrastava ogni cosa, e di come i nostri sospiri sembravano perfettamente sincronizzati? Ricordi del fremito che mi facesti provare quando toccasti il mio fianco scoperto con le tue lunghe dita fredde? Io si.
Se chiudo gli occhi Gerard, se passo la mano proprio dietro il collo, nell'incavo della spalla, lì riesco a sentirti: sento le tue labbra leggere e soffici, sento le carezze lungo la schiena, ed il tocco delle tue mani che come uno scultore sembravano volermi modellare come argilla morbida. Riesco a percepire il tuo respiro lento, sul mio petto, sul mio viso, come quando baciasti entrambe le mie palpebre nella speranza di poter catturare tutto di me, per un'ultima volta.
I tuoi capelli, che lunghi e neri come la notte, caddero sul mio petto e lo solleticarono come pioggia fine; il tuo respiro, che come scirocco fece arrossare la mia pelle ma allo stesso tempo rabbrividire, ed il tuo corpo: pallido quasi quanto la luna stessa, e perfettamente aderito al mio, come se fossimo nati per incastrarci e riempire l'uno i vuoti dell'altro.
Quella stanza, quella notte, divenne come un tempio sacro, in cui le nostre anime ed i nostri corpi si univano e si fondevano per ripararsi a vicenda; per sfiorarsi, per scivolare lenti e sinuosi tra quel lenzuolo bianco e sottile che ostinatamente volevi rimanesse sul letto, per comunicare un'ultima volta, per potersi dire forse un “addio”, perché si sa, io non sono e non sarò mai in grado di mettere una parola fine ad una cosa.
Quella sera, le nostre anime si arresero, tu ti arrendesti ed anch'io. Ormai cedetti il mio cuore, e tu deponesti tutte quelle illusioni nel fondo di un cassetto; ormai era una battaglia persa, in fondo, e quella sera non era altro che un modo per conciliare il tutto, riassemblarlo come i cocci rotti di un vaso e dargli una fine, nel modo più disperato, più bello, più affamato e straziante che conoscessimo.
Ci arrendemmo entrambi, Gerard, ci arrendemmo alla sera che ci apparteneva, e dio solo sa quanto avrei voluto che non finisse mai...
Già, dio solo sa quanto non avrei voluto abbandonare il tuo corpo, dio solo sa quante volte ho sognato quella breve frazione in cui mi fermai e ti osservai dall'alto facendomi investire dai tuoi occhi, dal tuo volto; quella frazione che sembrò durare un'intera vita, quella frazione, che soltanto nei miei sogni posso più rivivere, ormai.
Quanto avrei voluto restar disteso accanto a te e lasciarmi accarezzare il petto dal tuo tocco delicato e leggero per sempre, quanto avrei voluto restar lì e sperare che l'alba non arrivasse mai.
Ricordi quanto silenzio c'era in quella stanza, Gerard? Ricordi come ci sentivamo vuoti, come prosciugati da qualsiasi voglia o impulso di vivere?
Ci succedeva sempre, ogni volta, rimanevamo lì, distesi sul letto in silenzio e nient'altro: la tua testa appoggiata sulla mia spalla ed il tuo respiro sul mio petto, a farmi rabbrividire; il silenzio e i nostri sguardi entrambi persi nel proprio vuoto, nelle proprie illusioni.
Anche quella sera finimmo così: io che mi persi nel buio del tuo soffitto e tu nella finestra che dava sulla città, sulla vita ancora dormiente, al di fuori di quella bolla senza tempo che ci eravamo costruiti con tanto affanno.
Continuavamo a “perdere” tempo, ad illuderci, a perderci e ad arrenderci, nel timore e nella consapevolezza che tutto sarebbe giunto a quella agognata fine; quella fine che nessuno dei due desiderava ma che accettammo.
Eravamo come espropriati dei nostri corpi: come se le nostre anime avessero continuato ad aleggiare nel buio e nel mentre, i nostri corpi pesanti si lasciassero intorpidire; come se fossimo entrati in un'altra dimensione, una dimensione che ci paralizzava e ci impediva di compiere anche il più semplice dei gesti, solo per non interrompere quella continuità, o forse, solo per paura e consapevolezza di ciò che ci stava aspettando. Eravamo esausti ed incerti, ed il silenzio si posava su di noi come nebbia mattutina, quella che d'inverno ti raggela fin dentro le ossa e che riesci a sentire da per tutto: sul tuo viso, attorno alla gola, nell'estremità delle dita... ti pervade in modo confortevole e non ti lascia più andare, non vorresti più lasciarla andare, e ti ci avvolgi al suo interno, ti ci rifugi e non riesci più ad uscirne neanche se volessi.
Quello eravamo, in sostanza; due anime appese ad un filo che si arresero e si fecero prendere dalla notte, che la fecero sua a loro volta, e che stavano per separarsi.
Poi ad un tratto interrompesti quel silenzio, ricordi? La tua voce sottile e roca riattivò ogni mio singolo nervo e mi rianimò.
“Te ne andrai” sussurrasti, ed io non potei che sbarrare gli occhi e deglutire, impossibilitato nel controbattere quell'affermazione. E così iniziasti a disegnare dei cerchi sulla mia pelle fissandomi, fissando quel tatuaggio, l'unico che non baciasti quella sera, l'unico che non fosse degno delle tue labbra e delle tue attenzioni. “Siamo come dei passeggeri, Frank” poi dicesti, facendomi aggrottare per qualche secondo le sopracciglia, perché non hai mai amato parlar chiaro, perché “l'indecifrabile” ti calzava così bene che non riuscivi a non esserlo.
“Tu sei come un passeggero, e te ne andrai, varcherai quella porta e non tornerai... no, non tornerai. Non puoi, ormai. Il finale è stato scritto e la tua meta è un'altra, non casa mia, non io.” aggiungesti, in conclusione.
Non ti risposi, ricordi? Non sapevo cosa dire perché dicesti tutto tu, perché mi facesti cadere nuovamente a terra di faccia e mi facesti scontrare con la realtà; perché alla fin dei conti non esisteva parola che potesse alleviare quella fastidiosa sensazione di rassegnazione all'evidenza, perché alla fin dei conti, avevo una tremenda paura di parlare e tu lo sapevi, riuscisti a percepirlo e fu per questo che rompesti il silenzio.
Non ci dicemmo più nulla, o per lo meno, tu non dicesti più nulla; restammo immobili, nella stessa posizione senza mai far incrociare i nostri sguardi, respirando a malapena e fregandocene del fatto che fossimo nudi, e che lentamente i nostri corpi stessero iniziando a raffreddarsi. Non ci importava, non ci importava più di nulla; semplicemente eravamo lì ed attendevamo, o forse sarebbe più corretto dire “speravamo”, perché in fondo, continuavamo ad illuderci per l'ennesima volta di poter fermare o anche solamente rallentare l'avanzata del tempo.
Ma ben presto, l'oscurità nella stanza gradatamente cedette il passo alla luce aranciata dell'alba, ed il sole ad un tratto si fece immenso e la luce ci inghiottì, illuminando tutto all'interno della tua stanza; illuminando la tua pelle ed i tuoi occhi, facendogli assumere delle colorazioni più simili all'oro che al verde, e sancendo l'inizio di un nuovo giorno e la fine di quella notte, della nostra notte.
Oh, Gerard, ricordi tutto questo?
Beh io si, e come potrei dimenticarlo? Come potrei cancellare dalla mente, dal corpo, dal cuore, qualcosa che tu stesso hai inciso? Qualcosa di così folgorante ed intenso che riesce a toglierti e ridarti il fiato, come?
Non lo si può, appunto.
Ma so che lo sai, perché nonostante tutto questo tempo, so che anche tu provi lo stesso, perché basta riflettermi nel tuo sguardo per circa un secondo per averne la conferma, per sapere che il mio posto è ancora lì e sai Gerard, dopo tutto questo tempo, forse, sono riuscito a trovare una continuità a ciò che mi dicesti quella sera, perché sai che non riesco a darmi pace finché non riesco a trovare una soluzione per tutto.
Dicesti che siamo dei passeggeri, desti per primo a me del passeggero, ebbene, lo eravamo entrambi. Entrambi eravamo dei passeggeri di quella notte in cui entrambi deponemmo le nostre armi e a cui ci arrendemmo; ci arrendemmo alla consapevolezza, alla realtà, ai nostri cuori, alle nostre illusioni e a noi stessi, questo perché noi appartenevamo a quella notte, perché quella notte ci apparteneva. Perché il “nostro posto” era quella notte e nessuno potrà mai togliercelo.
Ecco, Gerard, credo che questo sia tutto: non so perché lo faccio, forse sono solo masochista, o forse solamente tanto coglione... ma probabilmente entrambi, probabilmente sono soltanto un masochista coglione, e per restare nel personaggio, accartoccerò via questa lettera e magari le darò fuoco in modo che il calore divampi via le parole e le disperda nell'aria, in modo che non resti niente se non cenere grigia. In modo che resti il nulla ed il vuoto, proprio come accade dentro di me, ogni qualvolta che ti scrivo una lettera che puntualmente disintegro.

 

-Frank.

   
 
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